L’attuazione della direttiva 2014/23/UE: le principali innovazioni per il PPP

L’attuazione della direttiva 2014/23/UE: le principali innovazioni per il PPP

Sommario: 1. Premessa – 2. La particolare attenzione riservata all’aspetto economico e finanziario dei contratti di partenariato – 3. Una nuova procedura di affidamento elaborata specificatamente per i contratti di PPP

 

1. Premessa

Il presente contributo offre una dettagliata analisi delle principali novità in materia partenariale derivanti dall’attuazione della direttiva 2014/23/UE, la prima in materia di concessioni: un provvedimento talmente innovativo per il nostro ordinamento giuridico che ha richiesto la promulgazione di un nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016).

Più specificatamente, l’indagine che segue pone l’accento sui profili finanziari e procedurali della rinnovata disciplina codicistica – peraltro, in gran parte direttamente mutuati dai considerando della direttiva suddetta –, dando altresì conto di un netto cambio di passo in termini di sostenibilità economica e speditezza procedimentale.

Non mancano poi i confronti rispetto sia a quanto previsto dal Codice previgente (D.lgs. 163/2006), sia alle modalità con cui gli altri Stati Membri hanno deciso di attuare la normativa eurounionale.

Verranno così approfonditi elementi chiave quali l’equilibrio economico-finanziario, il trasferimento effettivo del rischio dell’operazione in capo al privato e la bancabilità del progetto, tutti caratteri indispensabili al fine di poter ritenere sussistente un contratto di partenariato pubblico privato tra Pubblica Amministrazione ed impresa privata.

Da ultimo, non si mancherà di evidenziare la flessibilità della procedura di affidamento che a tutt’oggi contraddistingue irrimediabilmente il PPP, tenuto conto della rigida disciplina prevista per appalti e concessioni, nonché l’agevole sistema di monitoraggio che la PA è tenuta a strutturare sulla base di quanto dettato dalle linee guida ANAC.

2. La particolare attenzione riservata all’aspetto economico e finanziario dei contratti di partenariato

Sulla scorta di quanto disposto dall’articolo 180, comma 6 del Codice dei contratti pubblici, la corretta traslazione in capo all’operatore privato dei rischi di costruzione e di domanda/disponibilità, presupposto irrinunciabile per qualsivoglia contratto di partenariato pubblico privato, dipende, a sua volta, dall’equilibrio economico-finanziario dell’operazione nel suo complesso.

Con la promulgazione del nuovo Codice, il Legislatore nazionale, oltre ad indicarlo quale ulteriore elemento portante dei contratti di PPP, ha dotato l’equilibrio economico-finanziario di una specifica enunciazione, laddove in passato si era limitato a definirlo soltanto in relazione ai contratti di concessione: “Ai fini del presente codice, si intende per ‘equilibrio economico e finanziario’ la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell’arco dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento”.

Da qui è impossibile non avvertire quanto il perfezionamento del rapporto negoziale nonché la concreta attuazione dell’operazione siano strettamente legati tanto al trasferimento del rischio operativo in capo all’affidatario, quanto all’aspetto economico e finanziario dell’intera fattispecie partenariale; non a caso quest’ultima relazione viene ogni volta formalizzata nel piano economico finanziario (PEF)[1].

Si tratta di un documento, rilevantissimo, il quale certifica che l’iniziativa a cui partner pubblico e partner privato vogliono dar seguito è valida anche dal punto di vista economico e finanziario, fattore indispensabile per la buona riuscita del contratto di PPP.

Per giunta, siffatta attestazione si rivela di fondamentale importanza nel momento in cui spetta alla PA verificare nel concreto la fattibilità e la conformità di una proposta: tutte quelle che si pongono in violazione del principio di equilibrio economico-finanziario, infatti, sono da escludersi a priori.

Dopotutto è nell’interesse di entrambe le parti accertare preliminarmente che l’operazione da intraprendere sia economicamente conveniente come pure finanziariamente sostenibile[2].

