Le operazioni di concentrazione nei mercati digitali: i casi Facebook – Whatsapp e Google – Fitbit a confronto
Sommario: 1. Lineamenti della disciplina della concentrazione – 2. Il triplice impatto dei Big Data – 3. La concentrazione Facebook – Whatsapp – 4. La concentrazione Google – Fitbit – 5. Considerazioni finali
1. Lineamenti della disciplina della concentrazione
Lo scopo principale di un’azienda fin dal momento della sua costituzione è senza dubbio il raggiungimento del maggior profitto possibile con l’esercizio della sua attività commerciale. Un’azienda può aumentare il proprio fatturato con una sua semplice crescita interna ovvero attraverso una crescita esogena, attingendo, cioè, ad economie di terzi. Quest’ultima strategia aziendale può estrinsecarsi attraverso diverse operazioni – tra cui quelle di Merger & Acquisition – operazioni che si caratterizzano per la loro capacità di modificare in maniera duratura il controllo delle imprese interessate all’operazione di concentrazione stessa.[1]
Tali operazioni debbono essere necessariamente tenute sotto controllo dalle Autorità garanti della concorrenza, le quali dovranno assicurarsi che con la concentrazione di più imprese “non si arrivi a modificare l’equilibrio del mercato in modo tale da falsare la concorrenza o creare una posizione dominante di cui potrebbero abusare”, così come affermato dalla Commissione Europea. Per questo motivo, ad oggi una tale operazione deve essere preventivamente controllata ed autorizzata dalle Autorità preposte.
Le Autorità competenti in quest’ambito sono la Commissione Europea e le Autorità Antitrust Nazionali a seconda che si parli rispettivamente di operazioni di concentrazione aventi rilevanza eurounitaria e nazionale[2]. Una volta terminata la fase istruttoria, l’Autorità a ciò preposta potrà valutare positivamente l’operazione di concentrazione così notificata dalle parti, potrà rigettare la stessa nel caso in cui ritenga che l’operazione così notificata sia incompatibile con il mercato per via dell’ostacolo alla concorrenza che da essa potrebbe scaturire, ovvero ancora avrà la possibilità di autorizzare in via condizionata l’operazione: attraverso questa particolare forma di autorizzazione l’Autorità potrà richiedere – come condizione sospensiva per la validità dell’operazione stessa – l’assunzione di specifici impegni che incidano sulla struttura aziendale (cessioni e dismissioni di imprese, di parti di impresa nonché cessioni definitive di altri beni immateriali come marchi, brevetti, know how particolarmente rilevanti) ovvero misure di tipo comportamentali, misure cioè che ricomprendono tutti gli impegni ad intraprendere determinate azioni o, viceversa, ad astenersi da alcune condotte.[3]
Tralasciando le differenze dei procedimenti di valutazione innanzi la Commissione Europea e la nostra Autorità Antitrust – l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato -, quel che in questa trattazione si vuole evidenziare è la particolare indagine che è stata posta in essere per operazioni di concentrazione operanti nel particolare settore del mercato digitale.
