Le Regioni e la statistica

Le Regioni e la statistica

La statistica ufficiale è pervasa dal fascino che le deriva dall’essere luogo d’incontro di discipline diverse: scientifiche per l’aspetto sostanziale e giuridiche per quello applicativo. Le regole matematiche informano le fasi di raccolta, spoglio, elaborazione e interpretazione dei dati, mentre il diritto (pubblico) presiede all’organizzazione del sistema statistico, al raccordo fra assolutezza dei dati e realtà sociale e giuridica, alla divulgazione delle informazioni. Denominatore comune di tali discipline è la “dimensione pluralista”: per definizione, la statistica è la scienza del collettivo e il diritto è l’insieme di regole di una comunità. Entrambe postulano quindi la presenza di relazioni fra le unità del gruppo preso in esame, che sarà un collettivo statistico in un caso e un collettivo sociale nell’altro (e, d’altronde, il d.lgs. 6/9/1989, n. 322, istitutivo del Sistema statistico nazionale, definisce i dati elaborati nell’ambito della statistica ufficiale “patrimonio della collettività”).

La statistica ufficiale, in prima battuta, può essere definita come statistica della res publica, associata all’attività politica e amministrativa per il miglior soddisfacimento degli interessi nazionali. Più in particolare, essa si sostanzia sotto il profilo organizzativo nei soggetti che compongono il Sistema statistico italiano (d’innanzi: SISTAN) e nelle relazioni che tra loro intercorrono alimentando il flusso dei dati e, sotto quello operativo, nel regime di reperimento e trattamento dei dati stessi. Va poi menzionato il regime pubblico delle informazioni così ricavate: sono spesso regolate dalla legge le risultanze dell’attività statistica, le conseguenze che producono (si pensi, per esempio, all’indice dei prezzi al consumo e all’importanza che ha assunto in tanti settori della nostra vita), la loro diffusione.

Inoltre, tenuto conto che il diritto nazionale è profondamente permeato da quello comunitario e che la statistica pubblica non si sottrae a tale influenza, vi è anche una statistica comunitaria che si relaziona con quella interna sul piano dei principi e, di nuovo, su quello organizzativo. La statistica ufficiale è dunque finalizzata al governo della cosa pubblica, al quale contribuisce in termini di supporto informativo, di guida all’azione amministrativa, di leva per l’attuazione delle politiche. Il dato normativo consente di aggiungere alcune indicazioni utili all’inquadramento della materia: il legislatore nazionale ricollega ad essa “le attività di rilevazione, elaborazione, analisi, diffusione e archiviazione dei dati statistici svolte dagli enti ed organismi pubblici di informazione statistica” (art. 1, d.lgs. n. 322/1989); quello comunitario, in modo analogo, definisce la produzione statistica come “il processo che include l’insieme delle attività necessarie alla raccolta, all’immagazzinamento, al trattamento, alla compilazione, all’analisi e alla diffusione dell’informazione statistica” (reg. CE 17 febbraio 1997, n. 322/97: curiosamente, entrambe le norme sono contraddistinte dal medesimo numero progressivo) e la “statistica comunitaria” come insieme delle “informazioni quantitative, aggregate e rappresentative tratte dalla raccolta e dall’elaborazione sistematica di dati, prodotte dalle autorità nazionali e dall’autorità comunitaria nel quadro dell’attuazione del programma statistico comunitario”. I principi affermati in sede europea, ex art. 285 del Trattato di Amsterdam, sono l’imparzialità, l’affidabilità, l’obiettività, l’indipendenza scientifica, l’economicità e il segreto statistico. Azioni statistiche necessarie per assicurare alla collettività la conoscenza dello stato del Paese e delle sue istituzioni, per supportare i processi decisionali dei soggetti pubblici e privati e le scelte di governo delle amministrazioni pubbliche secondo le loro competenze istituzionali, per consentire ai cittadini il controllo diffuso degli effetti delle politiche e dell’attività delle amministrazioni”, in Il ruolo delle Regioni e degli Enti locali nella programmazione statistica ufficiale, in Statistica ufficiale. Aspetto meritevole di analisi nell’ambito della statistica pubblica, ispirato dall’evoluzione ordinamentale del nostro Stato, è il passaggio dalla statistica pubblica “centrale” alla statistica nazionale e, oggi, alla statistica regionale. Le date che segnano tale evoluzione sono quelle di fondazione del sistema statistico pubblico, fra il 1860 e il 1861, quella di creazione dell’Istituto centrale di statistica nel 1926 e, infine, quella della sua trasformazione in Istituto nazionale nel 1989, anno in cui si assiste alla nascita del SISTAN. Da ultimo, nel 2001 la riforma della Carta fondamentale regala alla materia dignità costituzionale, inserendo il “coordinamento informativo statistico […] dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale” nell’alveo della competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett. r) (6).

