L’azione revocatoria ordinaria e il campo di applicazione dell’azione esecutiva anticipata

L’azione revocatoria ordinaria e il campo di applicazione dell’azione esecutiva anticipata

Sommario: 1. I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. Breve premessa. –  2. Azione revocatoria. Presupposti ed effetti. – 3. Casistica. – 4. L’azione esecutiva anticipata. – 5. Ambito di applicazione.

 

1. I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. Breve premessa.

Il codice civile al capo V, titolo III, libro VI, offre al creditore tre mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale avverso condotte pregiudizievoli del debitore in grado di compromettere la soddisfazione del proprio credito. Tali strumenti sono l’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.), l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.) e il sequestro conservativo (art. 2905 c.c.).

La loro funzione è quella di preservare il patrimonio del debitore, in quanto è proprio il complesso dei suoi beni a costituire la garanzia per il creditore, anche nella ipotesi di mancato adempimento.

Tuttavia, vengono in gioco contrapposti interessi: da un lato, quello del debitore a non veder limitata la propria libertà di azione, dall’altro lato, quello del creditore a comprimere gli atti di iniziativa economica del debitore per avere più chances di soddisfazione del proprio credito.

In relazione alla tutela dell’una o dell’altra posizione, il legislatore pone un limite alla libertà del debitore circa il compimento di atti dispositivi che incidano negativamente sul suo patrimonio e lo fa attraverso l’art. 2740 c.c., a mente del quale “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.

Dunque, l’art. 2740 c.c., nel cristallizzare il principio della responsabilità patrimoniale universale del debitore, dispone implicitamente che il margine di manovra riconosciutogli sul suo patrimonio è proporzionato ai crediti da soddisfare.

Detto altrimenti, tutto il patrimonio del debitore è vincolato al soddisfacimento dei debiti da questo contratti, ne consegue che quanto più ampio è il valore del credito, tanto più si riduce la libertà del debitore di compiere atti dispositivi su quel patrimonio.

Per i fini che qui interessano, appare opportuno procedere ad una breve disamina dei singoli mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale.

L’azione surrogatoria risponde all’esigenza di tutelare il creditore nelle ipotesi in cui l’inerzia del debitore incida in modo determinante e negativo sulla sua sfera patrimoniale, con conseguente pregiudizio per le ragioni del creditore. A quest’ultimo è perciò riconosciuta la possibilità di agire in giudizio in luogo del debitore. Si realizza, quindi, una forma di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.. Tuttavia, è richiesta la citazione in giudizio del debitore surrogato, configurandosi, per espressa previsione normativa (art. 2900, comma 2, c.c.), un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

Il sequestro conservativo, invece, opera nelle ipotesi in cui il creditore abbia fondato motivo di temere che le azioni e la condotta del debitore possano diminuire la sua garanzia patrimoniale.

Dunque, si tratta di uno strumento finalizzato ad imprimere un vincolo di indisponibilità materiale e giuridica[1] sui beni del debitore; inoltre, considerata la sua natura cautelare, il giudice sarà chiamato ad accertare la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Infine, l’azione revocatoria (o, dal diritto romano, actio pauliana) consente di impugnare gli atti dispositivi del patrimonio compiuti dal debitore al fine di renderli inefficaci.

Da quanto finora detto, emerge che i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale offrono una tutela preventiva e indiretta al creditore, in quanto solo attraverso la successiva fase esecutiva egli potrà vedere soddisfatto il proprio credito.

2. Azione revocatoria. Presupposti ed effetti.

L’esercizio dell’actio pauliana da parte del creditore è subordinata alla sussistenza di due presupposti, l’uno di carattere oggettivo, l’altro di natura soggettiva.

Il primo è rappresentato dall’eventus damni, ossia dal compimento, da parte del debitore, di un atto di disposizione patrimoniale in grado di azzerare o, quantomeno, di ridurre le possibilità di soddisfazione del credito. Dunque, l’elemento oggettivo potrà dirsi integrato quando si profili l’eventualità che l’azione esecutiva si riveli infruttuosa per il creditore.

