Le operazioni sotto copertura
1. Profili procedurali. Le operazioni sotto copertura sono una tecnica speciale d’investigazione nonchè un mezzo prezioso per lo svolgimento d’indagini preliminari relative a determinati reati, tassativamente prestabiliti e considerati particolarmente gravi. La loro applicazione è, fin dagli albori dell’istituto, piuttosto dibattuta, dati i seri interrogativi che si sollevano in merito all’inserimento di agenti appartenenti alla forza pubblica in ambienti criminali. Se infatti il compito istituzionale di tali soggetti, in queste circostanze, è raccogliere elementi di prova utili ad un certo procedimento penale, indubbiamente, nella prassi, il confine tra l’osservazione passiva dei presunti colpevoli e la provocazione degli stessi a delinquere, è molto labile, senza contare che gli agenti arrivano, in alcuni casi, a concorrere nel compimento di tali reati, di cui lo Stato stesso si rende, quindi, in qualche modo responsabile.
Tendenzialmente, gli agenti non vengono puniti per tali crimini, purché, come verrà approfondito in seguito, si siano attenuti a tutte le prescrizioni del caso, grazie al combinato disposto dell’art. 51 c.p., scriminante che prescrive l’esenzione dalla punibilità per coloro che hanno commesso un reato in adempimento di un ordine legittimo della pubblica autorità o di un dovere, e dell’art. 55 c.p.p. relativo ai compiti della polizia giudiziaria che deve, tra le altre cose, “compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.
In linea più generale, è chiaro che l’esclusione della pena per i soggetti impiegati sotto copertura, o in undercover, risponde anche ad un principio di non contraddizione dell’ordinamento, che non può imporre di agire in un determinato modo e poi sanzionare chi rispetta la prescrizione, e ad un bilanciamento di interessi contrapposti per cui, alla fine, quello punitivo che lo Stato avrebbe nei confronti dell’agente viene meno. Questo però, non cambia la realtà dei fatti e l’immagine di un ordinamento che è disposto a compromessi notevoli pur di perseguire i crimini che più lo attanagliano.
Inoltre, a riconferma del cono d’ombra in cui si colloca l’istituto in esame, vi sono deroghe espresse rispetto ai doveri istituzionali dei soggetti coinvolti in operazioni sotto copertura. Sono infatti espressamente esonerati da questi obblighi, in tale specifico contesto, sia il pubblico ministero responsabile delle relative indagini, che può all’occorrenza ritardare gli specifici atti di sequestro, di applicazione di una misura cautelare o di fermo d’indiziato di reato, con l’onere di darne poi comunicazione all’autorità giudiziaria entro 48 ore, sia la polizia giudiziaria, che, durante le undercover operations, è autorizzata ad omettere o ritardare gli atti del suo ufficio (si pensi, soprattutto, alla necessità per tali agenti di non ottemperare al consueto obbligo di arresto in flagranza, nonostante assistano a dei reati per cui la misura sarebbe obbligatoria, ai sensi dell’art. 380 c.p.p.).
2. I reati presupposti. Il primo fondamentale punto da chiarire per un corretto inquadramento dell’istituto in esame è quali siano i presupposti perché un simile meccanismo venga attivato. Ebbene, le fattispecie criminose di cui bisogna avere notizia di reato per predisporre le operazioni sotto copertura sono elencate in diverse norme, susseguitesi nel tempo in maniera disomogenea e così schematizzabili:
– art. 97, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309: in Italia, la prima area del diritto penale in cui è stato possibile ricorrere ad attività sotto copertura è stata quella del traffico illecito di stupefacenti, tendenzialmente condotto da gruppi criminali più o meno organizzati, nelle cui maglie andava a inserirsi un agente di polizia per scoprirne meglio il funzionamento ed individuare i responsabili.
– Art. 9, comma 1 lett. a), legge 146 del 2006: tale disposizione si riferisce a tutti i delitti contro la persona, alle fattispecie di riciclaggio, ai reati di pedo-pornografia, prostituzione minorile, riduzione in schiavitù e turismo sessuale, nonchè a tutti i crimini concernenti armi o esplosivi, immigrazione clandestina, criminalità organizzata transnazionale e tratta di esseri umani[1].
– Art. 10, legge 136 del 2010: questa norma ha notevolmente ampliato il novero in esame, che è quindi giunto ad includere anche le diverse fattispecie relative alla contraffazione, l’estorsione e il sequestro di persona a scopo estorsivo, l’usura, il traffico illecito di rifiuti e, soprattutto, i delitti commessi con finalità di terrorismo ed eversione[2].
