Le misure di prevenzione patrimoniale nei confronti di evasori fiscali socialmente pericolosi
1. Premessa [1]
Il presente articolo si sofferma brevemente ad analizzare la normativa attualmente vigente in materia di misure di prevenzione patrimoniale, esaminando i presupposti oggettivi e soggettivi che la legge contempla quale presupposto per procedere alla confisca dei beni patrimoniali oggetto di attività delittuose.
Inoltre, verrà analizzata una particolare categoria di soggetti pericolosi: gli evasori fiscali socialmente pericolosi. Mentre in un primo momento le misure di prevenzione patrimoniale non venivano utilizzate per tali particolari soggetti, sempre più spesso le Procure inquirenti richiedono l’applicazione della confisca dei beni per tali categorie di soggetti, facendo rientrare l’evasione fiscale tra i reati previsti dalla norma che analizzeremo.
Seppur può sembrare pleonastico, si sottolinea che tale articolo analizza esclusivamente le ipotesi di confisca patrimoniale di prevenzione previste dal D.Lgs. 159/2011, ipotesi di confisca distinta da quella penale classica (ex art. 240 CP), da quella penale allargata (ex art. 12 sexies DL 356/1992), da quella per equivalente (ex art.322 ter CP e art. 11 D.Lgs. 74/2000).
2. I presupposti soggettivi previsti per le misure di prevenzione patrimoniale
L’evoluzione della normativa in materia di misure patrimoniali, nasce dalle pressanti esigenze di politica criminale che hanno condotto all’approvazione della legge n. 646 del 1982 (c.d. legge Rognoni-La Torre), che prevedeva il sequestro e la confisca dei beni di provenienza illecita nella disponibilità, diretta o indiretta, degli indiziati di appartenenza alla mafia. Sequestro e confisca sono stati progressivamente estesi a soggetti diversi dagli indiziati di mafia; dapprima, con la legge n. 152 del 1975, alle persone pericolose con riferimento alla prevenzione di fenomeni sovversivi; poi, con l’art. 14 della legge n. 55 del 1990, agli indiziati di appartenenza ad associazioni dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti e alle persone dedite a traffici delittuosi o che vivano col provento di gravi delitti specificamente indicati.
Ulteriori importanti modifiche sono state apportate dal d.l. n. 92 del 2008, convertito dalla legge n. 125 del 2008: in particolare è stata estesa l’applicabilità della legge antimafia e, dunque, delle misure patrimoniali, agli indiziati della commissione di uno dei delitti previsti dall’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. e alle persone dedite a traffici delittuosi o che vivono abitualmente col provento di attività delittuosa.
Il d.lgs. n. 159 del 2011 si limita a riprodurre le disposizioni previgenti, con un’ulteriore estensione delle misure patrimoniali a tutte le persone che rientrano nella c.d. pericolosità comune, ivi compresi, dunque, i soggetti dediti alla commissione di reati contro i minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Per quanto può interessare in questa sede:
l’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011, nell’individuare i soggetti destinatari della misura di prevenzione personale applicata dall’autorità giudiziaria, menziona alla lett. c) i soggetti di cui all’art. 1 ossia, in particolar modo: “a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”;
l’art. 16 d.lgs. n. 159 del 2011, nell’individuare i soggetti destinatari della misura di prevenzione patrimoniale, rimanda a tutti i casi previsti dall’art. 4, raccordando così l’ambito applicativo delle misure patrimoniali con quelle personali.
Peraltro, il primo elemento che emerge da quanto in precedenza descritto, ai sensi dell’art. 18 d.lgs. n. 159 del 2011, accertati i relativi presupposti (disponibilità e provenienza illecita dei beni ai sensi dell’art. 20 d.lgs. n. 159 del 2011, la presenza di presupposti di carattere oggettivo e soggettivo), le misure patrimoniali del sequestro e della confisca possono essere applicate, anche indipendentemente dalla misura personale, non solo nelle fattispecie legislativamente previste, ma in ogni ipotesi in cui, pur in presenza di persona pericolosa o che è stata pericolosa, non può farsi luogo alla misura personale ovvero questa non sia più in atto[2].
