Le misure cautelari personali: natura, oggetto e impugnazioni
L’elaborazione dello strumento delle misure cautelari nasce dall’esigenza di veder limitata la libertà personale dell’indagato o dell’imputato quando da tale libertà possa derivare un pregiudizio per il procedimento in corso.
Sappiamo bene che nel nostro sistema vige il principio della presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva, sancito dall’art. 27 co. 2 della Costituzione. Pertanto, la limitazione della libertà personale in una fase antecedente alla conclusione del procedimento potrebbe apparire in contrasto con i principi costituzionali.
Ma, come anticipato e anche chiarito dal Giudice delle leggi, nella Sentenza n. 265 del 21 Luglio 2010, questo contrasto è meramente apparente. Precisa infatti la Consulta che, come rilevato già nella Sentenza n. 64 del 1970, “l’applicazione delle misure cautelari non può essere legittimata in alcun caso esclusivamente da un giudizio anticipato di colpevolezza, né corrispondere – direttamente o indirettamente – a finalità proprie della sanzione penale, né, ancora e correlativamente, restare indifferente ad un preciso scopo (cosiddetto “vuoto dei fini”). Il legislatore ordinario è infatti tenuto, nella tipizzazione dei casi e dei modi di privazione della libertà, ad individuare – soprattutto all’interno del procedimento e talora anche all’esterno (sentenza n. 1 del 1980) – esigenze diverse da quelle di anticipazione della pena e che debbano essere soddisfatte – entro tempi predeterminati (art. 13, quinto comma, Cost.) – durante il corso del procedimento stesso, tali da giustificare, nel bilanciamento di interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è stato ancora giudicato colpevole in via definitiva”. Tra l’inizio del procedimento penale e l’emissione della sentenza può passare, infatti, un periodo di tempo anche molto ampio, durante il quale possono sorgere pericoli per l’accertamento dei fatti. Per evitare che ciò avvenga, le misure cautelari consentono una limitazione di alcune libertà fondamentali dell’individuo, tra cui la libertà personale, di circolazione, la libertà di disporre dei beni mobili e immobili.
Tuttavia, essendo la libertà personale (così come gli altri diritti citati) un diritto costituzionalmente garantito, come si evince dall’art. 13 della nostra Carta fondamentale ai sensi del quale “la libertà personale è inviolabile”, per poter procedere alla sua limitazione è necessario che ricorrano determinati presupposti. Tant’è vero che la stessa norma consente delle restrizioni alla libertà personale dell’individuo purché tale restrizione sia disposta con un atto motivato dell’autorità giudiziaria (riserva di giurisdizione) e si tratti di uno dei casi e modi previsti dalla legge (riserva di legge).
In attuazione della riserva di legge il legislatore ha disciplinato le misure cautelari nel libro IV del codice di rito. Caratteristiche fondamentali di tali misure sono: la strumentalità delle stesse rispetto al procedimento penale, in quanto volte ad evitare che il tempo o altre circostanze vanifichino le esigenze procedimentali; l’urgenza circa la necessità di intervenire prontamente per neutralizzare tali pericoli; la provvisorietà, in quanto essendo misure limitative delle libertà fondamentali dell’individuo devono avere una durata limitata nel tempo e sono suscettibili di essere revocate o modificate dal giudice; l’immediata esecutività , ossia l’idoneità del provvedimento ad essere attuato coattivamente anche contro la volontà della persona interessata; l’impugnabilità.
Classificazione. Il codice sancisce una classificazione delle misure cautelari distinguendole in personali e reali: le prime comportano una compressione della libertà personale sotto vari aspetti; le seconde incidono sul patrimonio dell’individuo, limitandone il potere di disposizione.
A loro volta le misure cautelari personali si suddividono in coercitive e interdittive.
Le misure coercitive (artt. 281 e ss.) sono classificate in ordine crescente di gravità: quelle obbligatorie vincolano il soggetto al rispetto di determinati obblighi imposti dal giudice; quelle custodiali privano del tutto il soggetto della libertà personale, costringendolo in un determinato luogo stabilito dal giudice.
Sono misure cautelari coercitive obbligatorie il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, divieto e obbligo di dimora.
Rientrano tra le misure cautelari coercitive custodiali gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in carcere, la custodia cautelare in luogo di cura.
Le misure cautelari interdittive (artt. 287 e ss.) invece comportano la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione o il divieto di esercitare una professione.
Le misure cautelari reali sono: il sequestro preventivo e il sequestro conservativo.
