L’azione ex art. 524 c.c. e il diritto del creditore ad agire nei confronti dell’erede inerme

L’azione ex art. 524 c.c. e il diritto del creditore ad agire nei confronti dell’erede inerme

Col presente contributo si intende esporre la diatriba interpretativa dell’esperibilità dell’azione ex art. 524 c.c. non solo nel caso di rinuncia all’eredità, ma anche nell’ipotesi di perdita del diritto di accettare l’eredità per il decorso del termine all’uopo fissato.
Sommario: Premessa – 1. L’azione ex art. 524 c.c. – 2. L’interpretazione del termine “rinuncia” – 2.1. Interpretazione letterale – 2.2. Interpretazione estensiva analogica – 3. Conclusioni

1. Premessa

Il nostro ordinamento è strutturato in modo da bilanciare tra loro contrapposti interessi e principi. Anche l’art. 524 c.c. è espressione di questo esigenza di bilanciamento tra principi opposti, nello specifico i principi che si contrappongono sono quelli del favor debitoris e favor creditoris, fornendo di volta in volta una maggiore tutela alla parte dell’obbligazione più debole. Solitamente, detta parte, coincide col debitore, ma non sempre è così. Esistono infatti, all’interno del codice, delle norme che tutelano il diritto del creditore contro possibili comportamenti abusivi e non improntati alla buona fede da parte del debitore. Un esempio ne è appunto l’art. 524 c.c.

1. L’azione ex art. 524 c.c.

Analizzando, velocemente, il testo dell’art. 524 c.c. si legge che lo stesso consente al creditore insoddisfatto, o potenzialmente tale, di impugnare la rinuncia all’eredità del proprio debitore. Esperendo tale azione il creditore chiede al Tribunale di farsi autorizzare ad “accettare” l’eredità del proprio debitore rinunziante, al fine strumentale di soddisfare il proprio credito sui beni ereditari. Si segnala, tuttavia, che il termine “accettare” è utilizzato dal legislatore in senso atecnico. Con tale azione il creditore non accetterà l’eredità per nome e conto del proprio debitore, ma acquisirà il mero diritto di agire coattivamente sui beni ereditari al fine di soddisfare il proprio credito. Inoltre, il senso atecnico del termine “accettare” si evince dalla previsione che tale azione è esperibile al solo scopo di agire “sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti“, lasciando nell’asse ereditario gli eventuali beni eccedenti. Pertanto il creditore può ben agire solo su una parte dei beni ereditari, mentre l’accettazione di eredità non può mai essere parziale (art. 475 co 3 c.c.).

Unico presupposto di carattere oggettivo per l’esperimento dell’azione ex art. 524 c.c. è la rinunzia dell’eredità da parte del debitore che arrechi un danno al creditore, in quanto il suo patrimonio personale non è sufficiente a soddisfare le pretese creditorie. Affinché la rinunzia rappresenti un pregiudizio (danno) per i creditori è necessario che l’eredità rappresenti un attivo patrimoniale; in caso contrario nessun pregiudizio sarebbe arrecato al creditore perché in nessun caso si avrebbe un aumento patrimoniale. La rinunzia dell’erede deve quindi rappresentare un pregiudizio ai diritti del creditore, il quale non si vede aumentare l’incapiente patrimonio personale del debitore. Il danno richiamato dall’art. 524 c.c. è quindi rappresentato dall’incapienza del patrimonio personale dell’erede al soddisfacimento del credito.

Preventivamente all’espletamento dell’azione ex art. 524 c.c. è necessario che l’erede debitore non abbia accettato l’eredità, né puramente e semplicemente, né con beneficio d’inventario (art. 470 c.c.). In caso di accettazione l’azione in esame non avrebbe alcuna utilità, in quanto, nell’ipotesi di accettazione pura e semplice, il patrimonio ereditario si confonde con quello personale dell’erede e il creditore è libero di aggredirlo in ossequio al principio di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. Stesso ragionamento vale nel caso di accettazione con beneficio d’inventario, salvo il diritto dei creditori del de cuius di soddisfarsi in via preferenziale, rispetto ai creditori dell’erede, sui beni ereditari (art. 490 n. 3 c.c.).

Nell’ottica di dare ancora maggiore tutela al creditore, in applicazione al principio del favor creditoris,  il legislatore non richiede che il debitore rinunci all’eredità con intento fraudolento. Pertanto l’elemento soggettivo del debitore non è un presupposto soggetto a valutazione ai fini dell’esperibilità dell’azione ex art. 524 c.c.

