Le implicazioni giuridiche della Legge Marziale: un’analisi del caso coreano tra autorità militare e potere civile

Le implicazioni giuridiche della Legge Marziale: un’analisi del caso coreano tra autorità militare e potere civile

Abstract. La legge marziale costituisce uno strumento di governo che sospende temporaneamente l’ordinamento giuridico ordinario, attribuendo al controllo militare la gestione della sicurezza e dell’ordine pubblico durante situazioni di emergenza nazionale.

Questo studio si propone di esaminare il significato della legge marziale e le sue implicazioni costituzionali, con particolare attenzione al contesto storico e politico della Corea del Sud. Analizzando un recente caso emblematico di dichiarazione di legge marziale, l’indagine mira ad esplorare come tale provvedimento abbia influenzato l’equilibrio tra i poteri costituzionali, limitando i diritti civili e mettendo in discussione i meccanismi di controllo democratico.Lo studio indaga la base giuridica per la legge marziale sotto la Costituzione sudcoreana, il ruolo dell’esercito e la risposta dell’Assemblea Nazionale nell’esercizio della sua supervisione costituzionale.

Particolarmente significativo è stato l’intervento rapido dell’Assemblea nel revocare la legge marziale ed avviare la procedura di impeachment, dimostrando la resilienza delle istituzioni democratiche. La ricerca evidenzia come questa crisi abbia messo alla prova l’efficacia dei meccanismi di controllo e di bilanciamento costituzionale, rafforzando il controllo civile sull’autorità militare. I risultati contribuiscono ad una comprensione più ampia dei poteri d’emergenza nei sistemi democratici e dei meccanismi istituzionali necessari per prevenire i loro abusi e per la salvaguardia delle istituzioni civili.

 

Sommario: 1. Il significato della legge marziale ed il suo contesto storico − 2.  Caratteristiche e natura giuridica della legge marziale − 3. Proclamazione Legge Marziale – dicembre 2024  ‒ 3.1. Proclamazione dello Stato di Emergenza ed Ordinanza n.1 del Comando della Legge Marziale  ‒  4. La risposta istituzionale: considerazioni conclusive

 

1. Il significato della legge marziale ed il suo contesto storico

Il termine “legge marziale” deriva dal latino martialis, riferito a Marte, il dio della guerra nella mitologia romana. Nelle democrazie contemporanee, la governance delle forze armate si fonda sul principio costituzionale del controllo civile, secondo cui l’apparato militare è subordinato all’autorità politica civile, garantendo così l’equilibrio istituzionale tra potere civile e militare. Tuttavia, essa rappresenta una deroga a tale principio, consentendo un’inversione di questo ordine: in determinate circostanze eccezionali, le forze armate assumono il controllo, sospendendo temporaneamente l’autorità civile ed imponendo la propria giurisdizione sui diritti e le libertà fondamentali dei cittadini. Sebbene la legge marziale venga generalmente giustificata in relazione alla necessità di proteggere la sicurezza dello Stato, essa comporta un intervento diretto sui cittadini, trattandosi, quindi, di un’azione militare rivolta verso la popolazione civile anziché contro nemici esterni, come avviene nelle operazioni militari di guerra. In tale contesto, la legge marziale comporta un trasferimento delle competenze amministrative e giudiziarie alle forze armate, sospendendo diritti fondamentali, come la libertà di movimento e di espressione, e limitando le prerogative del sistema giuridico civile.

Dal punto di vista tecnico-giuridico, la legge marziale può essere definita come un regime eccezionale che si instaura in situazioni di grave emergenza per garantire la sicurezza dello Stato ed il mantenimento dell’ordine pubblico. Essa si caratterizza per l’adozione di misure legislative e regolamentari più restrittive rispetto ai periodi di c.d. normalità istituzionale, prevedendo il possibile esautoramento o forte limitazione del potere civile a favore del comando militare.

Si distingue, inoltre, da altri strumenti giuridici emergenziali, come lo stato di emergenza o lo stato d’assedio, per la sua caratteristica fondamentale, ovvero l’autorità militare sostituisce le istituzioni civili, assumendo poteri legislativi, esecutivi e giudiziari. La giustizia militare può prevalere su quella civile, con la possibilità di istituire tribunali militari straordinari. La sua applicazione, pertanto, varia in base alla gravità della minaccia e può assumere tre forme principali: legge marziale di guerra, legge marziale per insurrezione e legge marziale speciale.

La “legge marziale di guerra” viene dichiarata in caso di conflitto armato o invasione esterna, garantendo all’esercito il controllo delle operazioni civili e militari per la difesa nazionale; essa può comportare la censura dei media, la sospensione dell’habeas corpus e la sostituzione dei tribunali civili con tribunali militari.

La “legge marziale per insurrezione” viene, invece, attuata per fronteggiare crisi interne come rivolte, colpi di Stato o instabilità politica, consentendo all’autorità militare di assumere il comando dell’ordine pubblico e reprimere tali disordini attraverso mezzi specifici, quali il coprifuoco, le restrizioni della libertà di movimento e gli arresti senza mandato.

Infine, la “legge marziale speciale si applica in situazioni circoscritte, come attentati terroristici o gravi minacce alla sicurezza nazionale, e prevede misure temporanee più limitate, pur consentendo alle forze armate di intervenire con poteri rafforzati.

L’evoluzione della legge marziale ha portato alla formulazione di due principali categorie di situazione che giustificano la sua proclamazione, che possono essere identificate nella “emergenza esterna” e nella “emergenza interna“.

  1. Emergenza esterna: questo tipo di legge marziale viene proclamata durante guerre o in caso di minaccia militare da parte di un nemico straniero. La sua principale finalità è quella di concentrare tutte le risorse disponibili per difendere la sovranità dello Stato, di solito con l’intento di coordinare le operazioni belliche e mobilitare risorse umane e materiali in supporto alla difesa. In tal caso, le forze armate assumono il comando, sospendendo temporaneamente i diritti civili, inclusi quelli fondamentali, per evitare che le azioni della popolazione interferiscano con gli sforzi militari. La necessità di sospendere tali diritti è giustificata dalla gravità della situazione e dalla necessità di tutelare l’esistenza stessa dello Stato. In questo scenario, la legge marziale assume una funzione di emergenza militare, in cui l’obiettivo principale è quello di impedire il crollo del sistema di difesa nazionale, con un’ampia giustificazione a livello giuridico internazionale per l’imposizione di restrizioni temporanee dei diritti.

