Le concessioni balneari e la complessa problematica delle proroghe automatiche: la svolta del Consiglio di Stato

Le concessioni balneari e la complessa problematica delle proroghe automatiche: la svolta del Consiglio di Stato

Nota a sentenza del Consiglio di Stato del 20 maggio 2024, n. 476

di Giuseppe Vilardo

Il contributo si propone l’obiettivo di affrontare il recente approdo giurisprudenziale al quale è pervenuto il Consiglio di Stato con la sentenza del 20 maggio 2024, n. 476 tramite la quale, nel sottolineare l’importanza del ricorso alla procedura comparativa in sede di assegnazione delle concessioni, ha statuito che tutte le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, al pari di quelle in favore di concessionari che abbiano ottenuto il titolo in ragione di una precedente procedura selettiva laddove il rapporto abbia esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata prima del 31 dicembre 2023, sono da ritenersi illegittime e, in quanto tali, devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l’indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva.

Sommario: 1. Il demanio marittimo: un concetto in balia del conflitto normativo tra il Codice della Navigazione e la normativa comunitaria sulla tutela della concorrenza e la direttiva Bolkestein – 2. Sentenza del Consiglio di Stato del 20 maggio 2024, n. 476: la svolta sulle proroghe automatiche – 3. I risvolti successivi alla sentenza del Consiglio di Stato del 20 maggio 2024, n. 476

1. Il demanio marittimo: un concetto in balia del conflitto normativo tra il Codice della Navigazione e la normativa comunitaria sulla tutela della concorrenza e la Direttiva Bolkestein

Il termine “demanio”, analizzato da un punto di vista prettamente etimologico, richiama il potere pubblico esercitato su un complesso di beni appartenenti allo Stato oppure ad altri enti pubblici, destinati all’uso, sia esso diretto o indiretto, da parte di una comunità genericamente intesa1.

Nonostante l’indubbio rilievo che assume per la comunità, il concetto generale di demanialità, in realtà, non è mai stato oggetto di particolari attenzioni da parte del legislatore italiano, tanto che i testi normativi vigenti si limitano a regolare la condizione giuridica dei beni che ne fanno parte2.

A tal riguardo, infatti, un primo ausilio viene sicuramente fornito dal Codice civile che all’art. 822, fornisce, a fine sistematico, un’elencazione molto chiara, individuando tra i beni appartenenti allo Stato – e quindi appartenenti al c.d. demanio pubblico – il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti etc, soltanto nel caso in cui questi appartengano allo Stato.

Al fine di una più completa ed esaustiva analisi, è utile altresì rilevare come il Codice civile, agli articoli 823 e ss., permette inoltre di individuare gli elementi caratterizzanti i beni rientranti nell’ampia categoria dei beni demaniali, quali: i) appartenenza ad enti pubblici territoriali; ii) la loro inalienabilità; iii) l’impossibilità per gli stessi di essere oggetto di diritti a favore dei terzi (se non mediante un provvedimento amministrativo, emanato dallo Stato o, in alternativa, dall’ente pubblico titolare del bene, qual è la concessione); iv) la soggezione degli stessi al potere esercitato dall’autorità amministrativa, la quale, nelle ipotesi previste dal legislatore italiano (più precisamente nei casi in cui l’intervento dell’autorità dovesse ritenersi necessario per ragioni legate all’integrità materiale dei beni e quindi agli eventuali danneggiamenti di essi, sia alla loro protezione giuridica, nonché ad ogni illecita occupazione o all’esercizio arbitrario di qualunque diritto o facoltà da parte di terzi) può agire a tutela dei beni demaniali ricorrendo all’esercizio del potere di autotutela3.

Il codice in esame, tuttavia, non è l’unica fonte normativa nella quale è possibile rinvenire informazioni più precise di settore. Quest’ultime, infatti, possono essere rinvenute nel Codice della Navigazione del 1942 che, agli articoli 28, 36 e 37, definisce in modo organico la disciplina del demanio marittimo.

Più precisamente, l’articolo 28 sancisce espressamente i beni appartenenti al demanio marittimo, quali: “a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi, i bacini di acqua salmastra; c) i canali ad uso pubblico”.

Con riferimento all’elencazione in esame, occorre rilevare come quest’ultima sia tutt’ora oggetto di un vivace dibattito tra dottrina e giurisprudenza riguardo alla sua tassatività4.

L’interpretazione largamente dominante in dottrina è chiaramente orientata verso il carattere prettamente tassativo dell’elenco dei beni demaniali attuato dal legislatore, prendendo pertanto le distanze dall’idea di ampliare il ventaglio di beni ivi indicato utilizzando un criterio generale ed astratto, ancorché vi possano essere beni che, in ragione delle caratteristiche e le funzioni possedute, andrebbero esclusi in detta casistica5.

Questa teoria, tuttavia, è stata oggetto a sua volta di ampie critiche mosse da altra parte della dottrina che al contrario, appare più propensa a ritenere l’elencazione come meramente esemplificativa, sostenendo l’opportunità di considerare tali categorie di beni alla luce della loro realtà sostanziale, ritenendo pertanto necessario un approfondimento dell’elencazione espressamente contenuta nell’art. 286.

Le due teorie prese in esame, in realtà, non sono le uniche formatesi sul tema, infatti, di fronte a due interpretazioni così diametralmente contrapposte, è possibile cogliere una terza elaborazione dottrinale che riconosce nell’art. 28 del Codice della Navigazione l’intento del legislatore di voler prendere le distanze dall’idea di un’elencazione tassativa, mediante l’individuazione di “tipi di beni che, appartenendo allo Stato, sono assoggettati all’uso pubblico” e che possono essere di volta in volta integrati mediante il ricorso all’analogia7.