Ancorché laconico sul punto, il nuovo “titolo V” è la struttura portante della statistica ufficiale regionale, i cui pilastri sono la potestà legislativa e le correlate attribuzioni amministrative. Il dato testuale dell’art. 117 Cost. dovrebbe essere indice di una competenza esclusiva delle Regioni, posto che la statistica tout court non è annoverata fra le materie ricondotte alla potestà legislativa statale, o a quella concorrente, ma vi sono elementi per temperare una posizione così netta, quali il predetto compito di coordinamento affidato allo Stato, da un lato, e, dall’altro, i vincoli “di principio” di cui alla Costituzione (sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza) e al sistema dei Trattati comunitari.

È lecito pertanto concludere, avuto riguardo al fatto che la statistica è servente rispetto all’amministrazione attiva, che la competenza legislativa delle Regioni coincide con essa, trae della statistica pubblica. Detto della statistica in termini di “materia” occorre altresì darne sinteticamente conto in termini di bene e di servizio. Quanto al primo aspetto, il d.lgs. n. 322/1989, come poc’anzi accennato, definisce l’informazione statistica “patrimonio della collettività”; quanto al secondo, “intesa in funzione della collettività, la statistica ufficiale acquisisce caratteri di servizio pubblico essenziale… Pur essendo discussa la nozione di servizio pubblico, è comunque certo che la statistica, quale bene pubblico, fa parte delle funzioni di prestazione”. La storia della statistica ufficiale s’intreccia con quella dell’Istituto centrale di statistica, creato con la legge 9 luglio 1926, n. 1162, al fine di affidare l’indagine e le rilevazioni statistiche a un unico ente distinto dall’apparato ministeriale. Un’embrionale struttura deputata alle rilevazioni statistiche era presente fin dal 1861 (in applicazione dei rr.dd. 5 luglio 1860, n. 4192, e 9 ottobre 1861, n. 294) presso il Ministero dell’agricoltura e, con il consolidarsi dell’importanza della raccolta delle informazioni, si era concentrata presso un’apposita direzione generale del Ministero dell’economia nazionale, ma in quegli anni l’interesse del regime fascista per il controllo dei canali d’informazione (per Mussolini “le statistiche valgono sempre più dei discorsi”) spinge verso un profondo riordino del settore, che si concretizza in un’amministrazione nuova, parallela e, appunto, “centrale” (10).

