Le misure di protezione per i soggetti privi in tutto o in parte di autonomia. Verso l’abolizione dell’interdizione?
Il nostro ordinamento prevede che l’acquisto della capacità d’agire, ossia dell’idoneità a porre in essere validamente atti giuridici, si ottenga al raggiungimento della maggiore età. L’art. 2 del Codice Civile, infatti, la definisce come «capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età diversa».
Il compimento del diciottesimo anno d’età, abilita il soggetto, quindi, ad esercitare personalmente i propri diritti ed ad assumere obblighi giuridici, e si traduce in concreto nella idoneità a stipulare contratti e a stare in giudizio. A differenza della capacità giuridica che si acquista nel momento della nascita e non può essere soggetta a restrizioni, la capacità d’agire può essere limitata da strumenti previsti dal legislatore qualora si attesti, mediante pronuncia giudiziale, che il soggetto non abbia in concreto la piena capacità di intendere e di volere a causa di un’infermità tale da renderlo non autonomo nel compimento degli atti di più rilevante interesse patrimoniale.
L’infermità psichica o fisica che può colpire un soggetto maggiorenne rappresenta, quindi, un limite per l’acquisto o il mantenimento di tale capacità e un presupposto per l’applicazione degli istituti previsti dal nostro ordinamento a tutela degli individui che ne sono affetti.
Accanto ai tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, l’ormai non più recentissima L. 6/2004[1] ha introdotto l’ulteriore istituto dell’amministrazione di sostegno con la finalità, come dice il primo articolo della suddetta Legge, «di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente».
Nonostante le difficoltà e le critiche riscontrate in dottrina e in giurisprudenza nel percorso che portò all’introduzione di questo nuovo strumento nel Codice Civile, negli ultimi anni si è riscontrato sempre maggior favore per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno in sostituzione degli strumenti tradizionali fino ad arrivare all’orientamento, ormai prevalente, favorevole alla totale abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione ritenuti ormai strumenti di marginale applicazione.
L’esigenza di riforma del sistema delle misure di protezione nacque già a partire dagli anni ’80 ed era basata su considerazioni critiche verso sistema previgente scarsamente elastico, in quanto caratterizzato da una disciplina legislativa non modellabile sulla persona, ma applicabile a tutti i beneficiari in modo uniforme.[2]
Gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, infatti, si differenziavano sostanzialmente in base alla gravità della condizione mentale del soggetto, il quale se affetto da infermità totale, abituale e duratura veniva, previa dichiarazione del Tribunale, dichiarato interdetto con la conseguente ablazione totale della capacità d’agire; per contro se veniva accertata solo una parziale infermità, si applicava l’istituto dell’inabilitazione, che prevedeva soltanto una limitazione di tale capacità per quanto riguardava il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, i quali venivano affidati all’assistenza di un curatore.
Una delle critiche maggiori al sistema così delineato, riguardava soprattutto l’istituto dell’interdizione, il quale veniva considerato un insostenibile strumento di isolamento, in quanto, secondo parte della dottrina, oltre a togliere o precludere la capacità d’agire finiva per comprimere i diritti fondamentali dell’individuo, risolvendosi in una sorta di capitis deminutio che conduceva al delinearsi, in capo al soggetto che ne era sottoposto, di uno status mortificante in relazione alla sua partecipazione alla comunità sociale.
Con l’introduzione dell’amministrazione di sostegno accanto agli istituti tradizionali, si è quindi cercato di far fronte a tali esigenze di riforma configurando uno strumento di protezione duttile caratterizzato da flessibilità, proporzionalità alle singole esigenze dei soggetti e temporaneità. La particolarità, rispetto agli istituti tradizionali, risiede nella correlazione tra tutela della persona e minor restrizione possibile della capacità d’agire, la quale può essere utilizzata solo come extrema ratio. È importante sottolineare che per l’amministrazione di sostegno, l’individuazione dei possibili beneficiari risulta maggiormente difficile rispetto a quanto avviene per gli istituti tradizionali, dal momento che la legge ha definito i presupposti per l’applicazione della nuova misura di protezione in termini molto ampi. L’art. 404 c.c. prevede la rappresentanza o l’assistenza di un amministratore di sostegno alla persona che, per effetto di una infermità ovvero una menomazione fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.La lettura di questa norma ha fatto sorgere opinioni dottrinali divergenti.
