L’azione di condanna posta a tutela dell’interesse legittimo
Il Codice del processo amministrativo, istituito dal D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ha introdotto la disciplina relativa alle azioni esperibili innanzi al giudice amministrativo, ricalcando il sistema delle tradizionali azioni di cognizione, che le classifica in tre categorie: costitutive, finalizzate ad ottenere dall’organo giurisdizionale la costituzione, modificazione o estinzione di un rapporto giuridico; di condanna, volte ad ottenere dal giudice non solum l’accertamento della sussistenza del diritto soggettivo che risulta violato, sed etiam l’accertamento dell’inadempimento del suddetto diritto, con conseguente condanna al risarcimento del danno; di accertamento, dirette ad ottenere dal giudice il solo accertamento dell’esistenza del diritto soggettivo da altri contestato o dell’inesistenza del diritto soggettivo da altri vantato.
Il Capo II, Titolo III, del Libro I del Codice è interamente dedicato alle azioni di cognizione che possono essere attivate innanzi al G. A. Occorre sottolineare che il giudizio amministrativo di cognizione è un giudizio di parte, ragion per cui la domanda viene introdotta nel processo mediante la proposizione di un ricorso.
L’art. 29 c.p.a. disciplina l’azione di annullamento. Essa trova la sua raison d’être nella realizzazione della tutela di tipo demolitorio, attraverso, appunto, la demolizione dell’atto impugnato: si propone per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere, nel termine di decadenza di sessanta giorni. Il dies a quo dal quale far decorrere i sessanta giorni è individuato dal giorno della notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto lesivo o, per gli atti per cui non sia prevista la notificazione individuale, decorre dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione: tutto ciò emerge dall’analisi dell’art. 23 in combinato disposto con la fattispecie normativa di cui all’art. 41 c.p.a. In ragione di ciò, il calcolo del termine di decorrenza dei sessanta giorni tiene conto del fatto che, qualora sia proposta un’azione di annullamento, il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla P.A. che ha emesso l’atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso.
L’art. 30 c.p.a. disciplina l’azione di condanna, definitiva dalla dottrina prevalente come l’azione tesa ad ottenere un ordine dal giudice, consistente in un facere o in un non facere, nell’imporre un pagamento di una somma di denaro o la consegna di un bene. Dalla disamina della norma in questione si evince come la stessa sia incentrata eminentemente sulla disciplina del risarcimento del danno, che costituisce la più importante manifestazione dell’azione di condanna. Ai sensi del comma 1, l’azione di condanna può essere proposta sia contestualmente a un’altra azione, che in via autonoma, nei soli casi, però, di giurisdizione esclusiva e nei casi individuati dallo stesso art. 30 c.p.a.
Rebus sic stantibus, è evidente che l’azione di condanna non possa essere esperita in via autonoma per la tutela di interessi legittimi, dal momento che la stessa è ammessa solo nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva – relativamente ai diritti soggettivi – e nelle ipotesi disciplinate dallo stesso art. 30.
I commi successivi della norma in questione sono dedicati all’azione di risarcimento del danno, che rappresenta una species del più ampio genus dell’azione di condanna. La condanna al risarcimento è funzionale alla riparazione di un danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Ai fini della determinazione del quantum, il G.A. è tenuto a valutare le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti, ed esclude il risarcimento per quei danni che si sarebbero potuti evitare utilizzando l’ordinaria diligenza anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, quindi anche l’annullamento dell’atto.
Ai sensi del comma 3, la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proponibile entro il termine di decadenza di centoventi giorni, decorrenti dal giorno in cui si è verificato il fatto o dalla conoscenza del provvedimento, se il danno deriva direttamente da questo. Tale termine può essere differito solo nel caso in cui sia proposta preliminarmente la sola azione di annullamento: in tal caso, l’art. 30, comma 5, c.p.a. prevede che la domanda risarcitoria possa essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
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Miriam Anna Spizzirri
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