Le imposte dirette
L’imposta può definirsi come il prelievo di ricchezza che viene eseguito in maniera coattiva da parte dei soggetti cui lo Stato ha attribuito potere impositivo, in coerenza con il disegno Costituzionale fissato all’art. 53 Cost., secondo cui ogni consociato ha il dovere di contribuire alle spese generali in ragione della propria capacità contributiva.
Nell’ottica di questa fondamentale norma dunque, il legislatore dell’epoca ha stabilito un sistema contributivo di tipo proporzionale, in base al quale i soggetti aventi maggiori disponibilità economiche sono tenuti a concorrere alle spese in misura maggiore rispetto ai soggetti meno abbienti.
Doverosa menzione merita poi l’art. 23 Cost., che postula il principio di legalità tributaria, a tutela della libertà e proprietà dei singoli, secondo cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non dalla fonte legislativa, previsione già presente nello Statuto Albertino.
Ciò posto, nel nostro ordinamento giuridico attuale è possibile operare una summa divisio tra imposte dirette ed indirette: queste ultime, a differenza di quelle dirette, comportano l’imposizione fiscale solo nel momento in cui la ricchezza viene consumata o trasferita, e si spostano da soggetti diversi rispetto a quelli tenuti a pagarle (si pensi a titolo esemplificativo, all’IVA), determinando una differenza dei prezzi di determinati beni o servizi per il consumatore finale.
Le prime invero vanno a colpire la ricchezza in maniera per così dire “statica”, non nel momento in cui viene prodotta, ed a loro volta si differenziano in base all’oggetto ed al destinatario dell’imposizione, e tra esse si annoverano in particolare:
1) IRAP (imposta regionale delle attività produttive): è una imposta di tipo proporzionale che presuppone lo svolgimento di una attività volta alla produzione o scambio di beni e servizi, (e che dunque non si configura come imposta sul reddito), cui sono tenuti tutti i soggetti, persone fisiche o giuridiche, esercenti attività commerciale. L’aliquota di tale imposta è pari al 4,25%, avendo le singole Regioni la possibilità di cambiarla non oltre un punto percentuale.
2) IRPEF (imposta sule reddito delle persone fisiche): tassa progressiva ad aliquote crescenti per scaglioni, e precisamente:
Fino ad euro 15.000 euro 23%
da 15.001 euro a 28.000 euro 27%
da 15.001 euro a 28.000 euro 27%
da 28.001 euro a 55.000 euro 38%
da 55.001 euro a 75.000 euro 41%
oltre i 75.000 euro 43%
3) IRES (imposta sul reddito delle società): imposta che prende in considerazione quale base imponibile una somma derivante dalla sottrazione tra reddito fiscale d’impresa e le perdite maturate dall’impresa stessa negli esercizi precedenti; sull’ammontare così calcolato si applicherà una aliquota del 27,5%.
In limine appare opportuno precisare come non si deve confondere tra imposta da un lato, e tassa dall’alto; la tassa difatti è un tributo che un soggetto è tenuto a versare come prezzo per avere usufruito di un servizio statale, servizio che deve essere caratterizzato dalla c.d. “divisibilità”, ovvero dalla possibilità di sua destinazione al singolo individuo.
L’imposta invero si differenzia perché presuppone semplicemente una attività posta in essere dal soggetto passivo, senza che vi sia un servizio pubblico dal quale il primo abbia tratto un qualche beneficio.
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Avv. Claudio Tarulli
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