Spostando l’attenzione dalla natura giuridica dell’elencazione dei beni demaniali marittimi, sembra pacifico poter ritenere che ciò che non desta alcuna critica appare essere il carattere formale della qualifica demaniale delle fattispecie, attesa la fonte legislativa dalla quale la stessa è stata attribuita. A tal proposito, non sembra presentare alcun dubbio interpretativo l’inclusione, nel novero dei beni appartenenti al demanio marittimo, dei canali navigabili e questo in virtù di quanto espressamente previsto dall’art. 28, lettera c del Codice della Navigazione.

La disposizione de qua, a dire il vero, richiama espressamente quei corsi d’acqua, aventi natura artificiale, destinati a soddisfare l’uso pubblico del mare, caratterizzati da una conformazione tale da consentire il collegamento con il mare, facendo pertanto ritenere preferibile la tesi che sposa la non tassatività dell’elencazione di cui all’art. 28, determinando la concreta necessità di assoggettare alla medesima disciplina giuridica tutte quelle vie d’acqua, siano esse naturali o artificiali, qualora quest’ultime siano comunicanti con il mare a condizione che sia possibile esercitare la navigazione marittima o altre attività ad essa connesse, portando pertanto ad escludere dall’applicazione della disciplina relativa al demanio marittimo tutti quei beni che possiedono, concretamente, uno sbocco in mare meramente indiretto8.

Come anticipato, tuttavia, l’articolo 28 non è l’unica norma che definisce la disciplina del demanio marittimo, dovendosi menzionare anche gli articoli 36 e 37 del Codice della Navigazione, i quali prevedono, rispettivamente, la possibilità per l’Amministrazione marittima di “concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo” ed il criterio, a fronte di una pluralità di domande, della preferenza per il “richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico”.

Analizzata la disciplina contenuta nel Codice della Navigazione, il vero e proprio riconoscimento sul piano normativo, della concessione riguardante gli usi del demanio marittimo deve attribuirsi al d.l. n. 400/1993, contenente l’elenco delle attività per le quali era espressamente prevista la possibilità di rilasciare concessioni demaniali marittime per finalità distinte rispetto a quella legata all’erogazione di servizi pubblici e dall’esercizio di attività portuali e/o produttive, prevedendo altresì, inizialmente, una durata pari a quattro anni per la concessione e successivamente, in seguito alla legge n. 88/2001, aumentata a sei anni, con rinnovo automatico di altri sei anni ad ogni scadenza.

Le concessioni demaniali marittime vengono assegnate tramite il ricorso ad un atto autoritativo da parte di una pubblica amministrazione a un soggetto privato, indispensabile al fine di consentire a quest’ultimo l’utilizzo di un bene pubblico. In cambio, il concessionario è tenuto al pagamento di una somma determinata di canoni concessori, che deve essere versata non all’amministrazione concedente, ma direttamente allo Stato.

Secondo l’articolo 39 del Codice della Navigazione, l’importo del canone è determinato nell’atto di concessione ed è stabilito dalla stessa amministrazione concedente in base alle leggi e ai regolamenti vigenti. Questa determinazione tiene conto di diversi fattori, tra i quali: l’estensione dell’area oggetto di concessione, la finalità della stessa nonché i potenziali profitti del concessionario (art. 16, comma 4). I criteri utilizzati di volta in volta per la determinazione dei canoni sono numerosi e soggetti a continui cambiamenti in funzione dei molteplici interessi in gioco.

Con riferimento alla durata delle concessioni, con il passare del tempo ha iniziato ad affermarsi sempre di più il principio del c.d. rinnovo automatico e con esso, il diritto di insistenza (quest’ultimo riconosce un vero e proprio diritto in capo agli attuali concessionari alla prosecuzione del rapporto concessorio, prediligendolo, nel caso di rilascio di nuove concessioni, rispetto ai nuovi aspiranti)9.

A tal proposito, preme rappresentare che per lungo tempo la giurisprudenza ha identificato nel principio in esame la fonte di un vero e proprio diritto soggettivo in grado di garantire al suo titolare il rinnovo della concessione ormai in scadenza, il tutto, chiaramente, a scapito di qualsiasi altro operatore, interessato al subentro.

Il principio del rinnovo automatico ha pertanto contribuito al realizzare una contrapposizione tra due interessi: quello del titolare della concessione (in scadenza) a beneficiare per il più lungo tempo possibile i vantaggi della concessione e quello del potenziale concorrente, interessato anch’esso a godere di una chance economica (in questo modo chiaramente preclusa).

Ebbene, la contrapposizione in esame ha determinato l’apertura della procedura di infrazione n. 4908/2008 per l’incompatibilità, con il diritto dell’Unione Europea, del sistema nazionale di preferenza per il concessionario uscente e del rinnovo automatico delle concessioni già assentite. Più precisamente, infatti, mediante il ricorso alla procedura di infrazione è stata contestata la violazione della direttiva 2006/123/CE, meglio nota con il nome di direttiva Bolkestein (o di Servizi), per contrasto tra il diritto di insistenza di cui all’art. 37, comma 2 del Codice della Navigazione e il diritto, riconosciuto a livello europeo, della libertà di stabilimento nel mercato interno che impone il ricorso a procedure ad evidenza pubblica, non discriminatorie, per l’affidamento delle concessioni.

In quella stessa circostanza, la Commissione ha espressamente richiesto di intervenire sull’art. 37 del Codice della Navigazione (nella parte in cui era previsto il diritto di insistenza), segnando in questo modo il passaggio ad un nuovo sistema, caratterizzato da una durata massima delle concessioni prestabilita (20/25 anni), da conferire mediante il ricorso, da parte della pubblica amministrazione, a procedure ad evidenza pubblica, da pubblicizzare indicando, tra l’altro, l’interesse pubblico sotteso e per il quale viene investito del denaro pubblico10.

