L’assoggettabilità del Direttore Generale di un ente del SSN al regime delle incompatibilità
Commento alla sentenza n.25369 del 11.11.2020 della Corte di Cassazione a Sez. Unite
di Paola D’Abbrunzo*[1]
Il ricorso proposto da Casse di Risparmio dell’Umbria S.p.A. dapprima al Tribunale di Perugia e, in secondo grado, alla Corte di Appello di Perugia, in opposizione all’ingiunzione e successiva cartella di pagamento dell’Agenzia delle Entrate è diventata l’occasione giusta per la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, per pronunciarsi su una questione di rilevante importanza, statuendo, ancora una volta, limiti, presupposti e caratteristiche del regime dell’incompatibilità e del divieto di cumulo di incarichi per i dipendenti pubblici.
Nella fattispecie, a Casse di Risparmio dell’Umbria veniva intimato il pagamento di un’ingente somma a titolo di sanzione amministrativa per violazione dell’art. 53 co. 9 e 11 del D.lgs 165/2001, a seguito del conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Cassa in favore di un Ingegnere già Direttore Generale dell’AUSL di Terni, senza previa autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza.
La sentenza del Tribunale adito respingeva l’opposizione proposta, e tale determinazione veniva confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello.
Per la ratio delle decisioni, i Giudici hanno rilevato la natura dell’incarico e del rapporto di lavoro instaurato, indipendentemente dalla declinazione privatistica del contratto di assunzione, che estende la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della PA anche ai Direttori Generali degli enti del SSN.
Avverso la sentenza d’appello, la società Casse Risparmio dell’Umbria proponeva ricorso in Cassazione, a cui resisteva, regolarmente, l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
I punti controversi, sollevati dal ricorrente dinanzi alla Suprema Corte, sono stati due.
Il primo riguardava la illegittimità della sanzione amministrativa pecuniaria iscritta a carico della soc. Casse di Risparmio dell’Umbria, per mancata comunicazione dei corrispettivi per l’espletamento di incarichi non autorizzati dall’amministrazione di appartenenza dell’incaricato, ai sensi e per l’effetto del combinato disposto del co. 9 e 11 dell’art. 53 del D.Lgs 165/2001.
Il secondo motivo di ricorso verteva sulla possibilità o meno di ritenere applicabile anche al Direttore Generale di un AUSL la disciplina delle incompatibilità e del divieto di cumulo di incarichi dei dipendenti pubblici.
Sul primo motivo di ricorso, a risoluzione della questione, la Sezioni Unite hanno richiamato l’ordinanza n. 24083 del 26 settembre 2019, della seconda Sez. della Corte di Cassazione, con la quale veniva richiamata la sentenza n. 98 della Corte Costituzionale del 2015 in cui si rileva che l’omessa comunicazione dei corrispettivi per l’espletamento di incarichi non autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza non è più soggetta alla sanzione di cui all’art. 53 comma 15 del D.lgs 165/2001. Tale parte di sentenza era pertanto da cassarsi, in considerazione dell’indicata sopravvenienza normativa.
Se non altro, l’aspetto anzidetto su cui si è espressa la Corte Costituzionale rappresenta solo il punto finale di un iter giurisprudenziale, in senso conforme a quanto sopra detto, seguito già da tempo dalla stessa Corte di Cassazione.
Si vedano, in tal senso, le Sentenze Cass. nn. 11953 del 2019, 22887 del 2018, 13474 del 2016, 14199 del 2016.
In particolare, con la decisione n. 11953 del 2019, già la Suprema Corte aveva ribadito che, in ogni caso, le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno efficacia retroattiva, con l’unico limite costituito dalle situazioni consolidate ed in particolare dal giudicato.
Pertanto, l’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 15, del d.lgs. n. 165 del 2001 produce effetti anche sui giudizi in corso, in ragione dell’efficacia retroattiva – salva l’avvenuta formazione del giudicato – delle pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale, inibendo pertanto l’applicazione della sanzione ivi prevista a carico degli enti conferenti incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, per il caso di omessa comunicazione dei compensi corrisposti.
Di contro, con riferimento al comma 9 dell’art. 53 del D.lgs 165/2001, per nulla investito dalla dichiarazione di incostituzionalità della Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione si è interrogata sulla possibilità di ritenere applicabile il regime di preventiva autorizzazione previsto per i pubblici dipendenti anche al caso di specie, giungendo, in ultima analisi, ad una decisione, in tal senso, affermativa.
In particolare, il Direttore Generale di un AUSL, rientrante negli incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice, di una P.A., di Enti pubblici ed Enti di diritto privato in controllo pubblico, contribuisce, con la propria attività, “alla buona reputazione”, ovvero all’affidabilità, anche da un punto di vista economico, dello Stato nel suo complesso e su questa linea risulta fondamentale, perciò, che le Pubbliche Amministrazioni si organizzino in modo da tutelare la legalità e l’etica del proprio contesto lavorativo.
