Le concessioni demaniali marittime: rapporti tra disciplina europea e nazionale
Il presente scritto intende indagare sullo stato dell’arte delle concessioni demaniali marittime. In tale ottica, si rende opportuno il richiamo alle fonti normative al fine di comprendere, al meglio, l’assetto allo stato vigente anche sotto il profilo giurisprudenziale.
L’ordinamento europeo detta i principi ed i criteri a cui devono ispirarsi i Paesi membri nell’ambito della procedura (ad evidenza pubblica) di aggiudicazione delle concessioni demaniali marittime. In tal senso, assume rilievo il combinato disposto di cui agli artt. 12 Direttiva 123/2006/UE e 49 TFUE. La prima disposizione – posto che “(…) il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività [è] limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili” – prevede che “gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”; la seconda disposizione[1] dispone che “(…) le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. (…) La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma (…)”[2].
Ebbene, la lettura del combinato disposto induce a ritenere che la trasparenza e l’imparzialità sovraintendono qualsivoglia procedura ad evidenza pubblica, necessaria per l’aggiudicazione delle concessioni demaniali marittime, a cui può partecipare ciascun cittadino che intenda spostarsi all’interno dei confini europei e, nei relativi territori, insediare la propria attività imprenditoriale. In buona sostanza, ciascun cittadino europeo, a cui l’Unione medesima riconosce la libertà di stabilimento, può divenire titolare di concessioni balneari marittime in esito all’espletamento di una procedura pubblica (svolta in ossequio ai canoni di trasparenza, imparzialità e tutela della par condicio).
Detti principi trovano conferma nelle previsioni di settore vigenti nel nostro ordinamento. In primo luogo, si rende opportuno il richiamo all’art. 37 (rubricato “Concorso di più domande di concessione”) del Codice della Navigazione: la norma in parola precisa che “Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico. Al fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili”. Come desumibile con sufficiente chiarezza dalla lettura della norma stessa, l’azione amministrativa – nell’ambito delle procedure volte all’assegnazione delle concessioni pubbliche – è rivolta alla soddisfazione dell’interesse pubblico (concretantesi, peraltro, nella salvaguardia dell’ambiente costiero).
Detta impostazione codicistica, conforme agli indirizzi europei, ha, tuttavia, recentemente “scontato” l’introduzione nell’ordinamento interno della Legge 145/2018 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021.”): contrariamente ai principi enunziati, detta Legge ha disposto de facto la proroga delle concessione demaniali marittime, stabilendo che “Le concessioni disciplinate dal comma 1 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, (…) hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici [i.e. sino al 2033] (…)” (co. 682) e che “Al fine di garantire la tutela e la custodia delle coste italiane affidate in concessione, quali risorse turistiche fondamentali del Paese, e tutelare l’occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi per i danni subiti dai cambiamenti climatici e dai conseguenti eventi calamitosi straordinari, le concessioni di cui al comma 682 (…) nonché quelle rilasciate successivamente a tale data a seguito di una procedura amministrativa attivata anteriormente al 31 dicembre 2009 e per le quali il rilascio è avvenuto nel rispetto dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328, o il rinnovo è avvenuto nel rispetto dell’articolo 02 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (…) hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici.”(co. 683). In buona sostanza, la legge in parola ha prorogato automaticamente (sino al 31.12.2033) le concessioni vigenti al momento della sua entrata in vigore, con ciò determinando il sorgere di numerosi contenziosi innanzi ai Tribunali amministrativi: la giurisprudenza in tale occasione ha offerto taluni criteri interpretativi ed applicativi, anche alla luce dei principi individuati dalla Corte di Giustizia UE. Quest’ultima, con sentenza 14 luglio 2016 (resa nelle cause riunite C-458/14 e 67/15, Promoimpresa s.r.l.)[3] – riscontrata la limitata disponibilità degli arenili – ha precisato che i) le concessioni balneari non rientrano nell’ambito delle concessioni di servizi disciplinate dalla Direttiva 2014/23/UE ma debbono invece essere inquadrate nell’ambito di applicazione dell’art. 12 Direttiva Servizi, che ii) chiunque può essere titolare di una concessione di durata limitata (giusta l’esclusione di qualsivoglia ipotesi di rinnovo automatico), purché sia stata espletata da parte dell’Amministrazione concedente una procedura ad evidenza pubblica, rispondente ai principi di trasparenza, imparzialità, ed, in ultimo, che iii) una proroga ex lege della data di scadenza delle “autorizzazioni” (all’esercizio di un’attività economica di natura turistico-ricreativa su area limitata del demanio) deve essere trattata alla stregua di un rinnovo automatico delle autorizzazioni medesime che, come tale, non è contemplato dall’art. 12 Direttiva servizi.