– Art. 1 comma 8, legge 3 del 9 gennaio 2019: tale riforma ha aggiunto ai reati presupposti per la disposizione di operazioni sotto copertura dei crimini radicalmente diversi da quelli finora elencati, in quanto non commessi in contesti tendenzialmente associativi. Si tratta infatti di fattispecie relative ai reati di concussione, corruzione, nelle sue molteplici sfaccettature, traffico di influenze illecite e turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente[3].
Si segnala che questa recente riforma prende vita dal d. l. 1189/2018, recante il titolo di “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” presentato dal Ministro Bonafede il 24 settembre 2018 e convertito, poi, nella legge in esame, iconicamente chiamata “Spazzacorrotti”. La medesima, contenente anche l’agognata riforma sulla prescrizione, si pone nel segno del diritto penale emergenziale, del “pugno duro” contro qualsiasi forma di fenomeno corruttivo.
Le ragioni di un simile intervento possono rinvenirsi nel fatto che, molto spesso, nel nostro Paese, la corruzione tende effettivamente a travalicare i limiti del singolo pactum sceleris e della bribery isolata, per assumere i connotati di una vera e propria organizzazione criminale e di un fenomeno pervasivo e sistematico, che raggiunge anche i livelli apicali della politica e degli organi amministrativi[4]. Nelle intenzioni del legislatore, l’intervento è dunque giustificato dalla gravità di tali reati che risultano, da una parte, estremamente diffusi sul nostro territorio, ma dall’altra, di difficilissimo accertamento, soprattutto trattandosi di contesti in cui i soggetti coinvolti si proteggono reciprocamente, dato il comune illecito interesse che li unisce.
Tuttavia, l’infiltrazione di un agente di polizia con lo scopo di potare alla luce tali fenomeni, seppur certamente meno pericolosa per l’incolumità dell’operatore coinvolto che s’inserirà, magari, nei contesti della P.A. anziché nei ben più feroci cartelli della droga, appare di più difficile realizzazione e comporta un rischio di provocazione maggiore[5].
3. La procedura. Le operazioni sotto copertura possono essere disposte da un organo di vertice della forza pubblica che dà il relativo incarico ad uno o più ufficiali di polizia giudiziaria della polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza, appartenenti a strutture specializzate di livello almeno provinciale ed identificati in soggetti che hanno alle spalle una specifica formazione, ferma la possibilità di affiancare loro alcuni ausiliari, anche non appartenenti alle forze dell’ordine[6].
Prima che le operazioni comincino, tale organo di vertice deve inoltrare la relativa comunicazione al pubblico ministero competente, indicando il vero nome dell’agente solo se necessario o se richiesto, ma non è obbligato ad attendere un riscontro, motivo per cui il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria, garante della legalità dell’intera fase d’indagine, è forse un po’ carente, data l’estrema delicatezza delle situazioni e le importantissime implicazioni che derivano dall’utilizzo di tale mezzo investigativo speciale.
Successivamente, l’agente o gli agenti s’inseriscono gradatamente nel contesto criminoso da analizzare, di regola dotati di una falsa identità corroborata da documenti falsi e da quant’altro possa servire a proteggerne l’incolumità. L’infiltrazione può avere una durata variabile, ma si tenga conto che, in linea generale, la durata massima delle indagini preliminari è di 6 mesi, in ipotesi eccezionali prorogabili fino a 18 o, addirittura, fino a due anni nei casi relativi a reati particolarmente gravi, ai sensi dell’art. 407 c.p.p.
Nel corso dell’operazione, poi, compatibilmente con le sue esigenze, l’agente sul campo è obbligato a tenere informati i suoi superiori e, se possibile, a redigere relazioni periodiche che rendano conto dell’andamento delle indagini, dei soggetti coinvolti e dei risultati ottenuti, preferibilmente riportando eventuali dialoghi in forma di discorso diretto.
Sono inoltre presenti nel nostro codice di rito diverse disposizioni volte a tutelare l’identità segreta degli agenti sotto copertura, non solo durante lo svolgimento delle operazioni, ma anche per tutta la durata del seguente processo penale, in modo da garantire allo stesso una protezione a tutto tondo e, parimenti, per poterlo più facilmente reimpiegare in analoghe indagini future.
