L’attuazione delle pari opportunità: cenni storici e nuovi orizzonti, tra PNRR e bilancio di genere
Sommario: Abstract – 1. Il principio della parità di genere – 2. Giurisprudenza comunitaria ed italiana – 3. Criticità e possibili modelli applicativi
Abstract
Numerosi studi evidenziano che l’Italia si posiziona a livelli bassi nelle varie classifiche che riguardano la parità uomo-donna; in particolare, l’Eige, istituto europeo sull’uguaglianza di genere, ha sviluppato l’indice sull’uguaglianza di genere (gender equality index), il quale si basa sull’analisi di vari indicatori che si riferiscono ad ambiti della vita quotidiana in cui le donne rischiano di trovarsi in condizioni di svantaggio rispetto agli uomini.
Gli indici presi in considerazione sono: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere, salute, violenza contro le donne.
Ad ogni indice viene assegnato un punteggio compreso tra 1 e 100, la cui somma complessiva indica l’indice totale sull’uguaglianza di genere. Con riguardo all’Italia, il punteggio complessivo ottenuto nel 2021 è di 63.8, così suddiviso: lavoro 63.7; denaro 79.4; conoscenza 59; tempo 59.3; potere 52.2; salute 88.4; si posiziona così quindicesima su ventotto Paesi analizzati; la prima è la Svezia con un punteggio totale di 83.9; l’ultima è la Grecia con un punteggio totale di 52.5.
Nel 2019 l’Italia totalizzava un punteggio pari a 63,5, pertanto vi è stato un leggero incremento di 0.3 punti dal 2019 al 2021; nonostante ciò vi sono degli strumenti da attuare in modo pieno e completo, al fine di rendere più efficiente ed efficace l’azione volta ad eliminare le discriminazioni fondate sul genere; le cause del punteggio ottenuto dall’Italia devono essere ricercate sia nella difficile conciliazione tra la vita lavorativa e privata, sia nel carente sistema di Welfare in cui le donne continuano a sostenere il peso delle attività di cura e di assistenza, producendo ricchezza non pagata.
Nel presente elaborato si analizzeranno dei fattori che bloccano la piena realizzazione della parità di genere, attraverso una comparazione con alcuni Paesi europei e mediante, al fine di evidenziare l’effettiva operatività del bilancio di genere nel nostro Paese, in vista dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Tale analisi deve emergere dalla valutazione dell’effettiva operatività del principio di trasparenza in riferimento alla destinazione delle risorse, tenendo conto dell’andamento degli indicatori di benessere (BES) inseriti nel Documento di Economia e Finanza (DEF).
1. Il principio della parità di genere
Nell’ordinamento europeo, il principio della parità di genere è un diritto fondamentale della persona. L’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce che “la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. La parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”.
Il primo nucleo di diritto antidiscriminatorio europeo può ravvisarsi nel divieto specifico di discriminazione in base al sesso e alla nazionalità, da cui sono scaturite altre chiamate di “Prima generazione”, le quali erano ancora legate ad una matrice funzionalista, rispetto all’obiettivo dell’instaurazione del mercato comune (accesso al lavoro, parità retributiva, sicurezza sul posto di lavoro).
Il Trattato di Amsterdam del 1998 ha ampliato il novero dei divieti discriminatori e, al contempo, ha inserito con l’art. 3, il concetto di gender mainstreaming a tenore del quale qualsiasi azione comunitaria deve presupporre e garantire la parità di genere.
La strategia politica basata sul gender mainstreaming deve quindi integrare, in una prospettiva di genere, ogni fase dei processi politici, dalla progettazione all’attuazione, al monitoraggio e alla valutazione.
Questo profondo mutamento di prospettiva sulla discriminazione di genere, di tutte le azioni politiche, sociali ed economiche, ha dato vita a tutte le direttive cosiddette di “seconda generazione” che hanno spostato l’asse da una uguaglianza formale ad una di tipo sostanziale.
Si passa quindi da una dimensione statica ad una prospettiva dinamica delle pari opportunità, nell’ottica del raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale per mezzo di attività che coinvolgono l’insieme dei pubblici poteri.
In Italia il gender mainstreaming è stato applicato per la prima volta nel 2016, nell’ambito di una sperimentazione per la redazione del bilancio di genere, in attuazione dell’articolo 38-septies della legge n. 196/2009, introdotto dal decreto legislativo n. 90/2016.