È per dare migliore attuazione all’art. 97 e 98 della Costituzione, secondo gli Ermellini, che il nostro ordinamento ha previsto la disciplina generale in materia di incompatibilità, cumulo degli impieghi e degli incarichi del lavoro pubblico contrattualizzato, disciplina peraltro rafforzata ancor di più proprio in riferimento agli incarichi dirigenziali.[2]
È in tale ottica che va visto con massima attenzione proprio l’art. 22 del D.lgs. 39 del 2013[3] che attribuisce particolare efficacia alle norme del decreto stesso, qualificandole di attuazione degli art. 54 e 97 della Costituzione e pertanto, prevalenti, rispetto a disposizione regionali in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi.
Non potrebbe essere altrimenti, visto che il seguente art. 17 del D.lgs 39 del 2013 prevede proprio la nullità degli atti di conferimento degli incarichi adottati in violazione delle norme del decreto, e la successiva decadenza dell’incarico e risoluzione del contratto di lavoro (art. 19) trascorso vanamente, ovvero senza aver eliminato la causa di incompatibilità, il termine perentorio di 15 giorni.
È chiaro che tale impianto blinda completamente, in senso ovviamente restrittivo, la posizione del pubblico dipendente, ancor di più se dirigente e se si tiene conto della giurisprudenza rimasta praticamente inalterata nel corso degli anni su tale materia, che ha attribuito alla disciplina in esame esplicitamente un carattere cogente.[4]
A completare il quadro ci ha pensato poi il Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici[5] (e i Codici di Comportamento delle singole Amministrazioni) che già nell’intestazione con il quale viene presentato “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” mostra, sin da subito, in che modo il nostro Legislatore qualifica tutto l’impianto del regime dell’inconferibilità e incompatibilità, ovvero strumento preventivo e correttivo della corruzione e dell’illegalità.
Volendo sorvolare, almeno in questa sede, sull’effettiva capacità repressiva/correttiva della corruzione, del regime basato, in primo luogo, sull’art. 53 del D.lgs 165/2001 e sul suo principio di esclusività del pubblico dipendente, da cui prende le mosse l’intero apparato di incompatibilità, cumulo degli impieghi e degli incarichi del lavoro pubblico contrattualizzato, su cui lo scrivente nutre ragionevoli incertezze, quel che è certo è che la volontà del legislatore e della giurisprudenza è sempre più lontana dal permettere anche al pubblico dipendente, specie se dirigente, un’autonomia e un arricchimento professionale “esterno” e/o ulteriore a quello istituzionale pubblico.
L’ulteriore dimostrazione di questa “chiusura” è stata fornita in tempi recenti dalla stessa Riforma Madia[6] volta a riorganizzare ampi settori dell’amministrazione statale e profili della disciplina del lavoro pubblico e del procedimento amministrativo, e uno dei suoi decreti di attuazione, il D.lgs 75/2017 che ha ribadito che la normativa relativa alla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi ricopre una posizione centrale nel sistema di prevenzione dei fenomeni corruttivi disegnato dalla legge n. 190 del 2012[7], in quanto diretta ad evitare che “possano accedere e permanere in incarichi pubblici persone che si trovino in situazioni che facciano dubitare della loro imparzialità”[8]
Eppure, visto da un’ottica diversa, un’ottica che mira ad incrementare le competenze dei dipendenti, necessariamente sempre più richieste dalle logiche di mercato e di lavoro globalizzato e inter-connesso, il pluralismo degli incarichi e la libertà di accedere a ruoli diversi ma tra loro complementari ed omogenei, a parere di chi scrive, non solo porterebbe ad un innalzamento della qualità della performance delle amministrazioni, ma risulterebbe più coerente e conforme alla visione, sempre più imponente, della pubblica amministrazione quale azienda “privata” o per meglio dire “privatistica” vera e propria.
Se infatti, come è avvenuto negli ultimi anni, si tende sempre più a parlare, per lo Stato e le sue articolazioni, di azienda composta ma prevalentemente di erogazione di servizi, applicando anche al settore delle P.A. aspetti e connotati propri del lavoro privato, dovrebbe configurarsi anche la possibilità di estendere ai suoi pubblici dipendenti quel regime di libero scambio delle competenze, del know-how, di accrescimento professionale che è tipico di un ambiente non statico ma dinamico, in cui i lavoratori non devono avere il timore di accettare incarichi o ruoli, specie se di rilievo, per non rovinare “la buona reputazione” dell’amministrazione di appartenenza. Forse è proprio il concetto che alla base della buona reputazione dell’amministrazione ci sia la monopolizzazione del lavoro statale del dipendente pubblico che andrebbe rivisto, o meglio, dovrebbe iniziare a circolare l’idea che la buona reputazione delle amministrazioni pubbliche, al netto di fenomeni improntati a comportamenti e pratiche illegali, assolutamente da individuare e condannare, non sia legata alla possibilità del pubblico dipendente di accettare un ulteriore incarico che di fatto non contrasti, ne infici, la quantità e la qualità del lavoro svolto.
