Le intercettazioni preventive come strumento di prevenzione dei fenomeni di terrorismo

Le intercettazioni preventive come strumento di prevenzione dei fenomeni di terrorismo

La risposta alla minaccia terroristica non può basarsi solo su un complesso sistema di apparati finalizzati alla neutralizzazione e risoluzione di eventi di rischio ma dobbiamo comprendere che la controffensiva alle minacce al nostro sistema Paese si gioca sulla scacchiera della prevenzione attraverso tutta una serie di strumenti previsti dal nostro Ordinamento. Esso infatti, grazie alle recenti modifiche operate dal legislatore, vuole realizzare e istituire un insieme di strumenti a disposizione delle forze di polizia e del comparto intelligence al fine di realizzare una adeguata lotta ai fenomeni di terrorismo proprio alla luce dei recenti attentati avvenuti nel cuore del mondo occidentale. Il legislatore è intervenuto in ambito penale anticipando la soglia di punibilità per determinate condotte, è intervenuto in ambito procedurale con l’attribuzione di competenza per i reati concernenti il terrorismo in capo al Procuratore Nazionale Antimafia (DNA), ha previsto l’aumento dei reati che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza in qualità di reati “spia”. Ma l’intervento più rilevante si è avuto nella disciplina concernente le intercettazioni telefoniche preventive e i colloqui con soggetti in stato di detenzione. La riflessione che andremo a svolgere nelle prossime righe non avrà quindi l’esclusiva funzione di analizzare lo strumento delle intercettazioni ma anche di comprendere quali siano i limiti ed eventuali problematiche alla luce del diritto alla segretezza della corrispondenza costituzionalmente tutelato dall’articolo 15 della Costituzione. L’articolo 15 della Costituzione ci ricorda infatti che la Repubblica riconosce, ovvero prende atto, dell’inviolabilità della corrispondenza. Ovviamente per corrispondenza non deve essere intesa esclusivamente come comunicazione di natura epistolare cartacea ma, alla luce dell’evoluzione tecnologica, deve essere intesa in senso ampio ricomprendendo all’interno della stessa qualsiasi forma di comunicazione. Pertanto anche le interazioni umane che avvengono tramite mail, social network, applicazioni di messaggistica istantanea sono coperti dall’articolo 15 della Costituzione. Inoltre si cercherà di analizzare la diversa modalità di incisione di tale diritto sotto il profilo dell’attività di Polizia, come soggetto delle indagini preliminari e soggetto di prevenzione, e del Servizio di Informazione per la Sicurezza della Repubblica, come soggetto che invece opera su un piano diverso da quello della fase delle indagini come momento del procedimento penale.  Con il termine intercettazione si vuole intendere la captazione occulta e contestuale di comunicazioni e messaggi tra soggetti da parte di altri soggetti che non vi partecipano. Non rientrano quindi all’interno della nozione di intercettazione, con tutte le conseguenze di natura legale, le acquisizioni di tabulati telefonici, il collocamento di dispositivi GPS in grado di localizzare soggetti e le registrazioni di comunicazioni tra persone operate da soggetti, anche in intesa con le forze di polizia, che sono presenti nella conversazione stessa.

Nel nostro sistema esistono due tipologie di intercettazioni: a)le intercettazioni a fini processuali; b) le intercettazioni preventive. Le intercettazioni a fini processuali rientrano tra i mezzi di ricerca della prova e sono utilizzate e disposte nel corso di un procedimento penale secondo le norme previste dagli articoli 266 e seguenti del Codice di Procedura Penale.  La captazione di qualsiasi forma di comunicazione (telecomunicazioni, comunicazioni mediante sistemi informatici ex articolo 266 bis del Codice di Procedura Penale, intercettazioni ambientali, anche all’interno del domicilio ex articolo 266 c.3 del Codice di procedura penale) è ovviamente sottoposta a limiti e garanzie previsti dallo stesso codice al fine di tutelare la privacy delle persone. Per quanto concerne i limiti dobbiamo rilevare che ne esistono di due ordini: i limiti soggettivi, in relazione a soggetti che non possono essere intercettati[1] e limiti di natura oggettiva[2]. Si ritiene che tali strumenti possano essere utilizzati esclusivamente per quei reati di elevata gravità ex art 266 C.p.p. Inoltre ci sono anche dei necessari presupposti ovvero la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico e l’assoluta necessità per la prosecuzione delle indagini. Nel caso di intercettazioni ambientali domiciliari è altresì richiesto il fondato sospetto che nei luoghi si sita svolgendo una attività criminosa.

