Le reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico

Le reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico

Sommario: 1. Introduzione – 2. La regolamentazione: il ruolo dell’AGCOM – 2.1 Gli effetti dei provvedimenti dell’Authority sull’autonomia negoziale – 3. Le reti e gli impianti di comunicazione elettronica ad uso pubblico – 3.1 Le competenze – 3.2 I procedimenti amministrativi per l’installazione e la modifica degli impianti – 3.2.1 I singoli procedimenti – 3.3 Il caso dei provvedimenti comunali “no 5G” – 4. Il nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche – 4.1 Spettro radio – 4.2 Coinvestimenti – 4.3 Regolazione dell’operatore wholesale only

 

1. Introduzione

La comunicazione, intendendosi qui come la trasmissione di un messaggio o segnale, ha rappresentato sin dagli albori dell’umanità un bene essenziale per gli individui, ed il principale mezzo attraverso il quale le civiltà hanno potuto progredire.

Nell’epoca attuale, per merito degli importanti sviluppi tecnologici degli ultimi secoli, le comunicazioni elettroniche hanno assunto un’importanza cruciale per la società, l’economia e la stessa vita umana, portando importanti benefici in ogni ambito e settore.

Sintomo della primaria importanza nella società contemporanea delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica è del resto la previsione anche nel settore delle telecomunicazioni del Servizio Universale[1].

Non a caso, dunque, tale bene rappresenta oggi un diritto fondamentale della persona, contemplato, accanto alla libertà di espressione, anche dalla nostra Costituzione[2] e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[3].

Soprattutto dall’avvento della digitalizzazione si sta assistendo ad un incessante processo di evoluzione tecnologica che, in materia di telecomunicazioni, rende necessaria – ma al contempo complessa – una normativa che sappia bilanciare prontamente i molteplici interessi in gioco, anche in un’ottica prospettica.

Il diritto delle telecomunicazioni, inevitabilmente, è mutato nel corso del tempo (quasi) di pari passo con l’avanzamento del progresso tecnologico ed economico.

Dalla metà degli anni Ottanta, in particolare, i mercati delle comunicazioni elettroniche sono stati oggetto di molteplici interventi normativi – sovente sotto impulso comunitario – volti specialmente all’armonizzazione delle variegate discipline statali, alla liberalizzazione dei mercati stessi ed alla creazione nel settore di una concorrenza effettiva, che prendesse il posto dei vecchi monopoli statali[4]. Tali obiettivi sono stati perseguiti anche intervenendo sulla convergenza intra e infra settoriale.

Oggi in Italia la disciplina delle comunicazioni elettroniche è principalmente contenuta nel D.Lgs. n. 259/2003 (c.d. Codice delle Comunicazioni Elettroniche, di seguito CCE, attuativa di molteplici direttive comunitarie).

Tale provvedimento, però, è destinato ad essere sostituito entro il 21 dicembre 2020 dalla normativa di recepimento della Direttiva UE n. 1972/2018 (recante il “Nuovo Codice” europeo delle Comunicazioni Elettroniche).

In un settore in cui i progressi tecnologici e del mercato appaiono attualmente inarrestabili, le sfide per legislatori e regolatori sono tuttavia ben lungi dall’essere considerate chiuse.

Ciò premesso, con la presente trattazione saranno affrontati alcuni tratti salienti del diritto amministrativo delle telecomunicazioni, con particolare attenzione alla disciplina sullo sviluppo delle reti[5] e, per quanto necessario, dei servizi[6] di comunicazione elettronica.

Il settore audiovisivo, dell’editoria, dei servizi postali ed il sistema di internet non saranno trattati in questa sede[7].

2. La regolamentazione: il ruolo dell’AGCOM  

In virtù delle peculiarità del settore delle telecomunicazioni, caratterizzato in particolare dalla presenza di monopoli naturali, di forti economie di scala, dalla mutevolezza dei mercati e da diversi interessi involti, sono stati adottati in ambito europeo e nazionale diversi rimedi regolatori.

A riguardo, spiccano l’istituzione di autorità nazionali di regolamentazione e dell’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (di seguito BEREC)[8].

In Italia le funzioni di regolamentazione delle comunicazioni elettroniche sono state attribuite all’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito AGCOM), istituita con L. n. 249/1997.

Scopo dell’Autorità, ai sensi di quest’ultimo provvedimento, è quello di assicurare la “corretta competizione degli operatori coinvolti nel mercato delle comunicazioni elettroniche, dell’audiovisivo, dell’editoria e dei servizi postali”, tutelando gli utenti dei settori de quibus ed assicurando, al contempo, standard minimi di qualità.

I principi alla cui tutela deve essere indirizzata l’attività dell’autorità consistono, in particolare, nella tutela di diritti costituzionalmente garantiti e, segnatamente, libertà di comunicazione; la segretezza delle comunicazioni, anche attraverso il mantenimento dell’integrità e della sicurezza delle reti di comunicazione elettronica; la libertà di iniziativa economica e suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo i criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità[9].

Attesa la trasversalità delle materie di sua competenza, che coinvolgono diversi interessi pubblici e privati (es. privacy, concorrenza e sicurezza), l’AGCOM collabora con altre istituzioni nazionali ed europee, quali l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito AGCM), la Commissione Europea, il Garante per la protezione dei dati personali ed il Governo.

Da quanto osservato, emerge allora una sua duplice natura, ovvero di autorità garanzia (in quanto assicura la corretta competizione delle imprese sul mercato e tutela gli utenti e i loro diritti fondamentali) e di autorità convergente (in quanto svolge le sue funzioni nei molteplici settori sopra richiamati).

L’autonomia dell’Autorità è riconosciuta dalla sua legge istitutiva, che ne garantisce l’indipendenza dagli altri enti dello Stato[10].

Sono organi di indirizzo politico-amministrativo dell’Autorità: il Presidente, la Commissione per le infrastrutture e le reti, la Commissione per i servizi e i prodotti e il Consiglio[11]. Entro il 30 giugno di ogni anno l’Autorità presenta al Presidente del Consiglio dei ministri per la trasmissione al Parlamento una relazione sull’attività svolta dall’Autorità e sui programmi di lavoro.

Per quanto riguarda il settore delle telecomunicazioni[12], l’AGCOM svolge funzioni di regolamentazione, vigilanza nonché di risoluzione delle controversie fra imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica (circa gli obblighi derivanti dal CCE)[13], e fra gli operatori e gli utenti finali[14]. L’AGCOM ha, altresì, poteri sanzionatori nelle materie di sua competenza.

Seppur i mercati delle comunicazioni elettroniche hanno raggiunto un elevato grado di competitività, la funzione  di regolamentazione dell’AGCOM (talvolta condivisa  con il Ministero dello sviluppo economico e con altre istituzioni) è necessaria.

Nel settore, infatti, a causa di plurimi fattori infrastrutturali, giuridici ed economici, la tutela della concorrenza ex post è sovente da sola insufficiente a contrastare i fallimenti di mercato. Anche la tutela di altri primari interessi, quale sicurezza, giustifica l’intervento pubblico.

Ciò premesso, si chiarisce che la funzione di regolamentazione può essere esplicitata attraverso diverse modalità, ad es. mediante l’imposizione di obblighi ovvero attraverso procedure di assegnazione di risorse scarse. La tutela dei consumatori è perseguita anche agevolando l’accesso degli utenti a informazioni rilevanti su prezzi, qualità, caratteristiche e copertura dei servizi, mirando a garantire una maggiore accessibilità agli strumenti di tutela.

Più nello specifico, l’AGCOM, tra le varie competenze in materia[15]:

– esprime parere al Ministero dello Sviluppo Economico sullo schema del piano nazionale di ripartizione delle frequenze;

– elabora, i piani di assegnazione delle frequenze;

– definisce, le misure di sicurezza delle comunicazioni e promuove l’intervento degli organi competenti per l’eliminazione delle interferenze elettromagnetiche;

– determina gli standard per i decodificatori in modo da favorire la fruibilità del servizio (sentito il parere del MISE);

– cura la tenuta del registro degli operatori di comunicazione;

– definisce criteri obiettivi e trasparenti, anche con riferimento alle tariffe massime, per l’interconnessione e per l’accesso alle infrastrutture di telecomunicazione secondo criteri di non discriminazione;

– regola le relazioni tra gestori e utilizzatori delle infrastrutture di telecomunicazioni e verifica che i gestori di infrastrutture di telecomunicazioni garantiscano i diritti di interconnessione e di accesso alle infrastrutture ai soggetti che gestiscono reti ovvero offrono servizi di telecomunicazione; promuove accordi tecnologici tra gli operatori del settore per evitare la proliferazione di impianti tecnici di trasmissione sul territorio;

– riceve periodicamente un’informativa dai gestori del servizio pubblico di telecomunicazioni sui casi di interruzione del servizio agli utenti, formulando eventuali indirizzi sulle modalità di interruzione;

– individua, in conformità alla normativa applicabile, l’ambito oggettivo e soggettivo degli eventuali obblighi di servizio universale e le modalità di determinazione e ripartizione del relativo costo, e ne propone le eventuali modificazioni;

– promuove l’interconnessione dei sistemi nazionali di telecomunicazione con quelli di altri Paesi;

– emana direttive concernenti i livelli generali di qualità dei servizi e per l’adozione, da parte di ciascun gestore, di una carta del servizio recante l’indicazione di standard minimi per ogni comparto di attività;

– favorisce l’integrazione delle tecnologie e dell’offerta di servizi di comunicazioni;

– segnala al Governo l’opportunità di interventi, anche legislativi, in relazione alle innovazioni tecnologiche ed all’evoluzione, sul piano interno ed internazionale, del settore delle comunicazioni;

– promuove ricerche e studi in materia di innovazione tecnologica e di sviluppo nel settore delle comunicazioni e dei servizi multimediali;

– esprime, entro trenta giorni dal ricevimento della relativa documentazione, parere obbligatorio sui provvedimenti, riguardanti operatori del settore delle comunicazioni, predisposti dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in applicazione degli articoli 2, 3, 4 e 6 della legge 10 ottobre 1990, n. 287.

Con specifico riferimento all’attività di numerazione, assegnazione dei nomi a dominio e indirizzamento, l’Autorità stabilisce, inoltre, il piano nazionale di numerazione e le procedure di assegnazione della numerazione, che deve avvenire nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza e non discriminazione, in modo da assicurare parità di trattamento a tutti i fornitori dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico[16].

Il Piano di numerazione ha un duplice scopo: gestire in modo efficiente la risorsa e consentire all’utenza di riconoscere la tipologia del servizio a cui accedono tramite  i numeri. Al pari delle frequenze, anche la risorsa “numerazione” è da considerarsi come risorsa “scarsa” e richiede, dunque, di essere gestita in base al Piano, sia in vista della lunghezza massima a cui sono soggetti i numeri telefonici (allo stato 11 cifre in Italia), sia perché un uso c.d. “non governato” delle numerazioni, potrebbe condurre all’esaurimento della stessa risorsa.