  2. Emergenza interna: la proclamazione della legge marziale in un contesto interno si verifica in situazioni di disordini civili, come rivolte, sommosse, o altre forme di instabilità politica che minacciano l’ordine pubblico ed il funzionamento delle istituzioni. In questo caso, l’intervento delle forze armate non è finalizzato alla difesa da un nemico esterno, ma al ripristino dell’ordine interno ed al controllo della situazione, generalmente a causa del fallimento o del collasso delle autorità civili nel mantenere la pace e la sicurezza.

La legge marziale in tempo di pace assume un carattere amministrativo o politico, e non solo giustifica l’intervento militare per l’instaurazione dell’ordine pubblico, ma può anche essere strumentalizzata dai governanti per sopprimere movimenti di dissenso o di minacce politiche. La sua applicazione, quindi, si distingue da quella in tempo di guerra, in quanto si basa sulla necessità di recuperare l’autorità civile e non di affrontare un nemico esterno. Tuttavia, questo tipo di legge marziale, se abusato, può divenire uno strumento di repressione politica, aumentando il rischio di abusi contro la popolazione.

Sul piano giuridico, l’applicazione della legge marziale deve rispettare i principi di necessità, proporzionalità e temporaneità, come stabilito dal diritto internazionale, in particolare dall’articolo 4 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), che consente agli Stati di derogare alcuni diritti fondamentali solo in circostanze eccezionali e con limiti ben definiti.

Il diritto internazionale vieta in ogni caso la sospensione di diritti inderogabili, come il divieto di tortura ed il diritto alla vita. Sebbene la legge marziale sia concepita come strumento emergenziale per proteggere lo Stato e l’ordine pubblico, il suo abuso può portare a derive autoritarie, motivo per cui la sua attuazione è soggetta a controlli costituzionali ed internazionali volti a garantirne la legittimità ed a prevenire violazioni dei diritti umani.

La possibilità di dichiarare la legge marziale è prevista in diversi ordinamenti giuridici, generalmente regolata da disposizioni costituzionali o leggi speciali che ne delimitano l’applicazione.

L’origine della legge marziale affonda le sue radici nei secoli XVII e XVIII, un periodo segnato dall’erosione del potere delle monarchie assolute e dall’affermazione del principio della sovranità popolare, come dimostrano eventi cardine quali la concessione della Magna Carta in Inghilterra e la Rivoluzione francese del 1789. Durante il periodo del regime assolutista, il concetto di legge marziale risultava inadeguato, poiché il sovrano esercitava un potere assoluto e discrezionale, privo di vincoli giuridici, che gli consentiva di limitare o annullare i diritti individuali senza dover giustificare tali misure con specifiche basi legali o costituzionali. In questo contesto, la distinzione tra l’ordinario esercizio del potere sovrano e le misure eccezionali non si poneva, poiché la sovranità stessa implicava la facoltà di adottare decisioni autoritarie senza alcuna formalità legale.

Tuttavia, con il progressivo passaggio del potere politico alla società civile e l’affermarsi di modelli di governo basati su costituzioni scritte e separazione dei poteri, si rese necessario introdurre un meccanismo che consentisse, in situazioni straordinarie, la temporanea sospensione dei diritti fondamentali e l’accentramento dei poteri esecutivi e giudiziari nelle mani delle autorità militari.

È in questo contesto che si sviluppò il concetto moderno di legge marziale, quale strumento eccezionale per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza dello Stato nei momenti di grave crisi istituzionale o di conflitto armato.

Il primo ordinamento a formalizzare la legge marziale fu la Francia rivoluzionaria, che nel 1791 introdusse la “Loi sur le maintien et la classification des zones militaires (Legge sulla gestione e classificazione delle aree militari)”. Questa normativa prevedeva che, in caso di attacco nemico, i poteri civili fossero integralmente trasferiti ai comandanti militari, sancendo così il principio della sostituzione dell’amministrazione civile con quella militare nelle aree soggette ad emergenza bellica. Tale principio venne successivamente consolidato con la Costituzione del 1848, che incluse specifiche disposizioni in materia di legge marziale, e con la promulgazione nel 1849 di una vera e propria Legge in materia (Loi sur l’état de siège)[1], che stabilì una chiara distinzione tra due diversi livelli di emergenza: “Stato di guerra” (état de guerre), previsto per situazioni di crisi meno gravi, in cui l’amministrazione civile continuava ad operare con alcune limitazioni, e “Stato d’assedio” (état de siège), applicato nei casi di emergenza estrema, in cui l’intera autorità civile veniva trasferita ai militari, i tribunali civili erano sostituiti dai tribunali militari ed il controllo governativo si accentuava significativamente. Tale modello francese divenne un riferimento normativo per numerosi ordinamenti giuridici successivi, tra cui quelli di Germania, Giappone e Corea, ed influenzò profondamente lo sviluppo delle moderne legislazioni emergenziali.

La legge marziale, pur costituendo una misura straordinaria giustificata dalla necessità di preservare l’ordine costituzionale, solleva questioni di compatibilità con i principi dello Stato di diritto, poiché nella maggior parte delle moderne democrazie costituzionali, il suo utilizzo è soggetto a rigorose limitazioni procedurali ed a un controllo parlamentare volto ad evitare abusi o deviazioni autoritarie.

Nel 1882, il Giappone, imitando il sistema francese, proclamò per la prima volta la “legge marziale” (戒嚴令). Come la Francia, il Giappone distinse la legge marziale in due categorie: “territorio di guerra” e “territorio di accerchiamento”. In condizioni di “territorio di guerra”, l’autorità del comandante militare si limitava alla supervisione delle questioni amministrative locali e dei compiti giudiziari relativi agli affari militari, mentre in uno scenario di “territorio di accerchiamento”, la giurisdizione militare si estendeva a tutte le funzioni amministrative locali ed alle questioni legali, conferendo al comandante marziale il controllo completo sulle attività civili e giuridiche.

È bene, però, precisare che il Giappone ha ufficialmente introdotto la “legge marziale” nel 1882 (15° anno dell’era Meiji) con la promulgazione della Costituzione dell’Impero del Giappone, che stabiliva in modo esplicito che solo l’Imperatore detenesse il potere di dichiararla. Storicamente, il Giappone ha proclamato due volte la legge marziale, durante la guerra sino-giapponese nel 1894 e la guerra russo-giapponese nel 1904. In entrambi i casi, la legge marziale fu adottata in risposta a conflitti esterni, con l’obiettivo di centralizzare il comando militare. Una volta conclusi i conflitti, le leggi marziali furono abrogate. Nella storia del Giappone ci sono stati anche casi di “legge marziale amministrativa”, dichiarati in risposta a situazioni di emergenza interna. Queste leggi marziali si applicavano solo a specifiche disposizioni e non erano di portata totale[2].