Tali disposizioni sono:
– art. 115, comma 1-bis disp. att. c.p.p., a mente del quale in ogni documento procedimentale redatto dalla polizia giudiziaria in fase d’indagine, e quindi in tutte le annotazioni e nei verbali[7], si devono utilizzare sempre e solo le generalità di copertura dell’agente undercover coinvolto, in modo garantire allo stesso, appunto, una tutela completa della sua reale identità, anche nelle eccezionali ipotesi in cui tali documenti, che normalmente non entrano a far parte dell’impianto probatorio, abbiano accesso alla fascicolo dibattimentale, perché qualificati come verbali di atti irripetibili[8] o perché sussiste in tal senso il consenso dell’imputato[9].
– art. 497 c.p.p., che, ponendosi esattamente sulla stessa linea della norma di cui sopra, prevede che i soggetti impiegati come agenti sotto copertura, qualora siano invitati a fornire le proprie generalità in ogni stato e grado del processo, indichino esclusivamente quelle di copertura, se del caso anche al magistrato.
– art. 147, comma 1-bis disp. att. c.p.p. Tale disposizione, disciplinando l’escussione dibattimentale degli operatori sotto copertura chiamati a testimoniare nel processo, impone che l’esame degli stessi si svolga sempre evitando che il loro volto sia visibile, in osservanza di tutte le cautele necessarie a tutelare il soggetto e la sua riservatezza, ovvero a distanza in collegamento audio-visivo, con un ausiliario del giudice presente nel luogo in cui è l’agente per accertare la regolarità della deposizione.
Quest’ultima previsione, in particolare, risulta un po’ problematica perché introduce nel nostro ordinamento una sorta di testimonianza anonima che priva l’imputato del fondamentale diritto al confronto[10] e stride con con le previsioni costituzionali relative al diritto di difesa, e, in particolare, di “difendersi provando”, con la presunzione di non colpevolezza e con i canoni del giusto processo e del contraddittorio, in quanto:
– preclude tutte le domande della difesa sulla credibilità del teste in sé e sul suo background personale, in contrasto con quanto prescritto dalla Raccomandazione (97) 13 del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa. Non sarà infatti possibile per l’avvocato dell’imputato, in sede di cross examination, porre all’agente sotto copertura dei quesiti ai sensi dell’art. 194, comma 2, c.p.p., ovvero che si estendano anche alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne, appunto, la credibilità, rendendo, quindi, estremamente difficile la dimostrazione di un testimone prejudiced, hostile or unreliable.
– impedisce di osservarne le reazioni spontanee e le espressioni immediate, ossia il c.d. “contegno processuale”, di fronte a determinate affermazioni.
La problematica non è sfuggita alla Corte europea dei diritti umani che si è pronunciata al riguardo con diverse decisioni[11], avvallando, in ultima analisi, l’impiego della speciale testimonianza dell’agente undercover in un’ottica, come già accennato, non solo di protezione completa del soggetto, ma anche di “economia istituzionale”, ossia per garantire la possibilità del reimpiego futuro dello stesso agente in simili operazioni, senza, quindi svelarne in alcun modo la reale identità al pubblico.
I giudici di Strasburgo hanno, inoltre, evidenziato la necessità di vagliare, di volta in volta a seconda delle circostanze del caso concreto, l’opportunità di attuare tali eccezionali disposizioni che impongono una simile segretezza sul passato e sull’identità del teste sotto copertura, soprattutto nei confronti del giudice, diversamente da quanto accade nell’ordinamento italiano, in cui gli articoli del codice di rito sopra menzionati vengono applicati a priori, ogniqualvolta si tratti della testimonianza di un undercover.
4. L’utilizzabilità dei risultati probatori. I risultati probatori ottenuti mediante le operazioni sotto copertura sono di regola utilizzabili nel processo penale, a patto che il reato per cui si è proceduto appartenga alla serie tassativa dei crimini presupposti precedentemente elencati e che l’agente, sul campo, si sia correttamente attenuto a tutte le direttive emanate dai suoi superiori e dal pubblico ministero e alle regole procedurali previste, senza ricorrere alla provocazione. In questi casi, infatti, l’inutilizzabilità della prova è patologica e quindi rinvenibile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ai sensi dell’art. 191 c.p.p. Diversamente, invece, nell’ipotesi in cui l’agente abbia commesso un reato nel corso delle operazioni sotto copertura e quindi abbia violato la legge penale sostanziale, la prova raccolta grazie a tale crimine è certamente illecita e, tuttavia, se non sono state violate libertà costituzionali[12], e l’inutilizzabilità non è espressamente prevista come conseguenza da alcuna norma, la stessa è spendibile nel processo, in linea con l’antico brocardo male captum bene retentum.