L’ottenimento prima, così come il mantenimento durante l’intera filiera di realizzazione dell’opera o di gestione del servizio poi, dell’equilibrio economico-finanziario è essenziale agli occhi del Legislatore, al punto che, ai sensi dello stesso articolo 180, comma 6 del Codice, l’amministrazione, ai soli fini del predetto equilibrio, in sede di gara ha facoltà di stabilire anche un prezzo; questo, alternativamente o cumulativamente, può consistere in un contributo pubblico, nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di pubblico interesse oppure, a patto che sia strumentale all’opera da realizzare, in un diritto di godimento.

Nondimeno, egli ha ritenuto parimenti doveroso fissare un limite a tale contribuzione, innanzitutto allo scopo di non alterare la natura del PPP: in origine il Legislatore aveva stabilito il limite del 30%, che in virtù del Correttivo D.lgs. 56/2017 si è successivamente innalzato sino al 49% del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.

In aggiunta, considerato che l’articolo 180, comma 7 in tema di partenariato pubblico privato fa espressamente rinvio all’articolo 165, commi 3, 4 e 5 (situato nella Parte III del Codice dedicata alle concessioni), il PEF e di conseguenza l’equilibrio economico-finanziario si pongono quali presupposti ineludibili finanche per la bancabilità del progetto partenariale: viene difficile pensare che vi siano istituti bancari disposti a sovvenzionare un’operazione non sostenibile dal punto di vista finanziario.

Effettivamente, la reperibilità sul mercato finanziario di risorse proporzionate ai fabbisogni, la sostenibilità di tali fonti ed altresì la congrua redditività del capitale investito assumono oggi un valore tale per ogni contratto di PPP che il Codice dei contratti pubblici finisce per subordinarne la sottoscrizione alla condizione della presentazione di idonea documentazione inerente il finanziamento dell’opera.

Inoltre, sullo stesso piano si pone la conseguente risoluzione ipso iure di tale accordo qualora non si giunga al relativo closing finanziario al collocamento delle obbligazioni emesse dalle società di progetto per il finanziamento dell’operatore economico entro il termine fissato dal bando, comunque non superiore a 18 mesi (importante modificazione introdotta dal Correttivo nel 2017).

Tra l’altro, nel caso in cui quest’ultima ipotesi si avveri, all’operatore privato non spetta alcun rimborso dei costi sostenuti, nemmeno quelli concernenti la progettazione definitiva: «si tratta del più importante stimolo al coinvolgimento degli istituti finanziatori nella predisposizione dell’operazione dell’offerta di gara, in questo modo i concorrenti sono costretti a far partecipare i finanziatori alla costruzione dell’operazione fin dalle prime fasi con indubbi vantaggi qualitativi che si riverberano sulla fattibilità dell’operazione»[3].

D’altra parte, all’interno della normativa codicistica vi sono ulteriori previsioni dedicate all’aspetto economico e finanziario del partenariato pubblico privato, sulle quali, tra l’altro, il Legislatore è intervenuto di recente: rileva, in particolare, l’articolo 182 rubricato “Finanziamento del progetto”.

«La norma ha chiaramente presente che il dato determinante del partenariato risiede, per l’operatore economico, nell’investimento finanziario e, per la pubblica amministrazione, nell’accollo del rischio economico da parte del privato, che lo accetta spinto dalla prospettiva concreta di un vantaggio patrimoniale derivante dalla realizzazione dell’opera oppure dalla gestione del servizio»[4].

Pertanto, consapevole di quanto lo stanziamento di risorse finanziarie adeguate possa influenzare l’effettiva convenienza, e quindi il successo, dell’operazione partenariale, la disciplina in esame si pone come obiettivo principe il mantenimento dell’equilibrio economico finanziario per tutta la durata della partnership tra pubblico e privato.