Le condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali. Ai fini dell’applicazione delle misure cautelari personali è necessario che ricorrano determinate condizioni: la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, così come disposto dall’art. 273. Si ritengono sussistenti i gravi indizi laddove all’esito di una valutazione di tipo prognostico effettuata dal giudice, lo stesso ritiene altamente probabile che nel futuro giudizio giungerà ad una condanna dell’imputato. In tal senso hanno concluso le SS.UU. del 2006, chiarendo che i “gravi” indizi di colpevolezza sono cosa diversa dagli indizi “gravi, precisi e concordanti” cui fa riferimento l’art. 192, co. 2.
La seconda condizione è indicata dal comma 2 dell’art. 273, qualificata come punibilità in concreto e consiste nell’assenza di cause di giustificazione o di non punibilità, di una causa di estinzione del reato o della pena che si ritiene possa essere irrogata. Trattasi, dunque, di un requisito di carattere negativo: la presenza di una di tali cause impedisce l’applicazione della misura cautelare.
Infine, deve trattarsi di un reato di una certa gravità, tant’è vero che è previsto un certo limite edittale affinchè si possa procedere all’applicazione della misura. Ai sensi degli artt. 280 e 287 cpp, infatti, la misura cautelare coercitiva o interdittiva può essere applicata ai reati puniti con l’ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a tre anni; per la custodia cautelare in carcere è richiesto un limite edittale maggiore, ovvero si richiede che il reato sia punito con la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni.
Le esigenze cautelari. Verificata la sussistenza delle precedenti condizioni, ai fini dell’applicazione delle suddette misure è necessario che ricorrano anche le esigenze cautelari indicate dall’art. 274 cpp. Pertanto, di volta in volta, il giudice dovrà verificare se ricorre taluna delle seguenti condizioni: il pericolo di inquinamento della prova, da intendersi come pericolo concreto e attuale che l’acquisizione della prova possa essere compromessa; il pericolo di fuga da parte dell’imputato e, in particolare, si fa riferimento sia ai casi in cui l’imputato si sia già dato alla fuga, sia ai casi in cui sussista un concreto pericolo che possa darsi alla fuga (è necessario in tal caso che la pena da irrogare sia superiore ai 2 anni); il pericolo di reiterazione di altri delitti di uguale o diversa specie da quello per cui si procede. Risulta comunque pacifico ormai che possono considerarsi rilevanti, ai fini della valutazione della sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa (e di conseguenza della attualità dello stesso), i precedenti contenuti nel certificato penale piuttosto che i procedimenti pendenti dell’indagato, essendo questi idonei ad indicare la presenza di un concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, ove riguardino ipotesi delittuose caratterizzate da eventi similari oppure, a maggior ragione, identici.
Verificata la sussistenza delle condizioni generali di applicabilità e il ricorrere di almeno una delle esigenze cautelari indicate, il giudice potrà procedere alla scelta della misura cautelare da applicare. Tale scelta non è libera, ma vincolata a limiti formali, in quanto non può disporre una misura più grave di quella richiesta dal P.M., e sostanziali, dovendo rispettare i criteri che sono espressi dall’art. 275 c.p.p. ovvero quelli: di adeguatezza della misura cautelare concreta in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare. Il P.M. dovrà, di volta in volta, motivare le ragioni per le quali la misura richiesta sia l’unica adeguata a soddisfare le esigenze cautelari da tutelare; di proporzionalità alla gravità del fatto e della sanzione che si ritiene potrà essere inflitta. Pertanto non si potrà procedere all’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari laddove sia altamente probabile che con la successiva sentenza verrà concessa la sospensione condizionale della pena o la pena inflitta non supererà i tre anni; di gradualità, così da applicare la custodia cautelare in carcere esclusivamente qualora ogni altra misura risulti inadeguata ovvero come extrema ratio.
Ricorre, però, una presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in relazione ai reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e di terrorismo, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono affatto esigenze cautelari.
Non potrà trovare assolutamente applicazione la suddetta misura, invece, nei confronti di: donna incinta; madre di prole di età non superiore a sei anni; persona che ha superato l’età di 70 anni; persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria; persona affetta da altra malattia particolarmente grave.
Il procedimento cautelare. Il legislatore, ha previsto un apposito procedimento di applicazione delle misure cautelari. Si tratta di una parentesi strutturalmente autonoma ma funzionale al procedimento principale, in quanto l’emanazione della misura si rende necessaria per evitare che l’esito del giudizio principale venga compromesso da uno dei pericoli elencati dall’art. 274 cpp.