Successivamente, il 17 maggio 1947, la Costituzione del Giappone entrò in vigore, sostituendo quella dell’Impero del Giappone. Da quel momento, la base giuridica per la proclamazione della legge marziale fu rimossa dalla Costituzione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la sconfitta del Giappone e l’inizio dell’occupazione alleata (1945-1952), l’amministrazione militare statunitense introdusse significative riforme giuridiche.

Il General Headquarter (GHQ) degli Alleati emanò il Military Government Ordinance No. 11, che abolì le principali leggi repressive del periodo coloniale giapponese, tra cui la “Legge sul Mantenimento dell’Ordine Pubblico” e la “Legge sulla Punizione dei Crimini Politici”.

Va sottolineato che, sotto un’amministrazione militare come quella instaurata dagli Alleati in Giappone, la proclamazione formale dello stato di emergenza risultava superflua: l’occupazione militare e la legge marziale, infatti, si basano su principi giuridici simili, distinguendosi principalmente per il contesto di applicazione (interno vs. esterno). In altri termini, la legge marziale si applica all’interno del territorio di uno Stato come misura straordinaria per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, mentre l’amministrazione militare si riferisce all’esercizio del governo da parte delle forze armate in territori occupati da una potenza straniera.

Questo ha generato un dibattito dottrinale sulla reale natura della legge marziale sotto l’occupazione americana. Secondo il giurista Kim Chun-su[3], il sistema vigente in Giappone nel periodo 1945-1952 non può essere considerato una legge marziale in senso stretto, ma piuttosto una forma di «potere d’emergenza operante in un contesto di governo militare», il cui scopo era ripristinare l’ordine pubblico nelle aree sotto occupazione attraverso misure straordinarie.

Con l’entrata in vigore della Costituzione giapponese del 1947, caratterizzata da un forte impegno pacifista (Articolo 9)[4] e dalla subordinazione assoluta del potere militare all’autorità civile, la legge marziale venne definitivamente abolita dal sistema giuridico giapponese. Da allora, la gestione delle emergenze è affidata esclusivamente a normative di protezione civile e pubblica sicurezza, senza possibilità di una sospensione generalizzata dei diritti fondamentali.

Durante il periodo dell’occupazione giapponese (1910-1945) sul territorio coreano, il governo coloniale impose il proprio quadro normativo, includendo disposizioni di carattere marziale per mantenere il controllo sulla penisola.
Dopo la liberazione nel 1945, l’amministrazione militare statunitense (U.S. Army Military Government in Korea, USAMGIK) mantenne in vigore gran parte della legislazione giapponese, inclusa quella sulla legge marziale, come previsto dall’Ordine n. 21 del Governo Militare degli Stati Uniti[5]. Sebbene alcune leggi repressive dell’era coloniale, come la Legge sulla sicurezza pubblica” e la “Legge sulla punizione dei reati politici”, furono abrogate, il quadro giuridico di emergenza non subì modifiche sostanziali. Con la fondazione della Repubblica di Corea nel 1948, la legge marziale venne formalmente riconosciuta dalla Costituzione provvisoria, che all’Articolo 64 ne disciplinava la dichiarazione attraverso apposite disposizioni legislative. Nel 1949, il governo sudcoreano promulgò una propria Legge che tuttavia ricalcava quasi integralmente la struttura della normativa giapponese. In particolare, il concetto di “Stato di pre-guerra” (임전지경, imjǒn jigyeong) fu rinominato “Legge marziale di sicurezza” (경비계엄, gyeongbi gyeom), mentre lo “Stato d’assedio” (합위지경, hapwi jigyeong) fu ridenominato “Legge marziale d’emergenza” (비상계엄, bisang gyeom). Nonostante la modifica terminologica, la sostanza della normativa rimase pressoché invariata, mantenendo l’impostazione originaria giapponese, che attribuiva ampi poteri alle autorità militari, consentendo loro di sospendere i diritti fondamentali e di assumere il controllo delle funzioni amministrative e giudiziarie in situazioni di crisi. Questo retaggio giuridico solleva la necessità di un’analisi critica dell’attuale disciplina della legge marziale in Corea, ponendo interrogativi sulla sua compatibilità con i principi democratici e lo Stato di diritto.

La modernizzazione della normativa dovrebbe mirare a bilanciare la tutela della sicurezza nazionale con il rispetto delle libertà civili, garantendo al contempo una chiara delimitazione del potere militare ed un controllo efficace da parte delle istituzioni civili.

2. Caratteristiche e natura giuridica della legge marziale

A partire dal 1904, con l’istituzione dell’esercito di occupazione coreano (한국주차군, hanguk jucha-gun), il Giappone esercitò un controllo militare sulla penisola, precedendo formalmente l’annessione del 1910, sancita dal trattato dell’Eulsa[6].

Il comando delle forze giapponesi in Corea, affidato al governatore generale, esercitava un’autorità diretta sui militari giapponesi stanziati nel Paese e ne coordinava le azioni attraverso l’implementazione della legge marziale, che rappresentava il principale strumento di controllo e repressione. La presenza militare giapponese nella regione risaliva al 1875, con l’incidente della nave Unyo (운요호 사건), che segnò l’inizio di una progressiva espansione della presenza militare nipponica. A partire dal 1910, dopo l’annessione del Regno di Corea, l’esercito giapponese fu ufficialmente denominato “esercito di occupazione coreano” (조선주차군, Joseon jucha-gun) e, successivamente, nel 1919, il nome fu modificato in “Comando delle forze armate coreane” (조선군사령부, Joseon gunsaryeongbu). Insieme alla “Polizia Militare della Corea” (조선헌병사령부), l’esercito giapponese non solo governò la penisola, ma soffocò anche i movimenti di indipendenza coreani, come il Movimento di 1° marzo[7].

La fine del dominio giapponese nel 1945, con la liberazione della Corea, non comportò una cessazione immediata dell’uso della legge marziale. Durante il governo militare statunitense, che assunse il controllo della parte meridionale della penisola, la legge marziale continuò ad essere applicata per mantenere l’ordine, in particolare in risposta a conflitti interni. Il governo militare degli Stati Uniti utilizzò la legge marziale per reprimere rivolte armate da parte del Partito Comunista Coreano e dei manifestanti sindacali, tra cui eventi come la rivolta di Cheongju nel 1946, la quale vide l’uso di truppe statunitensi (inclusa la 6ª Divisione) per mantenere l’ordine.