In primo luogo, lo fa precisando che il finanziamento dei contratti di PPP può avvenire solamente attraverso strumenti idonei, tra i quali la finanza di progetto, e che in ogni caso è il contratto a delineare in che modalità dovrà avvenire la remunerazione del capitale investito.

In secondo luogo, la norma passa ad affrontare le questioni dell’anticipata estinzione del contratto e della revisione dell’equilibrio del PEF.

Per quanto riguarda il primo punto, il nuovo Codice dispone che è sempre il medesimo contratto a definire – oltre ai rischi trasferiti ed alle modalità di monitoraggio della loro permanenza – le conseguenze di un’eventuale estinzione anticipata del rapporto partenariale, le quali devono comunque essere “tali da comportare la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico”.

A ben vedere, però, il perno centrale dell’intera regolamentazione in materia finanziaria è il secondo punto, di cui all’articolo 180, comma 3: “Il verificarsi di fatti non riconducibili all’operatore economico che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto”.

Proprio in forza di quest’ultimo dato, uno degli aspetti prioritari dei contratti di PPP è senza dubbio l’imputabilità dei rischi non riconducibili, a titolo di inadempimento contrattuale, né all’operatore privato né tanto meno all’amministrazione aggiudicatrice: ad ogni modo, il fatto di porli perlopiù a carico di quest’ultima, allo scopo di preservare l’equilibrio economico-finanziario, non può certo svilire l’irrinunciabile presupposto per cui ogni contratto di partenariato pubblico privato comporta (senza possibili eccezioni) il trasferimento del rischio di costruzione e del rischio di domanda e/o di disponibilità in capo all’operatore economico[5].

Senonché, le osservazioni suesposte non hanno impedito al Legislatore nazionale di prevedere espressamente per le parti la possibilità di addivenire ad una revisione delle condizioni di equilibrio economico-finanziario dell’operazione, ad esempio mediante la revisione del canone o la rideterminazione delle tariffe, semmai si verificassero atti o fatti non riconducibili all’operatore economico in grado di incidere significativamente sull’equilibrio stesso[6].

Ad ogni buon conto, si fa presente che, ai sensi della disciplina codicistica, una rettifica del genere è ammissibile solo a condizione che continui ad assicurare la permanenza sull’affidatario dei rischi già trasferiti nel corso dell’intero ciclo di vita del rapporto partenariale.

«Il regime previsto, in sintesi, cerca di colmare un’annosa lacuna del nostro ordinamento preoccupandosi di garantire il mantenimento del sinallagma contrattuale onde incentivare effettivamente il ricorso a tale strumento, al contempo garantendo il rispetto del principio di concorrenza proprio sia dell’ordinamento interno, sia di quello comunitario»[7].

Peraltro, la previsione (all’interno del medesimo comma 3) per cui, in caso di mancato accordo sul riequilibrio del PEF, entrambe le parti hanno possibilità di recedere dal contratto stesso, conferma, per l’ennesima volta, l’essenzialità dell’equilibrio economico-finanziario per qualsivoglia fattispecie partenariale.

Altrettanto chiaro è che, in quest’ultima ipotesi, all’operatore economico spetta, innanzitutto, il rimborso del valore delle opere realizzate e degli oneri accessori (al netto degli ammortamenti e dei contributi pubblici) oppure, laddove l’opera non abbia ancora superato il collaudo, dei costi effettivamente sostenuti dallo stesso.

A questo importo si deve poi aggiungere il rimborso delle penali e degli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza del recesso (ad esclusione degli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato di contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse).

Infine, è importante sottolineare come, in virtù dell’articolo 176, comma 10-bis introdotto dal Correttivo D.lgs. 56/2017, ora sia da applicarsi anche ai contratti di PPP tutta la regolamentazione ex articolo 176 del Codice dei contratti pubblici inerente le termination clauses dei contratti di concessione.

