Le obbligazioni subordinate
LE OBBLIGAZIONI SUBORDINATE: cosa sono e quali sono le principali tipologie
Le obbligazioni subordinate sono titoli (ovvero un prodotto finanziario su cui si investe con un profilo di rischio) il cui pagamento delle cedole ed il rimborso del capitale, nel caso di liquidazione o fallimento dell’emittente, avviene successivamente a quello dei creditori ordinari, ovvero dipende dalla soddisfazione degli altri creditori “non subordinati”.
Differiscono dalle obbligazioni non subordinate (obbligazioni ordinarie) in virtù della tipologia di rischio e non pertanto in base al tasso.
Secondo l’ESMA, l’autorità europea di tutela del risparmio, proprio per l’alto profilo di rischio che generano, le obbligazioni subordinate dovrebbero essere considerate come “prodotti finanziari complessi”.
Le principali tipologie di obbligazioni subordinate emesse dalle banche sono le seguenti:
Obbligazioni TIER 1, sono i titoli più rischiosi e sono subordinate rispetto a tutti gli altri crediti. Il pagamento delle cedole può essere annullato (e non solo sospeso) e sono privi di scadenza, anche se l’emittente ha la facoltà di rimborso anticipato dopo un determinato periodo dall’emissione (10 anni);
Obbligazioni subordinate LOWER TIER 2, le più privilegiate all’interno delle subordinate, hanno scadenza intorno ai 10 anni. Le cedole vengono bloccate solo nel caso in cui si verifichi una grave insolvenza. Il rimborso anticipato può avvenire solo su iniziativa dell’emittente, previa autorizzazione della Banca d’Italia;
Obbligazioni TIER 3, anch’esse privilegiate. Hanno scadenza breve (dai 2 ai 4 anni) ed una remunerazione di livello pari alle Tier 2. Nel caso di perdite, l’emittente non potrà utilizzare le somme dei titoli per far fronte alle stesse;
Obbligazioni UPPER TIER 2, hanno durata minima di 10 anni. Nel caso di andamenti negativi non prevedono la cancellazione delle cedole, bensì la sospensione. Le cedole bloccate vengono cumulate e corrisposte quando vengono meno le condizioni che hanno determinato la sospensione del pagamento.
OBBLIGAZIONI SUBORDINATE: truffa ai danni dei risparmiatori e risarcimento danni
A seguito dell’introduzione della disciplina del bail-in (in vigore dal 1° gennaio 2016) e delle conseguenze che ne derivano per i possessori di obbligazioni subordinate di una banca in dissesto, l’investimento in questi strumenti finanziari deve essere valutato in modo ancora più analitico e oculato, in considerazione della specifica propensione al rischio.
Il bail-in è una procedura di ricapitalizzazione interna che scatta quando l’ente creditizio raggiunge il c.d. point of non-viability ossia quando sono soddisfatti i due presupposti per l’applicazione delle misure di risoluzione: (a) l’ente creditizio è in dissesto o a rischio di dissesto e (b) non vi sono prospettive di superare la situazione di dissesto o di rischio di dissesto in tempi adeguati.
La direttiva comunitaria sui servizi di investimento, nota come Mifid (Market in financial instruments directive), richiede che le banche, per qualsiasi cliente e per qualsiasi offerta di prodotti, debbano obbligatoriamente valutare «l’adeguatezza e l’appropriatezza del prodotto o servizio offerto e venduto ai clienti».
A tal fine, ciascuna banca deve procedere obbligatoriamente a una classificazione dei propri clienti in base alle caratteristiche degli stessi e alla competenza in materia finanziaria e ne deve tracciare un «profilo di rischio o profilo finanziario», individuabile a seguito della sottoposizione del cliente ad un test di appropriatezza.
Il profilo di rischio tracciato grazie al test di appropriatezza costituisce una vera e propria fotografia dell’investitore e dovrebbe consentire alle Banche di proporre il prodotto/servizio più appropriato alla condizione specifica del cliente. Invero, il test di appropriatezza è graduato e modulato sulla base di un crescente «grado di rischio» che viene riconosciuto al prodotto finanziario che si intende offrire o vendere.
