Le forme particolari di usufrutto

Le forme particolari di usufrutto

L’art. 2561 c.c. disciplina una particolare forma di usufrutto, il quale si caratterizza per aver ad oggetto non un singolo bene, quanto il complesso di beni che l’imprenditore organizza per l’esercizio dell’attività di impresa, ossia l’azienda.

L’usufrutto di azienda si distingue dalla figura ordinaria per la peculiarità dell’oggetto e per la specificità di alcuni obblighi sussistenti in capo alle parti.

In caso di usufrutto di azienda, allo scopo di tutelare l’interesse del concedente a conservare l’efficienza dell’azienda, è fatto obbligo all’usufruttuario di esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue, conservandone l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti, nonché le normali dotazioni di scorte.

Al fine di assicurare il c.d. avviamento soggettivo, ossia dipendente dalle doti personali e dalle abilità dell’imprenditore, in capo al proprietario dell’azienda è invece posto un divieto di concorrenza.

L’avviamento soggettivo, infatti, a differenza di quello oggettivo che è intrinseco all’azienda, non può essere acquisito automaticamente e deve pertanto essere specificatamente garantito.

Come in caso di trasferimento di azienda, d’altra parte, è previsto che l’usufruttuario subentri in tutti i contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda ceduta che non abbiano carattere personale; al terzo contraente, in ogni caso, è consentito recedere da tali contratti in presenza di una giusta causa, entro tre mesi dalla notizia dell’avvenuta costituzione dell’usufrutto.

Si suole distinguere, in particolare, tra contratti aziendali, i quali hanno ad oggetto il godimento da parte dell’imprenditore di beni aziendali non suoi, e contratti di impresa, i quali sono invece quei negozi che attengono ai rapporti tra l’imprenditore ed i fornitori ovvero quelli riguardanti i rapporti con i clienti dell’impresa.

Un’altra peculiare figura di usufrutto è quella disciplinata dall’art. 1010 c.c., ossia l’usufrutto di eredità.

Con riferimento a tale fattispecie, dubbia è la natura giuridica della disposizione testamentaria che costituisce un diritto di usufrutto sull’intero asse ereditario o su una quota di esso.

Secondo l’orientamento prevalente, l’attribuzione di tale diritto configura una disposizione a titolo particolare e non attribuisce pertanto la qualità di erede ex art. 588 c.c.

In primo luogo, si osserva, il carattere necessariamente temporaneo del diritto di usufrutto mal si concilia con la perpetuità della qualità di erede. D’altra parte, evidente è la diversa responsabilità dell’usufruttuario per i beni ereditari.

Nell’usufrutto di eredità, inoltre, non si assiste ad una vera e propria successione, in quanto il diritto nasce ex novo in capo al beneficiario.

Infine, come al legatario, anche all’usufruttuario è imposto l’onere di domandare il possesso dei beni ereditari.

Per la S.C., pertanto, anche l’attribuzione di un usufrutto sull’intera eredità non consente di per sé di affermare in capo all’usufruttuario la qualità di erede, occorrendo all’uopo un’ulteriore manifestazione di volontà da parte del de cuius.

Come previsto espressamente dalla legge, l’usufruttuario dell’eredità o di una quota di essa è obbligato a pagare per intero o in proporzione della quota, le annualità e gli interessi dei debiti e dei legati di cui l’eredità è gravata.

Per il pagamento del capitale dei debiti o dei legati, invece, è in facoltà dell’usufruttuario fornire la somma occorrente, la quale gli deve essere rimborsata alla fine dell’usufrutto; se l’usufruttuario non può o non vuole effettuare tale anticipazione, il nudo proprietario può effettuare il pagamento e sulla relativa somma l’usufruttuario dovrà corrispondergli l’interesse durante l’usufrutto, oppure può in alternativa far vendere una porzione dei beni soggetti all’usufrutto fino alla concorrenza della somma dovuta.

Si discute se la responsabilità dell’usufruttuario per i debiti ed i legati abbia una valenza meramente interna, ossia possa valere esclusivamente nei rapporti con il nudo proprietario, ovvero se abbia carattere esterno, e possa come tale essere fatta valere anche dal creditore o dal beneficiario del legato.

Nonostante il nuovo art. 1010 c.c. non risolva la questione, l’orientamento maggioritario ritiene che la responsabilità dell’usufruttuario sia solo interna, e dunque possa essere fatta valere esclusivamente dall’erede.

A sostengo di tale conclusione depone la natura dispositiva della norma, nonché la sua collocazione, considerato che le disposizioni tra le quali è posta regolano esclusivamente il rapporto tra il proprietario e l’usufruttuario.