Il presupposto soggettivo, invece, consiste nel consilium fraudis, cioè nella consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che il compimento dell’atto dispositivo arreca alle ragioni del creditore.

In particolare, l’azione revocatoria può essere esperita sia per impugnare atti dispositivi compiuti dopo il sorgere del credito, sia per atti posti in essere prima, come espressamente sancito dall’art. 2901, co. 1, c.c. La distinzione tra l’una e l’altra ipotesi  rileva sotto il profilo dell’elemento soggettivo richiesto.

Specificamente, nel primo caso è sufficiente la semplice conoscenza da parte del debitore di causare un pregiudizio al creditore. Nella seconda ipotesi, invece, deve sussistere un vero e proprio dolo specifico in capo al debitore. Propriamente, l’art. 2901, c.c. richiede  il compimento di un atto “dolosamente preordinato”, quindi l’intenzione di pregiudicare gli interessi di futuri creditori.

Quanto agli effetti, l’actio pauliana non consente di far rientrare il bene, una volta alienato, nella sfera giuridica del debitore. Difatti, mediante tale strumento il creditore può solo impugnare l’atto compiuto dal debitore al fine di renderlo inefficace. Occorre sottolineare che tale inefficacia è solo relativa, esplicando i suoi effetti solo tra il debitore, il creditore ed il terzo.

In relazione alla posizione giuridica del terzo, nonché agli effetti dell’actio pauliana nei suoi confronti, appare opportuno fare delle precisazioni. A fronte di atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore, si crea un conflitto di interessi tra le ragioni del creditore, da un lato, e quelle del terzo, dall’altro.

Ebbene, è lo stesso art. 2901 c.c. ad apprestare una soluzione.

Se l’atto dispositivo è a titolo gratuito, tra i contrapposti interessi da tutelare viene accordata preferenza alla posizione del creditore, posto che in tale ipotesi, in ragione della natura dell’atto, per l’ordinamento non assume alcuna rilevanza l’elemento psicologico sussistente in capo al terzo acquirente.

Viceversa, laddove l’atto sia a titolo oneroso, bisognerà guardare all’elemento soggettivo: se il terzo ha assunto una condotta contraria a buona fede (cd. partecipatio fraudis), prevarranno ancora una volta le ragioni del creditore e gli effetti dell’azione si estenderanno anche nei suoi confronti. Al contrario, se il terzo ha agito in buona fede, sarà preferito al creditore e l’efficacia dell’atto dispositivo non potrà essere messa in discussione, salva l’ipotesi in cui il creditore abbia trascritto la domanda revocatoria prima della trascrizione dell’atto di acquisto da parte del terzo.

In tale ultimo caso troveranno applicazione le norme generali sulla trascrizione.

L’azione revocatoria è soggetta al termine di prescrizione di cinque anni decorrenti dal giorno del compimento dell’atto dispositivo. Ne consegue che, per gli atti compiuti prima del sorgere del credito, il termine di prescrizione comincia a decorrere ancora prima che  maturi il diritto ad esercitare l’azione revocatoria. Appare evidente la deroga al principio generale sancito dall’art. 2935 c.c., secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Come anticipato, il creditore, dopo aver ottenuto la dichiarazione di inefficacia dell’atto impugnato, potrà agire in via esecutiva al fine di ottenere la soddisfazione coattiva del proprio credito.

3. Casistica.

Fatta una premessa di ordine generale, merita segnalare le ipotesi applicative più rilevanti dell’azione revocatoria.

A)Il contratto definitivo di preliminare.

Il contratto preliminare non può essere oggetto di impugnazione, in quanto, producendo solo effetti obbligatori, non realizza concretamente quello spostamento patrimoniale richiesto dalla legge per l’esperibilità dell’azione revocatoria.