Nell’ambito di questa tipologia di intercettazione non sussistono solo garanzie sostanziali ma anche procedurali. Il Pubblico Ministero, salvo che per casi di urgenza per le quali può disporre il compimento delle intercettazioni con decreto motivato convalidato dal giudice entro 48 ore, deve richiedere al GIP specifica autorizzazione al compimento delle stesse. Il nostro Codice stabilisce inoltre anche limiti di carattere temporali. Le intercettazioni non possono superare i 15 giorni[3] salvo proroghe ex articolo 267 del Codice di Procedura Penale. Al fine di realizzare una tutela della privacy di terzi sono fissate le modalità di compimento delle operazioni e conservazione delle relative risultanza. Compiere intercettazioni fuori dai casi previsti dalla legge comporta l’applicazione della sanzione dell’inutilizzabilità delle stesse.

Le intercettazioni preventive invece non mirano ad accertare fatti costituivi di reato ma hanno come ratio la prevenzione degli stessi ovvero il come indirizzare l’attività investigativa pro accertamento e trovano disciplina all’interno dell’articolo 226 delle Norme di Attuazione del Codice di Procedura Penale. Il presupposto è l’esistenza di elementi investigativi che giustificano l’attivazione di una attività di prevenzione in relazione a particolari delitti ovvero quelli concernenti la criminalità organizzata, terroristica o eversiva[4]/[5]  Tale istituto trova origine negli anni 70 e più precisamente in seguito al dilagante fenomeno del terrorismo[6].

L’aspetto che dobbiamo sottolineare è che per questa tipologia di intercettazioni non è previsto il controllo di natura giurisdizionale in senso stretto in quanto la loro disposizione è attribuzione della magistratura requirente nella figura del procuratore della Repubblica del capoluogo di distretto. L’articolo 226 delle Norme di Attuazione del Codice di Procedura Penale stabilisce infatti che il Ministro dell’interno o, su sua delega, i responsabili dei Servizi centrali di cui all’articolo 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nonché il questore o il comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza, richiedono al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione, l’autorizzazione all’intercettazione di comunicazioni o conversazioni, anche per via telematica, nonché all’intercettazione di comunicazioni o conversioni tra presenti anche se queste avvengono nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale quando sia necessario per l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 e 51, comma 3-bis. Il Ministro dell’interno può altresì delegare il Direttore della Direzione investigativa antimafia limitatamente ai delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis. Il procuratore della Repubblica, qualora vi siano elementi investigativi che giustifichino l’attività di prevenzione e lo ritenga necessario, autorizza l’intercettazione per la durata massima di giorni quaranta, prorogabile per periodi successivi di giorni venti ove permangano i presupposti di legge.  L’autorizzazione alla prosecuzione delle operazioni è data dal pubblico ministero con decreto motivato, nel quale deve essere dato chiaramente atto dei motivi che rendono necessaria la prosecuzione delle operazioni. Con le modalità e nei casi di cui ai commi 1 e 3, può essere autorizzato il tracciamento delle comunicazioni telefoniche e telematiche, nonché l’acquisizione dei dati esterni relativi alle comunicazioni telefoniche e telematiche intercorse e l’acquisizione di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni.  In ogni caso le attività di intercettazione preventiva di cui ai commi precedenti, e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate[7].Ulteriormente non potranno essere il fondamento di una notizia crimins in quanto il loro scopo è quello di stimolare l’autorità.  Tuttavia è da rilevare di come la giurisprudenza abbia dichiarato che il divieto  di  utilizzazione  dei  risultati  di  intercettazioni  preventive  concerne  la  prova  del  reato,  questa  esposta  alla  pubblicità  del  giudizio,  non  la  sua  mera  funzione  di  fonte  della  relativa  notizia, rispetto alla quale, una volta ottenuta, il p.m. deve ricercare gli elementi necessari per la  sua  determinazione  all’esercizio  dell’azione  penale,  e  perciò  ricorrere  a  fonte  diversa.  La necessità di ricerca di tale diversa fonte, ancorché omologa, per sé garantisce il rispetto dell’articolo 15 della Costituzione, in questo secondo momento, disciplinato esclusivamente dal codice di rito[8].  Delle operazioni svolte e dei contenuti intercettati è redatto verbale sintetico che, unitamente ai supporti utilizzati, è depositato presso il procuratore che ha autorizzato le attività entro cinque giorni dal termine delle stesse. Il procuratore, verificata la conformità delle attività compiute all’autorizzazione, dispone l’immediata distribuzione dei supporti e dei verbali.