In ogni caso, i criteri di definizione del piano nazionale di numerazione delle reti e dei servizi di telecomunicazione, individuati dall’AGCOM, sentiti i soggetti interessati, devono ispirarsi a criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione, equità e tempestività[17].

Sono, invece, affidati al Ministero dello Sviluppo Economico i compiti relativi all’assegnazione dei diritti d’uso per i numeri in accordo al Piano, la gestione del Data­base dei numeri assegnati e la vigilanza sul corretto uso dei numeri in relazione ai servizi cui sono destinati.

Riguardo la gestione delle frequenze, in questa sede è sufficiente illustrare che la stessa che si articola in una pluralità procedimenti e fasi, in parte sopra già visti, con competenze per ciascuna attribuite all’Autorità o al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE).

In particolare, l’impiego delle frequenze ha, quale fonte primaria, il Piano nazionale di ripartizione delle frequenze. Il Piano, in coerenza con quanto previsto in ambito internazionale dall’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT), prevede la suddivisione dello spettro radioelettrico, fino a 400 GHz, in bande di frequenze, attribuendo ciascuna banda a determinati servizi ed utilizzatori. Il PNRF è adottato dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), sentita l’Autorità. I piani di assegnazione delle frequenze adottati dall’Autorità hanno lo scopo di assicurare lo sfruttamento efficiente  dello spettro radioelettrico e regolare il mercato, stabilendo le modalità, anche tecniche, di assegnazione delle frequenze sul territorio e le regole per il rilascio dei relativi diritti di uso.

Le analisi di mercato svolte dall’Autorità giocano un’importante ruolo nella regolamentazione del settore.

L’analisi di mercato serve in concreto all’Autorità per stabilire se un mercato rilevante sia effettivamente competitivo. Solo ove non lo fosse, infatti, il mercato è suscettibile di regolamentazione ex ante attraverso l’imposizione di obblighi alle imprese detentrici di un significativo potere di mercato (tale attività deve riferirsi pertanto ai principi antitrust).

Più nel dettaglio, le analisi di mercato contemplano tre fasi, che richiedono competenze ingegneristiche, economiche e legali (mediamente un’analisi di mercato dura un anno).

La prima fase consiste nell’individuazione dei mercati rilevanti, che sono identificati tramite il test di sostituibilità dei prodotti e dei servizi e attraverso la dimensione geografica del mercato; si ha un mercato rilevante geografico nell’area in cui le condizioni di competizione sono abbastanza omogenee.

La seconda fase, invece, consiste nell’analisi del significativo potere di mercato: esistono molteplici criteri per desumere la sua sussistenza, quali la quota di mercato detenuta; il controllo di infrastrutture non facilmente duplicabili; l’integrazione verticale; l’assenza di concorrenza potenziale ovvero la presenza di economie di scala o di scopo.

La terza e ultima fase consiste nell’eventuale imposizione all’impresa con significativo potere di mercato di obblighi ovvero rimedi. Possibili rimedi nel mercato all’ingrosso possono ad esempio essere l’imposizione di obblighi di trasparenza, di non discriminazione, di separazione contabile, di controllo dei prezzi e dei costi ovvero la separazione funzionale delle imprese verticalmente integrate.

2.1 Gli effetti dei provvedimenti dell’Authority sull’autonomia negoziale

I provvedimenti posti in essere dall’AGCOM, in qualità di Autorità amministrativa indipendente, spiegano i loro effetti, altresì, sulla sfera dell’autonomia negoziale.

In particolare, tali provvedimenti, nel loro ambito di applicazione, possono integrare i contratti stipulati tra imprese nonché quelli conclusi tra imprese e consumatori, ancorché siano fonti normative di secondo grado.

Allo scopo di comprendere come avvenga siffatto fenomeno di integrazione, è opportuno premettere brevi cenni sul potere normativo, delle Autorità amministrative indipendenti (AAI).

In primo luogo, queste ultime sono in grado di produrre norme secondarie in materie non coperte da riserva di legge e nel rispetto della Costituzione ed entro i limiti della competenza statale ex art 117 Cost.

Siffatto potere di normazione consente alle stesse di regolare in modo completo settori specifici, che richiedono un alto livello di competenze tecniche, evitando che le leggi cadano nella obsolescenza. Non sarebbe, infatti, agevole per il Legislatore produrre norme con un contenuto altamente tecnico in settori in continua evoluzione. Per questa ragione, il potere normativo attribuito alle Autorità indipendenti rappresenta uno strumento utile sia ai fini della corretta regolazione dei settori ai quali sono adibite sia, sotto un profilo più generale, ai fini di preservare il principio di certezza del diritto.

Ebbene, con specifico riferimento alla capacità delle norme secondarie, prodotte dalle AAI, di integrare il contratto, è opportuno chiarire quanto segue.

La ratio di siffatto fenomeno deve essere ricercata nel principio di “policentrismo normativo”, il quale ha ormai assunto la natura di un vero e proprio principio generale del nostro ordinamento giuridico.

In forza di tale principio, infatti, la produzione di fonti normative non è più riservata esclusivamente ad organi dotati di rappresentatività popolare, bensì anche a soggetti pubblici diversi, sempreché non sia prevista una riserva di legge ed esista una norma attributiva del potere. Tra i suddetti soggetti pubblici devono dunque essere ricondotte anche le Autorità amministrative indipendenti (id est l’AGCOM).

La base legale di quanto asserito deve essere ricercata nell’art. 1374 c.c., a mente del quale “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è  nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Tuttavia, al fine di comprendere la ragione per la quale è ormai invalsa la pratica di integrare il contratto anche mediante i provvedimenti delle AAI, è opportuno leggere la disposizione in esame in chiave evolutiva ovvero in modo speculare rispetto al richiamato principio di policentrismo normativo, in forza del quale, come detto, il potere normativo non spetta esclusivamente ad organi dotati di rappresentatività popolare. Discende che anche le fonti regolamentari, prodotte dalle Autorità in parola, potranno assurgere a norme integrative del contratto ex art 1374 c.c.

Tuttavia, è necessario svolgere talune precisazioni. In effetti, l’integrazione da parte delle AAI non è un processo automatico, dal momento che devono sussistere taluni ineludibili presupposti. In particolare, avendo le norme prodotte da queste ultime natura secondaria, è evidente che il potere di emanarle deve essere necessariamente attribuito da una norma di legge. Si  tratta di un presupposto che trova ragione giustificatrice nella necessaria rispondenza al principio di legalità in senso formale.

Tuttavia, l’orientamento ormai divenuto maggioritario, in linea di continuità con la posizione della Corte Costituzionale[18], ritiene che non sia sufficiente l’esistenza di una norma attributiva per giustificare, in toto, il potere di produrre norme regolamentari. Invero, è altresì necessario che la legge medesima si occupi di delimitare siffatto potere, stabilendone le modalità e il contenuto.

 Discende, quale corollario di quanto osservato che, dall’adesione e dall’applicazione del principio di legalità in senso forte (o sostanziale) l’integrazione del contratto, ad opera dei provvedimenti emessi dalle AAI (e dall’AGCOM), potrebbe avvenire solo ove la legge abbia perimetrato in modo completo il potere delle stesse. Solo in questo caso e, secondo questa impostazione, le norme secondarie emanate dalle AAI sono in grado di integrare il contratto concluso tra imprese e tra imprese e consumatori, nonché di sostituire, di diritto, mediante il noto meccanismo previsto dall’art. 1339 c.c., le clausole contrattuali difformi.

Ulteriore conseguenza, considerata la forza integrativa dei provvedimenti delle AAI (nei dei limiti sopra considerati), consiste nell’invalidità delle clausole o dei contratti, conclusi tra imprese ovvero tra imprese e consumatore, in contrasto con i provvedimenti dell’Autorità amministrativa, potendo incorrere nella nullità ex art. 1418, comma I, c.c., ovvero ex art. 1419 c.c, ove sia possibile espungere soltanto la norma ritenuta nulla.

3. Le reti e gli impianti di comunicazione elettronica ad uso pubblico

Il D.Lgs n. 259/2003 e gli altri strumenti normativi di settore pongono una disciplina sull’installazione e modifica di reti ed impianti di comunicazione elettronica accessibili al pubblico speciale rispetto alla normativa urbanistica generale[19][20].

La ratio della disciplina de qua è infatti quella di agevolare l’installazione e la modifica delle infrastrutture, soprattutto alla luce dell’importanza che le stesse hanno assunto per l’intero tessuto socio-economico, tali da rappresentare un bene primario per cittadini ed enti pubblici e privati e da giustificare così l’emanazione di una normativa settoriale in parte derogatoria rispetto ad alcune norme del Codice Civile e alle altre disposizioni vigenti in materia urbanistica[21].

All’uopo, l’art. 86 co. 3 del D.Lgs n. 259/2003 assimila “le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all’interno degli edifici” alle opere di urbanizzazione primaria di cui al D.P.R. n. 380/2001 (pur restando i beni di proprietà dei rispettivi operatori) [22]. Riguardo tale disposizione l’art. 38, co. 1, D.L. “Semplificazioni” ha precisato che “fatto salvo quanto previsto dagli articoli 87 e 88 con riferimento alle autorizzazioni per la realizzazione della rete di comunicazioni elettroniche e degli elementi ad essa collegati per le quali si attua il regime di semplificazione ivi previsto. Alla installazione di reti di comunicazione elettronica mediante posa di fibra ottica non si applica la disciplina edilizia e urbanistica

L’art. 90 co. 1 del menzionato provvedimento sancisce poi che “gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti hanno carattere di pubblica utilità, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327”.

Quale corollario del disposto delle appena richiamate norme, il legislatore italiano ha previsto procedimenti amministrativi semplificati per l’istallazione e la modifica degli impianti, conformemente ai principi impartiti dal legislatore europeo[23] ed agli obiettivi cristallizzati nell’Agenda digitale europea.

Una disciplina agevolata è stata adottata anche sul piano civilistico e amministrativo, attraverso l’attribuzione agli operatori di ampi diritti, quale quello di passaggio negli edifici pubblici e privati[24].

3.1 Le competenze

Prima dell’esame dei singoli procedimenti amministrativi, appare utile chiarire preliminarmente che la competenza per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione o modifica di reti ed impianti di comunicazione elettronica accessibili al pubblico appartiene agli Enti locali.

Come si vedrà meglio nel proseguo, in relazione alla tipologia di intervento e ad altre circostanze, altre amministrazioni pubbliche potrebbero eventualmente avere competenze nell’ambito dei procedimenti autorizzatori di cui si discute.

La competenza all’accertamento della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale, appartiene in ogni caso all’Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36[25].