Un’altra questione inerente all’usufrutto di eredità concerne l’entità di tale responsabilità: per l’orientamento prevalente, stante la mancanza di una specifica indicazione in tal senso da parte della legge, non può accogliersi alcuna limitazione della responsabilità dell’usufruttuario; deve pertanto escludersi che l’usufruttuario possa rispondere solo con i frutti, in quanto ciò sarebbe contrario a quanto sancito dall’art. 2740 c.c.,  ovvero che sia tenuto solo fino alla concorrenza del valore degli stessi.

Per quanto riguarda invece il pagamento del capitale dei debiti e dei legati, esso non costituisce un obbligo per l’usufruttuario, bensì un onere: se egli non anticipa le somme indicate, infatti, il proprietario può a sua scelta eseguire lui stesso il pagamento, nel qual caso sorge l’obbligo dell’usufruttuario di corrispondere gli interessi, oppure far vendere una porzione di beni fino alla concorrenza della somma dovuta.

Si discute se all’usufruttuario che ha effettuato il pagamento di tali somme spetti la surrogazione legale nei diritti del creditore ex art. 1203 n. 3 c.c.: secondo l’opinione dominante la risposta è affermativa, in quanto non vi sarebbero ragioni per distinguere, sotto tale profilo, tra obbligo ed onere.

Quanto alla vendita dei beni oggetto dell’usufrutto da parte del nudo proprietario, si ritiene necessario che la stessa avvenga sulla base di un accordo con l’usufruttuario, in mancanza del quale è necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria.

Ciò, in particolare, allo scopo di tutelare l’interesse dell’usufruttuario all’individuazione dei beni da vendere, alla determinazione del prezzo di vendita e alla corretta destinazione della somma ricavata, la quale dovrà chiaramente essere destinata al pagamento dei debiti e dei legati.

Tra le peculiari figure di usufrutto deve ricordarsi quella avente ad oggetto un credito: in tale ipotesi, ai sensi dell’art. 1000 c.c., è concesso all’usufruttuario il diritto di riscuotere gli interessi, mentre per la riscossione del capitale è necessario il consenso del titolare del credito; come previsto da tale norma, infatti, il pagamento fatto ad uno solo di essi non è opponibile all’altro e, di conseguenza, il debitore potrebbe essere costretto a ripetere il pagamento.

Nei confronti del debitore, il diritto dell’usufruttuario diviene efficace quando a costui sia stata notificata la costituzione dell’usufrutto o egli l’abbia accettata.

L’usufrutto su credito, anzitutto, impone la necessità di valutare la validità di un diritto avente ad oggetto un altro diritto.

Ritenendo ammissibile la categoria dei diritti sui diritti, l’usufrutto potrebbe avere ad oggetto, oltre che un credito, anche un altro diritto reale, come per esempio il diritto dell’enfiteuta ovvero un altro usufrutto.

L’usufrutto dell’enfiteusi, in particolare, attribuirebbe al suo titolare un complesso di poteri e doveri analoghi a quelli previsti nell’usufrutto ordinario, con l’aggiunta degli obblighi tipici dell’enfiteuta: l’usufruttuario, dunque, avrebbe il diritto di percepire i frutti e le altre utilità derivanti dalla cosa, con l’obbligo però di effettuare il pagamento del canone enfiteutico e con il limite di godere del bene rispettando la sua destinazione economica, nonché con l’onere di migliorarlo.

Salvo che nell’ipotesi in cui l’enfiteusi si fosse estinta per consolidazione nella persona dell’enfiteuta – nella quale l’usufrutto si estenderebbe anche alla piena proprietà, con l’obbligo dell’usufruttuario di corrispondere all’enfiteuta divenuto proprietario gli interessi sul capitale di affrancazione o sulla somma che rappresenta il capitale dei canoni – negli altri casi l’estinzione dell’enfiteusi determinerebbe invece anche l’estinzione dell’usufrutto.

Nell’usufrutto su usufrutto, per contro, il secondo usufruttuario si sostituisce al primo nel godimento della cosa, appropriandosi dei frutti e delle altre utilità della cosa stessa.

Tanto premesso, parte della dottrina nega che l’usufrutto su crediti abbia carattere reale in quanto il titolare del credito conferisce all’usufruttuario solo il diritto al percepimento degli interessi, mentre per quanto concerne la riscossione del capitale si dovrebbe parlare di obbligazione a legittimazione congiuntiva.

Come detto, nella fase precedente alla sua scadenza è riservato all’usufruttuario il diritto di fare propri i frutti del credito.