Da una parte ritroviamo l’opinione prevalente che ritiene tale istituto applicabile anche a soggetti menomati solo nel fisico, ma completamente compus sui, dall’altra l’orientamento di chi, al contrario, ritiene che in caso di una menomazione solamente fisica non sarà dato parlare di una vera e propria impossibilità di provvedere ai propri interessi, ma semmai di un’inettitudine a provvedervi direttamente; questo giustificherebbe piuttosto l’utilizzo dei normali strumenti negoziali, quali il mandato e la procura.
Invero, secondo il predetto orientamento, se si applicasse l’amministrazione di sostegno si andrebbe a consentire ad un soggetto, pienamente lucido e in grado di decidere autonomamente, una rinuncia ingiustificata della propria capacità o almeno ad una parte della stessa. Sebbene, infatti, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non sia destinatario di un’incapacità secca, come è per l’interdetto o in misura più limitata per l’inabilitato, risulta pur sempre una compromissione della sua capacità, sia pure eventualmente anche solo minima. Si pensi ad esempio al caso di soggetto in età avanzata ma completamente compus sui; si potrebbe ragionevolmente sostenere che tale soggetto non necessiti dell’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno, ma piuttosto dell’affiancamento di un rappresentante o di un mandatario che compia per lui determinati atti che da solo faticherebbe a compiere. Al contrario la misura potrà ritenersi applicabile laddove la senilità andasse ad incidere sulla salute, determinando una perdita di autonomia intellettiva e fisica del soggetto tale da renderlo impossibilitato a provvedere autonomamente ai propri bisogni ed interessi.
L’ulteriore questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza riguarda la ricerca di una linea di confine tra ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno e quello degli istituti tradizionali. A differenza di quanto avvenuto in vari ordinamenti europei, ad esempio Austria e Germania, il legislatore italiano del 2004 ha scelto di far convivere il nuovo istituto con quelli tradizionali, suscitando così critiche e perplessità in dottrina e in giurisprudenza già dai primi anni dalla sua introduzione. I dubbi interpretativi risiedono nella possibilità, riscontrabile dall’ampiezza dell’art. 404 c.c., di applicare l’amministrazione di sostegno nei casi più svariati, fino a ricomprendere anche quelle ipotesi prima riservate agli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. Nonostante i plurimi interventi giurisprudenziali in materia tale coordinazione risulta tutt’ora non semplice, in quanto secondo la maggioranza degli interpreti l’istituto dell’amministrazione di sostegno tende ormai a sovrapporsi agli altri istituti rappresentandone una possibile alternativa. Il primo intervento sul punto è stato ad opera della Corte Costituzionale con la sentenza n. 440 del 2005, con la quale è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Venezia a parere del quale l’art. 404 c.c. implicitamente, consente di affermare che l’amministrazione di sostegno sia misura suscettibile di essere applicata anche a chi sia totalmente e permanentemente incapace, cosicchè l’ambito di applicazione dei tre istituti sembrerebbe nella pratica coincidere. Si ravviserebbe inoltre, a parere dei giudizi veneziani, una violazione del principio costituzionale di eguaglianza essendo rimessa all’eccessiva discrezionalità dell’organo giudicante la decisione sull’istituto da applicare caso per caso.
La Corte intervenendo sulla problematica, ha attribuito all’amministrazione di sostegno prevalenza di massima rispetto agli altri due istituti, sostenendo che il giudice possa ricorrere alle misure tradizionali solo laddove non si ravvisino in concreto interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace adeguata protezione. Si è inoltre affermato che in nessun caso l’esercizio di poteri del Giudice Tutelare può spingersi sino al punto da utilizzare l’amministrazione di sostegno per privare del tutto il beneficiario della sua capacità di agire, in quanto l’estensione al beneficiario di tutte le limitazioni previste per l’interdetto sarebbe palesemente illegittimo. Pare evidente l’intenzione della giurisprudenza di legittimità di evitare una interpretatio abrogans delle misure tradizionali, abrogazione inevitabile, nell’ipotesi in cui l’amministrazione di sostegno si ritenesse estendibile fino ad assumere la sostanza di una di esse.