Davanti ad una richiesta di questo tipo, il Governo italiano, sebbene da una parte abbia, di fatto, abrogato il diritto di insistenza, dall’altra, discostandosi dagli intenti e dal volere della Commissione, ha previsto l’introduzione di una proroga automatica sino al dicembre 2015 sulle concessioni in corso. Ne consegue che anche se il diritto di insistenza è concretamente venuto meno, in realtà l’intento che la Commissione intendeva perseguire non è stato, di fatto, raggiunto atteso che in sede di conversione, nel decreto legge del 30 dicembre 2009 il Parlamento ha inserito un inciso che faceva salva l’applicazione di quanto disposto dall’articolo 1, comma 2 del decreto legge n.400/1993, prevedendo il meccanismo del rinnovo automatico delle concessioni sessennali.

Il panorama legislativo delineato ha rappresentato un ostacolo alla chiusura della procedura di infrazione, segnando l’apertura di un procedimento di “Messa in mora complementare” da parte della Commissione Europea, con il quale è stato chiesto al legislatore di intervenire sul dispositivo dell’articolo 1, comma 18 del decreto legge del 30 dicembre 2009, eliminando il rinvio al meccanismo di rinnovo automatico da ultimo richiamato11.

Sulla base di questa nuova (ed ulteriore) richiesta, il Governo ha emanato il decreto legislativo n. 59/2011, con il chiaro intento di applicare le disposizioni contenute nell’art. 12 della direttiva Bolkestein. A tanto si aggiunga che, al fine di superare le contestazioni mosse dalla Commissione, il Governo ha altresì approvato la legge comunitaria del 15 dicembre 2011, n. 217 e, suo tramite, è stato eliminato ogni rinvio al rinnovo automatico, consentendo l’archiviazione, decisa dalla Commissione del 27 febbraio 2012, della procedura di infrazione.

Nel corso degli anni, la giurisprudenza comunitaria ha progressivamente privilegiato l’interpretazione favorevole alla disapplicazione del regime delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime, come previsto dall’art. 1, commi 682, 683 e 684, della Legge n. 145 del 2018, ritenendolo in contrasto con l’ordinamento comunitario.

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 14 luglio 2016 (nelle cause riunite C­458/14 e C-67/15), nota come “Promoimpresa”, ha profondamente influenzato il dibattito dottrinario e giurisprudenziale in materia. La Corte ha stabilito che la normativa nazionale allora vigente, che prevedeva la proroga ex lege delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali per attività turistico-ricreative senza procedure di selezione aperta, era in contrasto con l’art. 12 della Direttiva Bolkestein. Le concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo rientrano infatti nel campo di applicazione della suddetta Direttiva, demandando al giudice nazionale la valutazione sulla scarsità della risorsa naturale concessa. La pronuncia ha collegato indissolubilmente la disciplina delle concessioni del demanio marittimo alla Direttiva 123/2006/CE, da cui deriva l’obbligo di procedere con gare pubbliche per l’assegnazione delle concessioni in scadenza12.

Inoltre, la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 49 TFUE è in contrasto con una normativa nazionale che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche per attività turistico-ricreative, laddove tali concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo.

Nonostante l’influenza di questa pronuncia, il Parlamento italiano ha continuato a estendere i termini di scadenza delle concessioni, come evidenziato dall’art. 1, commi 682, 683 e 684, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145.

Con l’approssimarsi delle stagioni estive, si è assistito a un proliferare di pronunce giurisprudenziali nazionali volte a risolvere il problema di compatibilità delle normative nazionali in tema di rinnovo delle concessioni demaniali con il diritto comunitario.

La giurisprudenza amministrativa prevalente afferma che il regime nazionale di cui all’art. 1, commi 682 e seguenti, della Legge n. 145 del 2018 è in contrasto con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE e con gli artt. 49 e 56 del TFUE, poiché limita ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, creando una disparità di trattamento tra operatori economici tramite preclusioni o ostacoli alla gestione dei beni demaniali concessi13.

Pertanto, la recente giurisprudenza stabilisce che la proroga legislativa delle concessioni balneari fino al 2033 deve essere disapplicata.

In questo contesto, il Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 2002 del 9 marzo 2021, ha ribadito che il rilascio della concessione demaniale marittima a uso turistico-ricreativo, in base alla normativa vigente, non può avvenire tramite rinnovo automatico, ma richiede una selezione tra gli aspiranti concessionari14.

2. Sentenza del Consiglio di Stato del 20 maggio 2024, n. 476: la svolta sulle proroghe automatiche

Di recente il Consiglio di Stato è tornato ad affrontare il delicato, quanto controverso, tema delle proroghe automatiche delle concessioni balneari.

Più precisamente, con la sentenza n. 476 del 20 maggio 2024, i Giudici di Palazzo Spada hanno statuito che tutte le concessioni balneari devono essere affidate tramite il ricorso, da parte degli enti, alla procedura comparativa, a discapito di possibili meccanismi di proroga automatica, eventualmente introdotti dal legislatore.

Il caso di specie ha visto protagonista il Comune di Castellaneta che, con delibera n. 143 del 17 dicembre 2020 della Giunta Comunale, nel rispetto di quanto espressamente previsto ha disposto la proroga di una concessione balneare pendente, sino al 31 dicembre 2023, in applicazione della disciplina al tempo vigente, individuata nella legge del 30 dicembre 2018, n.14515.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), avvalendosi del potere di cui all’art. 21 bis, comma 2 della legge n.287 del 1990 e ritenendo la delibera adottata in violazione delle norme poste a tutela della concorrenza e del mercato (più precisamente gli artt. 49 e 56 del T.F.U.E.), ha presentato parere motivato al Comune di Castellaneta chiedendone l’annullamento16.