Tale Organismo esprime pareri o pronunce relativamente alle istanze dei gestori per l’installazione o la modifica di impianti di telecomunicazione ed esercita, altresì, funzioni di vigilanza e controllo dei valori di campo elettromagnetico[26].

Per quanto riguarda i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz gli stessi sono attualmente stabiliti dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 199 del 28-8-2003)[27], in attuazione dell’art. 4, comma 2, lettera a) della L. n. 36/2001 ed in conformità con la raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 12 luglio 1999[28].

L’attuale limite alle emissioni elettromagnetiche è fissato a 6 volt al metro, circa 10 volte inferiore rispetto ai limiti adottati dalla maggior parte dei Paesi europei[29].

Riguardo ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, la competenza per la loro fissazione appartiene esclusivamente allo Stato, come disposto dalla L. n. 36 del 2001 e dall’art. 117 Cost., e come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche costituzionale.

Secondo i giudici, in particolare, “spetta allo Stato, ai sensi dell’art. 3 l. n. 36 del 2001, la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, e non potendo il Comune, nemmeno di una Regione ad autonomia differenziata, introdurne surrettiziamente ulteriori e diversi limiti […] Gli Enti locali non sono, infatti, titolari di alcuna potestà normativa in ordine alla determinazione di criteri, maggiormente limitativi o rigidi, di valutazione della soglia di inquinamento elettromagnetico o all’introduzione di divieti generali e/o di misure generali interdittive a contenuto igienico sanitario […]” (T.A.R. Trieste, sez. I, 19/01/2017, n.24)[30].

Gli Enti locali sono invece competenti ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e ad adottare, ex art. 87 co. 9 D.Lgs. n. 259/2003, ulteriori forme di semplificazione rispetto a quelle stabilite dalla legge; l’emanazione di altre misure derogatorie, ad. es. attraverso divieti generalizzati di localizzazione, modifica dei limiti di emissione o aggravi dei procedimenti, devono pertanto ritenersi illegittime[31].

In merito a quanto appena osservato, l’art. 93 co. 1 del D.Lgs. n. 259/2003, sempre al fine di agevolare lo sviluppo delle reti di comunicazione elettronica, sancisce il divieto per qualsiasi ente pubblico di imporre, per l’impianto di reti o per  l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica,  oneri  o  canoni  che  non siano stabiliti per legge[32] [33] [34].

3.2 I procedimenti amministrativi per l’installazione e la modifica degli impianti

Il legislatore nazionale ha previsto una pluralità di procedimenti amministrativi speciali per l’installazione o la modifica degli impianti per reti di comunicazione elettronica (fisse e mobili), i cui ambiti di applicazione sono determinati soprattutto dalla tipologia di intervento e dalle caratteristiche tecniche dell’impianto.

Come più sopra già anticipato, la competenza per il rilascio delle suddette autorizzazioni appartiene agli enti locali, mentre la competenza per l’accertamento della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale, appartiene all’Organismo di cui all’articolo 14 della L. n. 36/01.

Tuttavia, è bene ribadire che, in relazione alla tipologia di intervento e ad altre circostanze, anche altre norme speciali potrebbero trovare applicazione e/o altre pubbliche amministrazioni potrebbero avere competenze nell’ambito dei procedimenti amministrativi in discorso.

Infatti, se l’intervento è effettuato su beni culturali, la Soprintendenza competente interviene nel procedimento al fine di rilasciare provvedimenti autorizzatori espressi ai sensi del D.Lgs. n. 259/03 e del D.Lgs. n. 42/04 (Codice dei beni culturali e del paesaggio)[35] [36]. In proposito, nell’ottica di semplificazione, si rammenta che, ai sensi dell’art 6, co. 4 bis L. n. 164/2014 (conv. con mod. D.L. n. 133/2014), non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica l’installazione o la modifica di impianti delle reti di comunicazione elettronica o di impianti radioelettrici, da eseguire su edifici e tralicci preesistenti, che comportino la realizzazione di pali di supporto per antenne di altezza non superiore a 1,5 metri e superficie delle medesime antenne non superiore a 0,5 metri quadrati[37].

Ciò chiarito, di seguito saranno sinteticamente descritti i singoli procedimenti amministrativi applicabili in materia. Occorre precisare che, nell’ottica della semplificazione, gli Enti locali possono prevedere termini più brevi per la conclusione dei procedimenti o ulteriori forme di semplificazione ex art. 87 co. 9 D.Lgs. n. 259/2003; l’emanazione di altre misure derogatorie – ad. es. attraverso divieti generalizzati di localizzazione, modifica dei limiti di emissione o aggravi dei procedimenti – devono pertanto ritenersi illegittime[38] e devono essere disapplicate[39].

Si evidenzia inoltre che il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, conv. con mod. dalla L. n. 120/2020 e ha modificato alcune norme relative alle installazioni degli impianti, modifiche che saranno in parte trattate nel prosieguo.

3.2.1 I singoli procedimenti

L’ 87 D.Lgs. n. 259/2003, ai commi 1 e 2, pone la disciplina “generale” (atteso che, a differenza di altre disposizioni, non sancisce limiti di natura tecnica o fisica) per l’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi (e, in particolare, l’installazione di   torri,   di  tralicci,  di  impianti radio-trasmittenti,   di   ripetitori  di  servizi  di  comunicazione elettronica,  di  stazioni  radio  base  per  reti  di  comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione  dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile,  nonché   per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande  di  frequenza all’uopo assegnate). Nell’ottica della semplificazione il legislatore ha previsto un procedimento di silenzio-assenso: le istanze di autorizzazione e le denunce di attività prescritte per gli interventi in esame,  nonché  quelle  relative  alla  modifica  delle caratteristiche  di  emissione  degli  impianti  già  esistenti,  si intendono infatti accolte  entro novanta giorni dalla presentazione del  progetto  e  della  relativa  domanda (sempre se non sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte dell’Ente locale o un parere negativo dall’Organismo di cui alla L. n. 36/01). Nello specifico, è previsto che le istanze di autorizzazione per gli interventi in esame debbano essere presentate dai soggetti abilitati all’Ente locale (una copia deve essere contestualmente inoltra anche all’Organismo di cui alla L. n. 36/01) conformemente al modello A dell’allegato n. 13 del D.Lgs. n. 259/2003, corredata, tra le altre cose, da tutta la documentazione volta a comprovare il rispetto dei limiti di esposizione e degli altri obblighi normativi[40].  Conformemente a quanto disposto dall’art. 6 della L. n. 241/90 in tema di compiti del responsabile del procedimento, il co. 5 del D.Lgs. n. 259/03 stabilisce tale soggetto può richiedere all’istante, per una sola volta, ed entro quindici giorni dalla data di ricezione dell’istanza, il rilascio  di  dichiarazioni  e  l’integrazione  della  documentazione prodotta.  Dal momento dell’avvenuta integrazione documentale il termine per la formazione del titolo edilizio inizia nuovamente a decorrere. Qualora una Amministrazione interessata abbia espresso motivato dissenso,  ai sensi del co. 6 dell’art. menzionato, il  responsabile  del  procedimento  convoca, entro trenta giorni  dalla  data  di  ricezione  della  domanda, una conferenza di servizi,   alla   quale   prendono   parte   i  rappresentanti  delle Amministrazioni  degli  Enti locali interessati, nonché dell’Organismo di cui alla L. n. 36/01, oltre che un rappresentante dell’Amministrazione dissenziente. La  conferenza di servizi deve pronunciarsi entro trenta giorni dalla  prima convocazione. L’approvazione, adottata a maggioranza dei presenti,  sostituisce  ad  ogni effetto gli atti di competenza delle singole   Amministrazioni  e  vale  altresì  come  dichiarazione  di pubblica  utilità,  indifferibilità  ed  urgenza  dei lavori. Sempre analogamente a quanto sancito dagli art. 14 e ss. della L. n. 241/90, che trovano applicazione in quanto compatibili anche in materia, il CEE prevede che qualora il motivato dissenso, sia espresso da un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute  o  alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione è  rimessa  al  Consiglio  dei  Ministri. Al fine di agevolare l’installazione di reti di comunicazione elettronica, il co. 8 del D.Lgs. n. 259/03 ha previsto che gli Enti locali possono prevedere termini piu’ brevi per la  conclusione  dei  relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione   amministrativa[41]. Le  opere oggetto dell’istanza  debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine  perentorio  di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio  espresso,   ovvero    dalla    formazione del silenzio-assenso.

L’art. 87, co 3, D.lgs. n. 259/2003 disciplina, invece, l’installazione di impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 watt, prescrivendo, per tali interventi, la segnalazione certificata di inizio attività, che si intende accolta entro novanta giorni dalla sua presentazione. La domanda deve essere conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n. 13.

Una disciplina particolareggiata è stata poi prevista dall’ 88 del D.lgs. n. 259/03 per la realizzazione di opere civili o l’effettuazione di scavi e l’occupazione di suolo pubblico per installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica. Nel dettaglio, sono previsti diversi moduli         procedimentali per gli interventi in esame: il regime generale per la formazione del titolo abilitativo è il silenzio-assenso con termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza (sempre in assenza di un provvedimento di diniego o di un parere negativo). Tale termine è ridotto a dieci giorni nel caso di attraversamenti di strade o comunque di lavori di scavo di lunghezza inferiore ai 200 metri. Il termine è ulteriormente ridotto a otto giorni nel caso in cui l’intervento presupponga l’apertura di buche o chiusini per infilaggio cavi o tubi, posa di cavi o tubi aerei su infrastrutture esistenti o allacciamento utenti. Il rilascio del titolo comporta l’autorizzazione alla effettuazione degli scavi indicati nel progetto, nonché la concessione del suolo o sottosuolo pubblico necessario all’installazione delle infrastrutture. Nessuna indennità è dovuta ai soggetti esercenti pubblici servizi o proprietari, ovvero concessionari di aree pubbliche, in conseguenza di scavi ed occupazioni del suolo, pubblico o privato, effettuate al fine di installare le infrastrutture di comunicazione elettronica, fatta eccezione per le disposizioni di cui all’articolo 93 del CEE, già sopra richiamate (v. par. 3.1). Quanto all’accesso alle infrastrutture, il Comune può mettere a disposizione, direttamente o per il tramite di una società controllata, infrastrutture a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie. D’altronde, si evidenzia che tutte le figure soggettive esercenti pubblici servizi o titolari di pubbliche funzioni hanno l’obbligo ope legis, seppur sulla base di accordi commerciali a condizioni eque e non discriminatorie, di consentire l’accesso alle proprie infrastrutture civili disponibili, a condizione che non venga turbato l’esercizio delle rispettive attività istituzionali. Le amministrazioni competenti, per i procedimenti ex art. 88 D.lgs. n. 259/2003, sono l’ente locale o l’ente pubblico proprietario delle aree, ed eventuali altre amministrazioni (è sufficiente un’unica istanza). A quest’ultimo riguardo, se l’intervento ha ad oggetto beni culturali, ai sensi dell’art. 88, co. 7 bis, D.lgs. n. 259/2003 e dell’art. 21, co. 4, d.lgs. n. 42/2004, è prescritto il provvedimento espresso della soprintendenza entro novanta giorni dalla presentazione dell’istanza (ferme le competenze delle altre amministrazioni). L’istanza deve essere conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non predisposti, al modello C di cui all’allegato n. 13 D.lgs. n. 259/2003. Anche per tali procedimenti il legislatore ha previsto specifiche disposizioni in tema di soccorso istruttorio e conferenza di servizi, per le quali si rinvia a quanto sopra esposto in relazione all’art. 87 del D.Lgs. n. 259/03. Relativamente alla conferenza di servizi, occorre precisare che ai sensi del co. 8 del decreto citato, qualora l’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica interessi aree di proprietà di più Enti, pubblici o privati, l’istanza di autorizzazione (conforme al modello D dell’allegato n. 13) viene presentata a tutti i soggetti interessati. La stessa può essere valutata in una conferenza di servizi per ciascun ambito regionale, convocata dal comune di maggiore dimensione demografica, anche su iniziativa del soggetto interessato. L’approvazione dell’istanza in sede di conferenza di servizi, sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, anche ex D.P.R. n. 327/2001. Il D.L. n. 76/2020, conv. con mod. dalla L. n. 120/2020 ha modificato il suddetto articolo nell’ottica della semplificazione[42].