3. Una nuova procedura di affidamento elaborata specificatamente per i contratti di PPP

Per quanto attiene alle procedure di affidamento dei contratti di partenariato pubblico privato, le previsioni dettate dal Codice dei contratti pubblici sono assai concise.

In effetti, in questo caso il nostro Legislatore si è più che altro limitato a fare rinvio ad altri impianti normativi: all’articolo 179 viene disposta l’applicazione ai contratti di partenariato (per quanto compatibili) di tutte le disposizioni di cui alla Parte I (Ambito di applicazione, Principi, Disposizioni comuni ed esclusioni), alla Parte III (Contratti di concessione), alla Parte V (Infrastrutture ed insediamenti prioritari) ed alla Parte VI (Disposizioni finali e transitorie) nonché ad una consistente porzione della Parte II (Contratti di appalto) del Codice stesso.

Del resto, in linea generale, è possibile constatare come il Legislatore italiano, forte del fatto che la direttiva 2014/23/UE in tema di affidamento ha introdotto ampi margini di flessibilità – in realtà dettati in tema di concessioni e non, specificatamente, in tema di partenariato pubblico privato ma applicabili anche a quest’ultimo per analogia – abbia perlopiù fatto rifluire la disciplina delle concessioni entro quella del PPP.

Quest’ultimo approccio[8], però, merita alcune precisazioni.

Invero, se da una parte si ha un rinvio, in particolare, alla Parte III, dall’altra vi sono le procedure di affidamento specificatamente previste per i contratti di PPP di cui all’articolo 181 del Codice.

A ben vedere, rispetto alle concessioni per le quali la stazione appaltante può plasmare liberamente la gara, i procedimenti di cui dispone la PA per aggiudicare i contratti di partenariato non solo sono limitati nel numero, escludendosi pertanto il recepimento sia del principio di libera amministrazione sia della possibilità di ricorrere alla negoziazione, ma presentano anche dei livelli di garanzia molto elevati al fine di assicurare un corretto assolvimento della funzione pubblica.

Dopotutto, quando vi è spesa diretta di denaro o valori pubblici risulta indispensabile fissare dei paletti e dei canali di legittimità per l’azione amministrativa più stringenti del solito.

Premesso ciò, in merito alle modalità di scelta dell’affidatario, l’articolo 181, comma 1 del Codice dispone, tanto succintamente quanto genericamente, che: “La scelta dell’operatore economico avviene con procedure ad evidenza pubblica anche mediante dialogo competitivo”.

Eppure, sul significato del concetto di “procedure ad evidenza pubblica” nell’ambito dei contratti di partenariato pubblico privato la dottrina continua ad interrogarsi da parecchio tempo: alcuni autori lo hanno ricondotto a quello tipico di appalti e concessioni, altri vi hanno invece desunto la volontà del Legislatore di rendere applicabile ai contratti di PPP qualsiasi procedura a patto che preceduta da adeguata pubblicità.

Tuttavia, sembra prevalere la tesi più vicina al disposto normativo, ossia quella che esclude la possibilità di adottare qualsivoglia iter per l’affidamento dei contratti di PPP, dovendosi le pubbliche amministrazioni limitare piuttosto alle procedure strutturate sulla sola richiesta e valutazione di un’offerta oppure, al limite, al dialogo competitivo (in quanto espressamente consentito)[9].

Malgrado ciò, è ai commi 2 e 3 dell’articolo 181 che si comprende quanta attenzione si sia prestata al fine di varare una regolamentazione, tanto più con il Correttivo del 2017[10], che potesse garantire efficacia ed effettività alla PA come pure agli operatori economici: «con una disposizione che nel precedente Codice non trova corrispondenze specifiche con riguardo al partenariato, viene previsto che – salvo l’ipotesi in cui l’affidamento abbia ad oggetto anche l’attività di progettazione come prevista dall’articolo 180, comma 1 – le amministrazioni aggiudicatrici debbano provvedere all’affidamento dei contratti ponendo a base di gara il progetto definitivo ed uno schema di contratto e di piano economico finanziario che disciplinino l’allocazione dei rischi tra amministrazione aggiudicatrice ed operatore economico»[11].