L’applicazione di una misura di prevenzione di tipo personale richiede diverse condizioni di tipo soggettivo. Volendoci soffermare esclusivamente alla categoria della pericolosità comune, ossia quella tradizionalmente rilevante per la pubblica sicurezza, i presupposti soggettivi, richiesti per l’applicazione di una misura di prevenzione personale, sono:
a) l’appartenenza del soggetto ad una delle categorie di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011[3], nel caso di specie combinato disposto artt. 4 lett. c), 1 lett. a) e b): l’accertamento dell’appartenenza ad una delle categorie elencate da tale norma va desunta esclusivamente da circostanze obiettivamente identificabili e controllabili[4];
b) la pericolosità sociale del soggetto: pericolosità intesa “in senso lato”, comprendente anche l’accertata predisposizione al delitto, sebbene nei confronti del soggetto non si sia raggiunta la prova di reità. Pertanto, anche in assenza di sentenze definitive passate in giudicato, potrà valutarsi la pericolosità del soggetto sulla base di altri elementi (notizie di reato, rinvii a giudizi, sentenze appellate). In altre parole, la pericolosità sociale consiste in una valutazione globale dell’intera personalità del soggetto risultante da tutte le manifestazioni sociali della sua vita, con riguardo all’intera sua condotta e in un accertamento in relazione alla persistenza nel tempo di un comportamento illecito e antisociale[5] . L’accertamento di tale requisito deve avvenire sulla base di elementi che possano rilevare tale pericolosità. Si deve trattare di comportamenti oggettivamente identificabili, di circostanze reali, che consentano di pronunciare con ragionevole probabilità il ricorrere dei presupposti soggettivi di pericolosità sociale legata alla commissione di attività delittuose;
c) l’attualità della pericolosità: deve trattarsi di pericolosità non potenziale, ma concreta, attuale e specifica, desunta da particolari comportamenti, sussistenti al momento in cui la misura di prevenzione deve essere applicata[6].
Per l’applicazione della misura patrimoniale, basta solo il ricorrere dei presupposti di cui ai precedenti punti a) e b), in quanto è’ possibile, oggi, applicare la misura patrimoniale, ai sensi del citato art. 18 d.lgs. n. 159 del 2011, anche se manchi l’attualità della pericolosità, fermo restando che in questo caso occorre accertare incidentalmente che la pericolosità a una certa data esisteva[7].
L’assenza di limiti a tipologie di delitti consente di affermare che il legislatore intende colpire i soggetti pericolosi, qualunque sia l’attività delittuosa sottostante, sulla base della quale viene manifestata la pericolosità, con la contestuale possibilità di aggredire i patrimoni illecitamente accumulati.
L’area delle misure di prevenzione è ben diversa da quella del commesso reato, venendo in rilievo l’accertamento non del fatto reato, ma della pericolosità desunta da fatti, che consentano di ravvisare un’abitualità di condotta descritta dalle categorie di pericolosità. Per tale ragione, non è sufficiente per affermare la pericolosità la presenza di condotte isolate o non reiterate riconducibili alle varie fattispecie di reato.
Infine è importante non confondere l’intervento preventivo con quello repressivo. In sede di prevenzione occorre una condotta abitudinaria, né occasionale né sporadica, tale da fare ritenere che il soggetto sia pericoloso; sulla base della pericolosità accertata deve essere opportunamente controllato per prevenire la commissione di delitti e allo stesso tempo gli vanno sottratti i beni illecitamente acquisiti.
