Le procedure di stabilizzazione del personale nel pubblico impiego: fondamento e limiti

Le procedure di stabilizzazione del personale nel pubblico impiego: fondamento e limiti

Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (sezione III n. 872 del 3 febbraio 2020) consente di soffermarsi sul tema delle  “stabilizzazioni”, ossia quelle procedure di cui si avvalgono le Pubbliche Amministrazioni per stabilizzare la posizione lavorativa dei cc.dd.”precari”,  riservando  posti in favore del personale previamente assunto con contratti flessibili e a tempo determinato sulla scorta dell’art. 36 del T.U. sul Pubblico Impiego.

Al fine di saggiare il fondamento e la tenuta costituzionale delle stesse, non si può prescindere da un esame, sia pur sommario, dei principi che la Carta costituzionale pone a fondamento del pubblico impiego. L’art. 97 co. 4 Cost. statuisce, com’è noto, che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge. Le ragioni di siffatto vincolo sono agevolmente percepibili: la procedura concorsuale consente di selezionare, in condizioni di trasparenza e nel rispetto di quei principi di buon andamento e imparzialità che  devono necessariamente pervadere l’operato della p.a.(art. 98 Cost.), i soggetti più meritevoli e tecnicamente idonei allo svolgimento della posizione lavorativa da ricoprire. Il vincolo concorsuale trova sicuro riscontro nell’art. 35 del D. lgs. 165/2001 (T.U. del pubblico impiego), il quale dispone che l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene, di regola, per mezzo di procedure selettive, tese all’accertamento delle professionalità richieste e che siano in grado di garantire in misura adeguata l’accesso all’esterno.  Tuttavia, come dapprima evidenziato, la p.a. ha la possibilità di assumere personale ricorrendo eccezionalmente a forme contrattuali flessibili e a tempo determinato, purché vi siano esigenze peculiari da soddisfare (art. 36 T.U. sul Pubblico Impiego).

Il basilare principio del pubblico concorso è quindi passibile di deroghe, dacché è lo stesso art. 97 co. 4 Cost. a rimettere alla legge l’individuazione dei casi in cui tale vincolo può essere superato.

È in questo ambito che si collocano le procedure di stabilizzazione del pubblico impiego.

Va detto che sono state espresse delle perplessità in merito alla tenuta costituzionale di simili procedure, muovendo dall’assunto che il semplice svolgimento di una pregressa attività lavorativa nei riguardi un soggetto pubblico non possa costituire di per sé una valida giustificazione per godere di una riserva di posti in una procedura concorsuale, giacché si eluderebbe il vincolo posto dalla Costituzione, creando per di più un arbitrario privilegio in favore di una determinata categoria di persone, in spregio al principio di uguaglianza.

Attualmente invece, anche in forza del consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, si ritiene che le procedure di stabilizzazione integrino delle deroghe consentite alla regola del concorso pubblico, purché, beninteso, siano conformi al principio di ragionevolezza. La Consulta ha così scolpito la fisionomia che tali procedure devono presentare affinché possano essere considerate compatibili con la Costituzione: non è sufficiente il pregresso svolgimento della prestazione lavorativa in favore dell’ente pubblico né basta, parimenti, la personale aspirazione del soggetto a ché la propria posizione sia alfine stabilizzata; si richiede, piuttosto, che vi siano peculiari esigenze da soddisfare, attinenti alla particolarità delle funzioni che il personale sarà chiamato a compiere, con peculiare riguardo a vari elementi, tra i quali,  a titolo esemplificativo, la valorizzazione delle specifiche esperienze maturate all’interno dell’amministrazione. La deroga alla regola del pubblico concorso deve, inoltre, essere contenuta entro precisi limiti, tali da non inibire in assoluto le possibilità di accesso al pubblico impiego dei cittadini.

Nel corso degli anni, si sono succeduti vari interventi normativi tesi al superamento del precariato nell’amministrazione pubblica, specie a seguito del venir meno del c.d. “blocco delle assunzioni”.

Una disposizione relativamente recente e assai significativa in tale direzione, è rappresentata dall’art. 20 del d.lgs. 75 del 2017, che si inserisce nel quadro delle deleghe conferite al Governo nell’ambito di un disegno di ampio respiro, volto alla complessiva riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (c.d. “Riforma Madia”).

