Le disuguaglianze tra gli Enti impositori e i contribuenti ai tempi del Coronavirus, profili di criticità dei provvedimenti adottati
Sono tanti e sempre crescenti i sacrifici che le istituzioni a vario titolo stanno chiedendo ai cittadini in questo periodo di emergenza e per certi versi sono sicuramente comprensibili in un’ottica di solidarietà nazionale.
Ciò che invece non si ritiene accettabile è l’ingiusto vantaggio concesso con l’art. 67, comma 4, D.L. n.18/2020, ad Agenzia delle Entrate ed agli altri enti impositori con la proroga dei termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli enti impositori di ben due anni rispetto all’ordinario termine per procedere.
Tale proroga permette agli enti di accertare le imposte dirette, l’Iva e l’Irap dell’anno 2015 entro il 31 dicembre 2022 e non invece nel termine ordinario del 31 dicembre 2020 (il termine a partire dal 2016 è stato posticipato con L. n.158/2015) al 31 dicembre del quinto (non più del quarto) anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione e fino al 31 dicembre del settimo (non più del quinto) anno nei casi di dichiarazione omessa.
Agli enti è stato quindi riconosciuto un termine di decadenza di due anni sin dall’annualità in scadenza (2015), che denota una irragionevole ingiustizia.
È inoltre evidente che il legislatore ha derogato quanto stabilito anzitutto nello Statuto del contribuente che impone il divieto della proroga dei termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta e poi a quanto statuito dai principi costituzionali di uguaglianza e parità nel procedimento.
Altresì ingiusto appare il termine di proroga in un’ottica comparativa: al vantaggio per gli enti impositori non è corrisposto nessun vantaggio paragonabile per il contribuente, che anzi deve fare i conti con una produzione normativa abnorme che ha disposto sospensione dei termini di versamento tributi, contributi ecc. con scadenze diverse (30 aprile piuttosto che 31 maggio) da un lato e sospensioni di udienze e atti processuali con scadenze diverse per gli Uffici (che hanno 45 giorni in più) rispetto alle sospensioni per le medesime udienze e atti processuali per i contribuenti.
Senza contare poi della qualità della produzione normativa che ha “limitato” la sospensione dei termini processuali al ricorso di primo grado e alla mediazione tributaria (art. 83, comma 2, ultimo periodo, D.L.n.18/2020), così lasciando fuori le impugnazioni (in grado di appello).
Al fine di fare chiarezza, ed anche in considerazione delle diverse circolari che la stessa Agenzia delle Entrate e i vari Tribunali stanno emanando, la sospensione dei termini non può che ritenersi generalizzata per tutti gli atti processuali e quindi anche per quelli tributari.
Le regole così scritte ed emanate non presentano caratteri di uniformità e chiarezza e quindi contribuiscono ad accrescere le criticità del sistema processuale tributario gravandolo di ulteriori difficoltà nel computare e verificare la tempestività dei ricorsi e delle impugnazioni a carico delle parti.
Per venire incontro ai contribuenti il legislatore potrebbe adottare una sospensione generalizzata dei versamenti e del contenzioso tributario almeno fino al 31 maggio, considerato che già alla stessa data vi è la sospensione per tutti i contribuenti degli adempimenti tributari e di taluni versamenti (come quelli delle cartelle e dei carichi affidati al concessionario) e che è poi la stessa data per la quale risulta sospesa l’attività di liquidazione, controllo, riscossione, accertamento e contenzioso dell’amministrazione finanziaria.
In conclusione è auspicabile che enti impositori e di riscossione da un lato ed i contribuenti dall’altro vengano finalmente messi sullo stesso piano dei diritti e dei doveri, i sacrifici e l’apporto di ognuno devono avere la stessa valenza.
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