2. Il triplice impatto dei Big Data
Sempre più spesso si sente parlare dei colossi digitali con l’acronimo GAFAM – Google (Alphabet), Amazon, Facebook, Apple, Microsoft – società di notevoli dimensioni e nelle mani delle quali si concentrano quantità enormi di dati. Ebbene, le operazioni di concentrazione che vedono come protagonista una delle società operanti in questo settore meritano un’attenzione molto particolare: in un tempo come quello attuale, caratterizzato da un accelerato sviluppo dei mercati sotto l’impulso dell’innovazione e della rivoluzione digitale[4], un’operazione di concentrazione non solo potrebbe potenzialmente produrre significative ricadute concorrenziali ma anche ripercussioni nella tutela della privacy. Per comprendere appieno la delicatezza di questo mercato, occorre in prima analisi individuare i confini del concetto di Big Data, il cui mercato nel 2019 ha reso 1,7 miliardi di euro solo in Italia.[5] I Big Data sono, appunto, degli specifici insiemi di dati digitali che – una volta processati – permettono di inferire conoscenza e di produrre valore, un vero e proprio vantaggio informativo-competitivo da opporre alle aziende loro concorrenti.[6]
I Big Data non solo influiscono in maniera rilevante sulla maggiore produttività delle imprese[7] ma permeano sempre più lati della vita di ogni soggetto, rendendolo spesso protagonista inconsapevole del mercato dei dati: dinanzi a servizi gratuiti offerti dalle grandi piattaforme elettroniche e dai social media, noi tutti partecipiamo attivamente al rilascio di dati che potrebbero potenzialmente permettere ad un colosso digitale di realizzare pubblicità personalizzate, promozioni, marketing sofisticato ritagliato sui nostri gusti e le nostre esigenze più dettagliate,[8] arrivando alla costruzione di prodotti sempre più personalizzati e innovativi, attività conosciuta con l’espressione di “microtargeting comportamentale”. Questa presa di coscienza ci permette di comprendere come in questo senso si travalichi la semplice logica Antitrust ma anzi, ci richiede obbligatoriamente di inquadrare il fenomeno secondo una triplice prospettiva della tutela della concorrenza, della tutela della privacy e della garanzia di pluralità delle fonti di informazioni;[9] per cui, proprio a tale scopo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso di avviare un’indagine conoscitiva sui Big Data di concerto con l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (Garante Privacy) e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom). Come sottolineato proprio nel risultato di tale indagine conoscitiva, è importante richiamare l’attenzione sulla disponibilità in capo ai grandi operatori digitali, attivi su scala globale, di enormi volumi e varietà di dati proprio perché “ha dato luogo a inedite forme di sfruttamento economico del dato generando nuove concentrazioni di potere, inteso non solo come “potere di mercato”, ma più in generale come potere economico e potere tout court, interessando i diritti fondamentali, i profili concorrenziali, il pluralismo e la stessa tenuta dei sistemi democratici.”[10]
3. La concentrazione Facebook – Whatsapp
Il l tema della tutela della privacy nei mercati digitali è tornato alla ribalta in relazione al recente rilascio da parte della nota applicazione di messaggistica Whatsapp della nuova informativa privacy, la cui mancata accettazione entro un certo termine impedisce ad un utente di continuare ad utilizzare l’applicazione. L’informativa privacy impone agli utenti Whatsapp – escludendo quelli europei e britannici in quanto protetti questi ultimi dal Regolamento generale per la protezione dei dati, GDPR – la condivisione di alcuni dati con Facebook per scopi commerciali e per migliorare l’esperienza utente.[11]
Nel maggio 2014 Facebook ha notificato alla Commissione Europea la volontà di acquisire il controllo di Whatsapp, transazione il cui valore è ammontato a 19 miliardi di dollari. Tale operazione di concentrazione è stata autorizzata dalla Commissione senza alcuna condizione pochi mesi dopo, a seguito di una lunga istruttoria che ha analizzato i vari mercati rilevanti che la concentrazione avrebbe potuto intaccare.
Il primo mercato rilevante analizzato dalla Commissione è stato il servizio di comunicazione tra utenti per smartphone; diverse sono state le argomentazioni portate avanti dalla Commissione che hanno dimostrato la compatibilità con la concorrenza di quest’operazione di concentrazione. Ad esempio, è stato rilevato il carattere “multihoming” di questo tipo di applicazioni, carattere che implica l’utilizzo complementare e contemporaneo di queste due app da parte dei consumatori, senza quindi che l’utilizzo di una delle due tenda ad escludere l’utilizzo dell’altra: il carattere di complementarietà, quindi, esclude di per sé la piena concorrenza delle due applicazioni. È stato inoltre valutato come questo tipo di mercato sia estremamente dinamico e caratterizzato da un numero sempre crescente di applicazioni; si pensi, ad esempio, alla conseguenza che globalmente si è avuta con il rilascio della nuova informativa privacy da parte di Whatsapp: moltissimi utenti hanno subito virato verso altre applicazioni di messaggistica (negli ultimi giorni, milioni sono stati i download delle applicazioni di messaggistica Telegram e Signal[12]), passaggio di app che peraltro avviene senza che gli utenti debbano addossarsi dei costi di commutazione. Si parla, insomma di un mercato estremamente dinamico, senza particolari barriere all’ingresso.