Alla luce della suesposta ricostruzione operata dal Giudice europeo, si rende opportuno procedere alla disamina della giurisprudenza amministrativa interna.
Il Consiglio di Stato ha precisato che i principi di matrice europea, richiamati dalla già citata sentenza 14 luglio 2016 resa della Corte di giustizia UE, costituiscono un mero parametro interpretativo: in particolare, alla luce dell’occasione di guadagno derivante dalla concessione di un’area demaniale marittima, lo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica è (ineludibile) presupposto di trasparenza e non discriminazione (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168 e, nello stesso senso, in epoca più recente Cons. Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2017 n. 394). Detti principi di trasparenza e non discriminazione trovano ancor più efficacia applicativa alla luce della abrogazione dell’istituto di insistenza dei concessionari. Si ricorda, a tal riguardo, che “ai sensi dell’art. 1, comma 18, D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25 (recante Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), l’istituto c.d. del diritto di insistenza, ossia del diritto di preferenza dei concessionari uscenti è stato soppresso, di talché, laddove l’amministrazione concedente intenda procedere a una nuova concessione del bene demaniale marittimo, in aderenza ai principi eurounitari della libera di circolazione dei servizi, della par condicio, dell’imparzialità e della trasparenza, ai sensi del novellato art. 37 cod. nav., è tenuta a indire una procedura selettiva e a dare prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico. (Conferma T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 9 luglio 2015 n. 992.)” (Cons. Stato Sez. VI, 17/07/2020, n. 4610). In altre parole, in esito al rapporto concessorio, il concessionario uscente potrà, ad avviso dei Giudici di Palazzo Spada, vantare un interesse di fatto all’avvio di una (nuova) procedura ad evidenza pubblica, volta all’assegnazione della concessione medesima: non sarà, certamente, titolare di un diritto soggettivo alla (ri-)assegnazione automatica del titolo. La proroga legale delle concessioni demaniali marittime, operata dalla L. 145/2018, non può trovare “cittadinanza nel nostro ordinamento” (Cons. St. 18 novembre 2019, n. 7874). Con riferimento poi ai rapporti intercorrenti tra normativa interna ed europea, taluni Collegi hanno enucleato un principio di rilevante portata: l’art. 12 della Direttiva 123/2006/UE trova immediata applicazione nell’ordinamento interno allorché, in ragione della sua natura precettiva, impone all’ordinamento medesimo di conformarsi a quello europeo. Di qui, l’obbligo del Giudice nazionale di procedere all’ immediata disapplicazione della norma interna in contrasto con quella sovraordinata.
In relazione, in ultimo, al profilo soggettivo inerente il potere di disapplicazione della norma interna (i.e. L. 145/2018) in contrasto con quella europea si rende opportuno il richiamo al duplice orientamento giurisprudenziale: l’uno depone a favore della disapplicazione operata dal Giudice nazionale (ut supra anticipato), l’altro a favore della disapplicazione operata dal Responsabile del Servizio competente dell’Ente interessato.