Secondo lo stesso principio[13], poi, si spiega perché nello specifico caso d’indagini riguardanti il traffico illecito di stupefacenti, che rappresentano la sedes materiae per antonomasia delle operazioni sotto copertura, “risulta pur sempre legittimo, e utilizzabile come prova, il sequestro probatorio del corpo di reato, o delle cose pertinenti al reato, rinvenute a seguito di un’attività di polizia dalla quale pur venga riconosciuto il superamento dei limiti imposti dalla legge”[14].
[1] “Delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter nonchè nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75”.
[2] “Artt. 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis, 648-ter c.p.; i delitti contro la personalità individuale previsti nel Libro II, titolo XII, capo III, sez. I; i delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi; i delitti previsti dall’art. 12, commi 1, 3-bis e 3-ter del T.U. della disciplina dell’immigrazione e della condizione dello straniero di cui al D. Lgs. 25 luglio 1998 n.286; i delitti previsti dal T.U. in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309; i delitti previsti dall’art. 260 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152; i delitti previsti dall’art. 3 della legge n. 75 del 20 febbraio 1958”.
[3] “artt. 317, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis c.p.” Per un’analisi più approfondita al riguardo si vedano P. IELO, L’agente sotto copertura per i reati di corruzione nel quadro delle tecniche speciali di investigazione attive e passive, in www.penalecontemporaneo.it, 5 marzo 2019; P. SCEVI, Riflessioni sul ricorso all’agente sotto copertura quale strumento di accertamento dei reati di corruzione, in Arch. pen. 2019, n. 1; D. PULITANO’, Tempeste sul penale. Spazzacorrotti e altro, in Dir. pen. cont., 2019, n. 3.
[4] V. MONGILLO, La legge “Spazzacorrotti”: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell’anticorruzione, in Dir. pen. cont., 2019, n. 5.
[5] Molto eloquente, a tal proposito, è il recente film American Hustle, che racconta la storia di un’importantissima operazione sotto copertura, denominata Abscam, condotta negli Stati Uniti negli anni ’80 per vagliare lo stato di “morale” del tempo dell’amministrazione pubblica. Le indagini, condotte con metodi discutibili e decisamente provocatori in alcune circostanze, portarono all’incriminazione di ben 25 persone, tra cui 7 membri del Congresso.
[6] Art. 9, comma 1, della legge 16 marzo 2006, n. 146.
[7] Art. 357 c.p.p.
[8] Art. 431 c.p.p.
[9] Art. 493, comma 3, c.p.p.
[10] Cfr. M. MIRAGLIA, Spunti per un dibattito sulla testimonianza anonima in www.penalecontemporaneo.it, 30 dicembre 2011. Proprio a proposito del diritto al confronto l’A. cita, nella primissima pagina dell’articolo, le autorevoli opinioni del Carrara e di Eisenhower.
[11] Di cui si segnala una delle più recenti, ovvero la decisione Bátĕk ed altri c. Repubblica Ceca, risalente al 12 aprile 2017 e consultabile su www.echr.coe.int.
[12] Il riferimento va inteso, in particolare, alla libertà individuale, alla libertà di domicilio e alla segretezza della corrispondenza, tutelati dagli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost. Si ricorda, in particolare, la pronuncia della Corte Cost. del 6 aprile 1973, n. 3, dove venne fortemente affermato che le attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito. Tale affermazione, poi, ha creato i presupposti per la creazione della categoria delle prove incostituzionali, raccolte in violazione dei diritti della Carta o, anche indirettamente, comunque in spregio dei beni individuali costituzionalmente garantiti. Non esiste, infatti, una norma costituzionale che sancisca espressamente l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei principi fondamentali della Costituzione, ma è chiaro che questi risulterebbero privati del loro significato se si ammettesse il contrario.
[13] Cfr. Cass., sez. III, 8 giugno 2004, Ganci, in Dir. e giust., 2004, 31, 24, con nota di NATALINI, Male captum, bene retentum: sul sequestro penale la Suprema Corte ci ripensa.
[14] Cass., sez. III, 10 gennaio 2013, sent. n. 1258.
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Silvia Zinolli
I have graduated in law with honors at the University of Genova, where I come from.
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Right now I am a lawyer trainee and I am building my future with enthusiasm.
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