L’ 87 bis D.lgs. n. 259/2003 (inserito dall’art. 5 bis del D.L. n. 40/2010 convertito, con modificazioni, in L. n. 73/2010) pone procedure semplificate per determinate tipologie di impianti. In particolare, allo scopo di imprimere un’accelerazione nella realizzazione degli investimenti per il completamento della rete di banda larga mobile, nel caso di installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie, su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive, prescrive la segnalazione certificata di inizio attività, riducendo il termine per l’emanazione di un eventuale provvedimento o parere negativo a trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Quest’ultima deve essere conforme ai modelli predisposti dagli enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n. 13 del D.Lgs. n. 259/03.

Per quanto concerne le variazioni non sostanziali degli impianti, l’art. 87 terLgs. n. 259/2003 (inserito dall’art. 6, co. 3, del D.L. n. 133/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 164/2014), nell’ottica della semplificazione ed al fine di accelerare la realizzazione degli investimenti per il completamento delle reti di comunicazione elettronica, prescrive una sola autocertificazione, da inviare contestualmente all’attuazione dell’intervento ai medesimi organismi che hanno rilasciato i titoli (es. Ente locale, ARPA e soprintendenza), i quali si pronunciano entro 30 giorni. Nell’autocertificazione deve essere descritto il rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui alla L. n. 36/01 nonché le variazioni dimensionali dell’impianto. Tale modulo procedimentale, infatti, può essere utilizzato nel caso di modifiche delle caratteristiche degli impianti già provvisti di titolo abilitativo, che comportino aumenti delle altezze non superiori a 1 metro e aumenti della superficie di sagoma non superiori a 1,5 metri quadrati, ivi comprese le modifiche del profilo radioelettrico (cfr. art. 38, co. 1 lett. b D.L. “Semplificazioni”).

Il D.L. n. 76/2020, conv. con mod. dalla L. n. 120/2020, ha inoltre inserito nel D.Lgs. n. 259/2003 l’art. 87-quater ponendo la disciplina degli impianti temporanei di telefonia mobile. Con tale norma è stato in particolare previsto che gli impianti temporanei di telefonia mobile, “necessari per il potenziamento delle comunicazioni mobili in situazioni di emergenza, sicurezza, esigenze stagionali, manifestazioni, spettacoli o altri eventi, destinati ad essere rimossi al cessare delle anzidette necessità e comunque entro e non oltre centoventi giorni dalla loro collocazione”, possono essere installati previa comunicazione di avvio lavori all’ente comunale. L’impianto è attivabile qualora, entro trenta giorni l’Agenzia ambientale competente non abbia comunicato un provvedimento di diniego. Per gli impianti la cui permanenza in esercizio non superi i sette giorni, è invece necessaria l’autocertificazione di attivazione, da inviare contestualmente alla realizzazione dell’intervento, all’ente locale e agli altri enti competenti.

Il legislatore ha inteso semplificare ulteriormente, per alcune tipologie di impianti, i procedimenti in materia di impianti di  telecomunicazioni con il L. n. 98/2011 (convertito con L. n. 111/2011). In particolare l’art. 35, co. 4 del citato provvedimento stabilisce che per le installazioni e le modifiche (anche ex art. 87-bis D.Lgs. n. 259/2003) di impianti radioelettrici per trasmissione punto-punto e punto-multipunto e degli impianti radioelettrici per l’accesso a reti di comunicazione ad uso pubblico con potenza massima in singola antenna inferiore o uguale a 10 watt e con dimensione della superficie radiante non superiore a 0,5 metri quadrati, sia necessaria la sola autocertificazione da inviare contestualmente all’attuazione dell’intervento all’Ente locale e all’Organismo di cui alla L. n. 36/01.

L’art. 35, co. 4 bis del D.L. n. 98/2011 stabilisce invece che per l’installazione e l’attivazione di apparati di rete caratterizzati da una potenza massima trasmessa in uplink inferiore o uguale a 100 mw, e da una potenza massima al connettore di antenna, in downlink, inferiore o uguale a 5 w, e aventi un ingombro fisico non superiore a 20 litri, non sussiste nessun obbligo di comunicazione all’Ente locale e all’Organismo di cui alla L. n. 36/01.

Ipotesi (ultra) speciali

All’interno dei variopinti moduli procedimentali in materia di impianti  di  telecomunicazioni, si collocano una serie di procedimenti “ultra” speciali, in ragione delle peculiarità degli interessi e dei beni convolti.

In tema di installazioni sul sedime ferroviario ovvero in area immediatamente limitrofa, trova applicazione il 3 bis, art. 87, D.Lgs. n. 259/03 (inserito dall’articolo 4 del D.L. n. 315/03, convertito, con modificazioni, in L. n. 5/04 e, successivamente, sostituito dall’ articolo 1, comma 560, della L. n. 266/05), la cui ratio è quella di accelerare la realizzazione degli investimenti per il completamento della rete di telecomunicazione GSM-R dedicata esclusivamente alla sicurezza ed al controllo del traffico ferroviario, nonché quella di contenere i costi di realizzazione della rete stessa. In tali ipotesi, il legislatore ha in particolare previsto che l’installazione sul sedime ferroviario ovvero in area immediatamente limitrofa dei relativi impianti ed apparati, debba avvenire con le modalità proprie degli impianti di sicurezza e segnalamento ferroviario, nel rispetto dei limiti e dei valori sanciti dalla L. n. 36/01.

Per quanto invece riguarda la posa cavi sottomarini di comunicazione elettronica e dei relativi impianti trovano applicazione, ai sensi dell’art. 86 D.Lgs. n. 259/2003, la L. n. 160/1989 e il Codice della Navigazione.

Relativamente al settore aeronautico, vigono le norme di settore. La realizzazione di nuove stazioni radio base e modifiche delle medesime che non comportino variazioni plano-altimetriche per dimensioni o ingombro su infrastrutture dell’autorità aeronautica competente, sono sottoposte, ai sensi dell’        art 6, co. 5 bis L. n. 164/2014 (conv. con mod. D.L. n. 133/2014) alla comunicazione all’ente nazionale per l’aviazione civile (Enac), all’aeronautica militare e alla società Enav Spa.

Le installazioni e le modifiche di stazioni radio base oggetto di valutazione di compatibilità per ostacoli e pericoli alla navigazione aerea sono invece soggetti ai sensi dell’art 6, co. 5 ter n. 164/2014 (conv. con mod. d.l. n. 133/2014) a nulla osta dell’autorità aeronautica competente e alla normativa di settore.

3.3 Il caso dei provvedimenti comunali “no 5G”

Strettamente connesso anche con il tema del riparto di competenze tra enti locali e Stato in materia di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, è il fenomeno dei provvedimenti comunali c.d. “no 5G”.

Preliminarmente occorre chiarire che per 5G ci si riferisce alla nuova generazione di tecnologia mobile, destinata a sostituire gli attuali standard di quarta generazione, e che permetterà di supportare un numero elevato di utenti, di dispositivi e di dati.

Le caratteristiche tecniche del 5G, descritte dall’ITU nel documento “Minimum requirements related to technical performance for IMT-2020”, apriranno le porte ai servizi del futuro, quali l’Internet of Thing (IoT), l’Intelligenza Artificiale (AI), la realtà virtuale e quella aumentata.

Le reti 5G sono infatti caratterizzate da bassissima latenza, larghezza di banda maggiore e dalla possibilità di “affettamento” della rete: si stima che le performance del 5G siano sino a cento volte superiori a quelle del 4G, con consumi notevolmente ridotti.

Le bande di frequenza utilizzabili con la tecnologia 5G sono la banda di frequenza 694-790 Mhz, la banda 3,6-3,8 GHz e la banda 26,5-27,5 GHz[43]. Alcune di tali bande saranno dunque utilizzate per la prima volta per la telefonia mobile. Grazie agli sviluppi tecnologici è infatti oggi possibile sfruttare, per i servizi di telefonia mobile, bande caratterizzate da un’alta frequenza; circostanza questa che, tra le altre, comporta una minore penetrazione dell’onda elettromagnetica nei materiali.

Secondo la Commissione europea il 5G è, in particolare, “un fattore di cambiamento, che darà il via a trasformazioni industriali attraverso servizi a banda larga senza fili forniti a velocità Gigabit , al sostegno di nuovi tipi di applicazioni che collegano dispositivi e oggetti (internet degli oggetti), e alla versatilità grazie alla virtualizzazione dei software che consentono l’applicazione di modelli aziendali innovativi in vari settori (ad esempio i trasporti, la salute, l’industria manifatturiera, la logistica, l’energia, i media e l’intrattenimento). Tali trasformazioni hanno già avuto inizio affidandosi alle reti esistenti, ma avranno bisogno del 5G per raggiungere il loro pieno potenziale negli anni a venire […]Si prevede che nel 2025 le entrate originate dal 5G a livello mondiale raggiungeranno l’equivalente di 225 miliardi di euro. Un’altra fonte indica che i benefici dell’introduzione del 5G in quattro settori industriali fondamentali potrebbero raggiungere i 114 miliardi di euro all’anno[44].

Ciò premesso, com’è noto  numerosi Comuni, soprattutto nel corso del primo semestre 2020 (con un picco durante i primi mesi dell’emergenza sanitaria legata al COVID-19), hanno emanato provvedimenti che prescrivono la sospensione e/o il divieto di sperimentazione, di installazione e attivazione di impianti di trasmissione radio per la telefonia mobile operanti con tecnologia 5G. Ciò è avvenuto sul presupposto che gli effetti della nuova tecnologia sulla salute umana non sarebbero ancora noti e che la stessa causerebbe un aumento delle emissioni elettromagnetiche con possibili effetti sulla salute umana.

