L’autotutela privata nell’ordinamento italiano quale mezzo nelle mani dei soggetti privati

L’autotutela privata nell’ordinamento italiano quale mezzo nelle mani dei soggetti privati

Sommario: 1. Analisi del principio di autotutela privata nel sistema interno: regola o eccezione? –  2. I presupposti dell’autotutela privata nel sistema interno – 3. Il carattere personale dell’autotutela: il singolo individuo quale unico titolare del potere di esercitare arbitrariamente le proprie ragioni – 4. Il carattere della unilateralità dell’esercizio del potere di autotutela – 5. Ruolo del giudice ed esercizio del potere privato – 6. La lesione o l’esposizione a pericolo dell’interesse protetto – 7. Identificazione della situazione giuridica salvaguardata dalla volontaria eventuale azione privata

1. Analisi del principio di autotutela privata nel sistema interno: regola o eccezione?

L’autotutela[1], diversamente dall’autonomia[2], consiste nel potere di tutelare da sé i propri interessi, in virtù dell’esigenza avvertita da parte del soggetto di proteggersi da un comportamento dannoso di un terzo, senza ricorrere agli organi giurisdizionali dello Stato.

Ad opinione di alcuno, si potrebbe, quindi, dire che il potere di autotutela si concretizza nell’esercizio di un diritto potestativo, ossia potere riconosciuto all’interessato di realizzare- senza intromissione della controparte- un determinato effetto nella sfera di quest’ultimo. Tuttavia, parte della dottrina esclude un legame tra difesa privata e potere potestativo, tanto in quanto solo una ristretta parte di poteri di autotutela si manifesta attraverso diritti potestativi, tanto poiché l’esercizio di un diritto potestativo implica un potere di modificazione dell’altrui sfera giuridica, mentre l’autotutela è volta alla difesa di un proprio diritto e non è immediatamente diretta alla alterazione dei rapporti sostanziali.

Ciò che caratterizza l’autotutela è la sua eccezionalità, difatti nel nostro ordinamento è previsto che la tutela giurisdizionale dei propri diritti e interessi sia di competenza dell’autorità giudiziaria su domanda di parte (artt. 101 e 102 Cost.) e si può ricorrere a tale strumento di autodifesa solo in ipotesi espressamente previste da parte della legge e/o in legislazioni speciali.

Alla luce di ciò, non è possibile rinvenire una disciplina organica degli strumenti di autotutela privata, essendo- invece- contenuta in diverse disposizioni poste in sezioni diverse che la richiamano, in modo frammentario ed occasionale, indirettamente.

Verosimilmente si può pensare che tale scelta di politica legislativa possa essere sorta da un pregiudizio nei confronti di questa categoria giuridica, nel senso che l’istituto dell’autotutela avrebbe rimandato ad una visione di diritto primitiva ove vigeva la legge del più forte e il singolo poteva farsi giustizia da sé, senza osservare le regole poste dalle istituzioni dello Stato. Invero, quando non vi è controllo statale, è più facile che il conflitto tra gli interessi dei privati si risolva nel tentativo di prevaricare gli uni sugli altri e che, a sua volta, questo comporti il rischio che vengano meno le garanzie di equilibrio e di giustizia assicurate dai meccanismi di tutela giurisdizionale. Lo scopo dello Stato, al fine di garantire l’ordine pubblico, può dirsi essere quello di evitare che il privato possa far valere un diritto di cui è titolare in via autonoma e, in particolar modo, impiegando l’uso della forza, laddove- invece- abbia la facoltà di adire la giustizia statale, che è risaputo essere caratterizzata dall’ausilio di un soggetto esperto, ma anche terzo ed imparziale, che potrà meglio decidere sul punto.

Invero, il sistema giurisdizionale odierno nasce da una serie di lunghe conquiste della società civile che rappresentano il transito da una società tribale, fondata sul diritto della faida, a quella civile, appunto, eretta su un diritto oggettivo difeso da regole scritte e attuate attraverso un processo presieduto da soggetti terzi ed imparziali, in cui è devoluto totalmente allo Stato il controllo della forza punitiva.

Altro motivo di sfavore da parte di alcuni in merito all’utilizzo dello strumento di autotutela è rappresentato dalle importanti deleghe di funzioni che questa porta nei confronti dei privati, funzioni – come anticipato – generalmente e tradizionalmente rimesse all’autorità giurisdizionale, che rimane, al contrario, estranea rispetto alla tutela dell’interesse protetto.