3. I presupposti oggettivi previsti per le misure di prevenzione patrimoniale
L’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale richiede, oltre ai succitati requisiti di tipo soggettivo, che fungono da minimo comune denominatore per qualunque misura di prevenzione (e sempre nell’ambito della pericolosità c.d. comune), indipendentemente dall’applicazione della misura di prevenzione, in forza del principio di applicazione disgiunta (art. 18 d.lgs. n. 159 del 2011), la ricorrenza anche di presupposti di tipo oggettivo:
(a) la disponibilità, diretta o indiretta, dei beni in capo al proposto: il concetto di disponibilità, richiamato dall’art. 20 d.lgs. n. 159 del 2011, va inteso non in senso formale ma in senso sostanziale. Non serve, però, dimostrare la titolarità che il proposto abbia di un bene, ma è sufficiente provare che questi ne determini la destinazione o l’impiego. Si tratta di un concetto, perciò, esteso a tutte quelle situazioni in cui il bene ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché questi eserciti il potere su tali beni mediante terze persone[8]. Nel caso di disponibilità indiretta è necessario provare che, al di là della formale intestazione del bene, il proposto ne risulti essere l’effettivo dominus[9]. Secondo la giurisprudenza va rimarcata la distinzione operata dal legislatore tra terzi intestatari estranei e terzi che abbiano vincoli di parentela o di convivenza con il proposto, che, ai sensi dell’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (riproduttivo dell’art. 2 bis, comma 3, l. n. 575 del 1965 previgente) impone indagini patrimoniali: coniuge, figli e coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con il proposto. Per tali categorie di soggetti pertanto, si profila una sorta di presunzione legale, per cui grava sui familiari conviventi l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca[10];
(b) l’esistenza di sufficienti indizi, primo tra tutti la sproporzione tra il valore dei beni ed i redditi dichiarati o l’attività svolta, tali da far ritenere che tali beni siano frutto di attività illecita o ne costituiscano il reimpiego. Questo secondo requisito non necessita della prova, atteso che la norma parla di “indizi”i che, in misura sufficiente, conducano alla genesi illecita dei beni o al loro reimpiego. Come è noto, l’indizio più importante e comunque sufficiente a sostenere tale ipotesi è la sproporzione tra il valore dei beni nella disponibilità (diretta od indiretta) del proposto ed i suoi redditi e le attività da lui svolte[11].
Solo per completezza espositiva si individuano due elementi che si tengono in considerazione durante la fase di indagine e proposta della misura patrimoniale:
irrilevanza del nesso causale tra bene e attività illecita del proposto: il sequestro e la confisca hanno ad oggetto beni con provenienza da attività illecita o reimpiego della stessa, senza che rilevi distinguere se tale attività sia collegata alla specifica fattispecie delittuosa che ha consentito di riconoscere tale pericolosità: viene quindi stabilita l’irrilevanza del nesso causale tra la provenienza illecita del bene e l’attività illecita del proposto. Non occorre, dunque l’individuazione di un nesso causale tra condotta illecita che ha consentito di riconoscere una delle categorie di pericolosità oggi previste dall’art. 4 D.lgs. n. 159 del 2011 e illecito profitto, essendo sufficiente la dimostrazione dell’illecita provenienza dei beni, qualunque essa sia[12].
reimpiego di beni di provenienza illecita: qualora i beni risultino frutto di attività illecita saranno soggetti a sequestro e confisca anche gli incrementi ovvero il reimpiego di somme derivanti da tale bene. Le disposizioni contenute oggi negli artt. 20, comma 2, e 24, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011 si fondano sulla necessità di sottrarre alle persone pericolose previste dall’art. 4 del d.lgs. n.159 del 2011 tutte le loro disponibilità che trovino origine diretta o derivata da attività illecita.
In altre parole, il denaro ricavato dell’originario bene proveniente da attività illecita coinvolge e rende illecito il reimpiego dello stesso denaro e, dunque, del bene con esso acquistato; in tale sviluppo saranno coinvolti tutti i successivi reimpieghi di denaro derivanti da operazioni finanziarie riconducibili al bene illecitamente acquisito (in origine).