L’Istituto ha personalità giuridica e gestione autonoma ed è posto alle dirette dipendenze del Capo del Governo. Nella fase iniziale esso è chiamato a “provvedere alla compilazione e alla pubblicazione delle statistiche generali e speciali riguardanti l’Amministrazione dello Stato”, oltre alla divulgazione scientifica attraverso l’Annuario e il Bollettino statistici. Nel 1929 si addiviene a una prima riforma dell’Istituto per mezzo del r.d.l. 27/5/1929, n. 1285, intesa a rafforzare la centralità del nuovo ente nel panorama statistico nazionale (“tutti i servizi di statistica che attualmente si compiono presso le varie Amministrazioni. Il radicamento sul territorio è invece molto più graduale: nel 1939 sono istituiti nei Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti gli uffici periferici dell’Istat, ai quali è demandato il compito di dare alle stampe un bollettino mensile e un annuario; nello stesso periodo all’Istituto è assegnata la responsabilità di pubblicare un annuario statistico dei Comuni con oltre 50.000 abitanti. Solo nel 1966 si addiviene al completamento dell’articolazione periferica con la legge 6 agosto 1966, n. 628, che consente la creazione di uffici di corrispondenza regionali o interregionali. Di peculiare interesse in questa sede è la revisione del sistema operata dal d.lgs. n. 322/1989, in recepimento dei principi della legge-delega 24 agosto 1988, n. 400, con cui l’Istituto assume la denominazione attuale di Istituto nazionale di statistica), mantenendo la personalità giuridica di diritto pubblico, l’ordinamento autonomo e la sottoposizione alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri. Il Sistema nazionale di statistica modellato dal decreto di riforma si pone l’obiettivo di razionalizzare i flussi informativi a ogni livello, ottimizzare le risorse e assicurare che l’informazione statistica sia fornita al Paese e agli organismi internazionali attraverso un’unica fonte. Esso è composto dall’Istat, dagli uffici di statistica centrali e periferici (afferenti alle amministrazioni dello Stato, agli enti locali, alle Camere di commercio, alle altre amministrazioni) e dagli organismi pubblici d’informazione statistica. Insomma, la logica che presiede al Sistema è tesa a evitare il verificarsi di un “dilemma del prigioniero” fra le amministrazioni pubbliche, dove, appunto, trattandosi di fattispecie di gioco non cooperativo, esse sono portate a “defezionare”, cioè a comportarsi in base ai propri interessi egoistici, anziché a cooperare, pur nella consapevolezza che dalla cooperazione sarebbero ricompensate da indubbi vantaggi. L’Istat provvede al generale indirizzo e coordinamento e, specificamente: alla predisposizione del Programma statistico nazionale (nel prosieguo: PSN); all’esecuzione dei censimenti e delle altre rilevazioni previste dal Programma (come ad esempio i censimenti generali di popolazione e abitazioni, industria e servizi, agricoltura); alla supervisione delle attività statistiche degli enti e degli uffici facenti parte del SISTAN; all’assistenza tecnica; alla predisposizione delle nomenclature e delle metodologie di base per la classificazione e la rilevazione dei fenomeni di carattere demografico, economico e sociale; alla ricerca e allo studio sui risultati dei censimenti, delle rilevazioni, delle statistiche riguardanti fenomeni d’interesse nazionale; alla divulgazione scientifica. Il riassetto della statistica pubblica ha sancito l’evoluzione da un modello monolitico a uno “plurale”, in cui agiscono una molteplicità di soggetti e di ordinamenti. I caratteri di fondo della riforma sul piano organizzativo sono dunque riconducibili alla valorizzazione del ruolo degli uffici statistici degli enti territoriali minori e al coinvolgimento dei privati. Con l’affermazione della politica statistica comunitaria, infine, l’Istituto ha assunto la fisionomia di autorità responsabile della produzione statistica per l’Italia. Alle autorità nazionali e ad Eurostat sono affidate le statistiche comunitarie nel rispetto del principio di sussidiarietà e in base a norme uniformi e a metodi armonizzati. Il “regolamento d’interessi statistico” fra Stato e Regioni è stato più volte oggetto di sindacato costituzionale, sollevato dalle Regioni a tutela della propria sfera di attribuzioni. Le tre pronunce di riferimento, 13 aprile 1989, n. 242, 7-26 marzo 1990, n. 139, e 11-18 luglio 1991, n. 359, seguono l’intero percorso di approntamento del