Con l’istituzione della Repubblica di Corea nel 1948, il primo uso della legge marziale sotto il governo coreano avvenne per reprimere la “Ribellione di Yeosu-Suncheon[8]” mediante il Decreto Presidenziale n. 13, che dichiarò lo stato di “zona di assedio” nelle città di Yeosu e Suncheon. A quel tempo, poiché la legge marziale coreana non era ancora stata formalmente redatta, venne applicata la legislazione giapponese preesistente, riflettendo la continuità giuridica del periodo coloniale. Solo nel novembre del 1949 venne promulgata la prima legge marziale coreana, che fu utilizzata in modo esteso durante la Guerra di Corea nel 1950[9]. Durante quel conflitto, la legge marziale venne attuata a più riprese, a partire dal 8 luglio 1950, e continuò con estensioni e sospensioni fino al 28 luglio 1952, coprendo vari tipi di stato di emergenza tra cui il “Gyeongbi Gyeom” (stato di sicurezza) e il “Bisang Gyeom” (emergenza).

Con la promulgazione della Costituzione della Repubblica di Corea, l’articolo 64 riconobbe il potere presidenziale di dichiarare la legge marziale, stabilendo la base giuridica per la sua attuazione. L’articolo 100 della stessa Costituzione consentiva l’applicazione temporanea delle leggi marziali giapponesi fino alla creazione di un nuovo quadro giuridico. Questo scenario illustra non solo la continuità di un sistema di controllo militare, ma anche la complessità del processo di transizione verso una piena autonomia giuridica e politica per la Corea, che dovette confrontarsi con il retaggio di un regime coloniale autoritario, ed il suo impatto sulle pratiche giuridiche e politiche del Paese.

La Costituzione della Repubblica di Corea, all’articolo 77, paragrafo 1, stabilisce che, in caso di guerra, conflitto o altre situazioni di emergenza nazionale, il Presidente può dichiarare la legge marziale per rispondere alle necessità militari o per mantenere l’ordine pubblico.

La legislazione nazionale in materia di legge marziale distingue due categorie principali: la “legge marziale di emergenza” e la “legge marziale di sicurezza“. Sebbene entrambe siano destinate a situazioni in cui l’ordine pubblico è minacciato, esse si differenziano per il contesto e l’ambito di applicazione. Una delle principali criticità della normativa sulla legge marziale attualmente in vigore risiede nell’ambiguità che permea la distinzione tra le due categorie di legge marziale, poiché entrambe vengono impiegate in funzione di esigenze di sicurezza, ma con finalità che spaziano dalla tutela dell’ordine pubblico alla gestione delle operazioni di difesa nazionale.

La legislazione vigente, infatti, non fornisce una delimitazione chiara ed adeguata delle finalità e delle competenze associate a ciascuna tipologia di legge marziale, con il rischio concreto di generare situazioni di sovrapposizione tra le prerogative delle autorità civili e quelle militari.

In tale contesto, la legge marziale di emergenza, pur essendo concepita per rispondere a circostanze di conflitto armato o guerra, potrebbe essere applicata in modo improprio a situazioni di carattere civile, alimentando così il pericolo di abusi da parte degli organi di governo.

L’attuale disciplina giuridica coreana, relativa alla dichiarazione della legge marziale, presenta alcune criticità derivanti dall’ambiguità e dalla mancanza di chiarezza riguardo ai criteri di applicazione, in particolare per quanto concerne la nozione di “emergenza nazionale” ed il suo ambito di applicazione. La legge marziale può essere proclamata in presenza di una “situazione di guerra, conflitto armato o altre situazioni di emergenza nazionale”.

Tuttavia, l’espressione “altre situazioni di emergenza nazionale” non è adeguatamente definita e potrebbe includere contesti che non giustificherebbero l’intervento militare, come disordini civili o manifestazioni non violente che alterino l’ordine pubblico. Questo genera il rischio che l’esercito venga impiegato in circostanze non strettamente legate a conflitti armati. In tale scenario, la legge marziale potrebbe essere utilizzata come strumento di controllo politico, anziché come misura necessaria per la difesa della sicurezza nazionale. Inoltre, l’assenza di una definizione chiara dello “stato di emergenza nazionale” rende l’applicazione della legge marziale vulnerabile a interpretazioni discrezionali, potenzialmente condizionate da interessi politici. Ciò comporta il rischio che essa venga strumentalizzata per reprimere il dissenso o rafforzare il controllo dell’esecutivo, compromettendo così i principi democratici e lo Stato di diritto. Una revisione della legge potrebbe prevedere una definizione più rigorosa e precisa di “conflitto armato” e di “grave disturbo dell’ordine pubblico”, eliminando le ambiguità che potrebbero portare ad interpretazioni controverse. In particolare, l’articolo 2 della legge marziale coreana stabilisce che la legge marziale può essere proclamata in caso di “stato di conflitto armato con un nemico o in caso di grave disturbo dell’ordine pubblico tale da rendere estremamente difficile l’esercizio delle funzioni amministrative e giudiziarie”. Una maggiore chiarezza in tal senso contribuirebbe ad evitare conflitti interpretativi ed abusi nell’adozione della legge marziale.

Un ulteriore approfondimento potrebbe riguardare l’introduzione di una previsione normativa che consenta la proclamazione preventiva della legge marziale in caso di imminente conflitto, alla stregua di quanto previsto da altre giurisdizioni internazionali[10].

3. Proclamazione Legge Marziale – dicembre 2024

Il 3 dicembre 2024 alle ore 22:23 (ora coreana), il Presidente della Repubblica di Corea, Yoon Suk Yeol, ha proclamato lo stato di legge marziale, un provvedimento che non veniva adottato nel Paese dal 1980, quando un colpo di stato militare fu eseguito da Chun Doo-hwan dopo l’assassinio del presidente Park Chung-hee nel 1979.