La finalità della norma risponde, evidentemente, all’obiettivo prioritario della normativa diretta a colpire alla radice il fenomeno attraverso la sottrazione di tutte le risorse derivanti da attività illecite, qualunque sia la loro evoluzione e le modalità di reimpiego delle stesse.
A fronte di una persona pericolosa perché dedita a traffici delittuosi o che vive col provento, anche in parte, di delitti, con condotte prolungate, reiterate, tali da evidenziare uno stile di vita “delittuoso”, corrisponde una tipica struttura criminale portata avanti con un’impresa strutturalmente illecita.
La giurisprudenza, anche di legittimità, ritiene che non sia possibile una scissione, in particolare in presenza di aziende inquinate. Il carattere unitario dell’azienda, che è il risultato combinato di capitali, beni strumentali, forza lavoro ed altre componenti, giuridicamente inglobati ed accomunati nel perseguimento del fine rappresentato dall’esercizio dell’impresa, secondo la definizione civilistica (art. 2555 c.c.), non consente di operar scissioni tra parte lecita e parte illecita.
4. La categoria degli evasori fiscali socialmente pericolosi
Negli ultimi anni si registra una maggiore consapevolezza sugli effetti dirompenti dell’evasione fiscale, fenomeno diffuso che viola principi fondamentali dalla Carta Costituzionale (articoli 2, 3, comma 2, 53).
Con la previsione dell’art. 4 D.Lgs. 159/2011 viene incentrata l’attenzione anche sui patrimoni economico-criminali in senso lato, formatisi attraverso il ricorso, in via ripetuta, seriale ed abituale
alle più disparate condotte illecite, non necessariamente mafiose (furti, rapine, truffe, ecc.) e quindi anche frodi in materia fiscale e previdenziale, fallimenti, bancarotte (cosa non possibile con la confisca «allargata» del art. 12 sexies D.L. 306/92), condotte che colpiscono in modo letale l’economia del Paese, rallentandone lo sviluppo.
Nella confisca «di prevenzione», ove non è richiesta nessuna condanna e nessun accertamento del reato sono sufficienti gli indizi di provenienza da attività illecite, ovvero da qualsiasi attività illegale, tra le quali anche quelle di natura fiscale (e non deve necessariamente sfociare nelle ipotesi previste dal D.Lgs. 74/2000).
Le caratteristiche della misura di prevenzione che potremmo individuare nei reati tributari sono:
l’abitudine alla commissione di reati economico finanziari o all’evasione;
che la persona oggetto dell’indagine tragga da tale comportamento, anche solo in parte, le risorse economiche necessarie per il proprio mantenimento.
Come già detto in precedenza (Cfr. Presupposti soggettivi), anche le condotte delittuose di natura fiscale (dichiarazione fraudolenta, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione ed annotazione di fatture per operazioni inesistenti, bancarotta fraudolenta, fallimento, ecc.) non devono essere episodiche o sporadiche, ma ripetute e seriali (abitualità).
Non rileva che le condotte si siano verificate in un’unica e sola circostanza, perché può essere sufficiente che l’oggetto dell’unica denuncia «copra» diversi e successivi periodi d’imposta, dimostrandone l’abitualità.
L’evasore è «socialmente pericoloso» quando fa dell’evadere il Fisco un vero e proprio «stile di vita», attraverso il ricorso a metodologie e strumenti finalizzati all’occultamento dei proventi e alla dissimulazione della realtà.
Quali sono le metodologie più utilizzate che potremmo far rientrare nella categoria degli evasori socialmente pericolosi? Un elenco non esaustivo è il seguente:
l’emissione e l’utilizzo di F.O.I.;
l’appropriazione indebita;
l’utilizzo di schemi societari complessi fondati sul ricorso a soggetti giuridici sottoposti a giurisdizioni off shore o non collaborative;
i reati fallimentari;
la violazione alle norme in materia di riciclaggio;
la violazione alle norme in materia di collocamento al lavoro, in materia di previdenza e contribuzione, di circolazione delle attività finanziarie.
