Le clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore
Il codice del consumo D. Lgs. 206 del 2005 si occupa direttamente della materia delle clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore all’art. 33.
I problemi preliminari riguardano (rectius, hanno riguardato) la necessità di dare una definizione appropriata alle clausole vessatorie anche in coordinamento con la normativa contenuta negli articoli 1341 e 1342 del codice civile, tenuto conto del fatto che il controllo di buona fede e di meritevolezza degli interessi perseguiti nel contratto erano stati di rado praticati nelle decisioni dei tribunali.
Il Codice del consumo definisce dunque clausole vessatorie, le clausole che malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
L’inserimento della buona fede fa trasparire una concezione in un certo qual modo assoluta della nozione di vessatorietà. Quanto alla buona fede il Consiglio di Stato, nel parere preliminare sul Codice del Consumo, optava per la buona fede oggettiva, tipica dei rapporti contrattuali del libro IV del Codice civile, e onn invece per quella soggettiva che caratterizza i rapporti assoluti, i quali possono essere fatti valere nei confronti di tutti i consociati.
Ai fini della vessatorietà è dunque rilevante il significativo squilibrio delle prestazioni oggetto del contratto, usquilibrio che dovrà essere valutato dal giudice in senso sostanziale, almeno aderendo alla tesi maggioritaria.
Si prevede poi un elenco ampio, che contiene le clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria ( in passato contenuto nel comma 3 dell’art. 1469 c.c.) ed un elenco breve che indica le clausole nulle ‘’quantunque oggetto di trattativa’’.
Per le clausole contenute nell’elenco ampio si prevede la possibilità di ammissione di una prova contraria mentre per le clausole contenute nell’elenco breve vige una presunzione assoluta di vessatorietà. L’elenco ampio contiene ad esempio la clausola che esclude o limita la responsabilità del professionista in caso di morte o di danno alla persona, la clausola che esclude o limita le azioni e i diritti in caso di inadempimento nonché la clausola che esclude o limita l’opponibilità della compensazione e così via.
L’art. 34 del Codice del consumo riproduce integralmente l’abrogato art. 1469 ter c.c., e detta le regole in base alle quali il giudice deve condurre l’accertamento sulla vessatorietà della clausola.
Tale accertamento dovrà essere operato tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto, delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto e di altre clausole sia dello stesso contratto sia contenute in un rapporto collegato o da cui questo dipende. Il giudice dovrà quindi attivarsi mettendo in moto un vero e proprio giudizio di bilanciamento.
La valutazione della vessatorietà della clausola non riguarda però la determinazione dell’oggetto del contratto né l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi purché tali elementi siano stati individuati nel regolamento negoziale in modo chiaro e comprensibile.
Per qualcuno la mancanza di chiarezza e di comprensibilità – con riferimento alla determinazione dell’oggetto e del corrispettivo- porterebbe direttamente alla nullità, ma la dottrina prevalente preferisce optare per il fatto di rimettere anche tali clausole al giudizio di vessatorietà, contrariamente a quanto accade normalmente .
Non sono, da ultimo, vessatorie le clausole riproduttive della legge, siano esse norme imperative, dispositive o suppletive nonché le clausole che siano stato oggetto di trattativa individuale. Sul punto occorre sottolineare che ai fini della prova della trattativa individuale la giurisprudenza maggioritaria ritiene non sufficiente la specifica approvazione per iscritto di una clausola vessatoria predisposta dal soggetto professionista su moduli o formulari prestampati.
In tutti questi casi infatti sarà il professionista che dovrà dare prova dell’avvenuta trattativa dimostrando sostanzialmente al giudice che la clausola è stata oggetto di negoziazione fra le parti anche se poi non è intervenuta alcuna modifica .
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Massimiliano Pagliaccia
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