Non sempre è tuttavia agevole distinguere la prestazione dei frutti da quella del capitale: si pensi al caso in cui il diritto di credito si identifichi in una rendita vitalizia; in tale ipotesi, infatti, non vi è dubbio che le singole rate del vitalizio debbano essere considerate come frutti e quindi siano appropriabili dall’usufruttuario.

Si ritiene che l’usufruttuario possa liberamente disporre del proprio diritto di percepire i frutti del credito; in ogni caso, gli atti di disposizione sono efficaci nei limiti in cui dura il diritto dell’usufruttuario.

A condizione che gli atti di disposizione non pregiudichino il diritto dell’usufruttuario, anche il creditore, d’altra parte, può disporre del credito soggetto all’usufrutto.

In applicazione della regola generale per cui i frutti civili si acquistano giorno per giorno, se al momento della cessazione dell’usufrutto risulta che l’usufruttuario ha anticipatamente riscosso una quantità maggiore di frutti rispetto a quella che gli sarebbe spettata in proporzione alla durata del suo diritto, egli avrà l’obbligo di restituirla al creditore.

Quanto alla fase successiva alla scadenza del credito, sotto la vigenza del vecchio codice si riconosceva in capo all’usufruttuario, ove la scadenza fosse precedente alla cessazione dell’usufrutto, il c.d. “ius exigendi”, ovvero il diritto di esigere il pagamento del credito dal debitore, con conseguente trasferimento dell’usufrutto sul bene che ne costituisce l’oggetto. Nel caso in cui tale oggetto fosse il denaro o un’altra cosa consumabile, dunque, l’usufrutto finiva per convertirsi in proprietà.

Tale impostazione non è stata accolta dal nuovo codice, ritenendo che la concessione dello “ius exigendi” all’usufruttuario potesse comportare un grave pregiudizio alle ragioni del creditore: nell’attuale impianto normativo, infatti, è previsto che la riscossione del capitale gravato da usufrutto debba necessariamente essere compiuta con il consenso di entrambi i soggetti coinvolti, ossia creditore ed usufruttuario.

Se uno dei soggetti interessati si rifiuta di prestare la propria partecipazione alla riscossione del credito, dovrà essere l’autorità giudiziaria, nel contraddittorio tra le parti, a determinare le modalità del pagamento e ad autorizzare il debitore a pagare liberandolo da ogni responsabilità.

Posto che l’art. 1000 c.c. fa salva l’applicazione delle norme in materia di cessione del credito, il debitore non può in ogni caso ritenersi liberato dall’obbligo di adempimento quando, anche prima della notificazione o dell’accettazione dell’avvenuta costituzione dell’usufrutto sul credito, adempia nelle mani del creditore e l’usufruttuario dimostri che egli era comunque a conoscenza dell’avvenuta costituzione.

In applicazione delle norme in materia di pagamento al creditore apparente, inoltre, il debitore può liberarsi nei confronti del creditore quando abbia adempiuto a favore dell’usufruttuario, ritenendolo in buonafede come cessionario del credito.

Avvenuta la riscossione del capitale, in particolare, questo non passa nella disponibilità dell’usufruttuario, ma deve essere investito in modo fruttifero: la disponibilità delle somme riscosse, dunque, è sottratta sia al proprietario che all’usufruttuario ed ognuno di essi conserva il proprio diritto, rispettivamente di proprietà e di usufrutto.

Le parti sono libere di convenire le condizioni dell’investimento e, in caso di dissenso, esse saranno determinate dall’autorità giudiziaria.

Nel caso in cui oggetto del credito non sia una cosa suscettibile di investimento fruttifero, invece, non può chiaramente applicarsi l’ultimo comma dell’art. 1000 c.c. e l’usufruttuario avrà diritto di conseguire il possesso della cosa, al fine di trarne le utilità che la stessa è suscettibile di dare, previa redazione dell’inventario e prestazione di idonea garanzia ai sensi dell’art. 1002 c.c. In tal caso, a seconda della natura della cosa, si applicheranno le norme generali dell’usufrutto o del quasi usufrutto.

Da ultimo, l’art. 1998 c.c. disciplina l’usufrutto avente ad oggetto un titolo di credito, il cui godimento dell’usufruttuario si estende ai premi e alle altre utilità aleatorie prodotte dal titolo ed il premio è investito a norma dell’art. 1000 c.c.

Nell’usufrutto di titoli, l’usufruttuario ha diritto di ottenere la consegna del documento nel quale è incorporato il credito, il quale attribuisce al suo possessore la c.d. legittimazione cartolare.

In caso di titolo nominativo, l’usufruttuario potrà richiedere la duplice annotazione sul titolo e sul registro dell’emittente, nonché il rilascio di un titolo separato da quello del proprietario ex art. 2025 c.c.


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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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