L’articolo 226 delle Norme di attuazione del Codice di Procedura non ha sempre avuto la formulazione attuale ma ha subito interventi soggettivi e oggettivi. In passato- come da vecchia formulazione- si era pensato di attribuire le funzione di autorizzazione delle intercettazioni preventive in capo ai procuratori della Repubblica, l’articolo 226 delle Norme di attuazione del Codice di Procedura Penale recitava “a richiesta del Ministro per l’interno o, su sua delega, esercitata anche per il tramite del prefetto competente, a richiesta del questore, del comandante del gruppo dei carabinieri, del comandante del gruppo della guardia di finanza […] il procuratore della Repubblica del luogo ove le operazioni devono essere eseguite può autorizzare l’intercettazione di comunicazioni o conversazioni telefoniche quando sia necessaria per le indagini in ordine ai delitti indicati nel primo comma dell’articolo 165-ter”[9]. Successivamente però, per evitare rapporti tra la magistratura requirente operativa sul territorio e servizio di intelligence si era pensato di attribuire l’onere di autorizzazione in capo al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Tuttavia con un D.L del 2005 si è attribuita tale funzione al procuratore della Repubblica del capoluogo del distretto[10]. Altre modifiche all’istituto delle intercettazioni preventive, intervenute post 1992 in seguito alle stragi mafiose , è avvenuto con il D.L 306 del 1992 che convertito successivamente il legge n 356/92 istituiva un’altra tipologia delle stesse. L’articolo 25 ter della legge 356/92 prevedeva infatti che le forze di polizia potessero richiedere l’esecuzione di intercettazioni preventive, laddove ritenessero necessaria per la prevenzione dei reati di cui all’articolo 51 comma 3bis del codice. Si veniva quindi a creare un dualismo in tale tipologia di intercettazioni e così, anche in seguito agli attentati del giorno 11 settembre, il legislatore ha abrogato l’articolo 25 ter della legge 356/92 e riorganizzato interamente la disciplina di cui all’articolo 226 delle Norme di attuazione del Codice di Procedura Penale. La nuova formulazione prevede che il Ministro dell’Interno o, su sua delega, i responsabili dei servizi centrali nonché il questore o il comandante provinciale dei carabinieri e della guardia di finanza possano avanzare la richiesta di autorizzazione alle intercettazioni preventive al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso in cui questo non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione tutte le volte il cui lo ritengano necessario  per  l’acquisizione  di  notizie  concernenti  la  prevenzione  di  delitti  di  cui  agli  articoli  407, comma 2, lett. a) e 51, comma 3bis del codice. Le modifiche hanno allargato la possibilità di realizzare intercettazioni in ambienti domiciliari. Nel 2005 è intervenuta un’altra modifica che ha ampliato l’alveo dei soggetti prevedendo che anche il Presidente del Consiglio dei Ministri in qualità di direttore politico del comparto intelligence può attraverso i direttori delle agenzie AISI E AISE  chiedere autorizzazione per il compimento di tale tipologia di intercettazioni al fine di realizzare un’ampia prevenzione in materia di terrorismo.

Un’ulteriore recente intervento, operato nel 2015 con D.L, al fine di intervenire in quei meccanismi di auto radicalizzazione, soprattutto tramite il web, ha previsto ed esteso l’utilizzo dell’istituto ai delitti tentati o consumati con finalità di terrorismo di  cui  all’articolo  51,  comma  3quater  del Codice di procedura penale commessi  mediante  l’impiego  di  tecnologie informatiche o telematiche.  Le intercettazioni preventive non godendo di garanzie non potranno avere nessuna rilevanza in un eventuale successivo procedimento penale in quanto la loro funzione è essenzialmente investigativa. Non potranno nemmeno essere utilizzate a fini di contestazioni in dibattimento, infatti non a caso bisogna poi disporne la distruzione una volta che siano state utili o meno a fini di prevenzione salvo che non ricorra una specifica autorizzazione da parte della magistratura requirente ad una conservazione per un periodo non superiore a mesi ventiquattro. Dopo questa breve analisi dell’istituto delle intercettazioni preventive dobbiamo porci inevitabilmente delle domande sulla legittimità o meno delle stesse, del resto non dobbiamo dimenticare, come si era annunciato nelle prime pagine, l’esistenza dell’art 15 della Costituzione che tutela la segretezza delle comunicazioni in un’ottica di tutela della privacy delle persone. Dobbiamo ulteriormente ricordare di come la tutela delle stesse sia stata stabilita anche in sede europea all’interno dell’art 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Da un lato dobbiamo ricordare che senza dubbio si verifica una lesione dei principi sopra indicati ma è anche vero che sono rispettati anche i canoni previsti dalla Costituzione.

L’incisione del diritto alla segretezza della corrispondenza viene infatti inciso esclusivamente in quei specifici casi indicati dalla legge e comunque su autorizzazione del procuratore della Repubblica del capoluogo del distretto che pur facendo parte della magistratura requirente riveste pur sempre un ruolo di tutela delle garanzie costituzionali. Pertanto ci si dovrebbe orientare verso una visione che vede rispettati i principi di riserva di legge e di giurisdizione. Ulteriormente non possiamo non rilevare la legittimità costituzionale dell’istituto alla luce dell’articolo 2 della Costituzione. Se la Repubblica riconosce, ovvero prende atto dei diritti inviolabili dell’uomo non può anche non realizzare anche una seria attività di prevenzione anticipata degli stessi al fine di evitare una lesione irreparabile. Il diritto di un soggetto, come si dice “in odore di terrorismo” può e deve essere sacrificato per la tutela di una pluralità di diritti in capo ad altri soggetti in un’ottica di realizzare una piano Difesa Civile.

L’unica critica che può essere mossa è in ordine al rispetto piano della riserva di giurisdizione. Una parte della dottrina afferma infatti che conferendo il potere autorizzatorio in capo al P.M si verrebbe a perdere quella condizione di terzietà e imparzialità di cui godono i magistrati della magistratura giudicante. In altre parole il P.M verrebbe visto come un soggetto di parte.  Parte della dottrina afferma infatti che è d’altronde ragionevole – anche se non assolutamente pacifico – ritenere che l’articolo 15 comma 2 della Costituzione laddove afferma che la limitazione delle forme di comunicazione possa avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, debba essere inteso nel senso che il giudice, e non il rappresentante dell’accusa, possa legittimare delle limitazioni in questo contesto. E’ solo ragionando in tal modo che si verrebbe ad offrire ad un organo in posizione imparziale il compito di comporre il conflitto tra le ragioni dell’autorità e quelle della libertà”[11].

Ulteriormente” non si può fare a meno di rilevare, tuttavia, che sia le intercettazioni preventive per così dire ordinarie […] sia quelle introdotte quale strumento di contrasto al terrorismo internazionale nella disponibilità dei Servizi di sicurezza, evidenziano una vistosa distonia con la riserva di giurisdizione, poiché affidano il potere di autorizzare la captazione al p.m. e non al giudice”[12].

Tuttavia non possiamo rilevare di come il P.M diventi parte nella dinamica del procedimento e non anche in una situazione ante procedimento.

Pertanto la critica che afferma che il P.M  non sia davvero imparziale deve ritenersi superata in quanto non siamo ancora nella fase del procedimento vero e proprio. L’unico problema che potrebbe sussistere sul piano pratico è sull’eventuale abuso di tale situazione. L’autorizzazione rilasciata dal P.M non deve estrinsecarsi in una sorta di nulla osta ovvero di implicita autorizzazione ma deve prevedere una serie analisi degli elementi che l’autorità di polizia porta per chiedere la captazione delle comunicazioni dello stesso.
Quindi il regime autorizzatorio non deve essere solamente un pro forma ma è corretto, nella tutela della privacy, che entri nel dettaglio della motivazione delle stesse ovvero che il P,M  debba compiere una seria attività di bilanciamento dei diritti in sede di autorizzazione. Quindi deve concludersi, nonostante ci siano ugualmente alte posizioni di carattere dottrinale, che l’istituto delle intercettazioni preventive risulta essere legittimo. Dopo aver analizzato la disciplina giuridica delle intercettazioni preventive è interessante analizzare anche il funzionamento tecnico delle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali operate dall’Autorità di Polizia e dal comparto Intelligence.  Dobbiamo fin da subito affermare che tale argomento è complesso per ogni lettore soprattutto per chi non ha conoscenze di carattere tecnico-informatico.

Nonostante ciò si cercherà di spiegare in maniera semplice modalità, funzionamento e tipologie di strumenti oggi sul mercato. Per quanto concerne le intercettazioni telefoniche è necessario spiegare prima come funziona la rete GSM.  I nostri cellulari, quando non sono in modalità offline, comunicano costantemente con le stazioni radio presenti sul territorio anche quando non riceviamo o effettuiamo chiamate. Quando invece si attiva una comunicazione incomincia l’attività di trasferimento dei dati. Il telefono converte le parole della voce in un insieme di segnali digitali, essi giungono poi al trasmettitore che li trasferisce ad un’altra stazione più vicina al soggetto interlocutore. I dati dalla stazione di arrivo vengono inviati, tramite un software IMS, al cellulare che trasforma nuovamente il segnale digitale in voce. E’ in questo passaggio che può avvenire l’intercettazione delle comunicazioni. E’ infatti possibile inserire una serie di numeri, a richiesta dell’Autorità, nella finestra di dialogo IMS (Warrant list). A questo punto le comunicazioni, dalle c.d centrali di commutazioni, non solo invieranno i dati al telefono del destinatario dei dati ma faranno anche una copia degli stessi che saranno poi inviati alle Forze dell’Ordine.  In altri termini le telecomunicazioni GSM avvengono in un circuito ovvero si viene a creare una connessione tra due telefonini sulla rete che può essere di diversi tipi, con cavi di rame, di fibra ecc. Il punto teorico di incontro sulla rete si chiama Mobile Switching center. E’ qui, all’interno del RES- remote Equipment Subsystem, contenuto a sua volta nel MSC, che vengono effettuate le copie delle comunicazioni sulla base delle richieste effettuate dalle Procure della Repubblica. I servizi SAG- Servizi per l’Autorità Giudiziaria di TelecomItalia aggiorna manualmente i numeri da sottoporre a controllo nel RES  inserendo il numero telefonico o il numero IMEI del telefono cellulare laddove il soggetto usi più  SIM sullo stesso apparato. Il sistema ovviamente manifesta comunque delle carenze e rischi rappresentati dai c.d insider, persone appartenenti agli apparati di intercettazione che possono avvisare i numeri sotto controllo, come è successo nel caso “Tiger team telecom” e “Le talpe di Palermo”, e persone che al contrario, potrebbero intercettare, attaccando telematicamente il RES, comunicazioni di soggetti non essendo autorizzati. Un aspetto ulteriore da analizzare è quello dei canali anonimi, sim anonime e sim intestate a terzi. Per canali anonimi si intende la difficile attività di intercettazioni di quelli che possono essere apparati non riferibili al soggetto.

L’aspetto diventa più complesso con le c.d sim anonime. Esse, oggi non più vendibili, permettevano al soggetto si acquistare una sim anonima senza dover mostrare documenti di riconoscimento per la registrazione. In questo modo il soggetto disponeva di un telefono non associabile alla persona da intercettare. Il problema è stato superato con la legge Pisanu ma ancora oggi viene aggirato tramite la possibilità di comprare sim intestandole a persone fittizie.

Spesso, in servizi televisivi si vista la possibilità, spesso presso locali di stranieri, di acquistare sim, pagando un sovrapprezzo per non essere registrati. Il commerciante poi intestava la sim a qualche prestanome che si vedeva quindi intestate tantissime utenze telefoniche.


[1] Cfr. Art 266 del Codice Penale, Testo coordinato ed aggiornato del Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 .

[2]  L’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati: a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; e) delitti di contrabbando) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono f-bis) delitti previsti dall’articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1  del medesimo codice, nonché dall’art. 609-undecies;f-ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516 e 517-quater del codice penale;f-quater) delitto previsto dall’articolo 612-bis del codice penale.2. Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa

[3]Cfr Art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203 utilizzabilità per 40 gg delitti criminalità organizzata.

[4] Cfr. Art. 51-bis, comma 3, c.p.p, Testo coordinato ed aggiornato del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447.

[5] Cfr. Art. 407, comma 2, lett. a, n. 4, c.p.p, Testo coordinato ed aggiornato del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447.

[6] Cfr. Art. 9 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, recante “Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati”, conv. in l.18.

[7] Cfr. RAFACI,” Intercettazioni e acquisizione di tabulati telefonici, in AA.VV, Contrasto al terrorismo interno e internazionale”, a cura di Kostoris- Orlandi, Giappichelli, 2006.

[8] Cass., sez. V, 27 settembre 2000, n. 11500, Buccarella. Tale orientamento era già stato espresso da Cass., sez. V, 18 agosto 1998, Nigro.

[9]Cfr.  Art 225 Disp. Att C.p.p, D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 – Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.

[10] Cfr. Art. 1, comma 8, d.l. 6 settembre 1982, n. 629, conv. in l. 12 ottobre 1982, n. 726.

[11] Cfr. GARUTI,”Le intercettazioni preventive nella lotta al terrorismo internazionale”, in Dir. pen. proc., 2005, n. 12.

[12] Cfr.  DI BITONTO, “Terrorismo internazionale, procedura penale e diritti fondamentali in Italia”, in Cass. pen., 2012, p. 1197.


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