Più nello specifico, sotto un profilo più strettamente giuridico, la pressoché totalità dei provvedimenti sono stati emanati ex art. 32 Cost. ed in virtù del principio di precauzione di cui al diritto eurounitario e al D.Lgs n. 152/2006. Tutti i provvedimenti sindacali hanno assunto la forma delle ordinanze contingibili ed urgenti di cui al D.Lgs. n. 267/2000.

La maggior parte dei provvedimenti richiamano una serie di studi, pubblici e privati, a sostegno della non provata assenza di rischi sanitari per la popolazione, tra i quali gli studi dell’Istituto Romazzini di Bologna del 2018 e dell’US National Toxicology Program e la classificazione dall’International Agency for Research on Cancer (IARC) del 2011.

Quasi tutte le interdittive comunali hanno efficacia sino al compimento di ulteriori studi da parte gli organismi (nazionali, regionali o internazionali) posti a tutela della salute e dell’ambiente. Molti provvedimenti hanno in particolare efficacia sino alla definizione della nuova classificazione della cancerogenesi delle radiofrequenze 5G annunciata dallo IARC.

Tali provvedimenti, seppur astrattamente ispirati alla tutela della salute pubblica, presentano, a giudizio di chi scrive, gravi profili di illegittimità.

Infatti, oltre a collidere con gli obiettivi fissati in sede europea e nazionale, contrastano con importanti e consolidati principi del nostro ordinamento giuridico, alcuni dei quali sopra già richiamati.

Il profilo di maggiore gravità dei provvedimenti in questione riguarda, tuttavia, la carenza di adeguata istruttoria (e motivazione). In effetti, tutte le interdittive comunali sono fondate su presupposti scientifici errati, ovvero, che non sarebbero ancora noti gli effetti della nuova tecnologia sulla salute umana e che la stessa sarebbe dannosa in quanto causerebbe un aumento delle emissioni elettromagnetiche (anche perché in alcuni casi la copertura del territorio potrebbe richiedere una maggiore capillarità delle antenne 5G).

Riguardo questi ultimi aspetti, occorre invero osservare che studi approfonditi, sulle frequenze utilizzabili attraverso la tecnologia 5G, sono condotti stati da numerose autorevoli istituzioni, nazionali ed internazionali, tra le quali la Commissione Europea, l’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP)[45] e, per quanto riguarda l’Italia, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), le quali tutte hanno concluso sull’assenza di evidenza scientifica della pericolosità delle frequenze 5G per la salute umana (ovviamente entro i limiti di emissione sanciti dalle normative di riferimento).

L’ISS, in particole, conclude  affermando che “i dati disponibili non fanno ipotizzare particolari problemi per la salute della popolazione connessi all’introduzione del 5G[46].

Gli studi richiamati nei provvedimenti comunali in esame, secondo primari enti pubblici, tra i quali l’ICNIRP e l’Istituto Superiore di Sanità, sono affetti da rilevanti inconsistenze e limitazioni[47].

Inoltre, tali studi, specialmente quelli dell’US National Toxicology Program e dell’Istituto Ramazzini, sono inconferenti, in quanto inidonei a sostenere scientificamente la dannosità del 5G, atteso che fanno riferimento a livelli di esposizione molto maggiori rispetto a quelli sanciti dalla normativa[48].

Decisamente inconferente è altresì il richiamo alla classificazione dello IARC del 2011. L’Agenzia ha infatti ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza nel gruppo 2B (possibilmente cancerogeni per gli esseri umani) appunto perché non c’è evidenza scientifica conclusiva che l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza possa causare il cancro negli esseri umani (si evidenzia che nel presente gruppo sono inclusi ad es. l’estratto della foglia di aloe vera e l’acido caffeico. Nel secondo gruppo, probabilmente cancerogeni per gli esseri umani, sono inclusi ad es. le esalazioni delle fritture alimentari ad alta temperatura e il consumo di carne rossa. Nel primo gruppo sono inclusi, tra gli altri, il fumo, alcuni componenti del particolato nell’inquinamento atmosferico e la radiazione solare).

Quanto al paventato aumento delle emissioni elettromagnetiche a causa del 5G, occorre invece considerare che, seppur in alcuni casi la copertura del territorio potrebbe richiedere una maggiore capillarità delle antenne (le c.d. smart cells), tale circostanza non comporta tuttavia un aumento delle emissioni elettromagnetiche ma, al contrario, una loro diminuzione.

Infatti, con il 5G verrà utilizzata la tecnologia beamforming, che consente di direzionare e concentrare con estrema precisione il segnale radio verso la posizione fisica dei dispositivi utenti. Non sarà dunque più necessario, come per il 4G e le altre tecnologie precedenti, propagare il segnale elettromagnetico in maniera costante ed in tutte le direzioni. Oltre a ciò, atteso che in alcuni casi le antenne 5G avranno una copertura territoriale più circoscritta, saranno di conseguenza necessarie potenze di emissione più basse delle attuali, sia lato antenna per l’invio del segnale e sia lato terminale utente per la sua ricezione. In conclusione, la tecnologia 5G è maggiormente efficiente e comporta mediamente minori emissioni elettromagnetiche rispetto alle tecnologie sinora utilizzare[49].

Ovviamente, non può negarsi che l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza oltre i limiti normativi (quantomeno quelli europei medi) possa comportare conseguenze per la salute umana. Così come sono noti gli effetti sugli esseri umani dell’utilizzo non corretto degli apparecchi di telefonia mobile e di molti altri apparecchi elettronici  (a riguardo, il Tar Lazio, con sentenza del 15/01/2019, ha condannato i Ministeri di salute, Ambiente e Pubblica Istruzione a promuovere una adeguata campagna informativa “avente ad oggetto l’individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile”. Tale sentenza è stata spesso citata nei provvedimenti comunali “no 5G”, tuttavia in modo inconferente: i giudici amministrativi non hanno di certo bandito l’utilizzo di alcune bande di frequenza per i servizi di telefonia mobile o riconosciuto la loro pericolosità!).

Ad ogni modo nel nostro Paese sono Agenzie regionali e provinciali di protezione dell’ambiente di cui alla L. n. 36/2001 a controllare e monitorare costantemente su ogni singolo sito, ed a prescindere dalla tecnologia utilizzata, i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale. E si rammenta che i limiti di esposizione fissati in Italia in virtù del principio di precauzione sono circa 10 volte inferiori rispetto alla media dei Paesi europei.

Nessuna preoccupazione dovrebbe peraltro versarsi riguardo la sicurezza degli apparecchi radioelettrici (es. antenne), posto che la normativa europea e nazionale impongono stringenti requisiti, anche di tipo sanitario, per la messa ed il mantenimento in commercio dei suddetti beni[50].

Alla luce di tutto quanto sinora sinteticamente descritto, appare dunque evidente che i provvedimenti comunali “no 5G” siano sul punto caratterizzati – quantomeno – da illegittimità da evidente eccesso di potere per carenza di istruttoria e contraddittorietà della motivazione (oltre che da diverse violazioni di legge).

Un’istruttoria approfondita avrebbe probabilmente evitato l’emissione dei provvedimenti in discorso, e tutte le conseguenze economiche, legali e sociali che ne sono derivate.

Si rammenta infatti che gli Stati membri, anche sulla base degli studi svolti, hanno autorizzato la sperimentazione della nuova tecnologia e messo all’asta i diritti d’uso delle frequenze adatte all’utilizzo della tecnologia 5G[51], le quali, soprattutto in Italia[52], sono state come noto aggiudicate a prezzi astronomici. Ma vi è di più: le imprese risultate vincitrici sono soggette a precisi obblighi di utilizzo delle frequenze e di copertura del territorio con la nuova tecnologia 5G.

Lo Stato italiano, almeno in questa circostanza, non è tuttavia rimasto inerte dinanzi al pretestuoso fenomeno dei provvedimenti  comunali “no 5G”, intervenendo recentemente con una disposizione di legge ad hoc, volta a riaffermare la corretta ripartizione di funzioni in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettromagnetici.

Nello specifico,  l’art. 38, co. 6, D.L. n. 76/20, conv. dalla L. n. 120/2020, recependo la consolidata giurisprudenza in materia di riparto di competenze tra Stato ed Enti locali più sopra richiamata, ha sostituito l’art. 8, co. 6, della L. n. 36/01, sancendo che “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell’articolo 4”.

La palese illegittimità dei provvedimenti comunali in oggetto è stata riconosciuta, per via del loro diretto impatto sulla concorrenza, anche dall’AGCM. Quest’ultima, con la segnalazione AS1691[53], pubblicata il 17 agosto 2020, ha in particolare evidenziato come tali atti determinino delle gravi distorsioni concorrenziali nei mercati rilevanti interessati (posto che i divieti creano delle ingiustificate barriere all’ingresso), con inevitabili ricadute sullo sviluppo del Paese e sui livelli di qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese.

Da quanto esposto, appare evidente che i provvedimenti “no 5G” presentino molteplici e gravi profili di illegittimità, che non possono tuttavia essere qui tutti trattati.

A quest’ultimo riguardo, è sufficiente in questa sede richiamare la sentenza n. 3324 del 24.7.2020 del TAR Campania, con la quale i giudici amministrativi, ritenendo il ricorso di un operatore “manifestamente” fondato, hanno annullato i provvedimenti del Comune di Carinola che prescrivevano il divieto di sperimentazione e/o installazione del 5G sul territorio comunale.

Tale pronuncia è stata emessa sulla base della consolidata giurisprudenza in materia di riparto di competenze tra Stato ed Enti locali e di quella, sempre costante, relativa all’illegittimità dell’uso dell’ordinanza contingibile e urgente per il divieto o la sospensione di installazioni di infrastrutture di telecomunicazione (atteso che lo strumento in questione può essere utilizzato solo per far fronte ad un pericolo effettivo, comprovato con congrua motivazione, che sia eccezionale ed imprevedibile, ed al quale non è possibile far fronte con i mezzi previsti in via ordinaria dall’ordinamento)[54]. Il TAR Campania ha inoltre censurato, sempre secondo pacifica giurisprudenza ed ai sensi della L. n. 241/90,  la sospensione sine die disposta dal provvedimento impugnato.

Alla luce dello scenario descritto, molti Comuni “no 5G” hanno di recente revocato o annullato in autotutela le proprie interdittive, forse anche nel timore di cagionare un danno erariale ed incombere in responsabilità contabile.