Il principio di uguaglianza di genere è il frutto dell’evoluzione del concetto di non discriminazione, quest’ultimo, infatti, ha una portata generale più ampia, e a livello costituzionale trova fondamento nell’art 3 della Costituzione, in cui il principio di uguaglianza viene considerato sia sotto il punto di vista formale, cioè uguaglianza davanti alla legge, sia sotto il profilo sostanziale inteso come volontà di rimuovere ostacoli che impediscono la piena realizzazione della effettiva parità.
Inoltre l’articolo 51 della Costituzione prevede che entrambi i sessi possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, ed a tal proposito la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne.
A conferma di ciò il PNRR è un Piano “Nazionale”, che non demanda alle Regioni la competenza legislativa in tema di pari opportunità, bensì accentra a sé la competenza al fine di predisporre mezzi omogenei che permettano il raggiungimento di una uguaglianza anche territoriale.
Varie norme hanno attuato, nel tempo, i princìpi sopra citati, al fine di rimuovere ogni ostacolo alla piena parità tra uomini e donne, soprattutto alla luce della disciplina europea.
Il decreto legislativo n. 198/2006 “il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” raccoglie la normativa statale vigente sull’eguaglianza di genere nei settori della vita politica, sociale ed economica.
Il primo dei quattro libri del Codice contiene le disposizioni generali per la promozione delle pari opportunità, mentre i tre libri successivi contengono disposizioni volte alla promozione delle pari opportunità nei rapporti etico- sociali, economici e nei rapporti politici.
Tra le varie modifiche che ha subìto il Codice, è bene ricordarne due:
– Decreto legislativo n.151/2015, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 9, lettera l), della legge n. 183/2014, il quale ha semplificato e razionalizzato le disposizioni relative agli organismi che si occupano di pari opportunità;
– Legge di bilancio 2018 (articolo 1 comma 218, legge n. 205/2017) che amplia la tutela relativa alle molestie ricevute da entrambi i sessi sul luogo di lavoro.
L’articolo 1 del Codice prevede che:
– la parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compresa la retribuzione (comma 2)
– il principio della parità non osta al mantenimento di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato (comma 3);
– l’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, regolamenti, atti amministrativi, politiche ed attività (comma 4).
2. Giurisprudenza comunitaria ed italiana
Di notevole rilevanza nel percorso evolutivo della disciplina in materia di parità di genere è stata la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, la quale ha contribuito a definire i limiti del principio della parità di genere, al fine di far sì che gli Stati possano fruire di indicazioni idonee per legiferare e/o statuire sul tema.
Tra le sentenze più rilevanti vi sono:
– sentenza Defrenne II, del 1976 (causa C – 43/75): la Corte ha riconosciuto l’effetto diretto del principio della parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici, stabilendo che il principio si applica, oltre che alle pubbliche autorità, anche a tutte le convenzioni che disciplinano collettivamente il lavoro subordinato;
– sentenza Marshall, del 1997 (causa C – 409/95): la Corte ha dichiarato che una norma nazionale che preveda la precedenza, in caso di promozioni, alle candidate donne nei settori in cui la presenza femminile è inferiore rispetto a quella maschile non è vietata dalla legislazione comunitaria, purchè il vantaggio non trovi applicazione automatica e purchè i candidati uomini siano presi in considerazione, senza che vi siano forme di esclusione a priori dalla possibilità di presentare domanda;
– sentenza Tesco Stores, del 2021 (causa C – 624/19): la Corte rinvia alla sentenza Praxair MRC, in cui si stabilise che il divieto di discriminazione è applicabile anche ai contratti collettivi e individuali che disciplinano la retribuzione, così da consentire ai giudici nazionali di valutare anche altri casi di differenze di trattamento nella retribuzione, fondate sul genere. La Corte ha infatti concluso che l’articolo 157 TFUE ha efficacia diretta orizzontale nelle controversie tra privati nelle quali l’oggetto di contestazione è il mancato rispetto del principio della parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici per un “lavoro di pari valore”;
– parere del 6 ottobre 2021, n. 1/19: in riferimento all’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la Corte ha precisato le modalità di adesione dell’Unione e le sue basi giuridiche.