Per ciò che concerne il market test realizzato dalla Commissione sul mercato rilevante dei servizi di social network, secondo la maggior parte degli utenti, WhatsApp non deve essere considerato come un vero e proprio social network. Secondo la Commissione, questo è perché WhatsApp si concentra sul facilitare comunicazioni rapide e semplici tra gli utenti e non consente agli utenti quella ricca esperienza sociale propria di un social network, che comprende – tra le tante – l’indicare i propri interessi, creare album fotografici ed esprimere opinioni sui post di altri utenti.
Per l’ultimo mercato rilevante analizzato, quello della pubblicità online, si è notato che – quantomeno al tempo della notifica dell’operazione – mentre Facebook raccoglie dati riguardanti gli utenti della sua piattaforma di social networking e li analizza al fine di servire annunci pubblicitari per conto degli inserzionisti, il più possibile “mirati” a ciascun suo utente, WhatsApp non archivia né raccoglie dati sui propri utilizzatori che sarebbero preziosi per scopi pubblicitari. È da specificare che con i dati raccolti da Whatsapp si intendono informazioni relative al proprio Whatsapp ID e non il contenuto delle proprie conversazioni; quest’applicazione, difatti, offre il servizio di messaggistica con crittografia end to end, che garantisce la lettura dei messaggi da parte del solo mittente e dei destinatari, senza permettere a Whatsapp di conoscere ed archiviare tali informazioni.
A questo punto però, in molti hanno avanzato l’ipotesi della nascita di problematiche non trascurabili nel caso in cui Facebook avesse predisposto l’integrazione delle due applicazioni, ipotesi negata in sede di esame dell’operazione dalla parte notificante; secondo quest’ultima, tale operazione sarebbe stata impossibile perché avrebbe “causato difficoltà tecniche notevoli” dal momento che Facebook e WhatsApp utilizzano identificatori utente diversi, rispettivamente ID Facebook e numero di cellulare. Eppure, nonostante le rassicurazioni di stampo tecnico allora portate dinanzi la Commissione dal colosso di Menlo Park, nell’agosto 2016 WhatsApp ha annunciato la possibilità di collegare i numeri di telefono dei suoi utenti con le identità degli utenti di Facebook, dimostrando così la condotta mendace da parte della società in sede di esame dell’operazione. La Commissione ha perciò irrogato una sanzione di 110 milioni di euro.
4. La concentrazione Google – Fitbit
Più recente è l’operazione di concentrazione notificata da Google con cui ha acquisito il controllo su Fitbit, società che produce dispositivi indossabili (“wearable devices”), prodotti che misurano il numero di passi effettuati, la distanza percorsa, le calorie bruciate, il peso, la frequenza cardiaca e altri dati. Tale operazione, che per Google ha avuto un costo di 2,1 miliardi di dollari, è stata autorizzata dalla Commissione con l’imposizione di talune condizioni, a differenza di ciò che era stato predisposto per la concentrazione Facebook – Whatsapp per cui la Commissione ha autorizzato la stessa senza alcun tipo di vincolo.
Il dispositivo indossabile è un prodotto di cui si sente parlare da relativamente poco tempo eppure è evidente la sua prorompenza all’interno del mercato: essendo indossato dall’individuo per la totalità della sua giornata, il dispositivo permette un monitoraggio e una raccolta di dati sensibili in maniera praticamente continuativa. Le preoccupazioni della Commissione erano molteplici: era consistente l’eventualità per cui, a seguito della concentrazione, Google avrebbe avuto la possibilità non solo di combinare i propri dati con quelli di Fitbit raggiungendo un vantaggio competitivo ragguardevole e di impossibile raggiungimento per le sue concorrenti, ma anche di inviare messaggi pubblicitari personalizzati ai propri utenti proprio sulla base di questi dati sensibili.