In conclusione, appare innegabile che il processo di sviluppo tecnologico comporti grandi sacrifici e ponga molti interrogativi, non sempre però fondati. Con uno sguardo al futuro, si auspica che il passaggio alle prossime generazioni di tecnologia mobile, prima tra tutte quella del “ 6G”, avvenga con maggiore consapevolezza ed in assenza di inutili ed infondati allarmismi, cause di rallentamenti dello sviluppo economico e sociale del nostro Paese e lesivi, a ben vedere, del principio di certezza del diritto.

4. Il nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche

I procedimenti e le disposizioni del D.Lgs. n. 259/2003, in parte già esaminati, saranno sostituiti dalla normativa di recepimento della Direttiva UE n. 1972/2018, come anticipato nell’introduzione.

L’esigenza di un nuovo codice delle comunicazioni elettroniche, a neppure due decenni dall’entrata in vigore dei provvedimenti comunitari che il  D.Lgs. n. 259/2003 ha recepito, è l’effetto, tutto contemporaneo, dei repentini cambiamenti della tecnologia e dei mercati. Tale dinamismo, infatti, aprendo talvolta scenari inesplorati, ha reso necessaria una normativa adatta alle nuove sfide, e che bilanci adeguatamente i delicati interessi in gioco[55].

 L’estrema ratio del nuovo Codice europeo, è quella di favorire l’innovazione tecnologica, la concorrenza (specialmente quella basata sulle infrastrutture[56]) e gli investimenti, anche attraverso una deregolamentazione dei mercati (oggi molto più competitivi rispetto a quanto non lo fossero venti anni fa).

Più nel dettaglio, scopo dello strumento, ai sensi del suo art. 1, è quello di “realizzare un mercato interno delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica che si traduca in realizzazione e diffusione di reti ad altissima capacità, concorrenza sostenibile, interoperabilità dei servizi di comunicazione elettronica, accessibilità, sicurezza delle reti e dei servizi e vantaggi per gli utenti finali”, nonché “garantire la fornitura in tutta l’Unione di servizi di buona qualità accessibili al pubblico e a prezzi abbordabili, attraverso una concorrenza efficace e un’effettiva possibilità di scelta, disciplinare i casi in cui le esigenze degli utenti finali, compresi quelli con disabilità per consentire loro di accedere ai servizi su un piano di parità con gli altri, non sono adeguatamente soddisfatte mediante il mercato e stabilire i necessari diritti degli utenti finali”.

Il provvedimento de quo, contiene una serie di importanti disposizioni innovative su molti aspetti del diritto delle telecomunicazioni, anche regolamentari, che tuttavia non potranno essere qui tutte trattate.

Quando ai regimi procedimentali per l’installazione o la modifica di impianti di comunicazione elettronica, si evidenzia che la Direttiva ha confermato l’esigenza di agevolare, anche attraverso procedimenti amministrativi semplificati, lo sviluppo delle reti ad altissima capacità. Un elemento di indubbia novità in proposito è rappresentato dal disposto dell’art. 57, par. 1. della Direttiva[57], ai sensi del quale è fatto obbligo per gli Stati membri di non subordinare l’installazione dei punti di accesso senza fili di portata limitata (che soddisfano le caratteristiche di cui al paragrafo 2) a permessi urbanistici individuali o ad altri permessi individuali preventivi (ad eccezione dei casi in cui l’installazione avvenga in edifici o siti di valore architettonico, storico o ambientale protetti a norma del diritto nazionale o se necessario per ragioni di pubblica sicurezza)[58]. La Commissione il 30 giugno 2020 ha adottato il Regolamento di attuazione della disposizione di cui al paragrafo 2), stabilendo con lo stesso le caratteristiche tecniche e fisiche delle c.d. Small-Area Wireless Access Points (SAWAP).

Ciò premesso, nel prosieguo la trattazione sarà focalizzata sulle principali norme della Direttiva relative allo spettro radio, ai coinvestimenti e alla regolazione dell’operatore wholesale only.

4.1 Spettro radio

Il legislatore europeo, conscio che le comunicazioni elettroniche stanno diventando indispensabili per un numero crescente di settori, ha previsto, con la Direttiva in commento, una serie di importanti disposizioni in materia di spettro radio, volte specialmente a incidere sulla sua pianificazione e armonizzazione, sul suo utilizzo efficiente e sul riavvicinamento delle disposizioni nazionali.

Il raggiungimento degli importanti obiettivi fissati dalla Direttiva in  materia di spettro radio, nelle intenzioni del legislatore gioverebbe all’innovazione ed al corretto funzionamento del mercato interno e, dunque, dell’economia[59].

Un’articolata disciplina è stata posta dalla Direttiva in materia di gestione dello spettro radio: l’art. 45 del nuovo Codice, dopo aver riconosciuto che lo spettro radio è un bene pubblico dotato di un importante valore sociale, culturale ed economico, ha ribadito che i rilasci di autorizzazioni generali o di diritti d’uso individuali, da parte delle autorità nazionali competenti, debbano essere fondati su criteri obiettivi, trasparenti, pro-concorrenziali, non discriminatori e proporzionati.

L’armonizzazione dell’uso dello spettro radio, ai sensi del §2 dell’art. citato, deve essere “promosso in modo coerente con l’esigenza di garantirne un utilizzo effettivo ed efficiente e di perseguire benefici per i consumatori quali concorrenza, economie di scala e interoperabilità delle reti e dei servizi”, nonché assicurando e/o agevolando, tra le altre cose: la copertura della banda larga senza fili; lo sviluppo di nuove tecnologie e applicazioni senza fili; gli investimenti a lungo termine, attraverso la prevedibilità e la coerenza dei procedimenti relativi ai diritti d’uso dello spettro; la prevenzione delle interferenze dannose; l’uso condiviso dello spettro per impieghi simili o diversi; la coerenza e prevedibilità in tutta UE delle modalità con cui lo spettro è autorizzato relativamente alla salute pubblica; l’applicazione di norme, relative ai diritti d’uso, chiare e trasparenti, al fine di garantire la certezza, la coerenza e la prevedibilità della regolamentazione; l’applicazione del sistema di autorizzazione più adeguato e meno oneroso possibile.

La previsione dei richiamati elementi rappresenta un fattore novità rispetto al D.Lgs. n. 259/2003, soprattutto nella parte in cui è posta particolare attenzione alla prevedibilità regolamentare in tema di armonizzazione dell’uso dello spettro radio.

Inoltre, l’art. 45 cit., al suo § 3, ha per la prima volta disciplinato l’uso alternativo dello spettro radio armonizzato – integrale o parziale, compreso l’uso esistente – che può essere consentito dagli Stati membri a condizione che:

– manchi la domanda del mercato a livello nazionale o regionale per l’uso di una banda nello spettro armonizzato (la constatazione della mancanza di domanda del mercato per l’uso di tale banda deve basarsi su una consultazione pubblica in conformità dell’articolo 23, ivi compresa una valutazione prospettica della domanda del mercato);

– tale uso alternativo non impedisca od ostacoli la disponibilità o l’uso di tale banda in altri Stati membri; e

– lo Stato membro in questione tenga in debito conto la disponibilità o l’uso a lungo termine di tale banda nell’Unione e le economie di scala per le apparecchiature risultanti dall’uso dello spettro radio armonizzato nell’Unione.

Quanto al principio di neutralità tecnologica, la Direttiva ha confermato la sua portata, prevedendo, all’art. 45 § 4, che “gli Stati membri assicurano che tutti i tipi di tecnologie usate per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica possano essere utilizzati nello spettro radio dichiarato disponibile per i servizi di comunicazione elettronica nel rispettivo piano nazionale di allocazione delle frequenze”.

Gli Stati membri possono, tuttavia, prevedere limitazioni proporzionate e non discriminatorie dei tipi di rete radio o di tecnologia di accesso senza fili o rete radiofonica utilizzati per servizi di comunicazione elettronica, ove ciò sia necessario al fine di: evitare interferenze dannose; proteggere la salute pubblica dai campi elettromagnetici tenendo nella massima considerazione la raccomandazione 1999/519/CE;  assicurare la qualità tecnica del servizio; assicurare la massima condivisione dello spettro radio; salvaguardare l’uso efficiente dello spettro radio; oppure garantire il conseguimento di un obiettivo di interesse generale conformemente al paragrafo 5 dell’art. 45.

Riguardo quest’ultima disposizione, dedicata ai servizi di comunicazione elettronica che possono essere forniti nello spettro, il legislatore europeo senza soluzione di continuità rispetto alla normativa oggi vigente, ha stabilito che “gli Stati membri assicurano che tutti i tipi di servizi di comunicazione elettronica possano essere forniti nello spettro dichiarato disponibile per i servizi di comunicazione elettronica nei rispettivi piani nazionali di allocazione delle frequenze a norma del diritto dell’Unione”.

Come per le tecnologie, gli Stati membri possono prevedere limitazioni proporzionate e non discriminatorie dei tipi di servizi di comunicazione elettronica che è possibile fornire, anche, se necessario, al fine di soddisfare un requisito del regolamento delle radiocomunicazioni dell’UIT.

In particolare è disposto che le misure che impongono la fornitura di un servizio in una banda specifica sono giustificate solo per garantire il conseguimento di un obiettivo di interesse generale (quali, garantire la sicurezza della vita; promuovere la coesione sociale, regionale o territoriale; evitare un uso inefficiente dello spettro radio; promuovere la diversità culturale e linguistica e il pluralismo dei media, ad esempio la fornitura di servizi di diffusione televisiva e radiofonica).

Una misura che vieti la fornitura di qualsiasi altro servizio di comunicazione elettronica in una banda specifica può invece essere prevista esclusivamente ove sia giustificata dalla necessità di proteggere i servizi di sicurezza della vita. In via eccezionale, gli Stati membri possono anche estendere tale misura al fine di conseguire altri obiettivi di interesse generale quali stabiliti dagli Stati membri a norma del diritto dell’Unione.

Quanto ai contributi per la concessione e il rinnovo di diritti d’uso dello spettro, l’art. 42 §1 stabilisce che gli stessi devono essere obiettivamente giustificati, trasparenti, non discriminatori e proporzionati allo scopo perseguito e devono tenere conto anche degli «obiettivi generali» della direttiva, esplicitati all’art. 3.

Il §2, con disposizione innovativa, stabilisce che i contributi devono essere fissati a un livello che assicuri un’assegnazione e un uso dello spettro radio efficienti, anche: definendo prezzi di riserva quali contributi minimi per i diritti d’uso dello spettro radio tenendo conto del valore di tali diritti nei loro possibili usi alternativi; tenendo conto dei costi derivanti da condizioni associate a tali diritti; e applicando, al meglio possibile, modalità di pagamento legate all’effettiva disponibilità per l’uso dello spettro radio.

Relativamente al rinnovo, l’art. 50 §4 stabilisce che se l’autorità competente decide di rinnovare diritti individuali d’uso dello spettro radio, i contributi possono essere modificati in conformità a quanto sancito dall’art. 42 sopra esaminato.