Per rendere più chiaro il quadro nazionale, e poter comprendere come il principio della parità di genere viene applicato dai giudici nazionali, è bene ricordare delle recenti sentenze che cristallizzano il quadro giurisprudenziale vigente italiano:
– T.A.R. Puglia, sezione I, n. 1652/2019: non potendo fondarsi l’annullamento di operazioni concorsuali sulla violazione dell’articolo 9 del D.P.R. 487/1994, il quale prevede che almeno 1/3 dei posti di componente delle commissioni di concorso, salva motivata impossibilità, è riservata alle donne, o dell’articolo 57 del d. lgs. 165/2001 tale per cui le Pubbliche Amministrazioni al fine di garantire il principio di pari opportunità tra uomini e donne, riservano alle donne almeno 1/3 ei posti di componente delle commissioni di concorso, la giurisprudenza ha elaborato un orientamento volto a garantire effettivamente il principio di parità di genere, incentrato sulla rilevazione del vizio dell’eccesso di potere nella formazione delle commissioni di concorso qualora sia accertato un intento discriminatorio, nella condotta dell’Amministrazione universitaria, nei confronti dei docenti di sesso femminile;
– T.A.R. Sicilia, sezione I, n. 2744/2021: se da un lato è necessario garantire la parità tra i sessi e di conseguenza le reciproche pari opportunità, così da evitare che l’esercizio di funzioni politico – amministrative sia precluso ad uno dei due generi, dall’altro lo svolgimento ordinato, continuato e corretto delle funzioni politico – amministrative costituisce un elemento cardine del vigente ordinamento giuridico, in riferimento al principio di democraticità ex articolo 1 Costituzione, ed in riferimento all’articolo 97 Costituzione che sancisce i principi di legalità, imparzialità e buon andamento; quindi il rispetto del principio di parità di genere non può determinare una interruzione dell’esercizio delle funzioni politiche – amministrative, ovvero provocare un ostacolo alla loro concreta ed effettiva attuazione;
– Corte Costituzionale n. 62/2022: la Corte ha dichiarato incostituzionale la mancata previsione, per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, dell’esclusione della lista elettorale che non presenti candidati di entrambi i sessi; la presenza di candidati di entrambi i sessi nelle liste elettorali comunali rappresenta una garanzia minima delle pari opportunità in riferimento all’accesso alle cariche elettive.
3. Criticità e possibili modelli applicativi
Il bilancio di genere trova la sua ragion d’essere nella necessità di rendere trasparente l’applicazione effettiva delle politiche di genere; infatti le risorse economiche, in base ai risultati ottenuti nel bilancio di genere, possono essere ridefinite e riallocate al fine di migliorare gli indicatori del bilancio stesso.
Sebbene vi siano stati dei fattori esterni che hanno influito sull’andamento della crescita dell’indice della parità di genere, come ad esempio la pandemia di Covid-19, non può negarsi che il tasso di occupazione femminile è sempre stato basso.
Basti osservare che nel 2019 poco più del 50% delle donne lavorava, e che tale risultato era considerato addirittura più che positivo.
Con il PNRR si è programmato un intervento sulle disuguaglianze di genere di tipo trasversale, in modo tale che le politiche attuative tengano conto non solo degli indicatori di occupazione, ma anche dei possibili strumenti di gestione simultanea di lavoro e famiglia.
Ecco perché, alla luce della disamina precedentemente svolta circa l’evoluzione del concetto della parità di genere, al fine di renderla effettiva e soprattutto duratura nel tempo, non bisogna concentrarsi meticolosamente soltanto sulla programmazione, bensì bisogna porre l’attenzione su altre fasi parimenti importanti, in modo tale da rendere responsabili tutti gli attori.
Sarebbe necessario tenere conto dell’opportunità di porre l’attenzione su: il livello di attuazione della parità di genere; l’effettiva validità, ai fini della valutazione della performance delle Pubbliche Amministrazioni, dei risultati in tema di parità di genere; il controllo e la correzione costanti delle politiche attuative; la valutazione del benessere economico-lavorativo per mezzo di enti che monitorino la percezione di chi subisce violenza di genere, o di chi avverte ostacoli nella piena realizzazione della parità di genere.
Solo qualora le disposizioni del PNRR (e di qualunque politica che ambisca a migliorare la situazione in esame) saranno eseguite in modo flessibile, senza la definizione continua di ciò che deve raggiungersi, sarà possibile ottenere dei miglioramenti che siano contestualmente riferiti alla parità di genere ed al rafforzamento del sistema istituzionale, in modo tale che quest’ultimo diventi la sede ove vedere applicati i principi di buon andamento ed efficienza.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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