L’audizione del minore nel processo civile: che cosa cambia con la riforma Cartabia

L’audizione del minore nel processo civile: che cosa cambia con la riforma Cartabia

Per il soggetto minore di età un’aula di giudizio è un contesto istituzionale profondamente diverso da quelli che conosce già: essa, infatti, è il teatro in cui si articola una relazione autoritaria che distingue nettamente il ruolo di colui che giudica da quello di colui che è giudicato o ascoltato.

Il minore che varca l’ingresso di un tribunale per la prima volta si ritroverà all’interno di un luogo che può incutere timore, preoccupazione, disagio. Grande attenzione, allora, dev’essere posta alla sua figura nel momento in cui viene coinvolto in un processo, fosse anche di tipo civile, poiché anche in questo egli può essere chiamato ad esporre il proprio vissuto, le proprie esigenze, le proprie istanze rispetto ai provvedimenti che lo riguardano (es.: l’affidamento o la collocazione presso un genitore separato o divorziato; l’eventuale dichiarazione dello stato di adottabilità ecc.).

Nell’ambito dei processi civili si tende a parlare di audizione del minore, un momento rilevante ai fini della formazione del convincimento del giudice; esso però, occorre ribadirlo, non è mezzo istruttorio, in quanto non è volto alla verifica di un fatto posto dalla parte alla base delle domande di parte. All’interno del procedimento penale l’ascolto del minore, invece, assume un significato differente perché egli viene direttamente ascoltato in quanto vittima, indagato o testimone.

La ratio per la quale viene predisposto lo strumento dell’audizione è di dare dignità e rilievo alla voce del minore di età, ai suoi bisogni, alla sua necessità di essere riconosciuto rispetto ai fatti di causa, considerato dagli adulti che hanno il compito di contribuire alla sua formazione. In quest’ottica, il processo assume una funzione indubbiamente catartica, perché gli consente di rielaborare una situazione di sofferenza, facendo emergere aspetti che forse prima non si conoscevano.

Sul piano dei riferimenti internazionali, ad essersi occupate direttamente del tema dell’ascolto del minore sono state la Convenzione ONU del 1989 e la Convenzione di Strasburgo del 1996.

In Italia, la riforma Cartabia sul processo civile e penale, contenuta nel D.lgs. n. 150/2022., ha riscritto le regole sull’ascolto del minore nelle cause in cui i suoi interessi vengano in rilievo. Gli artt. 473-bis 4, 5, 6, 45 c.p.c. disciplinano rispettivamente: l’ascolto del minore; le modalità di ascolto; il rifiuto del minore di incontrare il genitore; l’ascolto del minore in caso di violenza domestica. L’art. 473-bis 3 specifica che il pubblico ministero, nell’esercizio dell’azione civile e al fine di adottare le relative determinazioni, può assumere informazioni, acquisire atti e svolgere accertamenti con l’ausilio della polizia giudiziaria e dei servizi sociali, sanitari e assistenziali. La portata innovativa di ciò si coglie nel fatto che, prima della riforma, il p.m. (che pure era parte necessaria nei procedimenti civili afferenti a interessi pubblici) non godeva delle specifiche facoltà e poteri che oggi la norma gli riconosce.

Il giudice, dopo aver adeguatamente informato il minore della natura del procedimento, deve ascoltarlo, a pena di nullità (secondo un principio consolidato e salvo impossibilità fisica o psichica del minore in questione) se egli ha compiuto 12 anni o è di età inferiore ma capace di discernimento: è necessario valutare caso per caso, infatti, la sua capacità critica, la sua consapevolezza della realtà dei fatti. I casi di esclusione dell’ascolto del minore devono essere motivati dal giudice. Tuttavia, ci sono casi in cui l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, ad esempio nell’ipotesi di un alto grado di conflittualità fra i genitori; l’audizione del minore qui è irragionevole poiché potrebbe comportare l’indebita “rimessione” a lui della decisione su quale dei due genitori abbia torto nel caso di specie o abbia tenuto la condotta maggiormente censurabile.

Non si ascolta il minore, inoltre, quando ciò è manifestamente superfluo (ad es., se vi è una presa in carico dei Servizi territoriali o il giudice ha elementi sufficienti per poter decidere). È necessario sottolineare che il giudice non accoglie in maniera acritica il parere dei servizi territoriali: le informazioni trasmesse devono fungere da linee-guida ma non sono vincolanti.

Il minorenne può anche manifestare la volontà di non essere ascoltato; in quel caso il giudice ha il compito di rispettare la sua decisione e acquisirà gli elementi necessari per la decisione finale attraverso altri strumenti.

Per ciò che attiene alle modalità dell’audizione: è possibile ascoltare il minore all’interno dell’ufficio del giudice o in un’aula; le parti adulte non sono ammesse; l’ascolto deve essere libero, non devono essergli poste domande c.d. suggestive; non devono essere dati giudizi anticipati; è indispensabile l’attenzione alle fragilità del minore e alla comunicazione non verbale; gli spazi devono essere adeguatamente attrezzati per la realizzazione di videoregistrazioni.

L’obiettivo principale di ogni azione intrapresa all’interno di un processo deve rimanere il superiore interesse del minore: è un criterio utile per valutare se, per un soggetto che è in formazione e al quale è destinata una particolare attenzione, è veramente opportuno che uno strumento quale l’audizione venga effettivamente utilizzato nel caso concreto. Occorre in altre parole tener presenti le esigenze e il grado di maturità del ragazzo, la sua età e le situazioni pregresse. Un’operazione di bilanciamento di questo genere può essere meglio espletata se il giudice è in grado di avvalersi anche di elementi acquisiti nell’ambito di altre scienze sociali, ulteriori rispetto alla dottrina giuridica.

Nonostante l’esistenza di regole precise inerenti all’ascolto del minore, permangono alcune difficoltà: spesso i giudici del tribunale ordinario, che si trovano a dover ascoltare i minori nell’ambito civile, provengono da esperienze inerenti ad altri ambiti lavorativi o addirittura dal circuito penale e lo strumento dell’ascolto, messo a disposizione del minore per consentirgli di rappresentare preferenze, richieste, bisogni, opinioni rischia di assumere, invece, un carattere inquisitorio.

Il diritto riflette i mondi sociali, immaginare il diritto è immaginare mondi possibili ed è perciò importante sviluppare una certa attenzione e sensibilità nei confronti di coloro che possono avere difficoltà nel descrivere le proprie necessità, di coloro che dovrebbero essere tutelati e che il mondo degli adulti è chiamato a proteggere. Dare voce ad un minore nelle situazioni che lo riguardano significa dargli la possibilità di concorrere alla realizzazione del Sé, alle decisioni che inevitabilmente incideranno nel suo processo di formazione e concedergli il tentativo di poter abbozzare l’immagine dell’adulto che diventerà.


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