Come premesso, però, la Commissione ha autorizzato l’operazione imponendo delle condizioni: a Google viene impedito l’utilizzo dei dati acquisiti tramite i dispositivi Fitbit per scopi commerciali, attraverso una separazione tecnica tra i dati delle due società in due “silos di dati” differenti. Ad avviso della Vicepresidente esecutiva Vestager, gli impegni sono tali da poter garantire la continua competitività del mercato dei dispositivi indossabili, valutazione che si giustifica osservando la limitata quota di cui attualmente Fitbit dispone nel mercato dei dispositivi indossabili. Almeno fino allo scorso anno, la società Fitbit risultava quarta dopo i suoi concorrenti più grandi, quali rispettivamente Apple, Garmin e Samsung.
5. Considerazioni finali
Lo studio dei Big Data e delle relative ingerenze nella vita di tutti i giorni costituisce una delle più grandi sfide contemporanee. Le innovazioni tecnologiche che si sono susseguite nel corso dei secoli sono generalmente accolte dalla collettività perché in un modo o nell’altro rendono più semplice la vita di un individuo; davanti ad innovazioni così dirompenti, è necessario però non trovarsi impreparati e colmare il prima possibile le lacune legislative che vengono alla luce dall’introduzione di tali innovazioni.
Il tema dei Big Data, come già affermato nel corso di questa trattazione, necessita di un’accurata regolamentazione sotto vari profili; proprio per questo gli sguardi sono puntati verso l’Europa e il suo nuovo quadro regolamentare sui servizi digitali (Digital Services Act) e sui mercati nel settore digitale (Digital Markets Act), il tutto per permettere agli utenti di avere un’ampia scelta di prodotti e servizi sicuri online e alle imprese che operano in Europa di competere liberamente e in modo equo in rete, così come fanno già offline.[13]
In attesa dell’entrata in vigore delle prossime riforme in materia di Big Data, alla scrivente sembrerebbe opportuno sottolineare taluni aspetti delle operazioni finora analizzate. In relazione alla concentrazione Facebook – Whatsapp, ad esempio, la Commissione ha giustificato la sua scelta di autorizzare l’operazione richiamando – tra i vari fattori – il dinamismo del mercato in cui le società operano: un individuo insoddisfatto di un servizio facilmente può decidere di servirsi di un’altra tra le tante applicazioni di messaggistica istantanea o di un altro social network. Ebbene, ad avviso della scrivente, sono stati sottovalutati gli effetti di rete che dall’utilizzo di queste applicazioni possono derivare: si parla di servizi che vedono l’aumentare del proprio valore in base al numero di utenti che utilizza il bene; in altre parole, maggiore è il numero di utenti, maggiore sarà l’utilità percepita dal singolo individuo in quanto potrà interagire con un numero maggiore di persone. Sono diverse le applicazioni di messaggistica istantanea che rilasciano ai propri utenti servizi diversi rispetto a quelli di Whatsapp, eppure l’effetto di rete – e, quindi, il maggior numero di soggetti che si servono di quest’applicazione – non può che influenzare la scelta dell’utente di servirsi dell’una o dell’altra app. Il rilevante effetto di rete delle due applicazioni unito alla possibilità – poi effettivamente realizzata – di far integrare i due account, rafforza pericolosamente la posizione dominante del social network che recentemente ha disposto l’utilizzo delle informazioni raccolte da Whatsapp (si ribadisce, limitatamente alle zone extra UE) per migliorare il proprio servizio.