Le suddette ragioni hanno persino ostacolato la possibilità di creare una definizione di autotutela attraverso una specifica disposizione che la disciplinasse. Pertanto, in dottrina si è avvertita la necessità di formulare una definizione che potesse, in qualche modo, tratteggiare le peculiarità di questo istituto giuridico: difesa dei propri interessi che può realizzarsi direttamente dal titolare di questi.

Sulla base di quanto detto parrebbe potersi sostenere la non configurabilità, in linea di principio, di un mezzo arbitrario per farsi giustizia da sé, relegando allo Stato un potere esclusivo di tutela degli interessi privati. In particolar modo, l’esercizio dell’autotutela trova il suo limite nella legge penale, la quale agli articoli 392 e 393 del Codice penale disciplina le ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza, rispettivamente, sulle cose e sulle persone, configurando delle vere e proprie ipotesi di reato. Giacché si tratterebbe di casi straordinari in cui il legislatore affida la difesa di un interesse privato all’iniziativa del titolare, anziché parlare di potere di autotutela si dovrebbe parlare dell’opposto, ossia di divieto di autotutela. Tuttavia, l’idea del monopolio statale in relazione alla tutela degli interessi privati non vi è sempre e ciò è dimostrato dalla prassi, sempre più frequente, di ricorrere alle figure degli arbitri per la soluzione di particolari controversie. Tutto ciò potrebbe far venir meno la tentazione di parlare di divieto di autotutela (così come implicitamente confermato dal combinato disposto degli articoli 392 e 393 c.p. e 2907 c.c.).

Dunque, si ribadisce, nuovamente, il carattere eccezionale dell’autotutela, come alternativa alla giurisdizione e non eccezione o deroga all’esercizio del potere giurisdizionale. Si deve, inoltre, ammettere e non escludere la possibilità di un successivo intervento del giudice a fronte di un eventuale conflitto irrisolto.

In tutte le eccezioni che siano riconducibili al fenomeno dell’autotutela privata è generalmente ravvisabile, quale presupposto per il riconoscimento di un potere di difesa privata del soggetto titolare, la presenza di un fatto lesivo. Difatti, dalla pretesa attrice, essendo l’eccezione espressione di un diritto di difesa rispetto alla richiesta dell’interessato, potrebbe derivare un fatto dannoso per il titolare della situazione contrapposta.

2. I presupposti dell’autotutela privata nel sistema interno

Posto di essere eventualmente riusciti a dimostrare come l’autotutela rivesta un posto di rilievo nel nostro ordinamento, occorre analizzare la stessa come una categoria, ovverosia una «una sintesi riepilogativa di caratteristiche ed elementi condivisi da una moltitudine di fattispecie specifiche, per ciò solo riconducibili ad un’unità concettuale».

I tratti costitutivi dell’istituto in esame, secondo la dottrina, possono rinvenirsi in quattro peculiarità.

Nello specifico queste consistono nell’esistenza di un potere di reazione conferito al titolare del diritto violato o minacciato di lesione, nella unilateralità del suo esercizio, nella extra-processualità del meccanismo di autotutela, ossia la sua contrapposizione (e non sostituzione) rispetto alle procedure giurisdizionali statuali, e, infine, nella presenza di una lesione attuale (o di un’esposizione a pericolo attuale) «ai danni di un interesse rilevante per l’ordinamento giuridico».

A fronte di tali caratteri, l’autotutela può essere definita come quello specifico potere di reazione, o di fonte legale o di fonte negoziale, il cui esercizio unilaterale consente al singolo di difendere da sé una determinata situazione giuridica meritevole di tutela per l’ordinamento giuridico a fronte di una lesione compiuta oppure di un rischio attuale di lesione.

3. Il carattere personale dell’autotutela: il singolo individuo quale unico titolare del potere di esercitare arbitrariamente le proprie ragioni

Il minimo comune denominatore che si può riscontare tra le diverse ipotesi esemplificative della figura di autotutela è riscontrabile nella rimessione, nei confronti del singolo, del potere di salvaguardare da sé i propri interessi. Questo porta il soggetto privato tanto ad essere centro di imputazione di una situazione giuridica rilevante per l’ordinamento giuridico, tanto a divenire colui il quale sia incaricato della difesa dell’interesse di cui è titolare.