Il Comune, tuttavia, non forniva alcun riscontro al parere dell’AGCM ricevuto, non lasciando a quest’ultima altra soluzione se non quella di proporre ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce.

Nel corso del giudizio così adito, stante le sopravvenute modifiche legislative intervenute e comportanti l’abrogazione delle norme poste a fondamento della proroga da parte del legislatore nazionale (che tuttavia, adottava comunque norme comportanti la proroga delle concessione in questione), nonché (soprattutto) la pendenza di un procedimento giudiziario parallelo dinnanzi al medesimo T.A.R., è stata disposta la sospensione del giudizio sul ricorso proposto dall’AGCM, in attesa della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

In seguito all’attesa pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza del 20 aprile in C-348/22), il T.A.R. Puglia, con sentenza n. 1124 del 2 novembre 2023, ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso proposto dall’Autorità per sopravvenuta carenza di interesse, ritenendo che sebbene da una parte gli atti adottati dal Comune di Castellaneta sarebbero risultati privi di qualsivoglia efficacia in seguito alla pronuncia della CGUE, le concessioni marittime sino a quel momento pendenti avrebbero comunque continuato ad essere efficaci (almeno sino al 31 dicembre 2023), in applicazione della nuova proroga automatica ex lege prevista.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’Autorità nel ricorso, infatti, secondo la valutazione operata dal Giudice di prime cure, la proroga in esame da ultimo richiamata non si sarebbe posta in contrasto con la normativa comunitaria, risultando piuttosto giustificata dalla necessità di dover garantire agli enti il tempo necessario per poter predisporre nuove procedure comparative.

L’AGCM, non condividendo l’orientamento espresso con sentenza dal T.A.R. Puglia, presentava appello in Consiglio di Stato.

I Giudici di Palazzo Spada aditi, in via del tutto preliminare, hanno ritenuto sussistente l’interesse dell’Autorità ad ottenere una pronuncia di merito, atteso che, la sopravvenuta abrogazione delle norme poste a fondamento della delibera della Giunta Comunale oggetto del giudizio possono determinare l’improcedibilità del ricorso nel solo caso in cui quest’ultime incidono sull’interesse sostanziale sotteso all’azione esperita, rendendo superflua, pertanto, una pronuncia di merito17.

Fatta questa prima considerazione, l’attenzione del Giudice di secondo grado si sposta sull’eventuale presenza di presupposti volti a giustificare il rinvio all’Adunanza Plenaria. Ebbene, ritenendo insussistente l’imprescindibile requisito del contrasto giurisprudenziale sul tema oggetto di causa (elemento espressamente previsto dall’art. 99 del Codice sul procedimento amministrativo), ha concluso col ritenere insussistente la necessità di disporre il deferimento della questione all’Adunanza Plenaria18.

Parimenti inesistenti sono stati ritenuti, con la sentenza in esame, i presupposti per disporre il rinvio alla Corte di Giustizia, atteso che a parere dei Giudici di Palazzo Spada chiamati a pronunciarsi sul tema, le sentenze rese dal giudice europeo riflettono una chiara ed inequivocabile incompatibilità del sistema delle proroghe automatiche, introdotto dal legislatore nazionale, con la direttiva Bolkestein19. Più precisamente, infatti, l’orientamento espresso nelle autorevoli sentenze Promoimprese e Comune di Ginosa ha ormai risolto ogni dubbio in merito, con la conseguenza che in presenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale chiaro, uniforme e puntuale renderebbe l’eventuale scelta di operare un rinvio di questione pregiudiziale come meramente dilatoria.

Il Consiglio di Stato, al tempo stesso, ritiene di dover escludere la sussistenza di presupposti per sollevare l’incidente di costituzionalità, atteso che l’interpretazione della direttiva Bolkestein e, con quest’ultima, dell’obbligo di affidamento delle concessioni balneari mediante il ricorso ad una procedura comparativa si pone in compatibilità con quanto disposto dal testo costituzionale, nella parte in cui, all’art. 117, viene espressamente prevista la prevalenza del disposto della direttiva Bolkestein (normativa comunitaria) sulla normativa nazionale20.

Alla medesima conclusione si è pervenuti anche con riferimento all’asserita violazione del legittimo affidamento in capo ai concessionari, ritenuto non sufficiente a giustificare il protrarsi del sistema delle proroghe automatiche o comunque il rinvio delle procedure di gara21.

In sede di appello, il Consiglio di Stato ha preso le distanze dal ragionamento operato dal Giudice di primo grado, il quale ha ritenuto la direttiva Bolkestein priva del carattere self-executing, fondando il suo (erroneo) convincimento sulla possibilità, da parte degli Stati membri, di ricorrere alle procedure comparative (disciplina, quest’ultima, prevista all’art. 12) volte all’assegnazione di risorse pubbliche, solo nel caso in cui quest’ultime siano scarse, una valutazione, quella in merito all’abbondanza o meno delle risorse, rimessa alla Stato Membro mediante un giudizio discrezionale22.

Ebbene, secondo l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza in esame, la sussistenza di margini di discrezionalità non è di per sé idonea ad escludere il carattere self-executing della direttiva atteso che quest’ultima pone comunque in capo allo Stato membro un obbligo incondizionato e individua espressamente il risultato da perseguire23.

Sulla base di queste prima valutazioni, il Consiglio di Stato ha ribadito l’illegittimità delle disposizioni nazionali che hanno introdotto e continuano ad introdurre sistemi di proroga automatica delle concessioni, dando vita ad altrettanto ulteriori contrasti con il diritto di matrice europea24.