Purtroppo, nella maggioranza dei casi, questi test di appropriatezza per le obbligazioni subordinate si traducono in veri e propri moduli precompilati che mal si conciliano con il reale profilo di rischio attribuibile al cliente/investitore e che, al contrario, sono modulati secondo le esigenze della Banca. Test, dunque, che il più delle volte vengono sottoposti alla firma del cliente, tra le migliaia di carte e documenti che costui è invitato a firmare quando decide di investire in un prodotto finanziario, come le obbligazioni subordinate.
Sempre più spesso si sente parlare di casi in cui funzionari di banche abbiano modificato all’insaputa del cliente/investitore il profilo di rischio, alterando i livelli personali di affidabilità, al fine di giustificare investimenti ad “alto rischio” che, al contrario, dovrebbero essere consigliati esclusivamente a clienti istituzionali o esperti nella materia, consapevoli del pericolo concreto di perdere capitale.
In tali casi, profilandosi un’ipotesi di truffa a danno dei risparmiatori più umili.
Ma, in pochi sanno, che sull’operato delle Banche è chiamata a vigilare la Consob, quale Organo di controllo dei mercati finanziari, a tutela del pubblico dei risparmiatori.
Proprio la Consob, non curante di quanto dichiarato dall’ESMA, ha più volte cercato di giustificarsi di fronte alle accuse mossegli di “omessa vigilanza dei mercati finanziari”, adducendo quale scusa la classificazione delle obbligazioni subordinate tra i “prodotti finanziari semplici”.
Tali comunicazioni, più volte ripetute dalla Consob, sono state interpretate dalle Banche come una sorta di “via libera” al collocamento tra il pubblico dei risparmiatori (spesso famiglie non pienamente consapevoli del rischio reale dell’investimento) di grandi quantità di questo tipo di “titoli subordinati” sicché, oggi, stando ai dati della Banca d’Italia circolerebbero nel nostro Paese circa 65 miliardi di obbligazioni subordinate.
Per fortuna, la Cassazione è intervenuta sul tema e con una recente sentenza n. 23418/2016, ha inchiodato la Consob alle proprie responsabilità.
Secondo la Cassazione, i commissari e gli esperti della Consob dovranno essere ritenuti responsabili e quindi chiamati a risarcire i danni provocati agli investitori che siano stati tratti in inganno da prospetti informativi sui quali la Consob non abbia attentamente e correttamente vigilato, essendovi tenuta ex lege.
Non è, infatti, ammissibile, prosegue la Cassazione, che “evidenti falsità, facilmente rilevabili all’occhio professionale di chi fa questo lavoro (Consob), dai documenti depositati o dai dati contenuti nel prospetto”, possano sfuggire e, pertanto, integra colpa grave la mancanza di diligenza o attenzione mostrata dai funzionari della Consob, idonea a giustificare la domanda di risarcimento dei danniper i risparmiatori truffati.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo discutendo una tesi sperimentale in Diritto Penale Tributario e ha ottenuto il Diploma di Specializzazione in Professioni Legali preso la medesima Università.
Al termine del percorso post laurea ha svolto un tirocinio presso gli Uffici della Procura delle Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ha conseguito un Diploma in Diritto Tributario Europeo ed Internazionale, ha frequentato un corso telematico in Diritto Penale Internazionale organizzato dalla School of Law della Case Western Reserve University di Cleveland, in Ohio (USA) e ha inoltre frequentato il Master biennale in Difensore Tributario organizzato dall’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi.
Negli anni ha maturato una specifica competenza in tema di Diritto internazionale, Diritto immobiliare Diritto tributario, Diritto dell’Immigrazione, nonché in tema di reati fiscali ed reati economici. Approfondito il settore dell'assistenza alle imprese e specificamente dell’auto-imprenditorialità (valido strumento per la creazione di opportunità professionali giovanili), fornisce specifica assistenza in tema di Start-up, Start-up innovative ed internazionalizzazione delle PMI, in stretta correlazione con la nuova normativa italiana in tema di microcredito e mentoring.
Di lingua madre italiana, parla fluentemente la lingua inglese e conosce la lingua francese.
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