Il discorso appare ancora più ragionevole dinanzi a ruoli per cui è possibile parlare di accessorietà e primarietà, in cui, cioè, accanto allo svolgimento di un ruolo principale, se ne accosti un altro per così dire secondario, la cui accessorietà è rilevata, magari, da un orario di lavoro più breve o dalla mole di compiti e responsabilità ridotta e circoscritta. Ciò avviene, in realtà, già in alcuni settori del pubblico impiego, si pensi ai docenti universitari o agli insegnanti, per non parlare dei parlamentari, per i quali è possibile lo svolgimento di ulteriori o dei doppi incarichi. In questo ultimo caso non dovrebbe vigere ancora di più il dovere di “servizio esclusivo alla Nazione”, previsto dai nostri Costituenti?!
In attesa di ricevere risposte più confacenti alle nuove realtà lavorative e sociali, l’orientamento della giurisprudenza e del legislatore è finora quanto mai consolidato, ritenendo la disciplina suindicata applicabile, in ogni caso, a tutte quelle situazioni di svolgimento di funzioni in qualità di “agente dell’Amministrazione pubblica”[9].
La definizione è talmente ampia da ricomprendere dipendenti con rapporto di lavoro c.d. contrattualizzato, quelli rimasti in regime di diritto pubblico, lavoratori professionali in regime di part-time o a tempo determinato, coloro che svolgono incarichi onorari, e, in ultimo, coloro che sono legati alla P.A. per effetto di un contratto di diritto privato anche di natura autonoma, come, appunto, il Direttore generale di un ente del SSN.
Con una atteggiamento indiscriminato, che diventa però una forzatura, a nulla rilevano le caratteristiche del contratto, il nomen jurius, l’effettività delle mansioni svolte, i compiti, il livello di responsabilità assunto, il titolo di accesso al pubblico impiego: ciò che conta è solo l’inserimento di un’attività lavorativa nell’apparato della P.A.
Questo è il quadro in cui si inserisce il comma 9 dell’art. 53 che è così diretto agli enti pubblici economici e i soggetti privati che conferiscono incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza. Si integra così una violazione “formale” non sanabile con una postuma autorizzazione visto che la stessa norma fa riferimento ad una “previa” autorizzazione dell’incarico medesimo[10].
Ciò che è certo è che l’illecito ha natura amministrativa, in cui è sufficiente l’elemento soggettivo della colpa semplice presunta in capo all’autore del fatto, su cui grava anche l’onere della prova contraria alla presunzione, ma che non soggiace a conseguenze fiscali-tributarie.
Nel caso specifico di un Direttore generale di un AUSL, egli è il responsabile della gestione complessiva dell’Ente ed ha il ruolo di destinatario della funzione di garanzia dell’osservanza e della corretta applicazione delle norme legali e contrattuali che disciplinano i rapporti di lavoro degli addetti. Insomma, potremmo dire che deve dare il buon esempio.
Concorrono a delineare la natura del rapporto del direttore generale l’art. 3-bis comma 8 D.lgs 502/92, il comma 10 e 14 dello stesso articolo e decreto, che in maniera combinata, statuiscono la natura esclusiva del rapporto di lavoro, l’incompatibilità con altro rapporto di lavoro, dipendente o autonomo, la durata dell’incarico da 3 a 5 anni.
E del resto, la giurisprudenza della Suprema Corte ha precisato da tempo che la normativa di cui al D.lgs 502 del 1992 ha carattere imperativo ed inderogabile[11]. E non sembra per niente volersene discostare.
[1]*Avvocato del Foro di Napoli Nord. Specializzato in professioni legali. Direttore dei servizi Generali e Amministrativi (comparto Istruzione e Ricerca).
[2] D.lgs n.39 del 2013 (non applicabile, nella specie, ratione temporis ma comunque utile per l’individuazione della ratio della materia)
[3] Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190.
[4] In conformità con l’indirizzo della Corte Costituzionale, si veda, tra le altre, Cass. 2 maggio 2017 n. 10629
[5] D.P.R. 62 del 16 aprile 2013
[6] Legge 124/2015
[7] C.d. Legge Severini
[8] mERLONI, Inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, cit.
[9] Cass. S.U. 10 gennaio 2019 n.486
[10] Cass. 18 giugno 2020 n. 11811; Cass. 20 maggio 2020 n. 9289
[11] Cass. 19 dicembre 2014 n. 26958
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