La decisione è stata assunta in conformità con la Costituzione sudcoreana, la quale attribuisce al Presidente il potere di dichiarare la legge marziale qualora lo ritenga necessario per fronteggiare una minaccia alla sicurezza nazionale o per mantenere l’ordine pubblico mediante l’impiego delle forze armate. La Costituzione prevede, altresì, che tale dichiarazione debba essere sottoposta a revisione da parte del Gabinetto e notificata all’Assemblea Nazionale, la quale, qualora deliberi a maggioranza la revoca della misura, ne impone la cessazione. In seguito alla proclamazione della legge marziale, nella mattinata successiva si sono registrate diffuse manifestazioni di protesta, caratterizzate da un’ampia partecipazione di cittadini che si sono radunati presso l’Assemblea Nazionale ed in Piazza Gwanghwamun, nelle immediate vicinanze del Palazzo Gyeongbokgung a Seoul.

Ai sensi della normativa vigente, il comando della legge marziale è affidato ad un ufficiale generale in servizio attivo, nominato dal Presidente su raccomandazione del Ministro della Difesa.

Il comandante della legge marziale esercita un’ampia autorità, comprendente il potere di arresto, perquisizione, sequestro di beni, nonché la facoltà di imporre restrizioni alla libertà di espressione, di stampa, di assemblea e di associazione, assumendo, inoltre, la direzione delle istituzioni amministrative e giudiziarie nelle aree soggette al regime marziale, potendo adottare misure straordinarie per garantire l’effettiva attuazione del provvedimento. In tale contesto, l’applicazione della legge marziale si articola in tre principali modalità: il controllo amministrativo, mediante il quale il comando marziale supervisiona le istituzioni civili e giudiziarie conformemente all’Articolo 8 della “Legge sulla legge marziale”; l’adozione di misure straordinarie nei confronti della popolazione, basate sull’Articolo 9 della suddetta legge e sull’Articolo 77, comma 3, della Costituzione, che attribuiscono al comando marziale la competenza esclusiva in materia di investigazioni e giurisdizione militare; infine, l’impiego diretto delle unità militari per l’esecuzione degli ordini marziali sul territorio.

Dal punto di vista dell’amministrazione statale, la proclamazione della legge marziale non determina la sospensione delle funzioni governative, in quanto, anche in stato di guerra, l’esecutivo continua ad operare sotto un regime di emergenza. Di conseguenza, il ruolo primario dell’autorità marziale risiede nel garantire che le istituzioni statali possano contribuire efficacemente allo sforzo bellico, in linea con il principio della mobilitazione totale delle risorse nazionali.

A tal fine, il governo sudcoreano dispone già di un articolato sistema di pianificazione emergenziale, noto come “Piano Chungmu”, che prevede procedure dettagliate per il sostegno alle operazioni militari, il mantenimento delle funzioni amministrative e la tutela della stabilità sociale. In questo quadro, la legge marziale si configura come un dispositivo complementare al Piano, rafforzando la capacità di controllo e limitando le libertà civili al fine di assicurare l’efficace implementazione delle misure emergenziali. Le autorità marziali possono esercitare i propri poteri mediante l’adozione di misure repressive nei confronti di atti di disobbedienza civile che compromettano l’attuazione degli ordini di mobilitazione, il divieto di esportazione di materiali strategici e l’imposizione di restrizioni ai mezzi di comunicazione, al fine di prevenire la diffusione di informazioni non autorizzate.

Analogamente, possono disporre misure straordinarie non previste dal Piano, quali la requisizione di strutture ospedaliere per il trattamento dei feriti di guerra o la conversione di porti ed aeroporti civili in installazioni ad uso esclusivamente militare.

3.1. Proclamazione dello Stato di Emergenza ed Ordinanza n.1 del Comando della Legge Marziale

Il 3 dicembre 2024, il Presidente Yoon Suk Yeol ha proclamato la Legge Marziale, emanando l’Ordinanza n. 1, composta da sei disposizioni. Con tale atto, le forze armate sudcoreane sono state formalmente investite del comando delle operazioni legate alla Legge Marziale, assumendo il controllo diretto della gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.

L’ordinanza, firmata dal Generale dell’Esercito Park Ahn-su, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e Comandante della Legge Marziale, affermava che la proclamazione mirava a proteggere la democrazia liberale ed a garantire la sicurezza dei cittadini dalla minaccia posta da forze anti-statali operanti all’interno del Paese con l’obiettivo di sovvertire l’ordine costituzionale. Pertanto, con effetto a partire dalle ore 23:00 del 3 dicembre 2024, venivano stabilite le seguenti misure in tutto il territorio nazionale.

Proclamazione dello Stato di Emergenza in tutta la Repubblica di Corea

Al fine di proteggere la democrazia liberale e garantire la sicurezza dei cittadini dalla minaccia posta dalle forze anti-statali che operano clandestinamente all’interno della Repubblica di Corea e tentano di sovvertire l’ordine costituzionale, si proclama quanto segue, con effetto a partire dalle ore 23:00 del 3 dicembre 2024 sull’intero territorio nazionale:

  1. Sono vietate tutte le attività politiche, incluse le riunioni e le attività dell’Assemblea Nazionale, dei consigli locali e dei partiti politici, nonché qualsiasi forma di associazione politica, assemblea o manifestazione.

  2. È proibito qualsiasi atto volto a negare o sovvertire il sistema democratico liberale, così come la diffusione di notizie false, la manipolazione dell’opinione pubblica e l’istigazione attraverso informazioni ingannevoli.

  3. Tutti i mezzi di informazione e le pubblicazioni saranno soggetti al controllo dell’Autorità Marziale.

  4. Sono vietati scioperi, azioni di rallentamento del lavoro e qualsiasi forma di protesta che possa causare disordini sociali.

  5. Tutti i professionisti sanitari, inclusi i medici specializzandi e coloro attualmente in sciopero o che abbiano abbandonato le loro mansioni, devono riprendere servizio entro 48 ore ed adempiere ai propri doveri con diligenza. Il mancato rispetto di tale disposizione sarà sanzionato ai sensi della Legge Marziale.

  6. I cittadini onesti, ad eccezione delle forze anti-statali e degli elementi sovversivi, saranno tutelati affinché possano proseguire le loro attività quotidiane con il minimo disagio.

Chiunque violi la presente proclamazione sarà soggetto ad arresto, detenzione e perquisizione senza mandato, in conformità all’Articolo 9 della Legge Marziale della Repubblica di Corea (Potere Speciale del Comandante della Legge Marziale), e sarà perseguito ai sensi dell’Articolo 14 della medesima legge.