2. L’interpretazione del termine “rinuncia”

Discusso è se al creditore sia concesso esercitare il potere ex art. 524 c.c. esclusivamente in presenza di una vera e propria rinunzia all’eredità, o se esso possa essere esercitato anche nell’ipotesi in cui il debitore perda il diritto di accettare l’eredità per altri motivi (ad esempio per decorso del termine fissato dal giudice ex art. 481 c.c.). Sul punto si è intrapreso un lungo dibattito in merito all’interpretazione del termine rinunzia, chiedendosi se questo dovesse essere interpretato in modo letterale, o in modo estensivo per analogia ai sensi dell’art. 12 delle preleggi.

2.1. Interpretazione letterale

Una parte della dottrina interpreta il termine rinunzia, utilizzato dal legislatore, in modo letterale. Pertanto l’azione ex art. 524 c.c. potrà essere esperita solo nei confronti dell’erede che rinunzia all’eredità, con dichiarazione ex art. 519 c.c., e non nell’ipotesi in cui l’erede perde, per decorso del termine, il diritto ad accettare.

Tale interpretazione è tuttavia criticabile in quanto lascia privi di qualsiasi protezione i creditori dell’erede inerme allo scorrere del tempo. Pertanto, l’erede debitore potrebbe volontariamente attendere il decorso del termine per accettare l’eredità, e creare un danno al creditore. Tuttavia, si deve ricordare che il potere previsto dall’art. 524 c.c. ha come ratio la tutela degli interessi del creditore, pertanto una siffatta interpretazione sarebbe da respingere.

2.2. Interpretazione estensiva analogica

Altra parte di dottrina, avvallata dalla Giurisprudenza di legittimità, interpreta il termine “rinunziato” in modo estensivo ed atecnico, in applicazione al criterio interpretativo di cui all’art. 12 delle preleggi (in base al quale le parole della legge devono essere interpretate secondo la loro connessione e l’intenzione del legislatore).

Come già detto, la norma in oggetto è espressione del principio del favor creditoris, di conseguenza l’intenzione del legislatore, nella previsione della norma, è quella di fornire al creditore una tutela per la propria posizione creditoria. Così facendo il legislatore rinforza la funzione applicativa alla responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., quale bilanciamento del pregiudizio che il creditore subirebbe qualora il proprio debitore non accettasse l’eredità devolutagli. Alla luce delle argomentazioni di cui sopra, si deve ritenere che, adottando un’interpretazione letterale del termine “rinunzia”, la tutela del creditore verrebbe ampiamente ridotta, se non addirittura lasciata alla libera volontà del proprio debitore, il quale sarebbe libero di accrescere o meno il proprio patrimonio e la relativa garanzia patrimoniale.

Diversamente opinando, i comportamenti inermi del debitore renderebbero inaggredibili i beni che egli riceverebbe dal de cuius, arrecando, così, un pregiudizio ai propri creditori. Pertanto qualora non si avesse l’estensione dell’esperibilità dell’azione ex art. 524 c.c. anche alle ipotesi di decorrenza del termine ex art. 481 c.c., si genererebbe una disparità di trattamento nei diritti del creditore, con violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Infatti appare sostanzialmente analoga la posizione del creditore, e il relativo pregiudizio, nei confronti del debitore rinunziante all’eredità e del debitore che inerme attende il decorso del termine all’uopo fissato. Oltretutto, in tale ultima ipotesi ben si potrebbe ritenere che l’intento del debitore è, sostanzialmente, eseguito in frode al creditore, al fine di eludere proprio la garanzia contenuta nel dispositivo dell’art. 524 c.c., con ulteriore svuotamento del diritto ivi tutelato.

Sul punto appare opportuno segnalare che i Giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7735/2007, hanno avvallato l’interpretazione estensiva del termine “rinunzia”. Gli Ermellini hanno infatti previsto che l’azione ex art. 524 c.c. sia esperibile a seguito di “rinuncia all’eredità o di inutile decorso del termine all’uopo fissato” (quale quello all’uopo assegnato previo esperimento dell’azione ex art. 481 c.c.).

3. Conclusioni

Alla luce del percorso interpretativo sopra esposto si può concludere che l’azione ex art. 524 c.c., in quanto espressione del principio del favor creditoris ivi riconosciuto, è esperibile sia quando il debitore chiamato all’eredità rinuncia alla stessa, sia nell’ipotesi in cui decorra il termine per accettare all’uopo fissato. In caso contrario si creerebbe una disparità di trattamento tra le due analoghe posizioni del creditore, in violazione del generale principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.


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