A tal proposito, il Consiglio di Stato, opera un richiamo all’art. 3 della legge n. 118 del 2022 (legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) disciplinante la possibilità di prorogare la durata delle concessioni pendenti sino al 31 dicembre 2024, in casi specifici ed in presenza di ragioni oggettive tali da giustificare il ricorso una proroga (scongiurando pertanto l’instaurazione di un sistema incentrato sulla proroga generalizzata delle concessioni sino a quel momento in essere), omettendo l’instaurazione di una procedura comparativa. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, i Giudici di Palazzo Spada hanno rappresentato come la disposizione da ultimo richiamata è stata, di fatto, stravolta dalla legge n. 14 del 2023 che ha previsto: i) il mantenimento dell’efficacia delle concessioni pendenti sino alla conclusione delle nuove gare; ii) il divieto di bandire nuove gare sino all’adozione dei decreti legislativi di regolamentazione.

Il rischio concreto di una disciplina improntata su queste norme è da individuarsi in un ricorso indiscriminato dell’istituto della proroga per tutte le concessioni, senza alcuna distinzione. È evidente, pertanto, come le norme in esame debbano essere disapplicate al fine di scongiurare il ricorso all’automatismo generalizzato.

Affrontato lo spigoloso tema dell’illegittimità delle proroghe susseguitesi nel corso del tempo, l’attenzione del Consiglio di Stato, si sposta sul tema della scarsità delle risorse naturali con espresso riferimento all’intenzione del legislatore italiano di voler introdurre, mediante l’istituzione di un apposito tavolo tecnico, dei criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati per la loro determinazione.

Sebbene una scelta di questo tipo deve considerarsi, secondo l’orientamento espresso dalla CGUE, pienamente legittimo, dall’altra parte, la decisione di operare in tal senso non può che rilevarsi controproducente, atteso che, come espressamente previsto dalla direttiva Bolkestein e dal suo carattere self-executing, è fatto espresso divieto agli Stati membri di introdurre delle condizioni ostative alla sua applicazione.

Fatta questa precisazione, il Giudice di secondo grado si sofferma sulle risultanze del Tavolo Tecnico con espresso riferimento all’art. 10-quater, comma 2, del decreto legge n. 198 del 2023. Più precisamente, infatti, la norma individua, nel novero dei criteri applicabili per definire la nozione di scarsità delle risorse naturali, il criterio della rilevanza transfrontaliera del bene25.

Trattasi di un criterio non contemplato dalla direttiva per la sua applicabilità, con contestuale onere di disapplicazione della previsione in esame per chiaro contrasto con il diritto comunitario.

A tal riguardo, il Consiglio di Stato coglie l’occasione per ribadire che le spiagge sono da ritenersi risorse materiali scarse, segnalando il conseguente rischio che i lavori condotti dal Tavolo Tecnico possano tradursi in una vera e propria elusione dell’obbligo di effettuare le procedure comparative – previsto non soltanto dalla direttiva Bolkestein quanto anche dall’art. 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e la libertà di stabilimento – e che, l’eventuale esclusione di alcune zone (con riferimento al caso di specie, le spiagge) dal suddetto obbligo dovrebbe trovare la sua giustificazione sulla sicura assenza del carattere di scarsità della risorsa.

Con riferimento alla tematica da ultimo richiamata, i Giudici di Palazzo Spada chiariscono che anche non esiste, attualmente, alcun diritto al mantenimento delle proroghe, in forza della normativa di fonte nazionale. In un quadro qual e quello appena delineato, secondo il giudice di secondo grado, l’unica proroga ammessa – compatibile con il diritto comunitario – è la c.d. “proroga tecnica”, istituto, quest’ultimo, funzionale allo svolgimento della gara, prevista dall’art. 3, commi 1 e 3, della l. n. 118 del 2022 nella sua originaria formulazione, prima delle modifiche (da disapplicare) dei termini apportate dal decreto legge n. 198 del 2022, come modificato dalla legge di conversione n. 14 del 2023, laddove essa fissa come termine di efficacia delle concessioni il 31 dicembre 2023 e consente alle autorità amministrative competenti di prolungare la durata della concessione, con atto motivato, per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura competitiva e, comunque, non oltre il termine del 31 dicembre 2024 “in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa”.

Con la sentenza del 20 maggio 2024, n. 476, il Consiglio di Stato, nella piena consapevolezza della mancanza di linee guida per lo svolgimento della procedura, ha provveduto ad individuare, al fine di fornire una disciplina uniforme, dei criteri in linea con le esigenze di obiettività, trasparenza e non discriminazione, quali: i) adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa nonché dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita da soggetti che eseguono già concessioni demaniali; ii) individuazione dei requisiti di ammissione che possano favorire la massima partecipazione delle imprese; iii) considerare le esigenze di tutti quei soggetti che, nei cinque anni antecedenti all’avvio della procedura ad evidenza pubblica, hanno beneficiato di una concessione, quest’ultima intesa come prevalente fonte di reddito, non solo per se stessi, quanto anche per il nucleo familiare; iv) definizione dei criteri utili all’individuazione del quantum dell’indennizzo da attribuire al concessionario uscente26.

In conclusione, la sentenza del Consiglio di Stato, affermando che, in assenza di certezze sull’assenza di scarsità della risorsa naturale, tutte le concessioni devono essere assegnate esclusivamente tramite il ricorso alla procedura comparativa, mira a rappresentare un punto fermo in un panorama legislativo complesso e critico, qual è quello odierno, che da diversi anni tenta, seppur invano, di fare chiarezza, nel rispetto della direttiva Bolkestein, sul delicato, quanto attuale, tema della proroga delle concessioni.

3. I risvolti successivi alla sentenza del Consiglio di Stato del 20 maggio 2024, n. 476

Ai fini di una più completa ed esaustiva analisi – oltre che per meglio comprendere l’importanza innovativa, nel panorama giurisprudenziale, della sentenza in analisi – deve da ultimo rappresentarsi che la stessa Corte Costituzionale, sposando il medesimo indirizzo al quale sono pervenuti i giudici di Palazzo Spada, ha avuto modo di pronunciarsi sullo spigoloso tema del rinnovo delle concessioni balneari27.