L’ordinanza ha rappresentato un intervento di portata significativa nell’ordinamento giuridico costituzionale della Repubblica di Corea, comportando l’introduzione di misure straordinarie di controllo politico, sociale ed economico, presentate dal governo come necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico e la tutela della sicurezza nazionale.

I principali aspetti dell’Ordinanza in esame richiedono un’analisi approfondita sotto il profilo giuridico e politico, considerando la finalità dichiarata, la portata normativa e gli effetti sui diritti fondamentali. In termini giuridici, occorre esaminare la compatibilità delle disposizioni previste con i principi costituzionali, valutando la loro coerenza con le norme che regolano lo stato di emergenza e i limiti imposti alla sospensione dei diritti individuali. Sul piano politico, è cruciale valutare l’impatto dell’Ordinanza sulla separazione dei poteri e sull’autonomia del Parlamento, nonché gli effetti sulla struttura del sistema democratico. Infine, gli effetti sulle libertà fondamentali devono essere esaminati alla luce del principio di proporzionalità, verificando se le restrizioni introdotte siano giustificate dalla gravità della situazione e se siano rispettosi degli standard internazionali sui diritti umani.

Sospensione delle attività politiche e parlamentari: l’articolo 1 dell’ordinanza sancisce il divieto di attività dell’Assemblea Nazionale, dei consigli locali, dei partiti politici e di qualsiasi forma di associazione politica, compresi comizi, manifestazioni e cortei di protesta. Questa misura rappresenta una sospensione delle istituzioni rappresentative e del pluralismo politico, collocandosi in una zona di conflitto costituzionale. Sebbene l’articolo 77 della Costituzione consenta restrizioni straordinarie, la sospensione dell’attività parlamentare contrasta con il principio di separazione dei poteri, elemento cardine dello stato di diritto. Inoltre, essa impedisce qualsiasi forma di scrutinio democratico sulle azioni del governo, eliminando di fatto il sistema di checks and balances previsto dalla Costituzione.

Divieto di attività sovversive e controllo dei media: l’articolo 2 stabilisce il divieto di negare o sovvertire il sistema democratico liberale, criminalizzando la diffusione di notizie false, la manipolazione dell’opinione pubblica e l’istigazione attraverso informazioni ingannevoli. Tutti i mezzi di comunicazione e le pubblicazioni vengono posti sotto il controllo dell’Autorità Marziale. Questa disposizione introduce una forma di censura preventiva in violazione del principio di libertà di espressione, sancito dall’articolo 21 della Costituzione della Corea del Sud e protetto dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Divieto di scioperi e proteste: l’articolo 3 vieta scioperi, azioni di rallentamento del lavoro e qualsiasi forma di protesta. Questa misura colpisce direttamente i diritti sindacali e la libertà di riunione, garantiti sia dalla Costituzione sudcoreana che dalle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) di cui la Corea del Sud è firmataria.

Se interpretata in senso estensivo, questa norma potrebbe compromettere il diritto dei lavoratori a negoziare collettivamente, con un impatto significativo sui rapporti di lavoro e sulle dinamiche di rappresentanza sindacale.

Obbligo di ripresa dell’attività per il personale medico: l’articolo 4 impone ai medici specializzandi ed agli operatori sanitari in sciopero di riprendere servizio entro 48 ore, pena l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge marziale. Questa disposizione rappresenta un’ingerenza diretta nel diritto di sciopero e nell’autonomia professionale del personale medico, vincolandoli all’obbligo di servizio sotto minaccia di sanzioni penali.

Sebbene l’interesse pubblico alla tutela della salute collettiva possa giustificare restrizioni in situazioni di emergenza, la minaccia di pene detentive e provvedimenti coercitivi introduce un elemento repressivo in contrasto con il principio di proporzionalità delle misure restrittive.

Garanzia della normalità per i cittadini “Non Sovversivi”: l’articolo 5 stabilisce che i cittadini onesti saranno tutelati da misure volte a minimizzare i disagi nella vita quotidiana, ad esclusione degli elementi sovversivi.

Sanzioni e poteri del Comandante della Legge Marziale: l’articolo 6 conferisce poteri di arresto, detenzione e perquisizione senza mandato nei confronti di chiunque violi l’ordinanza, in conformità agli articoli 9 e 14 della Legge sulla Legge Marziale. Questa disposizione collide con il principio di garanzia giurisdizionale e il diritto ad un giusto processo, sancito dall’articolo 12 della Costituzione sudcoreana.

L’ordinanza, da una prospettiva strettamente giuridica,  si fonda sul combinato disposto dell’articolo 77 della Costituzione della Repubblica di Corea e delle disposizioni della Legge sulla Legge Marziale (계엄법, gyeombeop).

L’articolo 77, comma 3, stabilisce che, in caso di dichiarazione dello stato di emergenza, è possibile adottare misure straordinarie che incidono su diritti fondamentali, tra cui la libertà di espressione, di associazione e di movimento.

La “Normativa sulla Legge Marziale”, in particolare l’articolo 9, conferisce al Comandante della Legge Marziale poteri straordinari, che comprendono la facoltà di procedere ad arresti, detenzioni, perquisizioni e restrizioni delle libertà individuali senza la necessaria autorizzazione giudiziaria preventiva. Tuttavia, la Costituzione prevede che la proclamazione della legge marziale debba essere sottoposta a revisione da parte dell’Assemblea Nazionale, la quale ha il potere di revocarla con un voto a maggioranza. Tale meccanismo costituisce un limite formale ai poteri dell’esecutivo, ma l’interdizione delle attività parlamentari disposta dall’ordinanza solleva dubbi sulla reale efficacia di un controllo da parte dell’organo legislativo, limitando di fatto la possibilità di un’efficace supervisione.

De facto, nonostante l’adozione dell’ordinanza e le misure restrittive imposte dal governo, l’Assemblea Nazionale della Repubblica di Corea è riuscita a riunirsi nelle prime ore del 4 dicembre 2024 e ad adottare una risoluzione di revoca della legge marziale. Alle ore 1:00 (ora coreana), la mozione è stata approvata con 190 voti favorevoli su 190 membri presenti, su un totale di 300 seggi parlamentari. Questo evento rappresenta un momento storico nella crisi istituzionale, poiché evidenzia il ruolo del Parlamento quale organo di controllo costituzionale e mette alla prova l’efficacia della separazione dei poteri di fronte ad un’escalation autoritaria.

