Le diverse forme di accesso agli atti della PA: evoluzione storica, limiti e modalità

Le diverse forme di accesso agli atti della PA: evoluzione storica, limiti e modalità

Nel corso degli anni, il diritto di accesso agli atti amministrativi è stato segnato dal passaggio da un sistema incentrato sul principio di riservatezza ad un sistema basato sui principi di pubblicità e trasparenza.

Ad oggi, l’accesso risulta una prassi alla portata di chiunque, che permette di rendere accessibili al pubblico gli atti detenuti dalle pubbliche amministrazioni; un modello per contrastare corruzione, illegalità e segretezza, permettendo a tutti di partecipare in maniera diretta alle attività ed alle scelte, pubbliche, intraprese.

La pubblica amministrazione deve esercitare la propria azione con chiarezza ed efficacia per inaugurare in via definitiva quella “casa di vetro”, come amava definirla Filippo Turati, rectius trasparente dell’agire pubblico, cioè chiaro e conoscibile al suo interno.

Il primo passo verso il processo di trasparenza è rappresentato dalla Legge 241/1990, meglio nota come accesso documentale, che disciplina il diritto di accesso ai documenti amministrativi e rappresenta un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono entrare in contatto con la p.a..La richiesta di accesso documentale può provenire da un  soggetto privato, comprese le associazioni portatrici di interessi diffusi o pubblici, che abbia un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso; un interesse che non va confuso con il merito della pretesa sottesa alla richiesta di accesso.

La necessaria sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto di accedere, non significa che l’accesso sia stato configurato dal legislatore con carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante; esso assume invece una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale, ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, introdotto dalla l. 7 agosto 1990 n. 241, a norma dell’art. 22 comma 2 della stessa, come sostituito dall’art. 15, l. 11 febbraio 2005 n. 15, costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico, il quale si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi. In quest’ottica, il collegamento tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza, di cui al cit. art. 22, comma 1, lett. b), non può che essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse (Cons. Stato, sez. III, 13 gennaio 2012, n. 116).

L’istanza prodotta deve essere motivata per essere distinta dall’esercizio di un diritto finalizzato ad un controllo generalizzato della p.a..

Può pertanto farne richiesta soltanto chi, concretamente, detiene un interesse collegato agli atti, come avviene, ad esempio, per i soggetti coinvolti in procedimenti amministrativi riguardanti pubblici concorsi, autorizzazioni o il rilascio di concessioni edilizie, e che vuole esercitare un diritto, riconosciuto dalla legge, inerente il procedimento stesso.

Con tali peculiarità il legislatore delineava una forma completamente diversa rispetto al nuovo tipo di accesso generalizzato poiché la legge ne riconosceva l’esercizio soltanto a determinate condizioni e previo possesso di determinati requisiti.

Sulla possibilità di effettuare un controllo generalizzato sull’attività amministrativa della p.a. si è espressa la Quarta Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 4838 del 19 ottobre 2017) che, pur prevedendo un diritto di accesso agli atti a chiunque abbia interesse, non ha voluto introdurre un’azione di tipo popolare volta a consentire un controllo generalizzato.

Secondo l’orientamento del Consiglio deve essere accolta una nozione ampia di strumentalità del diritto di accesso, nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso.

E’ opportuno osservare come questo limite rappresenti un netto distinguo tra la normativa italiana e quella degli altri Stati membri dell’UE, in cui il principio fondamentale era proprio quello che consentiva ai richiedenti di non motivare la richiesta.

Il Consiglio d’Europa, espressosi al riguardo, ha sollecitato più volte gli altri Paesi membri a dotarsi di apposite leggi sull’accesso senza prevedere l’obbligo di motivazione.

Alla luce di tali osservazioni, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina dell’accesso civico, disciplinato dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2013.

L’accesso civico semplice consente a chiunque di richiedere documenti, dati o informazioni che le amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare nella sezione “Amministrazione trasparente” dei propri siti istituzionali, nel caso in cui gli stessi non siano stati pubblicati.

Una prima differenza rispetto all’accesso documentale è, appunto, la possibilità di farne richiesta senza la necessità di dimostrare un interesse qualificato.

Questo tipo di accesso nasce proprio con l’esigenza di tutelare il cittadino contro l’inerzia della pubblica amministrazione, la quale, non ha reso pubblico un documento per cui aveva l’obbligo di farlo.

La p.a. infatti ha l’obbligo di pubblicare obbligatoriamente sul proprio sito, nell’apposita sezione, determinati documenti secondo il principio di pubblicità previsto dall’art. 3 del citato decreto legislativo e, qualora non vi provveda, il cittadino può, tramite apposita istanza, richiederne la pubblicazione.