La finalità della norma è evidentemente quella di eliminare dal circuito economico tutti i beni di sospetta provenienza illegittima, perché nella disponibilità diretta o indiretta di persone socialmente pericolose.
L’evasione fiscale, indipendentemente dalla sua rilevanza penale, è sempre e comunque un’attività illecita («Sicuramente l’evasione fiscale integra ex se attività illecita – contra legem – anche qualora non integri reato – Corte Cass., sezioni unite, sent. 23.05.2014 n.13).
Per tale ragione, i redditi non dichiarati, ancorché provenienti da attività legale, non possono mai essere considerati ai fini della dimostrazione della coerenza del patrimonio posseduto (Corte Cass., sezioni unite, sent. 23.05.2014 n.13)
La provvista finanziaria, creatasi per effetto della mancata denuncia degli imponibili, costituisce sempre un provento di delitto, inteso come un vero e proprio vantaggio economico illegalmente ottenuto. In tal senso ha notevole impatto la Pronuncia della Corte di Cassazione, sez. I, del 10 giugno 2013, n. 32032 che ha ritenuto applicabili le misure di prevenzione personali e patrimoniali, a soggetto dedito in modo continuativo a condotte elusive degli obblighi contributivi e che rinveste i relativi profitti in attività commerciali. Sul punto la Corte ha constatato che un soggetto dedito in modo massiccio e continuativo a condotte elusive degli obblighi contributivi realizza, in tal modo, una provvista finanziaria indubbiamente da considerarsi come provento di delitto, inteso quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato.
L’evasione fiscale, specie se ripetuta negli anni, sistematica e per importi rilevanti (da cui l’evasore fiscale socialmente pericoloso), comporta sempre e inevitabilmente il reimpiego dei suoi proventi nel circuito economico dell’evasore, generando così una confusione, destinata a moltiplicarsi negli anni, tra ciò che è di origine lecita (attività d’impresa) e ciò che non lo è (reddito non dichiarato).
Questo porta che, laddove la quota di evasione fiscale indebitamente trattenuta venga successivamente reinvestita in attività di tipo commerciale, i profitti saranno inevitabilmente inquinati da tale modalità di reinvestimento e in caso di misura di prevenzione patrimoniale, non si darà luogo a scorporo della relativa parte dal patrimonio lecito, anche perché se non vi fosse stato quell’impiego, non si sarebbero ottenuti quei profitti. Un tale scorporo sarebbe teoricamente possibile solo nel caso di un’evasione puntuale, circoscritta e unisussistente, senza effettivo reimpiego (Corte Cass., sezioni unite, sent. 23.05.2014 n.13).
Accertati i presupposti soggettivi per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, per procedere a sequestro e a successiva confisca devono ricorrere anche i presupposti oggettivi delineati dagli artt. 20 e 24 del d.lgs. n. 159/11:
la disponibilità, diretta o indiretta del bene da parte del proposto;
sufficienti indizi, primo fra tutti la sproporzione tra il valore dei beni e i redditi dichiarati o l’attività economica svolta, tali da far ritenere che i beni stessi siano frutto di attività illecita o del reimpiego dei proventi di questa.
L’evasione fiscale viene in rilievo sia in ordine alla disponibilità, sia con riferimento alla provenienza illecita dei beni.
Pur se non è possibile soffermarsi sulla ratio della confisca di prevenzione, si ritiene che le misure di prevenzione patrimoniali siano istituti diretti a contrastare l’accumulazione di beni di illecita provenienza che trovano il loro fondamento giustificativo nel rapporto intercorrente tra gli stessi e determinati soggetti socialmente pericolosi in grado di disporne, con la precisazione che la pericolosità può anche non essere attuale, perché la persona che era pericolosa continuerebbe a trarre dai suoi beni un vantaggio geneticamente illecito. In tal senso si esprime la Corte europea, secondo cui la misura di prevenzione patrimoniale è «finalizzata ad impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui la provenienza legittima non è stata dimostrata».