Conseguentemente, viene imposto all’amministrazione di fare la sua scelta solo dopo aver esperito un’adeguata istruttoria[12], con riferimento anzitutto “all’analisi della domanda e dell’offerta, della sostenibilità economico-finanziaria ed economico-sociale dell’operazione, alla natura ed alla intensità dei diversi rischi presenti nell’operazione di partenariato”[13].

Ad ogni modo, non vengono trascurati nemmeno soggetti finanziatori delle operazioni, vista l’introduzione di poche ma dettagliate disposizioni (articoli 185 e 186 del Codice) volte a tutelare la fattibilità delle medesime.

In questo senso, la possibilità per le società titolari di un contratto di partenariato pubblico privato di emettere obbligazioni e titoli di debito diretti al finanziamento dell’operazione nonché il riconoscimento di un privilegio generale sui beni mobili, crediti inclusi, dell’affidatario del contratto (esercitabile anche nei confronti di terzi che abbiano acquistato diritti su quei beni che sono oggetto di privilegio), a vantaggio dei crediti dei soggetti finanziatori delle operazioni di partenariato a qualsiasi titolo[14].

In aggiunta alle garanzie, attinenti alla fase di affidamento del contratto, legate alla necessità di porre a base di gara un progetto definitivo nonché a quella di compiere un’istruttoria preventiva, il Legislatore ne ha prevista una terza, però collocata nella successiva fase esecutiva ed estesa a tutto il periodo di durata contrattuale.

Ai sensi dell’articolo 181, comma 4 del Codice dei contratti pubblici, infatti: “L’amministrazione aggiudicatrice esercita il controllo sull’attività dell’operatore economico attraverso la predisposizione ed applicazione di sistemi di monitoraggio, secondo modalità definite da linee guida adottate dall’ANAC, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente codice, verificando in particolare la permanenza in capo all’operatore economico dei rischi trasferiti. L’operatore economico è tenuto a collaborare ed alimentare attivamente tali sistemi”.

Pertanto, una volta individuato il partner privato, alle pubbliche amministrazioni viene imposto di controllare, mediante appositi sistemi di monitoraggio, l’attività dell’operatore economico il quale, a sua volta, è tenuto a collaborare attivamente.

All’amministrazione, in particolare, spetta verificare, secondo le modalità definite dalle linee guida adottate dall’ANAC, la permanenza in capo al soggetto privato del rischio operativo che, secondo quanto disposto dal contratto, è tenuto a sopportare.

A ben vedere, alla base di questo sistema di controllo vi è il principio di effettività di traslazione del rischio operativo, il quale deve sussistere non solo in fase di costruzione, ma anche in fase di gestione: d’altra parte, un contratto di PPP privo di rischi per il soggetto privato è sempre da considerarsi tamquam non esset[15], finanche quest’ultimo venisse di fatto a mancare solo una volta intrapreso il rapporto partenariale.

Nondimeno, quanto disposto dal comma 4 presuppone non solo l’accertamento della persistenza del rischio operativo a carico del partner privato, ma della sua concretizzazione mediante l’escussione delle penali ex contractu in caso di indisponibilità dell’opera o di mancato raggiungimento degli standard pattuiti.

Del resto, come è stato sottolineato in dottrina, in un’epoca come quella attuale il principio di effettività può essere garantito esclusivamente con l’installazione un sistema di monitoraggio, preferibilmente in streaming, accessibile all’amministrazione aggiudicatrice h 24 per l’intero arco temporale contrattualmente determinato: solo così, infatti, le informazioni potranno davvero transitare dalla realtà dei fatti alla cognizione della parte pubblica senza dover per forza dipendere dai periodici report del soggetto privato.