Il creditore potrà impugnare solo il successivo contratto definitivo stipulato in esecuzione del preliminare. Infatti, è solo nel momento in cui si realizza l’effetto traslativo che potrà concretizzarsi il cd. eventus damni.

B) La doppia alienazione immobiliare.

Nell’ipotesi in cui un soggetto trasferisca il medesimo immobile a due diversi acquirenti, il primo di essi potrà agire nei confronti del secondo acquirente che abbia per primo provveduto alla trascrizione dell’atto di acquisto.

In altri termini, se il soggetto A aliena lo stesso immobile prima a B e poi a C, ma quest’ultimo provvede a trascrivere per primo, B per tutelarsi non potrà far altro che esperire l’azione revocatoria nei confronti del secondo acquirente C.

C) La vendita con riserva di proprietà.

La vendita con riserva di proprietà si configura come un contratto istantaneo ad effetti reali differiti giacché l’acquirente viene immesso immediatamente nel possesso del bene con il pagamento della prima rata, ma ne acquisisce la titolarità solo con il pagamento dell’ultima rata di prezzo.

Considerata la natura del contratto in esame, appare problematica l’individuazione del momento in cui possa dirsi realizzato lo spostamento patrimoniale ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria: se già con l’immissione nel possesso del bene o solo con la corresponsione dell’ultima rata di prezzo, ossia nel momento in cui l’acquirente diviene proprietario del bene.

Sul punto, la giurisprudenza [2] ha stabilito che la riduzione del patrimonio del debitore si realizza non solo quando il bene alienato fuoriesce definitivamente dalla sua sfera giuridica, con l’integrale corresponsione del prezzo pattuito, ma anche nel diverso caso in cui non si perfezioni in capo al compratore l’acquisto della proprietà. In tale circostanza, infatti, il venditore sarà tenuto a restituire le rate riscosse, il cui importo generalmente sarà superiore all’equo compenso per l’uso della cosa da parte del debitore, ex art. 1526 c.c.

D) Atto costitutivo di un fondo patrimoniale.

Nel costituire un fondo patrimoniale (artt. 167 ss c.c.) i coniugi sottraggono beni alla garanzia dei creditori; mediante tale atto, infatti, viene costituito un patrimonio separato e, dunque, non aggredibile dai creditori cd. generali, i quali possono avvalersi solo della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.).

Invero, i beni destinati al fondo patrimoniale costituiscono un patrimonio separato, sul quale non possono rivalersi indistintamente tutti i creditori, ma solo i creditori cd. particolari, ossia coloro che vantano un credito la cui ragione giustificativa risiede nello scopo cui i beni sono destinati, cioè far fronte ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.).

Ne consegue che mediante l’azione revocatoria potrà essere impugnato l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale, nonché ogni successivo atto di conferimento, da parte di quei creditori (dei coniugi) ignari che le obbligazioni contratte fossero estranee alle esigenze familiari.

Inoltre, il conferimento di beni nel fondo è considerato atto a titolo gratuito, con la conseguente applicazione della disciplina dettata per l’azione revocatoria sul punto, come innanzi richiamata.

E) Gli accordi di separazione.

E’ possibile sottoporre all’azione revocatoria anche quegli atti di disposizione del patrimonio compiuti in favore dell’ex coniuge mediante gli accordi di separazione. L’attribuzione in favore dell’altro coniuge può essere tanto a titolo oneroso, quanto a titolo gratuito, trovando applicazione, a seconda dei casi, l’articolata disciplina di cui all’art. 2901,c.c.

 4. L’azione esecutiva anticipata.

L’art. 2929 bis, introdotto nel codice civile dall’art. 12, comma 1, del D.L. n. 83/2015, convertito nella L. n.1332/2015, consente al creditore che abbia subìto un pregiudizio per gli atti dispositivi compiuti dal debitore di servirsi, a determinate condizioni, di uno strumento alternativo all’azione revocatoria.