Bisogna evidenziare che chi esercita l’autotutela privata deve trovarsi in una posizione di parità giuridica rispetto al soggetto passivo contro cui agisce; quindi, la posizione giuridica sostanziale che si tutela e la relazione tra i soggetti devono essere di natura privatistica.

4. Il carattere della unilateralità dell’esercizio del potere di autotutela

L’esercizio del potere di autotutela è rimesso all’iniziativa unilaterale ed esclusiva di chi ne è titolare, senza, purtuttavia, dimenticare che l’unilateralità non esclude la eventuale fonte negoziale del potere di autotutela.

Ponendo attenzione è plausibile che dalla definizione dell’atto di autotutela, tanto inteso come potere giuridico, tanto come avente carattere unilaterale, derivi la conclusione che, di fatto, l’esercizio di tale potere sia facoltativo. È lo stesso soggetto titolare dell’interesse leso, il quale ritenga esservi una convenienza o necessità di attivare il potere, che decide di procedere in tal senso, senza che vi sia alcun tipo di obbligo nei suoi confronti. Invero, alla luce del mancato esercizio di autotutela, non sorge alcun tipo di responsabilità a carico del soggetto, malgrado possa accadere che l’inattività del suddetto potere da parte del danneggiato possa comportare l’estromissione dell’obbligo risarcitorio posto in capo all’autore del fatto lesivo.

Ricordiamo, inoltre, che il rimedio di autotutela si affianca e non si sostituisce alle ordinarie azioni contrattuali. Ciò nondimeno, la volontà di esercitare il potere di autotutela è un atto definitivo, ovvero irrevocabile- ovviamente qualora rispecchi e presenti i presupposti generali cui contraddistinguono il singolo rimedio di autodifesa. In altri termini, l’attività di autodifesa non contempla la possibilità che colui che abbia agito in autotutela possa in qualche modo pentirsene.

5. Ruolo del giudice ed esercizio del potere privato

Come già anticipato, uno dei caratteri identificativi dell’autotutela è il suo porsi al di fuori del processo, in maniera alternativa rispetto alla giurisdizione, pubblica e privata. Difatti, l’autotutela è un eccezionale rimedio di autodifesa[3] che viene attuata direttamente da parte dell’interessato contro minacce o aggressioni attuali nei confronti di alcuni propri interessi.

Ciò detto comporta che l’intervento del giudice sia solo eventuale ed estraneo alla fattispecie, o interveniente a fronte di un eventuale conflitto irrisolto. In una fase eventualmente successiva potrebbero manifestarsi e concretizzarsi le prerogative della giurisdizione- imparzialità, terzietà, parità delle parti, contraddittorio- ai fini del controllo del corretto esercizio del potere privato. La sentenza emessa al termine del giudizio instaurato su iniziativa del soggetto titolare del potere di autotutela avrebbe, dunque, contenuto meramente dichiarativo, giacché rappresenta il risultato dell’accertamento della sussistenza o meno delle peculiarità necessarie per il legittimo esercizio del potere stesso.

6. La lesione o l’esposizione a pericolo dell’interesse protetto

Alla base dell’attribuzione di un potere di autotutela vi è l’esigenza di rimediare ad una lesione o pericolo di lesione arrecato ad un interesse giuridicamente rilevante. Sotto tale profilo, sembra, pertanto, porsi sullo stesso piano della tutela giurisdizionale.

Volendo dare una definizione alla terminologia di fatto lesivo, si afferma che con questo si faccia riferimento tanto al momento dell’offesa consumata tanto al pericolo di un’offesa futura. Ancora, la lesione o il tentativo di lesione potranno derivare sia da un fatto umano, consistente in un’omissione (inadempimento) o dichiarazione di non voler adempiere, sia da un fatto della natura. Dunque, ai fini dell’attivazione del potere di autotutela, non è indispensabile che la minaccia lesiva sia stata portata a compimento. Difatti, capita sovente che l’autotutela venga esercitata in veste di cautela rispetto ad un pericolo di danno futuro: ad esempio, nelle ipotesi di ritenzione legale ex articolo 2235 c.c. Esige di essere accertata l’attualità dell’offesa, intesa quale concretezza e difficoltà di giustificare l’esercizio della difesa «sulla mera rappresentazione soggettiva della parte che intende avvalersi del rimedio». A tale conclusione si arriverebbe attraverso la ricerca di fattispecie penali alla cui base vi sia il pericolo di offesa, sebbene la dottrina trascuri tale questione o proponga soluzioni non documentate. Viceversa, non è richiesto alcun tipo di particolare atteggiamento mentale dell’aggressore, prevedendo ipotesi in cui l’esercizio dell’autotutela reagisce a fronte di situazioni prive di colpa. Ad esempio, è pacifico che l’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c. possa essere sollevata anche nei confronti del contraente il cui inadempimento sia privo di colpa.