«La riprova del fatto che il monitoraggio informativo nei contratti di PPP sia costitutivo del trasferimento del rischio è stata, da parte dell’ANAC, la predisposizione delle “Linee guida sui sistemi di monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato”, che costituiscono norma di azione amministrativa non eludibile ed imperativa»[16].

Tra l’altro, sulla questione della vincolatività delle Linee Guida ANAC si è espresso altresì il Consiglio di Stato[17], il quale, sulla scorta dei rinvii espressamente previsti o meno dalla regolamentazione codicistica per la definizione degli aspetti di dettaglio, in sede di parere le ha ritenute vincolanti limitatamente al contenuto della Parte II.

Ed è proprio in questa seconda parte che, tra le diverse prescrizioni dedicate alle modalità di controllo dell’attività svolta dagli operatori economici in esecuzione di un contratto di PPP, al punto 5 viene imposto alla PA di avvalersi dello strumento della “matrice dei rischi[18]” durante l’intera filiera di realizzazione dell’opera o di gestione del servizio: in fase di programmazione (per individuare ed analizzare i rischi connessi all’intervento da realizzare), in fase di redazione del documento di fattibilità economica e finanziaria (per verificare la convenienza del ricorso al PPP rispetto ad un appalto tradizionale), nonché in fase di esecuzione (per il monitoraggio dei rischi).

Per tutte le ragioni sopra esposte, pare più che condivisibile la tesi per cui, alla base della formulazione dell’articolo 181 del Codice, è possibile rinvenire tre principali direttrici di fondo: la conferma di un ampio spettro di procedure tra cui la PA può scegliere per dare corso all’affidamento; un’ attenzione particolare per la corretta analisi della sostenibilità economico-finanziaria del progetto e del costo-opportunità del PPP rispetto all’appalto; il coinvolgimento dell’Autorità nazionale anticorruzione nell’attività di monitoraggio circa la continua sussistenza dei rischi connessi all’operazione partenariale in capo alla parte privata[19].

 

 

 

 