L’azione esecutiva anticipata permette di superare i limiti dell’azione revocatoria, consentendo al creditore munito di un titolo esecutivo di procedere immediatamente all’esecuzione forzata.

Difatti, la tutela offerta dall’actio pauliana è preventiva e indiretta: inizialmente il creditore potrà ottenere esclusivamente la dichiarazione di inefficacia degli atti dispositivi compiuti dal debitore, solo in un secondo momento, promuovendo azioni esecutive o conservative, potrà vedere soddisfatto il proprio credito.

Il creditore può servirsi dell’azione esecutiva anticipata solo al ricorrere delle seguenti condizioni:

  1. il credito deve essere sorto prima del compimento dell’atto pregiudizievole;

  2. il pregiudizio deve consistere nella costituzione di un vincolo di indisponibilità o di alienazione;

  3. l’atto deve avere ad oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri;

  4. deve trattarsi di atti compiuti a titolo gratuito;

  5. il creditore deve essere munito di un titolo esecutivo;

  6. il creditore deve provvedere alla trascrizione del pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole.

La condizione sub 6) deroga al generale principio in materia di trascrizione, che trova la sua espressione nel brocardo latino “prior in tempore, potior in iure”.

Nello specifico, la legge dispone che se il terzo ha trascritto per primo il suo atto di acquisto a titolo gratuito, verrà “scavalcato” dal creditore che ha provveduto successivamente – i.e. entro un anno – alla trascrizione della azione esecutiva anticipata.

La ratio di tale deroga è da ricercare nella maggiore tutela che l’art. 2929 bis c.c. accorda agli interessi del creditore, a fronte di una condotta pregiudizievole del debitore:  il legislatore, trattandosi di atti a titolo gratuito, ha ragionevolmente presunto che compimento degli stessi sia finalizzato a sottrarre beni al patrimonio del debitore, con evidente pregiudizio per le ragioni del creditore.

Dai presupposti innanzi richiamati emerge non solo che l’istituto in esame ha un campo di applicazione piuttosto ristretto, ma si rilevano anche le ulteriori differenze rispetto all’azione revocatoria.

Quest’ultima trova applicazione anche per gli atti pregiudizievoli compiuti prima del sorgere del credito, mentre l’azione di cui all’art. 2929 bis c.c. solo per quegli atti commessi successivamente; l’azione revocatoria opera anche per gli atti a titolo oneroso, mentre l’azione esecutiva anticipata solo per quelli a titolo gratuito.

Diverso è anche il termine entro cui è possibile esperire le due azioni: la revocatoria è soggetta alla prescrizione di cinque anni dal compimento dell’atto pregiudizievole, al contrario, per l’azione esecutiva anticipata opera il termine di prescrizione di un anno dalla trascrizione dell’atto dispositivo. Tuttavia, il creditore che abbia infruttuosamente lasciato decorrere tale ultimo periodo potrà sempre agire in revocatoria, purché nel limite dei cinque anni.

A completamento della trattazione, l’art. 2929 bis, comma 3, c.c. riconosce a coloro che hanno interesse alla conservazione del vincolo, la possibilità di opporsi all’esecuzione nelle ipotesi in cui contestino la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma o che il debitore fosse consapevole del pregiudizio arrecato agli interessi del creditore.

In particolare, ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c., i soggetti interessati potranno agire o con l’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.), se il bene sia rimasto nel patrimonio del debitore, o con l’opposizione di terzo all’esecuzione (ex art. 619 c.p.c.), se il bene sia già entrato nel patrimonio del terzo[3].

Con l’introduzione di tale strumento l’intenzione del legislatore è stata quella di limitare il ricorso all’azione revocatoria, infatti “dall’art. 2929bis c.c. dovrebbe derivare sia una riduzione dei costi da sopportare per la realizzazione coattiva del credito, sia una diminuzione del contenzioso” [4].