Riguardo in particolare il discrimen tra interdizione e amministrazione di sostegno sono importanti alcune considerazioni. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 13584 del 2006 per risolvere il dibattito in questione è partita dalla considerazione per cui, alla luce della situazione attualmente vigente, la ricerca di una linea di confine tra i predetti istituti, non debba più basarsi su un profilo quantitativo, cioè sul diverso grado di incapacità manifestato dal soggetto, bensì sotto un profilo funzionale. Nonostante, quindi, in dottrina sia, oramai, prevalente l’opinione secondo cui l’istituto dell’interdizione dovrebbe essere abrogato a favore dell’utilizzo dell’amministrazione di sostegno in quanto ritenuto lesivo della dignità della persona umana privata totalmente della capacità giuridica, non si può dire del medesimo avviso anche la giurisprudenza di legittimità, la quale con più sentenze ha sempre ribadito la volontà di mantenere in vita il vecchio istituto, seppur rendendolo residuale rispetto all’amministrazione di sostegno. Lo spazio per l’interdizione rimarrebbe, quindi, seppur con riferimento ai casi più estremi, da concretizzarsi di volta in volta a seconda dei casi di specie.
Nel caso di soggetto in stato vegetativo permanente e in generale in caso di infermità totalmente incapacitante, ad esempio, la giurisprudenza di merito non si è sempre espressa in maniera conforme riguardo l’istituto da applicare.[3] A tal proposito risulta interessante la posizione sostenuta dal Tribunale di Varese nel 2009, a parere del quale non è applicabile l’amministrazione di sostegno a beneficio di un soggetto in stato vegetativo permanente, in quanto tale misura è destinata a fornire protezione a soggetti che siano quantomeno vigili e collocati nel contesto di un minimun di vita quotidiana e che presuppone il conferimento all’amministratore del potere di compiere in nome e per conto del beneficiario solo taluni specifici atti indicati nel decreto di nomina. Pare evidente, infatti, che un soggetto in coma, più che di un sostegno, necessiterà di una sostituzione nella totalità degli atti che lo riguardano, non essendo in grado di manifestare all’esterno qualsivoglia volontà. Ne discende che in questo caso sarebbe maggiormente idoneo un istituto totalizzante, quale l’interdizione, caratterizzato dalla presenza di un tutore incaricato di gestire in toto gli interessi del beneficiario. Dalla differente disciplina dell’amministrazione di sostegno ricaviamo, infatti, che la finalità stessa dell’istituto è quella di tener conto dei bisogni e delle richieste del beneficiario, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione e di informarlo tempestivamente circa gli atti da compiere; tale finalità non sarà realizzabile nel caso di infermità totalmente incapacitante, non essendo il soggetto in grado di comunicare con la realtà esterna.
Da quanto esposto, si può ragionevolmente sostenere che in tal caso solo la consegna dell’intera gestione degli interessi dell’incapace nelle mani di un tutore possa essere l’unica soluzione sistematicamente coerente e consona alle esigenze di protezione del soggetto debole. È importante tener presente poi quanto detto dalla Consulta riguardo il divieto di far coincidere i poteri dell’amministrazione con quelli del tutore, cosa che accadrebbe se si affiancasse un amministratore di sostegno ad un soggetto che necessita del compimento degli atti sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione. La stessa Corte di Cassazione, inoltre, con la sentenza n. 17421 del 2009 ha ribadito che «L’interdizione è, rispetto all’amministrazione di sostegno, misura residuale, ma tuttavia applicabile. L’interdizione consente in determinate condizioni di meglio tutelare il soggetto, attribuendo a chi lo rappresenta poteri più forti ed univoci».
Ad oggi, quindi, le posizioni della dottrina e della giurisprudenza sul punto risultano ancora discordanti, in quanto, nonostante una forte pressione della prima per l’abolizione dell’istituto dell’interdizione, si ritiene che talvolta lo stesso risulti in concreto l’unico strumento realmente efficace.
[1] Questa Legge 6/2004 intitolata «Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 delle applicazione.
Lerdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali» è stata approvata dal Parlamento italiano dopo un iter alquanto lungo e contrastato che ha attraversato varie legislature nel corso delle quali si sono succeduti numerosi disegni di legge.
[2]P.Cendon, Infermi di mente e altri disabili in una proposta di riforma del codice civile. Relazione introduttiva e bozza di riforma in Dir. fam. pers., P.Cendon
[3] [3] Vedi, ad esempio, App. Milano, 3 marzo 2006, n. 538, in Fam. pers. succ., 2006 p. 511, secondo il quale «nel caso in cui la persona da assistere non abbia alcuna capacità residua, deve ricorrersi allo strumento dell’interdizione, non potendo trovare applicazione l’istituto dell’amministrazione di sostegno, che potrebbe assicurare al soggetto assistenza solo per singoli e specifici atti, senza potersi estendere ad un generico ambito di attività».
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Giulia Solenni
Avvocato
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