La pubblica amministrazione dal canto suo, respingerà solamente le richieste riguardanti l’accesso a determinati atti o documenti che possano, in qualche modo, pregiudicare la sussistenza di particolari interessi pubblici rilevanti.

All’art. 7 bis è, altresì, prevista una forma di pubblicità di tipo facoltativa ed è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione la scelta di pubblicare o meno determinati atti o documenti non obbligatori per legge.

Un altro importante intervento del legislatore è rappresentato dall’introduzione del decreto Legislativo n. 97 del 2016, cosiddetta normativa FOIA (Freedom of Information Act).

Tale normativa (dell’accesso generalizzato) è considerata parte integrante del processo di riforma della pubblica amministrazione, per mezzo della quale l’ordinamento italiano ha riconosciuto la libertà di accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni come principio fondamentale.

Esso si configura come diritto a titolarità diffusa e differisce dalle altre due tipologie già previste dalla legislazione; è totalmente gratuito (salvo l’eventuale costo per la riproduzione dei dati) e non prevede obbligo di motivazione.

Chiunque potrà accedere alle informazioni o ai dati ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria previsti dal d. lgs. n. 33 del 2013, anche per semplice curiosità e senza un interesse particolare come avviene per l’accesso documentale.

A differenza di quello semplice, che consente di accedere alle informazioni ed ai dati a pubblicazione obbligatoria per legge ( d. lgs. n. 33 del 2013), l’accesso generalizzato si estende a tutti i dati ed i documenti di cui la p.a. dispone, all’unica condizione che siano tutelati gli interessi sia pubblici che privati espressamente indicati dalla legge.

Questo nuovo tipo di accesso risponde al generale principio di trasparenza dell’azione amministrativa, secondo il quale tutti devono essere in grado, non solo di conoscere e di partecipare alla funzione pubblica, ma anche di intervenire al fine di migliorarla e prevenire le irregolarità.

La giurisprudenza amministrativa, al riguardo intervenuta (cfr. Tar Napoli, Sez. VI 3/12/2017, n. 5901), ha precisato che l’accesso civico generalizzato rappresenta una delle misure più importanti, utili al fine di prevenire la corruzione all’interno delle amministrazioni pubbliche.

I giudici hanno ritenuto, inoltre, che in caso di diniego totale o parziale o di mancata risposta dell’accesso, sia fondamentale, attraverso un procedimento di riesame interno, l’intervento del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Può infatti accadere che l’accesso venga negato o differito laddove si arrechi un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali, in conformità alla disciplina legislativa in materia.

In tali circostanze, il Responsabile deve coinvolgere gli eventuali controinteressati per consentir loro di presentare eventuali opposizioni e, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, pronunciarsi entro il termine di dieci giorni dalla richiesta.

Tanto premesso e considerato si evidenzia come sia fondamentale effettuare il trattamento dei dati nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità dell’interessato ed, in particolare, nella riservatezza di ciascun individuo.

Gli enti pubblici si ritrovano spesso nella condizione di dover rispondere ad una quantità ingente di istanze presentate dai cittadini e, simultaneamente, nella difficoltà di trovare un equilibrio tra trasparenza e protezione dei dati; un bilanciamento estremamente complesso in cui dovranno operare un’attenta valutazione delle relative istanze.

Ragion per cui la valutazione dell’istanza di accesso non deve essere circoscritta al raffronto fra i diritti coinvolti, ma deve basarsi anche sull’ulteriore verifica volta ad appurare se i dati o tutti i dati personali, idonei a rivelare status o altre informazioni personali, siano effettivamente “necessari” al fine di far valere o difendere gli equivalenti diritti.

In conclusione, la protezione dei dati personali comporta che, nella valutazione dei pregiudizi concreti, si faccia riferimento ai principi generali sul trattamento in conformità al Codice della Privacy ed al nuovo riferimento normativo in materia di protezione dei dati introdotto dal Regolamento (UE) n. 679/2016 (più noto con la sigla inglese GDPR), che fissa regole più rigide sia per il trattamento dei dati da parte degli enti pubblici, sia per quanto riguarda il principio di trasparenza verso la collettività.

La normativa evidenzia, inoltre, senza alcuna contraddizione e senza alcuna modifica delle norme nazionali in materia, quanto sia essenziale una maggiore trasparenza verso i cittadini, tutelando, al contempo, i dati personali.


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