[1] Cfr. G. Santi (2019), Il partenariato pubblico-privato ed il contratto di concessione nella normativa europea e nazionale. Gli interventi di sussidiarietà orizzontale ed il baratto amministrativo. Il contraente generale, in Mastragostino F. (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce del nuovo codice, del decreto correttivo 2017 e degli atti attuativi, Torino, Giappichelli, p. 159.
[2] Cfr. G.F. Cartei (2016), Il contratto di concessione di lavori e servizi: novità e conferme a 10 anni dal codice De Lise, Urbanistica e appalti, 8-9, p. 941.
[3] M. Ricchi (2017), Le scelte del Legislatore per rilanciare i PPP nel decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, Riv. trim. appalti, 3, p. 751.
[4] V. Sessa (2016), Il partenariato pubblico privato, Giustamm, 7, p. 8.
[5] Cfr. G. Santi, op. cit., p. 162.
[6] Ivi, p. 163.
[7] V. Sessa, op. cit., p. 11.
[8] Cfr. F. Di Cristina (2016), Il nuovo codice dei contratti pubblici – il partenariato pubblico privato quale “archetipo generale”, Giorn. dir. amm., 4, p. 482.
[9] «Si noti la preoccupazione di includere anche il dialogo competitivo, ma di escludere tutto ciò che sia a libera strutturazione, quello che non abbia un modello procedimentale definito nel Codice e anche tutto ciò che spinge a comportamenti con tassi di negoziazione non codificati: pertanto la “variante negoziale” non potrà essere importata nei procedimenti di PPP» {M. Ricchi (2016), L’architettura dei contratti di concessione e di partenariato pubblico privato nel nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016), Riv. giur. mezz., p. 823}.
[10] «Una serie di norme introdotte dal Correttivo vanno nel senso di richiedere maggiori garanzie per le operazioni di PPP rispetto alle concessioni: ad esempio, quelle sui livelli di progettazione più elevati, sui contenuti minimi da porre a base di gara, sui contenuti minimi del contratto in fase esecutiva». Inoltre, «il Correttivo ora consente di porre a base di gara nei contratti di PPP esclusivamente il contratto definitivo: i concorrenti in sede di offerta non dovranno presentare alcuna progettazione (se non nelle varianti migliorative), mentre oggetto del contratto di PPP dovrà essere il progetto esecutivo» (M. Ricchi, Le scelte del Legislatore per rilanciare i PPP nel decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, cit., pp. 751-752).
[11] V. Sessa, op. cit., p. 11.
[12] «L’analisi istruttoria è un perno fondamentale di legittimità dell’azione amministrativa, ma soprattutto è un passaggio imprescindibile per assimilare le skills di cui la PA necessita per agire con competenza negli affidamenti di partenariato. I sistemi francese, spagnolo e portoghese già da un decennio impongono uno screening selettivo e approfondito per approvare i contratti di partenariato pubblico privato in ragione dell’esborso diretto della PA e dei riflessi sulla contabilità pubblica degli investimenti privati» {M. Ricchi, L’architettura dei contratti di concessione e di partenariato pubblico privato nel nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016), cit., p. 824}.
[13]Anche utilizzando tecniche di valutazione mediante strumenti di comparazione per verificare la convenienza del ricorso a forme di partenariato pubblico-privato in alternativa alla realizzazione diretta tramite normali procedure di appalto” (Codice dei contratti pubblici, art. 181, comma 3). In questo punto la disciplina italiana si avvicina molto a quella di alcuni ordinamenti di common law, nei quali lo studio del business case e delle variabili socio-economiche è particolarmente sviluppato.
[14] Inclusi coloro che hanno finanziato l’operazione tramite la sottoscrizione di obbligazioni e titoli similari.
[15] Inoltre, il principio di effettività di traslazione del rischio, come man mano viene a delinearsi, si salda con un’altra importante condizione per la PA: quella di contabilizzazione off balance delle operazioni di PPP per effetto della Decisione Eurostat dell’11 febbraio 2004 (Treatment of public-private partnerships).
[16] M. Ricchi, L’architettura dei contratti di concessione e di partenariato pubblico privato nel nuovo Codice dei contratti pubblici, cit., p. 827.
[17] Si consideri, sul punto, Cons. St., comm. spec., parere n. 775, 29 marzo 2017.
[18] Al fine della costruzione della matrice dei rischi, devono considerarsi i seguenti aspetti: a) identificazione del rischio, ovvero l’individuazione di tutti quegli eventi, la cui responsabilità non è necessariamente imputabile alle parti, che potrebbero influire sull’affidamento nella fase di progettazione, di costruzione dell’infrastruttura o di gestione del servizio; b) risk assessment, ovvero la valutazione della probabilità del verificarsi di un evento associato ad un rischio (se non si riesce a indicare un valore preciso si possono utilizzare indicazioni tipo minima, bassa, alta, etc.) e dei costi che ne possono derivare. Detti oneri devono essere efficientati, anche attivando idonei meccanismi di incentivo. È importante definire anche il momento in cui l’evento negativo si potrebbe verificare e valutarne gli effetti; c) risk management, ovvero individuazione dei meccanismi che permettono di minimizzare gli effetti derivanti da un evento; d) allocazione del rischio al soggetto pubblico e/o privato; e) corrispondenza tra rischio e trattamento dello stesso all’interno del contratto di PPP, effettuata mediante l’individuazione dell’articolo che disciplina lo stesso.
[19] Cfr. F. Di Cristina, op. cit., p. 437.

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Ilaria Baisi

Laureata cum laude in Giurisprudenza (percorso transnazionale), è attualmente dottoranda di ricerca in Diritto Amministrativo e dell'Ambiente presso l'Università degli Studi di Firenze. È allieva del seminario di Studi e Ricerche Parlamentari "Silvano Tosi" e nel 2022 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense.

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