Il TAR Puglia Lecce, con sentenza 27 novembre 2020, n. 1322, ha statuito che “risulterebbe del tutto illogico ritenere che il potere di disapplicazione della legge nazionale, attribuito prudentemente al giudice dall’ordinamento interno e dall’ordinamento euro-unionale e supportato all’uopo dalla specifica attribuzione di poteri ad esso funzionali e prodromici, si ritenesse viceversa sic et simpliciter attribuito in via automatica e addirittura vincolata al dirigente comunale, che non dispone (e non a caso) della possibilità di ricorrere all’ausilio di tali facoltà.”. In buona sostanza, la pronuncia induce a ritenere che – tenuto conto del potere di disapplicazione della norma interna, riconosciuto unicamente al Giudice – non può (e non deve) essere disposta (rectius: attuata automaticamente) dal Responsabile dell’Ufficio competente la proroga automatica delle concessioni balneari marittime: l’attuazione di una proroga legale si porrebbe in contrasto con i principi europei.
Difformemente da detto orientamento, si è pronunciato il Collegio toscano che – muovendo dal principio oramai consolidato in giurisprudenza secondo cui “la disapplicazione (rectius: non applicazione) della norma nazionale confliggente con il diritto eurounitario, a maggior ragione se tale contrasto è stato accertato dalla Corte di giustizia UE, [costituisce] un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per l’apparato amministrativo e per i suoi funzionari” – ha precisato che laddove “emerga contrasto tra la norma primaria nazionale o regionale e i principi del diritto eurounitario, è fatto obbligo al dirigente che adotta il provvedimento sulla base della norma nazionale (o regionale) di non applicarla (in contrasto con la norma eurounitaria di riferimento), salvo valutare la possibilità di trarre dall’ordinamento sovranazionale una disposizione con efficacia diretta idonea a porre la disciplina della fattispecie concreta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2018 n. 1342)”[4]. In buona sostanza, ad avviso del richiamato Collegio, l’Ente (rectius: il Responsabile del Servizio) deve disapplicare le disposizioni di proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere per contrasto alla normativa eurounitaria. Di qui, l’illegittimità dei provvedimenti comunali assunti in attuazione della disposizione normativa che dispone la proroga automatica delle concessioni, giusta il contrasto della stessa con la normativa europea.
In conclusione, alla luce della suesposta ricostruzione normativa e giurisprudenziale, è opportuno il rilievo che la normativa interna che dispone la proroga legale della concessioni balneari sussistenti al momento della sua entrata in vigore non va esente da criticità, in ragione del richiamato contrasto con la disciplina europea, ben lungi dall’ammettere un rinnovo automatico dei rapporti concessori (che non tiene conto dei più elementari canoni di trasparenza, imparzialità e par condicio, propri, al contrario, della procedura ad evidenza pubblica).
[1] L’49 TFUE (“il diritto di stabilimento”) dispone che:“Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.”
[2] Sulla scarsità delle risorse, è opportuno il richiamo alla sentenza Tar Toscana, 08.03.2021, n. 363. Ad avviso del Collegio toscano “deve essere considerato che le spiagge sono beni naturali il cui numero è ontologicamente limitato, appunto in ragione della scarsità delle risorse naturali. In questo senso, di recente, il Consiglio di Stato, sez. IV, 16 febbraio 2021, n. 1416, ha statuito che le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio limitato nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali “la spiaggia è infatti un bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione”.
[3] È di tutta evidenza che una proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime aventi natura turistico ricreativa si pone in contrasto con i principi enucleati alla luce dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006. Il Giudice europeo – statuendo che le concessioni demaniali marittime sono inquadrate nel campo di applicazione di detta direttiva – rimette al Giudice interno la valutazione circa la natura “scarsa” o meno della risorsa naturale (oggetto di concessione), in ragione della quale si rende necessaria (quanto ineludibile) la procedura ad evidenza pubblica.
[4] Sul punto, si richiamano le sentenze T.A.R. Pescara, n. 40/2021; T.A.R. Salerno, n. 265/2021, T.A.R. Catania, n. 505/2021; T.A.R. Veneto n. 218/2020.
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