Dispone testualmente la suddetta disposizione che “Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.

– al comma 2, l’art. 20 statuisce che “Nello stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni, possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso; b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso”.

La finalità di superamento del precariato è di immediata percezione, già in virtù di una lettura combinata della rubrica e dei primi due commi: vengono fissati dei requisiti ben precisi di ammissione alla procedura selettiva, modulati sul pregresso svolgimento di attività lavorativa a tempo determinato o con forme contrattuali flessibili. Nel contempo, l’effettiva immissione nei ruoli della p.a. soggiace al rispetto degli ineludibili vincoli di finanza pubblica, postulando invero la coerenza della procedura con il piano triennale dei fabbisogni.  La stabilizzazione, inoltre, deve avvenire senza pregiudicare la “garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno”, di guisa da bilanciare il diritto dei lavoratori precari a conseguire una posizione lavorativa definitiva e quello degli altri soggetti, in possesso dei requisiti tecnico-professionali relativi alle posizioni oggetto di bando, a partecipare, in condizioni di uguaglianza e trasparenza, alla procedura concorsuale.

Orbene, ciò premesso, si pone il problema di capire se possano accedere alla stabilizzazione contemplata dalla “Riforma Madia” anche soggetti che, avendo svolto in passato prestazioni lavorative nei riguardi della p.a. con contratti di lavoro flessibili o a termine, non siano più precari in quanto risultino titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso altre pubbliche amministrazioni.

In altri termini, il quesito concerne l’ammissibilità della stabilizzazione del personale già in servizio a tempo indeterminato presso altre pubbliche amministrazioni.

La questione, esaminata dal Consiglio di Stato nella sentenza menzionata in apertura, riceve una risposta negativa.

Ed invero, dopo aver ricordato che le procedure di stabilizzazione integrano delle deroghe al vincolo costituzionale del pubblico concorso, si rammenta che, come tutte le eccezioni, le leggi che le dispongono devono essere interpretate restrittivamente, per non incorrere, oltre che nella violazione dell’art. 97 co. 4 Cost., anche nella violazione del principio di eguaglianza scolpito dall’art. 3 della stessa Carta.

Se è vero che l’art. 20 del D.lgs. 75 del 2017 non esige, al fine di accedere alla stabilizzazione, che il rapporto di lavoro “precario” sia in corso di svolgimento, è parimenti vero che la sussistenza di un rapporto di lavoro stabile alle dipendenze di altra p.a. costituisce un elemento inconciliabile con la “ratio stessa della stabilizzazione della posizione lavorativa. Difatti, se il soggetto, pur  essendo stato assunto in passato con forme contrattuali a termine e flessibili al servizio di una p.a., risulta ormai aver conseguito un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso altra p.a., viene meno la logica stessa della stabilizzazione, che è una forma di reclutamento speciale riservata, in deroga al pubblico concorso, a coloro che siano appunto “precari”,  onde agevolarne l’immissione definitiva nei ruoli del soggetto pubblico.

È pertanto la “precarietà”, attuale o comunque pregressa, il presupposto irrinunciabile della stabilizzazione: è importante, infatti, che siffatta procedura non si trasformi in un meccanismo atto solamente a valorizzare la pregressa esperienza lavorativa maturata dal dipendente, elemento questo di cui indubbiamente si tiene conto ma che non è qualificabile come criterio guida esclusivo per giustificare la legittimità della stabilizzazione.

Un’interpretazione dell’ambito della procedura di stabilizzazione estesa al di là dei casi  tassativamente individuati dalla disposizione, oltre a non conciliarsi con il vincolo costituzionale del pubblico concorso, è tanto più pericolosa in quanto pregiudica le aspirazioni di quanti, proprio in virtù del concorso, potrebbero ragionevolmente e legittimamente aspirare a occupare i posti in organico vacanti.

In conclusione, ad avviso del collegio, dato che la stabilizzazione si configura come meccanismo di transizione da una posizione lavorativa precaria a una posizione lavorativa a tempo indeterminato, ove la prima sia cessata in quanto il lavoratore ha “medio tempore”  ottenuto un contratto a tempo indeterminato presso altra amministrazione, non si ravvisano spazi per poter accedere alla riserva di posti contemplati da questa eccezionale forma di reclutamento.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti