Le linee guida adottate dall’Anac alla luce delle precisazioni rese dal Consiglio di Stato (parere n. 855 del 2016)
Il nuovo decreto legislativo n. 50/2016 costituisce il riferimento normativo principale attualmente in vigore in tema di contratti pubblici.
Con tale intervento normativo lo Stato italiano ha attuato le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
Il decreto è destinato ad essere attuato non per il tramite di un unico regolamento, ma di molteplici atti attuativi richiamati nel corpo del decreto senza alcuna organicità.
Il Consiglio di Stato in funzione consultiva (parere 1 aprile 2016, n.855) ha individuato all’uopo tre tipi di atti attuativi.
Il primo può ravvisarsi nel corpo dell’art. 214 del d. lgs. 50/2016, che facoltizza il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ad adottare, su proposta dell’Anac, linee guida di interpretazione e di indirizzo, perché sia assicurata l’uniforme interpretazione e applicazione delle norme del nuovo c.d. codice degli appalti.
Lo strumento normativo utilizzato per attuare il decreto è qui da ravvisarsi nel decreto ministeriale, attraverso il quale è possibile adottare regolamenti nelle materie di competenza del ministro.
Il fenomeno è da ricondursi alla ordinaria e tipica forma di regolamento, previsto e disciplinato dalla L. 400/1988, pertanto non si pongono problemi interpretativi di sorta sulla ammissibilità o meno dello strumento.
Il nuovo codice fa poi riferimento, tra gli atti attuativi dello stesso, alle linee guida dell’Autorità nazionale anticorruzione all’art. 213, che vale ad attribuire espressamente alla autorità de qua la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e un potere di regolazione sugli stessi, servendosi di linee guida, contratti o bandi tipo, oltre ad altri strumenti di regolazione flessibile, per garantire la promozione dell’efficienza e della qualità delle stazioni appaltanti.
Le linee guida, in questo caso, non sono vincolanti, di tal che è possibile considerarle come la naturale espressione del potere di regolazione tipico delle Autorità amministrative indipendenti, in grado di esprimere mere direttive, in un’ottica perfettamente in linea con gli scopi che l’Anac è chiamata a perseguire.
Proprio per il carattere non vincolante, dunque, neanche in questo caso si pongono dubbi in ordine alla ammissibilità dello strumento all’interno del sistema.
Al contrario per l’ultima forma di atto attuativo del decreto che il nuovo codice prevede e disciplina. Si tratta delle linee guida dell’Anac, questa volta dotate del carattere della vincolatività, che non si giustifica nemmeno a livello nominalistico, attesa la mera funzione direttiva che normalmente caratterizza le linee guida adottate da un ente. Si veda, per esemplificare, l’art. 83 del d. lgs. 50/2016.
Si può parlare di poteri normativi delle Autorità amministrative indipendenti?
La più attenta dottrina non ha mancato di dubitare in ordine alla ammissibilità di veri e propri poteri normativi in capo alle Autorità amministrative indipendenti.
Ed invero, tali enti godono di poteri di regolazione nell’ambito di settori specifici, ma ci si è posti l’interrogativo relativamente alla possibilità di considerare questi poteri alla stregua del generale potere di regolamentazione di fonte costituzionale.
L’art. 117 Cost. ripartisce la potestà regolamentare tra lo Stato e le Regioni, in base alle rispettive competenze, mentre l’art. 17 L. 400/1988 disciplina il procedimento di adozione del regolamento. La problematica che si pone in ordine alla ammissibilità di regolamenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti è da individuarsi nella mancanza di una legittimazione formale, stante il difetto di legittimazione democratica richiesto dall’art. 1 della Carta dei diritti e, di conseguenza, della correlata responsabilità politica. Si tratta, invero, di enti aventi natura amministrativa e non politica, pertanto non è dato riscontrare una legittimazione formale in ordine all’esercizio di poteri normativi.
Al riguardo non può tacersi che una parte della dottrina ha ritenuto sussistente una legittimazione, certamente non formale, ma sostanziale in capo alle Autorità amministrative indipendenti, attesa la natura soggettiva e oggettiva delle stesse, connotata da qualità e strutture in grado di agire in attuazione del principio di neutralità e adottando decisioni caratterizzate da un elevato grado di tecnicismo. Tali circostanze varrebbero, secondo tale orientamento dottrinale, a superare l’ostacolo della rigida tipicità delle fonti normative e a fondare una legittimazione, seppure non formale in capo a tali enti.
La questione interessa, altresì, l’aspetto della collocazione degli atti regolatori delle Autorità amministrative indipendenti nell’ambito della gerarchia delle fonti. Il nostro ordinamento è difatti improntato in base al principio di tipicità, ispirato a un formalismo stringente, facilmente desumibile dall’art.1 delle disposizioni sulla legge in generale, che elenca tra le fonti del diritto le leggi, i regolamenti e gli usi.
Di recente si è, di certo, assistito all’emersione di forme di regolamentazione flessibile, c.d. soft law, proprio al fine di superare la rigidità dello strumento normativo e garantire un approccio meno rigoroso in taluni settori caratterizzati da un accentuato dinamismo. Tale approccio, però, mal si concilia con l’ordinamento giuridico nel suo complesso, connotato dal principio di tipicità delle fonti a garanzia del generale principio di legalità.
Poste tali doverose premesse occorre precisare che le c.d Authorities hanno natura amministrativa, pertanto si tratta di enti facoltizzati, al più, ad adottare atti amministrativi generali, ma non di certo regolamenti.
La distinzione tra le due figure è ben precisa, in quanto il regolamento è connotato dai caratteri della generalità, dell’astrattezza, della vincolatività erga omnes, nonchè dalla funzione innovativa dell’ordinamento, mentre l’atto amministrativo generale, sebbene caratterizzato anch’esso dal requisito della generalità, manca dell’attitudine a innovare l’ordinamento. I due atti differiscono, altresì, in termini di strumenti di tutela invocabili innanzi al giudice amministrativo, dal momento che il regolamento può essere soltanto disapplicato, trattandosi di un atto normativo, mentre l’atto amministrativo generale può essere oggetto di una pronuncia di annullamento. Tale distinzione si spiega in base al principio di separazione dei poteri, che vale ad escludere forme di ingerenza tra potere giudiziario e politico.
Per le ragioni finora esposte, appare più opportuna la classificazione delle linee guida adottate dall’Anac, sebbene vincolanti, tra gli atti amministrativi generali, coerentemente con i principi di legalità, di tipicità delle fonti del diritto e della gerarchia delle stesse, escludendo la configurabilità di veri e propri poteri normativi di regolamentazione in capo alle Autorità amministrative indipendenti, dotate di poteri di mera regolazione, in linea rispetto alla natura amministrativa delle stesse.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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