Sistan, investendo rispettivamente l’enunciazione dei principi e dei criteri direttivi di cui alla legge-delega, la determinazione del quadro normativo da parte del d.lgs. n. 322/1989 e la sua concreta attuazione per mezzo degli atti d’indirizzo e di coordinamento governativi. Quanto alla delega legislativa, si ricorderà che l’art. 24, legge n. 400/1988, preconizzava un sistema interconnesso, composto da “tutte le fonti pubbliche preposte alla raccolta e alla elaborazione dei dati statistici a livello centrale e locale”. Orbene, l’attribuzione all’Istat dei compiti d’indirizzo e coordinamento dei soggetti coinvolti nel Sistema era stata ritenuta lesiva della sfera di autonomia costituzionale assicurata alle Regioni, in quanto conferiva a un organismo diverso dal Governo poteri esercitabili anche nei confronti degli uffici di queste. Rigettate le censure, la Corte fornisce un primo contributo alla ricostruzione dei rapporti fra enti territoriali nella materia in esame, distinguendo fra attività dell’Istat per gli uffici statistici incardinati nell’amministrazione centrale dello Stato, rispetto ai quali possono essere dispiegati legittimi poteri direttivi perché essi sono in posizione di dipendenza funzionale, e attività dell’Istat per gli uffici statistici regionali (o, comunque, per gli uffici inseriti nell’organizzazione di enti dotati di autonomia costituzionale). In questo secondo caso l’Istituto può esercitare compiti d’indirizzo e di coordinamento meramente “tecnici”, con il precipuo scopo di unificare o di rendere omogenee le metodologie, e senza incidere “sul potere spettante alle Regioni… di programmare, dirigere e gestire l’attività dei propri uffici statistici secondo i propri bisogni”. Le disposizioni della legge n. 400/1988 assegnano pertanto all’Istat la potestà di armonizzare le definizioni, le classificazioni, i metodi di analisi e di elaborazione, le modalità di diffusione dei dati, il tutto a garanzia dell’unità del sistema e della correttezza dell’informazione statistica. Nel tessuto organizzativo disegnato dal legislatore delegato l’esercizio del potere di direttiva vincolante nei riguardi degli uffici di statistica statali (e, in parte, di quelli provinciali, comunali e delle Camere di commercio), e del potere d’indirizzo nei confronti degli uffici di statistica delle Regioni e delle province autonome, compete al Comitato di indirizzo e coordinamento dell’informazione statistica, organo collegiale a composizione mista, che delibera anche il PSN. Le direttive e gli atti d’indirizzo concernono, nello specifico: gli atti di esecuzione del P.S.N. e le iniziative per la sua attuazione, i criteri organizzativi e la funzionalità degli uffici di statistica delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e di quelli facenti parte del SISTAN; i criteri e le modalità per l’interscambio dei dati fra gli uffici statistici. Un esempio può forse essere di chiarimento. I poteri di direttiva e d’indirizzo tecnici includono i “criteri organizzativi e la funzionalità degli uffici di statistica”, attività ritenuta dalle Regioni invasiva della propria autonomia sul piano organizzativo. Nel caso di specie, la Corte costituzionale, con sent. n. 139/1990, ha sanato il conflitto ricorrendo a un’interpretazione compatibile con il riparto di competenze fra enti della Repubblica. Per la Consulta la norma va interpretata “nel senso che si riferisce ai [soli] criteri per l’organizzazione tecnica del lavoro statistico, vale a dire ai criteri che presiedono alla scelta e alle modalità di applicazione delle metodologie statistiche, nonché ai criteri volti a rendere tale applicazione più efficiente e produttiva”. Si noti che la Corte ha “salvato” il d.lgs. n. 322/1989 anche nella parte in cui prevede la presenza nel Comitato di un solo rappresentante regionale, ritenendo ragionevole la scelta effettuata dal legislatore in base all’assunto, oggi discutibile, per cui l’interferenza della programmazione delle statistiche nazionali su quelle regionali e, in genere, sull’esercizio delle competenze delle Regioni “è di norma irrilevante”. La sostanziale conformazione del legislatore delegato alle indicazioni della Consulta non ha tuttavia evitato l’emergere di numerose censure nei confronti del d.lgs. n. 322/1989, risolte unitariamente con la pronuncia da ultimo citata che, rigettando le posizioni espresse dalle Regioni, afferma la compatibilità del Sistan con il sistema delle autonomie.