L’azione dell’Assemblea Nazionale trova il suo fondamento nell’articolo 77 della Costituzione della Repubblica di Corea, che disciplina la proclamazione e la revoca della legge marziale. Tale articolo, al comma 5, stabilisce che: “quando l’Assemblea nazionale richiede la revoca della legge marziale con il voto concorde della maggioranza dei membri totali dell’Assemblea nazionale, il Presidente è tenuto ad ottemperare a tale richiesta.”

Questo dispositivo giuridico attribuisce al Parlamento il potere di controllo sullo stato di emergenza, in linea con il principio democratico di supremazia del potere legislativo rispetto all’esecutivo in materia di limitazioni ai diritti fondamentali. La votazione della risoluzione rappresenta dunque un’azione conforme al dettato costituzionale ed una chiara affermazione della volontà parlamentare di ripristinare l’ordine costituzionale. La revoca della legge marziale, avvenuta in un clima di tensione politica e mobilitazione popolare, ha prodotto effetti immediati sulla situazione istituzionale e militare. Alle 1:12, appena 12 minuti dopo l’approvazione della risoluzione, le truppe schierate presso il terzo cancello dell’Assemblea Nazionale hanno ricevuto l’ordine di ritirarsi. Questo segnale indica una transizione di potere ed il ripristino dell’autorità civile sulle operazioni militari, confermando che il comando dell’esercito ha accettato l’esito della deliberazione parlamentare. Parallelamente alla deliberazione dell’Assemblea Nazionale ed all’adozione della risoluzione di revoca della legge marziale, si è manifestata una significativa reazione della popolazione civile, che ha rivestito un ruolo fondamentale nell’accelerare la decisione legislativa. Un aspetto rilevante della vicenda riguarda la reazione delle forze armate di fronte alla decisione parlamentare di revocare la legge marziale. La rapida ritirata delle truppe schierate presso il terzo cancello dell’Assemblea Nazionale, avvenuta 12 minuti dopo il voto parlamentare, suggerisce una assenza di opposizione militare al ripristino della normale attività parlamentare.

Il ruolo del Generale Park Ahn-soo risulta cruciale in questo contesto. La sua decisione di non intraprendere azioni repressive dopo l’approvazione della risoluzione parlamentare suggerisce una volontà di non opporsi all’autorità legislativa.

Il ritiro delle truppe, così come la mancanza di azioni violente in risposta alle manifestazioni popolari, suggeriscono un intento deliberato di prevenire il deterioramento della situazione e di salvaguardare l’integrità del sistema democratico del paese, confermando una pianificazione strategica volta a preservare l’equilibrio politico senza ricorrere alla repressione militare.

4. La risposta istituzionale: considerazioni conclusive

L’improvvisa dichiarazione della legge marziale da parte del presidente Yoon Suk-yeol, avvenuta in un contesto di instabilità politica e sociale, ha generato un’immediata e significativa reazione all’interno delle istituzioni democratiche della Corea del Sud. Il provvedimento, percepito come una minaccia alla separazione dei poteri e all’ordine costituzionale, è stato interpretato da una larga parte della classe politica e della società civile come un tentativo di consolidamento del potere esecutivo attraverso la sospensione di alcune libertà fondamentali garantite dalla Costituzione.

La sua applicazione ha sollevato interrogativi circa la legittimità dell’azione presidenziale ed il rispetto del principio di proporzionalità nell’uso di misure straordinarie per la gestione della crisi interna. In risposta alla proclamazione della legge marziale, l’Assemblea Nazionale ha avviato rapidamente un’azione legislativa per contrastare quella che è stata interpretata come una sovversione dell’ordine costituzionale. L’impeachment del presidente Yoon è stato formalmente avviato con una mozione presentata in via d’urgenza, approvata con un significativo margine di 204 voti favorevoli contro 85 contrari. L’accusa mossa al capo dello Stato si è articolata su tre capi d’imputazione principali:

  1. insurrezione, con riferimento al tentativo di consolidamento del potere attraverso l’uso improprio dello strumento della legge marziale;

  2. abuso del potere esecutivo, per aver superato i limiti costituzionali nell’applicazione di misure straordinarie non giustificate da una minaccia imminente;

  3. violazioni costituzionali, in relazione alla sospensione di diritti civili e politici fondamentali senza il necessario scrutinio legislativo.

L’approvazione dell’impeachment ha attivato il meccanismo previsto dall’ordinamento sudcoreano, sospendendo immediatamente i poteri del presidente in attesa della deliberazione della Corte Costituzionale, cui spetta la decisione finale sulla destituzione; a seguito dell’approvazione della mozione da parte dell’Assemblea Nazionale, il primo ministro Han Duck-soo ha assunto il ruolo di capo dell’esecutivo ad interim. La sua amministrazione ha concentrato i propri sforzi su tre aree strategiche fondamentali per garantire la stabilità della Repubblica di Corea: i) ristabilire la governance civile ed il primato delle istituzioni democratiche; ii) revocare la legge marziale;           iii) introdurre riforme per prevenire futuri abusi del potere esecutivo e gestire la stabilità economica e sociale per ridurre l’impatto della crisi politica sul paese.

Nel contesto della crisi istituzionale sudcoreana del 2024, la Corte Costituzionale[11] ha assunto un ruolo di primaria importanza. L’articolo 65 della Costituzione della Repubblica di Corea stabilisce che, in caso di impeachment approvato dal Parlamento, spetta alla Corte Costituzionale valutare la fondatezza delle accuse e deliberare sulla possibile rimozione del presidente. Tale processo non è un mero atto formale, ma rappresenta un momento rilevante per la tenuta dello stato di diritto ed il consolidamento della democrazia costituzionale.

L’imposizione della legge marziale ha rappresentato una sfida senza precedenti per il sistema democratico della Corea del Sud, mettendo alla prova la resilienza istituzionale del paese.

Ciò nonostante, la pronta reazione dell’Assemblea Nazionale, l’intervento del primo ministro Han Duck-soo e l’avvio della procedura di impeachment hanno dimostrato l’efficacia dei meccanismi di controllo e bilanciamento (checks and balances) previsti dalla Costituzione, evidenziando il ruolo del Parlamento nel garantire il rispetto dell’ordine costituzionale e riaffermando la capacità delle istituzioni democratiche di rispondere tempestivamente a tentativi di sovversione. Parallelamente, l’intervento della Corte Costituzionale ha confermato l’importanza del controllo giurisdizionale nella valutazione della legittimità delle decisioni dell’esecutivo, sottolineando come l’architettura istituzionale sudcoreana sia strutturata per prevenire abusi di potere e garantire la tutela dello stato di diritto. La crisi ha, inoltre, sollevato la necessità di un rafforzamento dei meccanismi di supervisione democratica, affinché strumenti emergenziali come la legge marziale non possano essere impiegati per finalità politiche anziché per reali esigenze di sicurezza nazionale.