Il PM rivolge la richiesta di applicazione della misura direttamente al giudice che procede: pertanto, nel corso delle indagini preliminari la competenza spetta al G.I.P., dopo l’esercizio dell’azione penale al giudice che procede. Tale richiesta deve contenere l’indicazione degli elementi a carico e a favore dell’indagato. Sarà il giudice a decidere se, allo stato degli atti, sia necessario o meno emettere l’ordinanza con la quale dispone l’applicazione della misura. Il compito di curare l’esecuzione dell’ordinanza è affidato al P.M. il quale, a sua volta, potrà delegare alla polizia giudiziaria il compito di eseguirla materialmente.
L’ordinanza che dispone la misura della custodia cautelare in carcere viene consegnata all’indagato il quale viene avvertito della facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza di nomina, gliene verrà affidato uno d’ufficio. Invece, le ordinanze che dispongono misure diverse dalla custodia cautelare, vengono notificate all’imputato.
Momento fondamentale all’interno del procedimento cautelare è rappresentato dall’interrogatorio di garanzia (art. 294 cpp), che rappresenta il primo contatto tra la persona sottoposta alla misura e il giudice che procede. L’interrogatorio deve essere effettuato nel termine di cinque giorni dall’esecuzione della misura, se si tratta di soggetto sottoposto a custodia cautelare in carcere; entro dieci giorni in tutti gli altri casi. Laddove tali termini non fossero rispettati, la misura perderà efficacia.
La funzione dell’interrogatorio di garanzia è quella di dare la possibilità al giudice di valutare la permanenza delle condizioni generali e delle esigenze cautelari al fine di procedere, eventualmente, alla revoca o sostituzione della misura.
Diverso dall’interrogatorio di garanzia è l’interrogatorio investigativo che, invece, può essere condotto dal P.M. al fine di acquisire ulteriori elementi utili per le indagini, ma che può essere condotto solo dopo che il giudice ha effettuato l’interrogatorio di garanzia, ad eccezione delle ipotesi di arresto o fermo, in quanto in tali casi l’ordine può essere invertito.
I requisiti necessari per l’applicazione delle misure cautelari devono sussistere oltre che al momento della loro applicazione, anche durante tutto il periodo della loro durata.
L’art. 299 cpp si occupa della disciplina della revoca o sostituzione di tali misure. Se, infatti, dovessero venir meno le esigenze che ne hanno giustificato l’applicazione, si procederà alla loro revoca; laddove tali esigenze dovessero solo essere attenuate o la misura non risulti più proporzionata all’entità del fatto, le stesse saranno sostitute.
La richiesta di revoca o sostituzione può essere avanzata tanto dall’imputato quanto dal P.M. Su tale richiesta il giudice provvederà entro cinque giorni. Eccezionalmente, il giudice procederà d’ufficio alla revoca o alla sostituzione. In quest’ultimo caso, così come nell’ipotesi in cui la richiesta sia avanzata dall’imputato, il giudice potrà chiedere un parere non vincolante al P.M. al fine di determinarsi in ordine alla revoca o alla sostituzione. Inoltre, è riconosciuto al giudice il potere di assumere l’interrogatorio dell’imputato quando tale atto possa essergli utile al fine di determinare il suo convincimento; tale atto è obbligatorio ove ne abbia fatto richiesta l’imputato o l’istanza di revoca o sostituzione si fondi su fatti nuovi e diversi.
Altra vicenda che può riguardare le misure cautelari è l’estinzione, la quale può verificarsi o per effetto del provvedimento con cui il giudice dispone la revoca o sostituzione delle misure oppure in via automatica. È infatti vero che l’estinzione delle misure cautelari può avvenire per eventi che prescindono dalla volontà delle parti: si pensi all’ipotesi in cui venga disposta l’archiviazione o venga pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere; quando sia decorso il termine massimo di durata della misura; quando la misura emanata dal giudice incompetente non sia stata confermata dal giudice competente; quando il giudice emette condanna, ma allo stesso tempo dispone che la pena sia estinta o sospesa.
Quanto alla durata delle misure, il legislatore ha previsto un termine massimo di durata delle stesse: per la custodia cautelare in carcere, ad esempio, la durata massima prevista per ciascuna fase del giudizio è di un anno, prorogabile al massimo per sei mesi, e non può superare nel complesso i sei anni.