L’inserimento delle Regioni nel Sistan, secondo la Consulta, è giustificato dal ruolo che esse hanno come componenti di questa collettività, allorché rappresentano i loro interessi e le loro opzioni nell’ambito del predetto interesse generale e infrazionabile e, d’altronde, il coinvolgimento delle Regioni nella fase di attuazione del P.S.N. e nelle procedure di rilevazione è limitato all’utilizzo, o all’avvalimento, da parte dell’Istat, degli uffici di statistica regionali per le attività di raccolta e, se del caso, per la prima elaborazione delle informazioni necessarie per le statistiche nazionali.

Riepilogando, per la Consulta esiste, in parallelo al sistema statistico nazionale, un sistema statistico regionale (inteso come categoria giuridica unitaria, ma diversificato sul territorio in ragione delle scelte organizzative compiute dalla singola Regione) e, conseguentemente, un’attività statistica regionale che si affianca a quella nazionale; l’attività statistica regionale finalizzata agli interessi regionali è, per definizione, esterna (ma non estranea!) al Sistan; sussiste un dovere di collaborazione nello scambio delle informazioni statistiche, avente quale parametro il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.; l’attività dell’Istat nei confronti degli uffici statistici regionali si concretizza in poteri d’indirizzo e di coordinamento “tecnici”; eventuali vincoli all’autonomia regionale sono strumentali alla soddisfazione di un interesse nazionale, nonché degli obblighi assunti in sede comunitaria e internazionale. A livello regionale opera una duplicità di strutture deputate all’attività statistica: da un lato vi sono gli uffici dell’Istat che agiscono come articolazioni territoriali dell’Istituto e, dall’altro, gli uffici statistici delle Regioni. La mancanza di terminali in periferia è stato un limite costantemente avvertito dall’Istat, che ne ha in più riprese sollecitato il superamento attraverso l’adozione di adeguati interventi legislativi, peraltro senza trovare l’adesione del Consiglio superiore di statistica. Nel 1961 uno studio indica in 18 ispettorati regionali e 92 sezioni provinciali la dotazione minima indispensabile, ma è solo la legge n. 6/8/1966, n. 628, a decretare l’istituzione dei primi, la cui effettiva costituzione è posteriore di alcuni anni (24). Si trattava in sostanza di uffici di corrispondenza, privi di quello spettro di azione che sarebbe maturato solo con la riforma del 1989. Oggi l’Istat si avvale di diciotto uffici regionali, dediti principalmente allo svolgimento di attività di sostegno alla produzione statistica, di diffusione dell’informazione, promozionali, di assistenza e formazione degli organi locali del Sistan. Ogni ufficio regionale si configura come punto di raccordo tra i diversi soggetti del Sistema e, dal 1995, accoglie un Centro destinato a facilitare l’accesso ai dati statistici ufficiali. Gli uffici statistici delle Regioni, come si è avuto modo di accennare in precedenza, hanno una missione radicalmente diversa da quelli dell’Istat, giacché non operano come organi di decentramento, ma come organi di amministrazione, ancorché servente rispetto alle funzioni materiali assegnate alle Regioni dall’ordinamento. L’attività degli uffici statistici delle Regioni può essere così intesa in senso “forte”, ove originata dalla legislazione regionale e collegata alle funzioni materiali delle Regioni medesime, o in senso “debole”, se inerisce al complesso delle rilevazioni statistiche compiuto su base regionale per esigenze di carattere nazionale.


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Avv. Gianluca Galofaro

Si laurea nel 2005, presso l’università degli studi Catania, con tesi sperimentale in Informatica giuridica. Consegue nel 2008, l'abilitazione alla professione di avvocato. E’ iscritto all'Ordine degli Avvocati di Siracusa dal 2009. Si occupa prevalentemente di diritto civile, tributario, del lavoro, ambientale e marittimo. Avvocato fiduciario di diverse aziende ed Enti pubblici. Ha frequentato un Master di II livello in diritto della navigazione e dei trasporti. Ha frequentato un master di I livello in discipline economiche, statistiche e giuridiche. Esperto in management della Pubblica amministrazione. Consulente dell’ufficio affari legali del Ministero dell’Ambiente negli anni 2009/2011. Membro della camera arbitrale internazionale. Abilitato all’insegnamento, è attualmente docente di corsi in diritto della navigazione.

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