L’allocazione e l’assegnazione dello spettro radio, ex art. 45§1, devono avvenire da parte degli Stati membri sulla base di “criteri obiettivi, trasparenti, pro-concorrenziali, non discriminatori e proporzionati

Come noto, l’uso dello spettro può essere autorizzato attraverso l’autorizzazione generale ovvero attraverso un’autorizzazione individuale. Un tertium genus è rappresentato dall’uso condiviso, che può basarsi sull’autorizzazione generale o su quella individuale o ancora da una combinazione delle due forme.

In merito a questi ultimi aspetti, l’art. 46 della Direttiva  contiene un’importante innovazione (rispetto l’attuale art. 27, co.1 D.Lgs. N. 259/2003), volta, oltre ad incentivare gli Stati membri all’utilizzo di autorizzazioni generali, alla promozione dell’uso condiviso dello spettro radio, soprattutto sulla base delle caratteristiche specifiche dello spettro interessato e dello stato di sviluppo tecnologico.

Più nello specifico, il §1, co.1, art. 46, stabilisce che “gli Stati membri facilitano l’uso dello spettro radio, compreso l’uso condiviso, nel regime delle autorizzazioni generali e limitano la concessione di diritti d’uso individuali dello spettro radio alle situazioni in cui tali diritti sono necessari per massimizzare l’uso efficiente alla luce della domanda e tenendo conto dei criteri di cui al secondo comma”.

Il co. 2 richiamato precisa esplicita i suddetti criteri, stabilendo che gli Stati membri scelgono il regime più adatto per autorizzare l’uso dello spettro radio, tenendo conto: a) delle caratteristiche specifiche dello spettro radio interessato; b) dell’esigenza di protezione dalle interferenze dannose; c) dello sviluppo di condizioni affidabili di condivisione dello spettro radio, ove appropriato; d) della necessità di assicurare la qualità tecnica delle comunicazioni o del servizio; e) degli obiettivi di interesse generale stabiliti dagli Stati membri conformemente al diritto dell’Unione; f) della necessità di salvaguardare l’uso efficiente dello spettro radio.

Il legislatore europeo obbliga dunque gli Stati membri ad adottare il regime autorizzatorio meno oneroso possibile, obbligandoli altresì ad adoperarsi per ridurre al minimo i problemi causati dalle interferenze dannose, anche al fine di promuovere l’uso condiviso dello spettro. Nella scelta del regime (che può anche basarsi su una combinazione di autorizzazione generale e di quella individuale) gli Stati dovranno in ogni caso tenere conto dei probabili effetti sulla concorrenza, sull’innovazione e sull’accesso al mercato[60].

L’art. 55 del codice, attraverso una serie di innovazioni rispetto alla disciplina attualmente vigente (cfr. art. 29 D.Lgs. N. 259/2003), pone ulteriori limiti alla discrezionalità amministrativa anche nelle scelte di limitazione dei diritti d’uso. In particolare lo Stato membro dovrà ponderare adeguatamente l’esigenza di massimizzare i benefici per gli utenti e di favorire lo sviluppo della concorrenza[61]; dovrà inoltre indicare (e motivare) chiaramente quali sono gli obbiettivi perseguiti, attingendo gli stessi dalla lista tassativa contenuta nel §2 del menzionato art. 55[62].

Come nella disciplina vigente, i criteri e la procedura di selezione dovranno essere obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati, così come i criteri di ammissibilità. Gli Stati membri dovranno tuttavia tenere conto dei nuovi criteri ed obiettivi della direttiva. Una novità è costituita dall’obbligo di informare il gruppo «Politica dello spettro radio» ex art. 35, sempre qualora lo Stato  membro intenda avviare una procedura di selezione[63].

I diritti d’uso individuali dello spettro radio, ai sensi dell’art. 48 § 2, sono concessi mediante procedure aperte, obiettive, trasparenti, non discriminatorie e proporzionate e conformemente all’articolo 45[64].

Quanto alla deroga del principio delle procedure aperte – posto che ex art. 48 §1 i diritti individuali d’uso sono concessi, a richiesta, a “ogni impresa per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica in forza di un’autorizzazione generale di cui all’articolo 12, nel rispetto dell’articolo 13, dell’articolo 21, paragrafo 1, lettera c), dell’articolo 55 e di ogni altra disposizione che garantisca l’uso efficiente di tali risorse” – i requisiti per le procedure aperte possono essere derogati ex art. 48 §3 per i fornitori di servizi di diffusione di contenuti radiofonici o televisivi, se tale deroga è necessaria per conseguire un obiettivo di interesse generale quale stabilito dagli Stati membri conformemente al diritto dell’Unione. Tale disciplina è del resto conforme a quanto attualmente previsto dal D.Lgs. 259/2003.

Un disciplina nuova in materia riguarda invece la tempistica coordinata assegnazioni, la quale è contenuta nell’art. 53 Dir.. Quest’ultimo articolo prescrive che gli Stati membri cooperino al fine di coordinare l’uso dello spettro radio, potendo individuare una o più date comuni per autorizzare l’uso di uno specifico spettro. L’uso dello spettro dovrà essere consentito al più preso ovvero entro 30 mesi dall’adozione di misure tecniche di attuazione (o ancora al più presto in caso di revoca della decisione che consente l’uso alternativo). Tale scadenza può essere ritardata in casi eccezionali ai sensi dei §3 (senza limiti temporali) e 4 (per massimo 30 mesi) [65].

L’art. 54, invece, concede facoltà agli Stati membri di adottare delle misure se opportune per agevolare il dispiegamento del 5G entro il 31/12/2020. Quest’ultimo termine può essere prorogato  se è stato consentito l’uso alternativo dello specifico spettro ovvero nei casi disciplinati dall’art. 53[66].

Il nuovo Codice innova il quadro normativo attuale anche sotto il profilo delle condizioni associate ai diritti individuali d’uso, attraverso gli artt. 13 e 47.

In particolare è stabilito che le condizioni associate ai diritti individuali devono essere volte a garantire l’uso ottimale e più efficace ed efficiente possibile ed essere non discriminatorie, proporzionate e trasparenti.

Tali condizioni devono essere comunicate alle parti interessate tempestivamente ed in modo trasparente prima della loro imposizione. Gli Stati membri devono inoltre specificare i parametri applicabili nonché le condizioni devono essere stabilite in maniera chiara  prima dell’assegnazione o del rinnovo (deve essere indicato, tra gli altri, il livello di uso obbligatorio e la possibilità o meno di soddisfare lo stesso tramite trasferimento o affitto) e  non devono infine offrire vantaggi indebiti a coloro che sono già titolari di tali diritti.

L’art. 47 §2, sancisce il (nuovo) principio in base al quale le autorità competenti non possono vietare l’uso condiviso dello spettro. Nello stabilire le condizioni associate ai diritti individuali d’uso, al fine di garantire un uso effettivo ed efficiente dello  spettro, ovvero per promuovere la copertura, le autorità nazionali possono prevedere le seguenti possibilità:  condivisione delle infrastrutture passive o attive che utilizzano lo spettro radio o lo spettro radio stesso; accordi commerciali di accesso in roaming; dispiegamento congiunto di infrastrutture per la fornitura di reti o servizi che si basano sull’uso dello spettro radio. Se tali condizioni sono imposte, l’attuazione delle stesse resta soggetta al diritto della concorrenza.

La durata dei diritti d’uso è disciplinata dall’art. 49 Dir. innovando per taluni aspetti rispetto alla disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 259/2003. Il nuovo Codice stabile, in particolare, che la durata deve essere adeguata tenuto conto: degli obiettivi perseguiti in conformità dell’art. 55; della necessità di assicurare la concorrenza; della necessità di assicurare l’uso effettivo ed efficiente dello spettro; della necessità di promuovere l’innovazione e investimenti efficienti (anche prevedendo un periodo adeguato di ammortamento degli investimenti).

Gli Stati membri devono garantire la prevedibilità regolamentare per un periodo di almeno 20 anni (relativamente alle condizioni di investimento in infrastrutture che utilizzano il richiamato spettro radio), nonché garantire che detti diritti siano validi per almeno 15 anni, e prevedano un’adeguata proroga di tale durata.

La proroga, ex art. 49 §2 co. 3, soprattutto al fine di garantire la prevedibilità regolamentare, deve essere volta al soddisfacimento di criteri generali, che devono essere messi a disposizione delle parti interessate in modo trasparente prima della concessione dei diritti stessi, nell’ambito delle condizioni stabilite all’art. 55 §§ 3 e 6 (obblighi di pubblicazione e procedure obiettive, trasparenti ecc.). Tali criteri generali si riferiscono nello specifico: all’esigenza di garantire: – un uso effettivo ed efficiente dello spettro radio in questione; la copertura della banda larga senza fili ad alta qualità e velocità, nonché delle direttrici principali di trasporto; il rapido sviluppo di nuove tecnologie e applicazioni delle comunicazioni senza fili; obiettivi di interesse generale relativi alla tutela della sicurezza della vita, all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica o alla difesa; nonché all’esigenza di assicurare una concorrenza senza distorsioni.

Sulla disciplina di dettaglio in relazione alla durata dei diritti v. art. 49 §2, co. 4-10, § 4[67] e art. 49 §3[68].

La possibilità di limitare i diritti d’uso in sede di proroga è disciplinata dall’art. 19 Dir[69].

Quanto alla modifica dei diritti, la regola generale  è sancita dall’art. 18, §1, ai sensi del quale gli Stati membri garantiscono che i diritti, le condizioni e le procedure relativi alle autorizzazioni generali e ai diritti d’uso dello spettro radio o delle risorse di numerazione o di installare strutture possano essere modificati solo in casi obiettivamente giustificati e in misura proporzionata, tenendo conto, se del caso, delle condizioni specifiche applicabili ai diritti trasferibili d’uso dello spettro radio o delle risorse di numerazione.

Ciò considerato in materia di proroga e modifica dei diritti, occorre soffermarsi sulla nuova disciplina posta dall’art. 50 Dir. in tema di rinnovo dei diritti. Preliminarmente si chiarisce che con il rinnovo si ha una «rinegoziazione» delle condizioni, mentre con la proroga il termine di scadenza viene semplicemente differito.

Ciò chiarito,  il rinnovo dei diritti individuali può essere disposto prima della scadenza, tranne se al momento dell’assegnazione tale possibilità è stata esplicitamente esclusa.

Se il rinnovo è richiesto dal titolare del diritto, l’istanza deve essere presentata non più di 5 anni prima della scadenza (salve diverse clausole di rinnovo applicabili ai diritti esistenti) .