Più precisamente, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge della Regione Siciliana n. 2 del 2023 (Legge di stabilità regionale 2023-2025), rubricato “Modifiche di norme in materia di concessioni demaniali marittime”, nella parte in cui ha previsto la proroga sino al 30 aprile 2023 del termine concesso per la presentazione delle domande di rinnovo delle concessioni balneari, nonché la proroga dello stesso termine per la conferma telematica dell’interesse all’utilizzo del demanio marittimo.

Alla base del ragionamento operato dalla Corte Costituzionale risiede nell’assunto motivazionale in forza del quale, le norme della Regione Sicilia impugnate, produrrebbero l’effetto di perpetuare, sebbene limitatamente al territorio siciliano, il sistema delle proroghe automatiche delle concessioni – quest’ultimo più volte ritenuto illegittimo dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e oggetto di progressiva disapplicazione da parte della giurisprudenza amministrativa generalmente intesa – alimentando il contrasto con l’art. 12 della direttiva Bolkestein e quindi anche con l’art. 117, co. 1 della Costituzione italiana.

Prendendo le mosse dalla motivazione sopraesposta, la Corte Costituzionale, nel rappresentare che il differimento dei termini previsto dalla Legge di stabilità regionale 2023 – 2025 non si riferisce alla proroga delle concessioni demaniali sino al 2023, quanto piuttosto alla mera presentazione delle domande di proroga, ha concluso con il ritenere che la rinnovazione da ultimo richiamata si concretizzerebbe in un rafforzamento, alimentando quindi il contrasto con i principi di diritto UE sulla concorrenza, “della barriera in entrata per nuovi operatori economici potenzialmente interessati alla utilizzazione, a fini imprenditoriali, delle aree del demanio marittimo”.

 

 

 

 

 

 