Le impugnazioni delle misure cautelari personali. Così come ogni altro provvedimento del giudice anche le ordinanze con cui viene disposta l’applicazione di una misura sono soggette a impugnazione. Gli strumenti utilizzabili sono: il riesame, esperibile avverso le ordinanze che applicano una misura coercitiva per la prima volta; l’appello, che ha ad oggetto tutte le altre ordinanze applicative di misure cautelari (coercitive o interdittive), nonché quelle che hanno disposto la revoca o la sostituzione delle misure cautelari; il ricorso per cassazione,
Il riesame può essere proposto tanto dall’imputato o dal suo difensore. La richiesta va presentata dall’imputato entro dieci giorni dalla esecuzione o notificazione dell’ordinanza che per la prima volta dispone la misura coercitiva, o dal suo difensore, sempre nel termine di dieci giorni che, tuttavia, decorrono dalla notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura.
La richiesta va presentata al tribunale del riesame (meglio noto come tribunale della libertà) e, la stessa, deve essere comunicata dal presidente al P.M., affinché nel termine di cinque giorni faccia pervenire al tribunale gli atti a sostegno della richiesta di applicazione della misura.
Tale richiesta non necessita di motivazione, trattandosi di un mezzo di impugnazione completamente devolutivo e il procedimento si svolge in camera di consiglio con contraddittorio soltanto eventuale, in quanto sia il P.M. che l’imputato vengono avvisati della data dell’udienza, ma possono decidere di non intervenirvi.
Il tribunale della libertà esaminerà la richiesta entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e potrà decidere: per l’annullamento, qualora sia riscontrata l’assenza delle condizioni generali e delle esigenze cautelari che giustificano l’applicazione della misura; per la riforma della misura, che potrà essere solo favorevole all’imputato; oppure per la conferma della stessa.
Se il tribunale non dovesse decidere nel termine perentorio di dieci giorni, la misura cautelare perderà efficacia.
L’appello va proposto dal P.M., dall’imputato o dal suo difensore, sempre al tribunale della libertà, nel termine di dieci giorni dalla notifica o esecuzione del provvedimento. La disciplina è analoga a quella del riesame, con la differenza che il P.M. in questo caso dovrà trasmettere al tribunale della libertà tutti gli atti su cui si fonda l’ordinanza appellata entro il giorno successivo all’avviso d’appello. L’appello, essendo un mezzo parzialmente devolutivo, deve necessariamente essere motivato. Il tribunale è tenuto a decidere entro venti giorni dalla ricezione degli atti.
Infine, con riferimento al ricorso per cassazione, occorre precisare che lo si può proporre nei confronti delle decisioni emesse dal tribunale della libertà in sede di riesame o di appello. Può essere proposto dall’imputato, dal difensore abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, dal P.M. che ha chiesto l’applicazione della misura e dal P.M. presso il tribunale del riesame.
Il termine per la proposizione del ricorso è sempre di dieci giorni dalla notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento. È consentito solo all’imputato e al suo difensore di proporre ricorso per saltum ex art 311 cpp, proponendo così direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva.
La corte deciderà entro trenta giorni dalla ricezione degli atti.
Infine, è necessario porre l’attenzione sulla distinzione tra revoca e riesame. Trattasi di istituti fondamentalmente diversi: il riesame è un mezzo di impugnazione e va quindi proposto entro precisi termini dall’imputato o dal suo difensore; la revoca è semplicemente un provvedimento con cui il giudice decide la cessazione dell’efficacia della misura, d’ufficio o su istanza di parte (P.M., imputato o difensore).
Ulteriore differenza riguarda il giudice competente: sull’applicazione o revoca delle misure decide il giudice che procede; sul riesame è competente il tribunale della libertà. Diversa è anche la funzione: il riesame è volto a verificare la correttezza del provvedimento sia sotto il profilo formale che sotto quello contenutistico; la revoca ha la finalità di controllare il persistere della sussistenza dei presupposti che hanno giustificato l’applicazione della misura cautelare.
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Valentina La Spada
Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Messina nell' A. A. 2014/2015 con tesi di Laurea su "Falsa identità digitale e delitto di sostituzione di persona". Nel 2018 si è diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell'Università degli Studi di Messina con votazione 70/70 e Lode discutendo una tesi avente ad oggetto la "Mancata consegna di bene venduto online: tra truffa e insolvenza fraudolenta". Nell'ottobre dello stesso anno, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense.
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