In relazione alla concentrazione più recente, quella che ha visto come protagoniste Google e Fitbit, da parte della Commissione si è notata una maggiore cautela, attenzione maggiore che il mercato della salute digitale sicuramente merita soprattutto in un periodo di emergenza sanitaria come questo; con la separazione tecnica in due “silos di dati” differenti imposta dalla Commissione, si è di fatto impedito alla multinazionale tecnologica di utilizzare per Google Ads i dati su salute e benessere raccolti con il dispositivo indossabile. Una riflessione complessiva sul mercato digitale è urgente a maggior ragione quando i dati arrivano ad essere concentrati nelle mani di attori del mercato così potenti (il caso Cambridge Analytica insegna). Occorre, quindi, mitigare il più possibile i rischi di operazioni di acquisizioni o fusione quando attraverso esse si possono intaccare diritti alla privacy e la protezione dei dati personali, così come auspicato dal Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB).
Insomma, la sfida è aperta e il mercato dei Big Data offre e offrirà continue opportunità di riflessione ed innovazione non solo dal lato tecnico-scientifico ma anche da quello strettamente giuridico, ricordando sempre che molto spesso dietro ad una promessa di gratuità di un servizio web si nasconde un pagamento con i nostri dati.
[1] Considerando n. 20 del Reg. 139/2004
[2] Il distinguo appena richiamato si fonda sul calcolo delle soglie di fatturato delle aziende che abbiano manifestato la volontà di concentrarsi. Nello specifico, una concentrazione avente rilevanza eurounitaria si avrà nel caso in cui siano rispettate cumulativamente le condizioni di cui al Regolamento 139/2004, articolo 1, paragrafi 2 e 3; per ciò che concerne le operazioni di concentrazione avente rilevanza nazionale, invece, si rinvia ai requisiti di cui all’articolo 16 della Legge 287/1990
[3] “Decisioni dell’Autorità e principi interpretativi”, pubblicato su agcm.it
[4] F. GHEZZI, G. OLIVIERI, “Diritto Antitrust”, Giappichelli editore, II ed., p. 282
[5] “Cresce il mercato italiano dei Big Data Analytics: ora vale 1,7 miliardi di euro” pubblicato il 10 dicembre 2019 su lastampa.it
[6] M. MAGGIOLINO. “I big data e il diritto antitrust”, Egea Editore, 2018, pp. 1,3
[7] Secondo il Paper OCSE del 2015 “Data driven innovation. Big Data for growth and well-being” si evidenzia come lo sfruttamento dei Big Data ha permesso alle società statunitensi un incremento della produttività del 5-6%
[8]“I Big Data, il prodotto siamo noi”, pubblicato il 10 maggio 2019 su ilsole24ore.com
[9] F. GHEZZI, G. OLIVIERI, “Diritto Antitrust”, Giappichelli editore, II ed., p. 233
[10] “Big Data Indagine Conoscitiva Congiunta – Linee Guida E Raccomandazioni Di Policy” delle Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), Garante per la protezione dei dati personali (Garante Privacy) e per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) pubblicato nel luglio 2019
[11] Può essere utile in tal senso analizzare le due informative privacy dell’applicazione di messaggistica valida per rispettivamente per l’Eurozona e Regno Unito https://www.whatsapp.com/legal/updates/privacy-policy-eea e quella valida per il resto del mondo https://www.whatsapp.com/legal/updates/privacy-policy
[12] “Telegram said it added more than 25 million users over the previous three days, pushing it to over 500 million users. Signal added nearly 1.3 million users on Monday alone, after averaging just 50,000 downloads a day last year, according to estimates from Apptopia, an app-data firm”, articolo pubblicato il 13 gennaio 2021 su nytimes.it
[13] Dichiarazione di Margrethe Vestager, Vicepresidente esecutivo della Commissione Europea e Commissaria per la Concorrenza, pubblicata il 15 dicembre 2020 sul sito ec.europa.eu
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Carmen Naclerio
Laureata in Giurisprudenza con lode presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata con una tesi in Diritto Amministrativo intitolata "Natura, compiti e vigilanza dell'ANAC sugli appalti pubblici e i suoi poteri nel precontenzioso". Svolge poi un tirocinio presso l'Autorità Nazionale Anticorruzione e consegue la Laurea Magistrale in Economia e Management presso lo stesso ateneo. Ora corsista nel Master di II Livello in Diritto della concorrenza e dell'innovazione presso l'Università LUISS Guido Carli.
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