L’avviso art. 415-bis. c.p.p. interrompe la prescrizione del reato?
La prescrizione (istituto di diritto penale sostanziale) è una causa di estinzione del reato connessa al decorrere del tempo. La sua ratio si può ravvisare, da un lato nella funzione di garanzia processuale e sostanziale per l’indagato/imputato di essere sottoposto alla scure del processo penale solo per un termine ragionevole; dall’altro lato si ritiene che con il trascorrere del tempo si affievolisca l’interesse dello Stato a punire un fatto di reato avvenuto nel passato, e il cui ricordo nella società è ormai diminuito, se non esaurito.
A seguito delle numerose riforme che sono intervenute in materia (legge ex Cirielli n. 251/2005; riforma Orlando L. n. 103/2019; Legge spazza-corrotti n. 3/2019) l’art. 157 c.p. prevede, attualmente, in via generale due diverse tipologie di individuazione del tempo necessario a prescrivere. Per i delitti il tempo necessario a prescrivere corrisponde al massimo della pena edittale stabilita dalla legge, salvo il limite minimo di 6 anni. Per le contravvenzioni, invece, si prevede un unico tempo necessario a prescrivere pari a 4 anni, prescindendo completamente dalla pena edittale comminata dalla legge.
L’art. 157 co 2 c.p. prevede che per il computo del tempo necessario a prescrivere si debba tener conto della pena edittale stabilita dalla legge, e non delle circostanze del reato, salvo quelle per la quale si dispone una pena di specie diversa da quella base, o le circostanze ad effetto speciale (cioè quelle che, come definito dall’art. 63 co 3 c.p. comportano una aumento o diminuzione della pena superiore ad un terzo, Crf. Cass. Pen. S.U. n. 28953/2017). Nel caso in cui la pena edittale prevista sia l’ergastolo, il reato è imprescrittibile.
Il dies a quo da cui decorre il tempo necessario a prescrivere è individuato dall’art. 158 c.p. e, in via generale, è il momento in cui termina la condotta illecita (es. nel reato consumato il termine decorre dal momento della consumazione, nel reato permanente dal giorno in cui cessa la permanenza). Il codice, al co 2 e 3 del medesimo articolo, individua poi le ipotesi speciali nelle quali il termine decorre da un momento successivo (ad es. per i reati ai danni di persona minorenne la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui la persona offesa diventa maggiorenne).
Il termine di prescrizione è soggetto a sospensione, nelle ipotesi di cui all’art. 159 c.p.; e/o a interruzione nelle ipotesi di cui all’art. 160 c.p. Nel caso di sospensione il termine di prescrizione rimane sospeso, e ricomincerà a decorrere dal momento in cui cessa la causa di sospensione. Invece nel caso di realizzazione di uno degli atti interruttivi della prescrizione, il termine si interromperà e ricomincerà a decorrere ex novo dal giorno in cui si realizza l’atto interruttivo.
L’art. 160 co 3 (con un rinvio all’art. 161 co 2 c.p.), al fine di far assolvere all’istituto della prescrizione la sua funzione di garanzia sostanziale, prevede che, nonostante le ipotesi di interruzione, il termine di prescrizione non può essere prolungato entro determinati limiti. Pertanto si prevede che in nessun caso, salvo che si proceda per i delitti di cui all’art. 51 co 3 bis e 3 quater c.p.p., il termine di prescrizione può essere aumentato della metà per i reati di cui agli artt. 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 bis, 640 bis e nei casi di cui all’art. 99 co 2 c.p.; di un quarto in tutti gli altri casi. Tuttavia, in caso di recidiva (art. 99 c.p.) il termine di prescrizione è aumentato di due terzi, e del doppio nei casi di delinquente abituale (art. 102, 103 e 104 c.p.).
Focalizzandosi sugli atti interruttivi della prescrizione, si vede che l’art. 160 c.p. ne esegue una elencazione. Tutti gli atti ivi elencati sono manifestazione della volontà da parte degli organi di giurisdizione penale di perseguire la punizione del reato. La giurisprudenza ammette la funzione interruttiva della prescrizione anche per gli atti processualmente nulli purché esprimano la volontà, da parte degli organi statali, di persistere nella volontà punitiva del fatto reato (Cfr. Cass. Saz. IV n. 3188/1977; Cass. Sez. III n. 29081/2015).
Basando l’individuazione degli atti interruttivi della prescrizione sulla manifestazione di volontà di perseguire il reato, una parte di giurisprudenza riteneva di dover interpretare in modo estensivo l’elencazione ex art. 160 c.p. Questa riteneva che l’avviso di conclusione delle indagini, ex art. 415 bis c.p.p., valesse ai fini dell’interruzione della prescrizione. Si affermava infatti che l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. fosse un atto di indubbia volontà di perseguire e punire il reato esercitando l’azione penale, perché notificato in alternativa alla richiesta di archiviazione. Inoltre, si riteneva che tale avviso, contenendo l’avvertimento che l’indagato ha la facoltà di chiedere di essere interrogato, fosse equiparabile all’invito a presentarsi al PM per rendere interrogatorio (quest’ultimo contenuto nell’elencazione di cui all’art. 160 c.p.) (cfr. Cass. Sez. V n. 10395/2005, e Cass. Sez. II n. 8615/2006).
Per altra parte della giurisprudenza, invece, l’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bic c.p. non è un atto interruttivo della prescrizione per due ordini di motivi. Il primo motivo risiede nella finalità dell’atto, l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. ha una mera finalità informativa, e non può essere equiparato agli atti di cui all’art. 160 c.p. Il secondo motivo ha ad oggetto il divieto di analogia in malam parte delle norme penali. Sul punto la giurisprudenza ritiene che gli atti indicati dall’art. 160 c.p. sono insuscettibili di interpretazione analogica perché altrimenti comporterebbero un maggior pregiudizio agli interessi dell’indagato/imputato, in violazione della norma sull’applicazione delle leggi penali ex art. 14 delle preleggi (cfr. Cass. Sez. V n. 16197/2005, e Cass. Sez. IV n. 20262/2006).
Sul punto sono quindi intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, che con sentenza n. 21833 del 5 Giugno 2007, aderendo a tale ultima tesi, hanno dichiarato che l’avviso di conclusione delle indagini non è un atto interruttivo della prescrizione non essendo elencato all’art. 160 c.p. La Sezioni Unite chiariscono inoltre che l’elencazione di cui all’art. 160 c.p. contiene un numerus clausus di atti interruttivi della prescrizione, e che gli stessi “sono insuscettibili di ampliamento per via interpretativa stante il divieto di analogia in malam partem in materia penale“.
In conclusione, gli atti interruttivi della prescrizione sono solo quelli specificatamente indicati dall’art. 160 c.p., e non è possibile una loro integrazione in via interpretativa, neppure se manifestano la volontà dell’esercizio dell’azione penale.
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