Sebbene l’episodio abbia evidenziato alcune fragilità nel sistema politico, ha anche dimostrato che le istituzioni democratiche della Corea del Sud possiedono la capacità di affrontare con efficacia crisi politiche ed emergenze costituzionali, riaffermando la centralità del principio di legalità e la volontà collettiva di preservare la continuità istituzionale del Paese.

 

 

 

 

 

 

[1] La legge del 9 agosto 1849 sullo stato d’assedio rappresenta una delle principali normative che ha definito i contorni giuridici del regime di stato d’assedio in Francia, essendo stata adottata durante il periodo della Seconda Repubblica. Questa legge ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del quadro giuridico francese, costituendo la base per l’articolo 36 della Costituzione della Quinta Repubblica, promulgata il 4 ottobre 1958. La legge del 9 agosto 1849, pur essendo stata modificata in seguito dalle leggi del 3 aprile 1878 e del 27 aprile 1916, ha mantenuto un’importanza centrale, stabilendo i principi fondamentali che regolano l’implementazione dello stato d’assedio. In particolare, l’articolo 36 della Costituzione del 1958, che si riferisce all’état de siège, rappresenta oggi il fondamento giuridico per il regime di stato d’assedio sotto la Quinta Repubblica, il cui regime giuridico è stato successivamente codificato nei successivi articoli L. 2121-1 e seguenti del Codice della Difesa.
[2] I casi più rappresentativi includono l’incidente di “Hibiya” nel 1905, il “Terremoto del Kanto” del 1923 e l'”Incidente del 26 febbraio” del 1936.
[3] Kim, Chunsu. 1946~1953년 계엄의 전개와 성격 (Lo sviluppo e la natura della legge marziale tra il 1946 e il 1953), tesi di dottorato, Università Sungkyunkwan, 2013, p. 17.
[4] Art. 9. – Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, ed alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire, l’obbiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto.
[5] Sul punto, consultare https://db.history.go.kr/contemp/level.do?levelId=husa_003_0050_0050.
[6] Il Trattato dell’Eulsa, firmato il 17 novembre 1905, segnò un passo decisivo nel processo di asservimento della Corea al Giappone, e viene comunemente considerato un trattato ineguale. Il termine “trattato ineguale” si riferisce a quegli accordi internazionali stipulati sotto coercizione, che pongono una parte in una condizione di inferiorità giuridica e politica rispetto all’altra. Nel caso del trattato in questione, la Corea, pur mantenendo una facciata di indipendenza, fu costretta a cedere il controllo delle sue politiche estere, militari e di difesa al Giappone. Sebbene il trattato fosse formalmente un accordo bilaterale, le condizioni di firma furono imposte dalle circostanze di estrema pressione politica e militare, con il Giappone che, attraverso una minaccia velata di invasione, ottenne il potere di gestire gli affari internazionali e militari della Corea. La firma del trattato, che venne sottoscritto dal governo coreano sotto forti pressioni, ha limitato in modo significativo la sovranità della Corea, riducendola ad uno stato di protettorato sotto il controllo giapponese.
[7] Il Movimento del 1° marzo (in coreano: 3.1 운동, “Sam-il Undong“) è stato un’importante protesta popolare ed un movimento di indipendenza che si è svolto in Corea il 1° marzo 1919, durante il periodo di colonizzazione giapponese. Questo movimento rappresenta una delle manifestazioni più significative di resistenza contro il dominio coloniale giapponese e ha avuto un impatto profondo sulla storia della Corea.
[8] La Ribellione di Yeosu-Suncheon,  verificatasi nell’ottobre del 1948, rappresenta uno degli episodi più significativi della transizione della Corea del Sud verso un regime repubblicano. L’insurrezione, scatenata da soldati delle forze di sicurezza sudcoreane, in gran parte ex partigiani comunisti, fu una reazione contro il governo di Syngman Rhee, accusato di corruzione ed autoritarismo. La rivolta, che si estese principalmente nelle città di Yeosu e Suncheon, era alimentata dalla frustrazione per la divisione della penisola coreana e dalla percezione di un governo illegittimo, soprattutto dopo la creazione della Repubblica di Corea nel sud.
[9] Nel corso della guerra di Corea (1950-1953), la legge marziale aveva un carattere fortemente militare, con misure come il controllo delle risorse materiali e umane, il monitoraggio delle attività civili e l’attuazione di politiche di sicurezza per mantenere l’ordine sociale e sostenere gli sforzi di guerra. Ad eccezione dell’episodio noto come “incidenti politici di Busan”, che coinvolgeva questioni interne, la maggior parte delle leggi marziali durante questo periodo aveva una funzione prevalentemente militare, mirata a garantire l’efficacia dell’impegno bellico e il mantenimento della stabilità durante il conflitto.
[10] In Francia, la legge sull’emergenza (état d’urgence) del 1955 prevede l’impiego delle forze di polizia per il mantenimento dell’ordine pubblico, limitando l’intervento militare ai casi in cui la violenza armata sia effettivamente presente. Analogamente, in altri paesi come il Regno Unito e la Germania, l’intervento militare è riservato a situazioni di violenza armata diretta, non estendendosi a circostanze di disordini non violenti.
[11] La Corte Costituzionale, istituita nel 1988, ha il compito di garantire la supremazia della Costituzione e di proteggere il sistema democratico dagli abusi del potere esecutivo.
Bibliografia
Sitografia
4)  https://dokdo.mofa.go.kr/m/it/pds/pomflet_03.jsp – testo del trattato dell’Eulsa (versione italiana);
5)  https://elaw.klri.re.kr/eng_service/lawView.do?hseq=1&lang=  – testo della Costituzione coreana (versione inglese);
6)  https://elaw.klri.re.kr/eng_mobile/viewer.do?hseq=45785&type=part&key=13  – testo del Martial Law Act (versione inglese).
Per un maggiore approfondimento sul tema, si consiglia:
  • Cho, Sung Yoon. The Republic of Korea: History of Martial Law. Washington, D.C.: Far Eastern Law Division, Law Library, Library of Congress, 1971.
  • Mishak, Keith Ola. Martial Law in South Korea: Lessons from History, Warnings for the Future. Independently Published, December 2024.

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