Succintamente, il concetto di lesione rapportato al discorso sull’autotutela prescinde dal riferimento al danno inteso quale pregiudizio economico o lesione fisica. Piuttosto assume rilevanza un fatto che, valutato in concreto, sia suscettibile di pregiudicare una situazione giuridica protetta o l’acquisizione di una dovuta futura utilità. Non si può parlare tecnicamente di autotutela, invece, nel caso in cui la difesa derivi da una lesione autorizzata dalla legge o dal consenso dello stesso soggetto che intende esercitare il diritto di autotutela, eccetto se, in quest’ultima circostanza, l’atto di autotutela non sia stato preceduto dalla revoca legittima del consenso precedentemente concesso.

7. Identificazione della situazione giuridica salvaguardata dalla volontaria eventuale azione privata

Quando si parla della situazione giuridicamente rilevante che richiede l’autodifesa, in quanto species del più ampio genus tutela, non è necessariamente identificata con un diritto soggettivo. Infatti, l’autotutela può essere intesa anche in relazione ad altre situazioni di vantaggio, sia attive che passive, come ad esempio la cosiddetta aspettativa, il possesso, il diritto soggettivo e l’interesse legittimo (qualora si ammetta che si tratti di una situazione di vantaggio e, in tal senso, analoga al diritto soggettivo, ma che se ne discosta per la mancanza di un contenuto specifico di attività). Talvolta diventa significativa la valutazione di un interesse come un momento singolo della posizione globale assunta da un soggetto all’interno di un particolare rapporto giuridico (si pensi, ad esempio, alle situazioni previste dagli articoli 1460 e 1461 del codice civile). Inoltre, non vi è alcun limite in relazione alla tipologia dei diritti preservati, poiché possono essere tutelati tramite l’autodifesa sia i diritti della personalità, sia i diritti reali che quelli di credito.

L’incerto riferimento, tra i casi di autotutela legale, allo sciopero come strumento di tutela del lavoro subordinato, non esclude la possibilità di considerare un’azione di autodifesa, mirata alla protezione di interessi collettivi o appartenenti a gruppi ristretti. Perdipiù, sebbene la ritenzione contemplata dall’articolo 2034 del Codice civile possa essere vista come una forma di autodifesa, è da escludere la possibilità di una reazione diversa in autotutela in riferimento alle obbligazioni naturali. In questo contesto, la formulazione della norma risulta cruciale quando stabilisce che l’irripetibilità di quanto pagato spontaneamente in adempimento di doveri morali o sociali rappresenti l’unico effetto dell’obbligazione naturale.

Infine, niente impedisce di ipotizzare che l’interesse finale salvaguardato attraverso la previsione di un potere di autotutela sia di tipo non patrimoniale, anche in riferimento alla disposizione dell’articolo 1174 c.c.

Pertanto, volendo sintetizzare quanto detto, l’autotutela realizza un mezzo più celere di protezione della sfera giuridica del soggetto aggredito o leso. Tuttavia, si può predisporre solo quando siano in atto la violenza o la minaccia al diritto- poiché solo in tal caso si ritiene legittima la rinuncia dello Stato al monopolio della forza- oppure quando lo stesso interessato sceglie di operare tale misura di autodifesa e di non ricorrere alle forme di tutela giurisdizionale predisposte dall’autorità statuale.

 

 

 

 

 


[1] Autotutèla s. f. [comp. di auto-1 e tutela]. – In diritto, capacità di farsi giustizia da sé, riconosciuta dalla legge alla pubblica amministrazione (in particolare attraverso il principio della esecutorietà degli atti amministrativi) e consentita ai privati in alcuni casi eccezionali (recesso unilaterale dal contratto, incameramento della caparra, ecc.).
[2] Dal gr. αὐτός “stesso” e νόμος “legge”. L’autonomia indica il potere di regolare da sé i propri interessi.
[3] Cass., 8 settembre 1970, n. 1312, in Economia pubblica (delitti contro la), 1970; Cass. Civile, Sez. II, Sent. n. 12232/2002.

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