 5. Ambito di applicazione.

Come emerge dalle stringenti condizioni innanzi richiamate, per poter esperire l’azione esecutiva anticipata è richiesta la necessaria gratuità degli atti di disposizione del patrimonio. Logica conseguenza è che sono esclusi dal suo campo di applicazione tutti gli atti compiuti a titolo oneroso.

Dunque, l’art. 2929 bis c.c. troverà senz’altro applicazione alle donazioni, nonché al patto di famiglia che abbia ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati. In generale, rientreranno nelle maglie dell’azione esecutiva anticipata tutti quegli atti traslativi privi di corrispettivo, quindi anche la discussa figura del trust. Al contrario, sono escluse le liberalità indirette, poiché in tal caso non verrebbe meno il carattere dell’onerosità, nonché tutti quegli atti costitutivi di un vincolo di indisponibilità su beni diversi da quelli indicati all’art. 2929 bis c.c.

Particolarmente controversa è la possibilità di estendere l’ambito operativo della suddetta azione anche agli atti di destinazione disciplinati all’art. 2645 ter. c.c.

In tal caso i dubbi sorgono già in ordine alla collocazione sistematica della norma, posta nel libro sesto, tra le norme sulla pubblicità. Si discute se la disposizione presenti una natura sostanziale, con la conseguente introduzione di una nuova figura di vincolo di destinazione, o, al contrario, si limiti a disciplinare gli effetti di negozi, già tipizzati dal legislatore, in grado di produrre un effetto di destinazione.

L’orientamento prevalente della dottrina propende per la natura sostanziale della norma, ammettendo, dunque, negozi atipici finalizzati a costituire patrimoni destinati ad uno scopo ideale, purché gli interessi perseguiti siano meritevoli di tutela.

Analogamente a quanto avviene attraverso la costituzione dei vincoli di indisponibilità sui beni,  mediante il fenomeno della destinazione patrimoniale viene ridotto il patrimonio del debitore, ma è offerta un’ampia tutela al creditore sotto il profilo dei rimedi esperibili.

Innanzitutto, ci si potrà avvalere dell’azione di nullità ex art. 1418 c.c., ove gli interessi perseguiti siano immeritevoli di tutela, o, ancora, laddove manchino gli elementi essenziali o gli stessi risultino indeterminati.

Il creditore potrà far valere anche la simulazione dell’atto di destinazione ai sensi dell’art. 1416 c.c.,  nell’ipotesi in cui il compimento dello stesso sia solo apparente e i beni siano rimasti nella disponibilità patrimoniale del debitore. Al creditore è altresì riconosciuta la possibilità di esperire l’azione revocatoria in presenza dei requisiti previsti dall’art. 2901 c.c.

A fronte dei rimedi previsti avverso gli atti di destinazione patrimoniale, parte della dottrina ritiene che ad essi si aggiunga l’azione di cui all’art. 2929 bis c.c. Chi propende per tale soluzione muove da una analisi letterale dell’art. 2645 ter c.c., nella parte in cui richiama espressamente l’art. 2915, primo comma,c.c., relativo agli effetti degli atti caratterizzati da un vincolo di indisponibilità rispetto alla posizione dei creditori pignoranti.

Orbene, tale richiamo esplicito ai vincoli di indisponibilità fa supporre che tale categoria, più ampia, ricomprenda al suo interno anche i vincoli di destinazione. Dunque, da tale ricostruzione -seppur non del tutto pacifica- discenderebbe la possibilità di estendere il rimedio di cui all’art. 2929bis c.c. anche ai beni sui quali insiste un vincolo di indisponibilità.


[1] M. Fratini, Il sistema del diritto civile. 1.Le obbligazioni, II edizione, Roma, 2017.
[2] Cass., Sez. III, 24 novembre 2010, n. 23818.
[3] R. Galli, Novità normative e giurisprudenziali di diritto civile e diritto penale, Vol. III, Vicenza, 2016.
[4] G. Chinè – M. Fratini-  A. Zoppini, Manuale di Diritto Civile, Roma, 2016.

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