Le Chat Whatsapp: dallo smartphone alle aule di Tribunale
I messaggi su Whatsapp possono essere considerati prova documentale ed essere utilizzati nel processo civile o penale ma solamente a certe condizioni (Corte di Cassazione sent. n. 49016/2017 del 25 ottobre 2017)
Il tasso di diffusione di internet ha modificato esponenzialmente il modello di interazione tra gli individui, consentendo la comunicazione attraverso reti sociali e applicazioni telefoniche.
Ciò non può che generare un fondamentale interrogativo nel mondo giuridico: è possibile che una realtà così facilmente contaminabile e manipolabile, come quella della comunicazione tramite canali informatici, assurga a fonte di prova legale?
Il caso
La fattispecie che ha interessato la Suprema Corte di Cassazione concerneva il ricorso presentato dall’imputato del delitto di atti persecutori commesso in danno della propria fidanzata. Difatti, egli ha lamentato la mancata acquisizione da parte della Corte di Appello della trascrizione delle conversazioni intervenute su “Whatsapp”, con le quali la Difesa avrebbe potuto dimostrare l’inattendibilità della persona offesa.
La Suprema Corte non ha ritenuto fondato il predetto motivo, precisando che ai fini dell’acquisizione delle trascrizioni di tali conversazioni, pur già riconosciute nella prassi quali prove documentali, è necessaria altresì la produzione del supporto telematico o figurativo contenente la conversazione, considerato che la relativa trascrizione ha la mera funzione riproduttiva del contenuto della prova documentale.
Valore probatorio dei documenti informatici
E’ necessario dapprima porre l’accento sulla differenza tra le chat acquisite in tempo reale e quelle acquisite a seguito dell’invio.
Nel primo caso, il messaggio viene percepito nel momento in cui viene trasmesso, prima che esso arrivi al destinatario. In questo caso, esso assumerà le vesti di una “conversazione” tra mittente e destinatario. In tale ipotesi, sorge il problema di individuare l’esatta disciplina circa lo strumento applicabile ai fini della ricerca della prova e cioè l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche (ex art. 266 c.p.p.) ovvero l’intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche (ex art. 266-bis c.p.p.). Nel secondo caso, invece, qualora il messaggio fosse già pervenuto a destinazione, questo dovrà essere considerato come documento informatico già archiviato nella memoria del supporto materiale.
Posta questa breve premessa, è bene evidenziare che la Giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che le conversazioni avvenute tramite strumenti informatici costituiscano una forma di memorizzazione di un fatto storico comparabile ad una prova documentale (ex art. 234 c.p.p.) e, pertanto, utilizzabile ai fini probatori.
Del resto, è lo stesso Legislatore che ha imposto tale dictum. Difatti, il D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale) definisce il documento informatico quale documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti (ex art. 1, lett. p) e ne ammette l’acquisizione probatoria.
In tal senso, pone una importante differenza tra i documenti privi di firma elettronica, per cui il valore probatorio è liberamente valutabile in giudizio in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità (ex art. 20), e i documenti sottoscritti con firma elettronica, strumento informatico che garantisce l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento (ex art. 21). In quest’ultimo caso, infatti, l’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi fornisca prova contraria.
Misure tecniche necessarie ai fini dell’acquisizione
Il rischio di manipolazione e di alterazione dei sistemi informatici impone una preventiva disamina dello stato del documento, così da poterne verificare la certa provenienza e veridicità. Le prove digitali, difatti, sono estremamente soggette ad alterazioni anche da parte degli inquirenti.
Per maggiore chiarezza, è opportuno distinguere tra contenuto informativo del documento e contenitore del documento, quale supporto materiale dello stesso. In una dimensione informatica, il primo è indipendente dal secondo. Tuttavia, per essere compreso dall’uomo, il contenuto digitale deve essere prima tradotto in simboli binari dal supporto materiale che, quindi, lo elaborerà rendendo chiara l’informazione all’essere umano. Tale meccanismo, se non adeguatamente rispettato in ogni sua fase, potrebbe determinare una serie di anomalie digitali che determinerebbero l’alterazione della prova.
Per ovviare a tali inconvenienti, sono state elaborate talune regole tecniche (c.d. disciplina della Digital Forensic) dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali. Regole, queste, riconosciute dai paesi firmatari della convenzione di Budapest del 2001, ratificata dall’Italia con la Legge 18 marzo 2008, n. 48.
Esse mirano a proteggere essenzialmente la fase della racconta e della conservazione dei dati informatici, operando, ad esempio, sulle copie dei file originali.
Cosa produrre in giudizio?
Per quanto fin qui esposto, dunque, le chat di Whatsapp hanno valore legale soltanto se acquisite con il supporto materiale (contenitore). Tuttavia, non è sempre agevole depositare il dispositivo originale. Per questo, è consentita la produzione della copia forense dello stesso, purché essa sia stata ottenuta nel rispetto delle regole tecniche previste. Inoltre, è consigliabile la produzione di una perizia informatica giurata in Tribunale, così da garantire di avere “fedelmente proceduto alle operazioni e di non aver avuto altro scopo che quello di far conoscere la verità”.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Serena Savona
Nata a Erice (TP) nel 1990, ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza nel marzo 2016 con pieni voti, presso l'Università degli Studi di Palermo.
Nel corso della formazione forense, ha collaborato con il Tribunale di Trapani, Sezione Penale, partecipando altresì alla redazione di provvedimenti giudiziari.
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