1 Sin dall’epoca romana, infatti, alla demanialità, vale a dire all’insieme dei bona publica e al complesso delle disposizioni normative che ne disciplina l’utilizzazione sono legate la consistenza delle finanze statali, nonché la viabilità, la difesa e l’integrità stessa del territorio. Vd. S. MAGNOSI, L’evoluzione della disciplina normativa sull’uso del demanio marittimo a scopo turistico-ricreativo, tra tutela del mercato e salvaguardia degli interessi imprenditoriali, in Riv. dir. nav., 2011, p. 51 ss.
2 Si vedano gli artt. 822 e 824 c.c.; 426, 427 e 429 del codice civile del 1865; 28 del codice della navigazione.
3 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, Roma, 1963, p. 12 ss.
4 Propende per il carattere tassativo dell’elencazione l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato: Cass., SS. UU., 2 maggio 1962, n. 849, in Giur.it, 1962, I, p. 799 ed in Riv. Dir. Nav., 1962, II, p. 171 e ss. con nota di D. Gaeta, Osservazioni in tema di demanio marittimo; Cass. civ., 2 giugno 1978, n. 2756, in Dir. Mar., 1978, p. 665 e ss., con nota di M. Casanova, Demanio marittimo e promontori.
5 A favore della tesi che sposa la natura tassativa dell’elencazione di cui all’art. 822, comma 1, c.c. ed integrata dagli artt. 28 e 29 del cod. nav., si veda: G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, I mezzi dell’azione amministrativa, Vol. IV, Milano, 1958, p. 19 e ss.; M. S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963, p.29.
6 In tal senso di particolare interesse è l’interpretazione di F. A. Querci, Demanio Marittimo, in Enc. Dir. XII, Milano, 1964, pag. 93 che espressamente sposa l’idea della non tassatività dell’elenco in esame.
7 G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, parte I, tomo I, Milano, 1987, p. 673.
8 Si veda, sul punto, R. Tranquilli Leali, Regime giuridico della sdemanializzazione delle spiagge lacuali (nota a Cons. St., ad. plen., 10 luglio 1986 n. 8), in Dir trasp. I/1988, 105, laddove, assumendo una chiara e netta posizione al riguardo, precisa: “L’applicabilità al demanio lacuale di una disciplina specifica ed autonoma, rispetto a quella di demanio marittimo, induce a dissentire dalla decisione in rassegna: non sussiste, in alcun modo, uno “stesso regime giuridico”, poiché vigono autonomi regimi, pur se retti da principi informatori tra loro parzialmente simili”.
9 F. Picinelli e M. Porcu, L’ultmo approdo delle concessioni demaniali marittime, in www.altalex.com del 3 marzo 2022.
10 Audizioni davanti alle Commissioni riunite VIII e X in www.senato.it.
11 Giannelli, Concessioni di beni e concorrenza, Napoli, 2017, p. 120-121.
12 Sul puntosi vedasi Paolo Gentilucci, L’annosa questione delle concessioni balneari marittime, del 13 marzo 2023 in www.diritto.it.
13 Sent. cause riunite C-458/14 e C-67/15 al punto 18 afferma che: “I principi di libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, 106 del TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa generale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno undici anni, così conservando in via esclusiva il diritto allo sfruttamento a fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, nonostante l’intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione già rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici interessati di ogni possibilità di ottenere l’assegnazione del bene all’esito di procedure ad evidenza pubblica?”. Concessioni balneari in Italia e Direttiva 2006/123/CE, nel contesto europeo in www.europal.europa.ue/supporting-analisyses.
14 Sent. Cons. di Stato n. 2002 del 9 marzo 2021 in www.sentenzeappalti.it.
15 Dal testo della sentenza: <<Con la delibera n. 143 del 17 dicembre 2020 della Giunta comunale … il Comune di Castellaneta, odierno appellato, ha stabilito, da una parte, di prendere atto “del dettato normativo di cui all’art. 1, commi 682, 683 e 684 della Legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e dall’art. 182 del decreto – legge 19 marzo 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77, inerente l’estensione della durata/validità al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreativa in possesso dei concessionari dotati dei requisiti previsti dalla normativa vigente e delle circolari operative suddette emanate dalla Regione Puglia” e dall’altra, conseguentemente, “di fornire atto di indirizzo al competente Responsabile del Servizio svolto, per le ragioni indicate in premessa, affinché disponga i necessari procedimenti amministrativi ed ogni opportuna attività gestionale rispettosa di legge, finalizzati all’estensione del termine di durata delle concessioni demaniali al 31.12.2033>>.
16 Dal testo della sentenza: <<l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, odierna appellante principale, nell’adunanza del 18 maggio 2021, ha deliberato di esprimere un parere motivato, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, relativamente al contenuto dell’atto in questione, trasmettendolo al Comune di Castellaneta in data 21 maggio 2021 … l’Autorità ha ritenuto che il Comune di Castellaneta avrebbe dovuto disapplicare la normativa posta a fondamento della delibera n. 143/2020 per contrarietà della stessa ai principi e alla disciplina eurounitaria sopra richiamata … Ciò in quanto “le disposizioni relative alla proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative contenute nel provvedimento amministrativo in parola integrano — specifiche violazioni dei principi concorrenziali, nella misura in cui impediscono il confronto competitivo che dovrebbe essere garantito in sede di affidamento di servizi incidenti su risorse demaniali di carattere scarso, in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere” … Per tali ragioni, l’Autorità ha concluso che la delibera del Comune di Castellaneta in questione si poneva in contrasto con gli articoli 49 e 56 del T.F.U.E., essendo suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, nonché le disposizioni normative unionali in materia di affidamenti pubblici>>.
17 Cons. Stato, sez. VI, 27.12.2023 n. 11200: <<i provvedimenti assunti in corso di giudizio sono idonei a determinare la cessata materia del contendere soltanto ove, autonomamente assunti dall’Amministrazione, determinino la realizzazione piena dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell’azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere in via amministrativa il bene della vita atteso, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo … I provvedimenti sopravvenuti determinano, invece, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, qualora attuino un assetto di interesse inoppugnabile, ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso, anche in tale caso rendendo inutile la prosecuzione del giudizio – anziché per l’ottenimento – per l’impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente>>.
18 Dal testo della sentenza: <<Questi presupposti anche dopo l’annullamento (per ragioni che esulano dal merito dei principi allora affermati) della sentenza n. 18 del novembre 2021 non sussistono perché la giurisprudenza del Consiglio di Stato è pacifica nell’affermare i principi di cui si dirà oltre senza che vi sia alcun contrasto tra sezioni o all’interno di questa sezione e, inoltre, né le sopravvenienze normative né la sentenza della Corte di Giustizia del 20 aprile 2023 in C­348/22 (Comune di Ginosa) hanno inciso sulla rilevante attualità di quei principi, a tutt’oggi validi, che devono condurre all’immediata disapplicazione delle proroghe in favore dei concessionari, anche laddove esse si fondino sulle illegittime e disapplicabili sopravvenienze di cui al d.l. n. 198 del 2022, conv. In l. n. 14 del 2023, e all’altrettanto immediata indizione delle gare>>.
19 Dal testo della sentenza: <<Si rileva che non sussistono i presupposti per un nuovo rinvio in quanto la questione della applicabilità della Dir. 2006/123/CE e della incompatibilità delle proroghe automatiche disposte dal legislatore nazionale è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte di Giustizia UE con più decisioni – non ultima proprio quella rimessa dal Tribunale in primo grado e pronunciata nel presente giudizio – che hanno indicato la corretta interpretazione del diritto dell’Unione senza che residuino ulteriori dubbi … Chiarita dalla Corte di Giustizia la corretta interpretazione del diritto dell’Unione Europea sulle questioni che costituiscono l’oggetto del presente giudizio, spetta a questo Collegio, quale giudice nazionale, dare applicazione al diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia, alla fattispecie in esame>>.