Col principio di applicazione disgiunta della misura personale e patrimoniale, il sistema conserva una sua intrinseca coerenza, perseguendo l’obiettivo di colpire i patrimoni illecitamente acquisiti non attraverso il ribaltamento del nesso di accessorietà tra misura personale e patrimoniale, ma facendo venire meno tale nesso perché non è più necessaria la previa applicazione della misura personale. L’illiceità genetica dell’acquisto del bene permane pur se vengono meno il proposto o la sua pericolosità, riflettendosi, comunque, sul bene stesso.
Quindi, il bene è confiscato non solo se ricorrono gli ordinari presupposti dell’illecita provenienza, ma anche se è stato acquistato da persona (che era all’epoca) pericolosa. Il decorso del tempo, o comunque la cessazione della pericolosità del soggetto, o qualunque altra ragione che non consenta di applicare la misura di prevenzione, non possono avere l’effetto positivo di autorizzare il possesso del bene da parte di colui che lo ha illecitamente acquisito (quando era pericoloso) e ne trae la conseguente utilità.
5. Conclusioni
L’ipotesi della figura dell’evasore fiscale socialmente pericoloso viene sempre più spesso utilizzata per procedere al sequestro e alla confisca di beni di provenienza illecita accumulati nel tempo. Era necessario far rientrare tale categoria nell’ambito del più ampio concetto di “pericolosità comune”, in quanto per molti anni l’evasione fiscale è stata utilizzata quale giustificazione, da parte del preposto che veniva colpito da misure di prevenzione patrimoniale, al fine di dimostrare la legittima provenienza dei beni sequestrati.
Come se evadere le tasse era un comportamento se non lecito, quantomeno normale!
L’esame approfondito della normativa e della ratio della confisca di prevenzione evidenzia, dunque, l’unanime condivisione della giurisprudenza sull’irrilevanza della giustificazione, da parte del proposto, della legittima provenienza dei beni sequestrati attraverso proventi di evasione fiscale.
Con l’ulteriore elemento che anche le acquisizioni di ulteriori beni quale profitto dell’utilizzo di beni acquistati a seguito di evasione fiscale, debbono ritenersi suscettibili di confisca, sicchè sarà compito del preposto dimostrare la liceità del reddito che giustificata la legittima successiva acquisizione del bene.
E’ evidente che l’attenzione delle Procure su tali categorie di soggetti non ha solo la funzione di sottrarre dal mercato i beni frutto di comportamenti fiscalmente illeciti protratti nel tempo, ma anche quello di far rientrare nel giusto alveo giuridico il concetto di evasione fiscale, quale disvalore dannoso per l’intera comunità, che evidentemente non ha nessun carattere di “normalità” e che va contrastato con ogni mezzo al fine di rendere maggiormente equa la nostra società.
[1] A cura del Dott. Enzo Quaranta, ispettore della Guardia di Finanza, dottore di ricerca in Management e Finanza, cultore della materia in Economia Aziendale e Management Pubblico.
[2] Cass. sent. nn. 5361/11, 484/12.
[3] Corte cost. sent. nn. 2/56, 11/56, 177/80, 309/93.
[4] Cass. sent. nn. 39953/05, 25919/08, 47764/08.
[5] Cass. sent. nn. 1147/94, 1675/95, 3426/99.
[6] Cass.. sent. nn. 682/86, 3866/91, 34150/06.
[7] Cass. sent. n. 18327/11.
[8] Cass. sent. nn. 398/96, 6613/08.
[9] Cass. sent. n. 6977/11.
[10] Cass. sent. n. 39799/10.
[11] Cass. sent. nn. 2104/94, 398/96, 1171/97, 35628/04.
[12] Cass. sent. nn. 36762/03, 47798/08, 27228/11.
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