20 Dal testo della sentenza: <<Quanto alla richiesta di sollevare l’incidente di costituzionalità, formulata invece dagli appellanti incidentali, si deve qui osservare che l’interpretazione da questo Consiglio di Stato nella propria consolidata giurisprudenza consente un recepimento interno della Dir. 2006/123/CE non solo compatibile con i principi fondamentali e irrinunciabili della Costituzione italiana quali il diritto di proprietà, l’impresa e il lavoro nelle imprese familiari, ma anzi costituzionalmente imposto dalla necessità di esercitare la potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea (art. 117, comma primo, Cost.)>>.
21 Dal testo della sentenza: <<Né può essere invocata una tutela costituzionale del legittimo affidamento degli attuali concessionari, dato che, come ora si dirà, l’applicazione della Dir. 2006/123/CE e/o dell’art. 49 T.F.U.E. al settore delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative impone l’immediata apertura del mercato, laddove la risorsa risulti scarsa o laddove, quando pure la risorsa non sia scarsa, la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, e ogni esigenza correlata all’affidamento degli attuali concessionari non può certo giustificare proroghe automatiche o il rinvio delle procedure di gara, ma al massimo può essere valutata al momento di fissare le regole per la procedura di gara ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 12 della stessa Dir. 2006/123/CE>>.
22 Dal testo della sentenza di primo grado (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 2.11.2023 n. 1224): <<Alla luce delle innovative statuizioni di cui alla citata sentenza C.G.U.E. del 20 aprile 2023 deve pertanto ritenersi che: A) risulta precluso al Giudice nazionale di statuire in via generale ed astratta sulla scarsità della risorsa, in assenza della previa definizione di criteri obiettivi ed uniformi da parte del Governo; b) l’applicabilità del disposto di cui all’art. 12 paragrafi 1 e 2 della Direttiva Bolkestein è subordinata alla previa verifica e valutazione da parte dello Stato membro della scarsità della risorsa naturale, procedimento che si caratterizza per l’ampia discrezionalità e che costituisce adempimento doveroso e necessario, in quanto primo presupposto o pre-condizione>>.
23 CGUE, sez. III, 20.5.2023, C-348/22: <<La Corte ha inoltre dichiarato che, anche se una direttiva lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nell’adozione delle modalità della sua attuazione, una disposizione di tale direttiva può essere considerata incondizionata e precisa se pone a carico degli Stati membri, in termini inequivocabili, un obbligo di risultato preciso e assolutamente incondizionato riguardo all’applicazione della norma da essa enunciata … 65. Infatti, anche se una direttiva concede agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nell’adozione delle modalità della sua attuazione, tale circostanza non incide sul carattere preciso e incondizionato delle due disposizioni qualora tale margine di discrezionalità non esclusa che sia possibile determinare alcuni diritti minimi e che sia, quindi, possibile determinare la tutela minima che deve in ogni caso essere applicata>>.
24 Dal testo della sentenza: <<Devono, quindi, essere disapplicate perché contrastanti con l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE e comunque con l’art. 49 del T.F.U.E., tutte le disposizioni nazionali che hanno introdotto e continuano a introdurre, con una sistematica violazione del diritto dell’Unione, le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e in particolare: le disposizioni di proroga previste in via generalizzata e automatica, e ormai abrogate dall’art. 3, comma 5, della l. n. 118 del 2002 (art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145 del 2018; art. 182, comma 2, del d.l. n. 34/2020, conv. In. L. n. 77 del 2020; art. 100, comma 1, del d.l. n. 104 del 2020, conv. In l. n. 216 del 2020); le più recenti proroghe introdotte dagli articoli 10-quater, comma 3, e 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198 del 2022, inseriti dalla legge di conversione n. 14 del 2023 e dall’art. 1, comma 8, della stessa l. n. 14 del 2023, che ha introdotto il comma 4-bis all’art. 4 della l. n. 118 del 2022>>.
25 Dal testo della sentenza: <<34. Va aggiunto che l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2023 ha previsto che il predetto Tavolo tecnico definisca i criteri tecnici per la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto anche della “rilevanza economica transfrontaliera” e, al riguardo, tale elemento non può essere rilevante ai fini della valutazione della scarsità dato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte europea, il capo III della Dir. 2006/123/CE – compreso, dunque, anche il suo articolo 12 – si applica anche a situazioni puramente nazionali, senza che sia necessaria una valutazione della rilevanza transfrontaliera come quella suggerita dalla disposizione in questione (Corte di Giustizia UE, 30 gennaio 2018, Visser Vastgoed Beleggingen, nelle C-360/15 e C-31/16, punti 98 e segg.; nonché la già citata sentenza del 20 aprile 2023 in C-348/22, Comune di Ginosa, punto 40), avendo la Corte chiarito che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva deve essere interpretato nel senso che “esso non si applica unicamente alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentano un interesse transfrontaliero certo”, applicandosi le disposizioni del capo III della Dir. 2006/123/CE “non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma           anche          a           quello           che          intende         stabilirsi           nel         proprio            Stato         membro”. 35. In questa prospettiva, dunque, deve essere disapplicato anche l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2022, laddove, nel prevedere che “il tavolo tecnico di cui al comma 1, acquisiti i dati relativi a tutti i rapporti concessori in essere delle aree demaniali marittime, lacuali e fluviali, elaborati ai sensi all’articolo 2 della legge 5 agosto 2022, n. 118, definisce i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello disaggregato a livello regionale, e della rilevanza economica transfrontaliera”, dispone che nella determinazione della scarsità della risorsa debba considerarsi la rilevanza economica transfontaliera della concessione, che non è un presupposto per l’applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE ma semmai, laddove non si applichi l’art. 12 della Dir. 2006/123/CE, del solo art. 49 del T.F.U.E>>.
26 Dal testo della sentenza: <<Si deve infatti considerare che, allorché la legge di delega li abbia posti, i principi e i criteri della stessa entrano senz’altro a comporre il quadro dei referenti assiologici che permeano l’ordinamento vigente e concorrono pure essi a disciplinare direttamente la materia alla quale afferiscono, se il loro contenuto prescrittivo possegga i necessari requisiti, anche quando il Governo abbia infruttuosamente lasciato scadere la delega e fino a che, ovviamente, il legislatore non provveda direttamente ad abrogarli e/o a disciplinare diversamente la materia. Tali principi e criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori per una disciplina uniforme della concorrenza in questa materia – tra i quali, ad esempio, si possono qui ricordare l’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali (lett. c), l’individuazione di requisiti di ammissione che favoriscano la massima partecipazione di imprese, anche di piccole dimensioni (lett. d), la considerazione della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, nei limiti definiti anche tenendo conto della titolarità, alla data di avvio della procedura selettiva, in via diretta o indiretta, di altra concessione o di altre attività d’impresa o di tipo professionale del settore (lett. e), 5.2.), la definizione di criteri per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante (lett. i), ma v. anche Corte di Giustizia UE, 14 luglio 2016, Promoimpresa, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, punto 54, in riferimento all’art. 12, paragrafo 3, della Dir. 2006/123/CE – saranno presi in considerazione dai Comuni, in particolare, nella predisposizione dei bandi per l’affidamento delle concessioni “sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei princìpi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza” (art. 4, comma 2, lett. b), l. n. 118 del 2022)>>.
27 Corte Cost., sent. n. 109 del 24 giugno 2024 www.cortecostituzionale.it.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Articoli inerenti