Nell’adottare una decisione di rinnovo le autorità competenti prendono in considerazione, tra l’altro:  – la realizzazione degli obiettivi di cui all’articolo 3, all’articolo 45, paragrafo 2, e all’articolo 48, paragrafo 2, nonché degli obiettivi di politica pubblica previsti dal diritto dell’Unione o nazionale;  – l’attuazione di una misura tecnica di attuazione adottata a norma dell’articolo 4 della decisione n. 676/2002/CE; – l’esame dell’adeguatezza dell’attuazione delle condizioni associate al diritto di cui trattasi;  – la necessità di promuovere la concorrenza o di evitarne qualsiasi distorsione, in linea con l’articolo 52;  – la necessità di conseguire maggiore efficienza nell’uso dello spettro radio alla luce dell’evoluzione tecnologica o del mercato;  – la necessità di evitare una grave compromissione del servizio.

Nel rinnovo dei diritti individuali d’uso le autorità competenti applicano una procedura aperta, trasparente e non discriminatoria, e tra le altre cose:  – Avviano una consultazione pubblica ex art. 23;  – Indicano chiaramente i motivi dell’eventuale rinnovo.

Una decisione di rinnovo di diritti individuali d’uso dello spettro radio armonizzato può essere accompagnata da un riesame dei contributi e degli altri termini e condizioni ad essi associati. Se del caso, le autorità nazionali di regolamentazione e/o altre autorità competenti possono modificare i contributi relativi ai diritti d’uso in conformità dell’articolo 42.

Il riesame dei contributi e degli altri termini e condizioni nelle decisioni di rinnovo è infatti operazione pertinente all’istituto del riesame. In sede di mera proroga, invece, i diritti possono essere solo eccezionalmente limitati o modificati.

Come nella disciplina vigente, vige la regola della libertà di disposizione dei diritti d’uso ai sensi dell’art. 51, §1[70].

Tuttavia, l’autorità competente può opporre rifiuto o apporre condizioni al trasferimento o all’affitto nel caso in cui sia necessario garantire l’assenza di distorsioni della concorrenza, in particolare in conformità dell’articolo 52[71].

Ad ogni modo le autorità competenti agevolano, ai sensi dell’art. 51, §3, co.4, il trasferimento o l’affitto di diritti d’uso dello spettro radio prendendo in considerazione tempestivamente le eventuali richieste di adattare le condizioni associate ai diritti e assicurando che tali diritti o il relativo spettro radio possano essere suddivisi o disaggregati nel miglior grado possibile.

Le autorità competenti, al momento di decidere la concessione, la modifica o il rinnovo dei diritti d’uso dello spettro radio promuovono una concorrenza effettiva ed evitano le distorsioni della concorrenza.

In particolare, nel concedere, modificare o rinnovare tali diritti le autorità possono stabilire una serie di misure ai sensi dell’art. 52, e sempre tenendo conto delle condizioni di mercato e dei parametri di riferimento disponibili (e dell’approccio all’analisi di mercato ex art. 67), nonché fondando la propria decisione su: –   una valutazione oggettiva e prospettica delle condizioni della concorrenza nel mercato;  – la necessità di tali misure per mantenere o conseguire una concorrenza effettiva; –  I probabili effetti di tali misure sugli investimenti attuali e futuri da parte dei partecipanti al mercato, in particolare per il dispiegamento della rete.

4.2 Coinvestimenti

Nella logica del nuovo Codice, gli accordi di coinvestimento possono rappresentare uno dei presupposti per la deregolamentazione dei mercati all’ingrosso, laddove gli stessi, in generale, siano sostenibili e tali da migliorare le dinamiche della concorrenza (cfr. art. 79 e considerando 170).

L’autorità di regolamentazione non dovrebbe dunque imporre obblighi su tali nuove reti ad altissima capacità nel caso in cui un’impresa, detentrice di un Significativo Potere di Mercato (SNP), faccia un’offerta di coinvestimento a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie e se almeno un potenziale coinvestitore ha stipulato un accordo di coinvestimento con tale impresa, come si vedrà meglio nel prosieguo.

Ex art. 68, par. 6, gli accordi di coinvestimento tra imprese che non sono individuate come detentrici di un SPM potranno comunque essere presi in considerazione dall’autorità di regolamentazione per valutare il loro impatto sulle dinamiche concorrenziali, al fine: di richiedere una nuova analisi di mercato ex art. 67; ovvero di valutare la revoca o l’imposizione di obblighi alle imprese con SPM.

L’art. 76 della Direttiva, dedicato al trattamento normativo dei nuovi elementi di rete ad altissima capacità, sancisce i requisiti per l’applicazione del regime agevolato, stabilendo che: l’impresa con SPM può offrire impegni per aprire al coinvestimento; il coinvestimento può consistere nella contitolarità o condivisione del rischio a lungo termine attraverso cofinanziamento o accordi di acquisto che comportano diritti specifici di carattere strutturale da parte di altri fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica (gli accordi di accesso commerciale limitati all’affitto di capacità, invece, non dovrebbero essere considerati coinvestimenti: cfr. considerando 198); il coinvestimento deve avere per oggetto la realizzazione di una nuova rete ad altissima capacità che consista di elementi in fibra ottica fino ai locali degli utenti finali o alla stazione di base (la disciplina si applica agli elementi di rete che l’impresa con SPM ha previsto di realizzare o ha già realizzato).

Se l’impegno di coinvestimento soddisfa le condizioni o criteri pertinenti, l’autorità rende vincolante l’impegno e non impone obblighi supplementari, purché almeno un potenziale coinvestitore ha stipulato un accordo di coinvestimento con l’impresa  con SPM.

L’offerta di coinvestimento deve nello specifico soddisfare tutte le seguenti condizioni:

– è aperta in qualsiasi momento durante il periodo di vita della rete a qualsiasi fornitore di reti o servizi di comunicazione elettronica;

– consentirebbe ad altri coinvestitori che sono fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica di competere efficacemente e in modo sostenibile sul lungo termine nei mercati a valle in cui l’impresa designata come detentrice di un significativo potere di mercato è attivo, secondo modalità che comprendono: 1) condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie che consentano l’accesso all’intera capacità della rete nella misura in cui essa sia soggetta al coinvestimento; 2) flessibilità in termini del valore e della tempistica della partecipazione di ciascun coinvestitore; 3) la possibilità di incrementare tale partecipazione in futuro; e 4) la concessione di diritti reciproci fra i coinvestitori dopo la realizzazione dell’infrastruttura oggetto del coinvestimento;

– è resa pubblica dall’impresa in modo tempestivo e, se l’impresa non possiede le caratteristiche elencate all’articolo 80, paragrafo 1, almeno sei mesi prima dell’avvio della realizzazione della nuova rete; tale periodo può essere prolungato in funzione delle circostanze nazionali;

– i richiedenti l’accesso che non partecipano al coinvestimento possono beneficiare fin dall’inizio della stessa qualità e velocità, delle medesime condizioni e della stessa raggiungibilità degli utenti finali disponibili prima della realizzazione, accompagnate da un meccanismo di adeguamento nel corso del tempo, confermato dall’autorità nazionale di regolamentazione, alla luce degli sviluppi sui mercati al dettaglio correlati, che mantenga gli incentivi a partecipare al coinvestimento; tale meccanismo provvede affinché i richiedenti l’accesso abbiano accesso agli elementi ad altissima capacità della rete contemporaneamente e sulla base di condizioni trasparenti e non discriminatorie in modo da rispecchiare adeguatamente i gradi di rischio sostenuti dai rispettivi coinvestitori nelle diverse fasi della realizzazione e tengano conto della situazione concorrenziale sui mercati al dettaglio;

– è conforme almeno ai criteri di cui all’allegato IV ed è presentata in buona fede.

Pertanto, nel valutare l’offerta di coinvestimento l’autorità verifica che siano rispettati anche i criteri ex allegato IV del Codice  (altri criteri aggiuntivi possono essere presi in esame nella misura in cui sono necessari a garantire l’accessibilità dei potenziali investitori al coinvestimento, alla luce delle specifiche condizioni locali e della struttura del mercato), ovvero:

– l’offerta di coinvestimento è aperta a ogni impresa su base non discriminatoria per la durata di vita della rete costruita nel quadro dell’offerta di coinvestimento. L’impresa designata come detentrice di un significativo potere di mercato può includere nell’offerta condizioni ragionevoli per quanto riguarda la capacità finanziaria delle imprese;

– l’offerta di coinvestimento è trasparente (l’offerta è disponibile e facilmente reperibile sul sito web dell’impresa designata come detentrice di un significativo potere di mercato; tutte le condizioni, dettagliate e complete, sono rese disponibili senza indebito ritardo a tutti i potenziali offerenti che abbiano manifestato interesse, compresa la forma giuridica dell’accordo di coinvestimento e, se del caso, gli accordi preliminari sulla governance del veicolo di coinvestimento; e il processo, al pari della tabella di marcia, per l’elaborazione e lo sviluppo del progetto di coinvestimento è fissato in anticipo e chiaramente spiegato per iscritto a tutti i potenziali coinvestitori; tutte le principali tappe devono essere chiaramente comunicate a tutte le imprese senza discriminazioni);

– l’offerta di coinvestimento include condizioni per i potenziali coinvestitori che favoriscono una concorrenza sostenibile a lungo termine, e in particolare: a tutte le imprese sono offerte condizioni di partecipazione all’accordo di coinvestimento eque, ragionevoli e non discriminatorie, in funzione del momento dell’adesione; l’offerta deve permettere una certa flessibilità in termini di valore e tempistica dell’impegno sottoscritto da ciascun coinvestitore; un premio crescente nel tempo è considerato giustificato per impegni assunti in fasi successive e per i nuovi coinvestitori che aderiscono all’accordo di coinvestimento dopo l’avvio del progetto, in modo da riflettere la diminuzione dei rischi e contrastare qualsiasi incentivo a non impegnare i capitali nelle prime fasi;

– l’accordo di coinvestimento deve consentire la cessione dei diritti acquisiti ad altri coinvestitori o a terzi intenzionati ad aderire all’accordo di coinvestimento, subordinatamente all’obbligo a carico del cessionario di adempiere tutti gli obblighi originariamente a carico del cedente ai sensi dell’accordo di coinvestimento; i coinvestitori si concedono reciprocamente, a condizioni e termini equi e ragionevoli, i diritti di accesso all’infrastruttura realizzata in coinvestimento ai fini della prestazione di servizi a valle, anche agli utenti finali, secondo condizioni trasparenti, che devono essere indicate in maniera trasparente nell’offerta di coinvestimento e nel successivo accordo, in particolare se i coinvestitori sono responsabili individualmente e separatamente dell’installazione di parti specifiche della rete. Se viene creato, il veicolo di coinvestimento fornisce l’accesso, diretto o indiretto, alla rete a tutti i coinvestitori a condizioni di equivalenza e secondo condizioni e termini equi e ragionevoli, comprese condizioni finanziarie che riflettano il diverso livello di rischio accettato dai singoli coinvestitori.

– l’offerta di coinvestimento assicura un investimento duraturo in grado di soddisfare esigenze future mediante l’installazione di nuovi elementi di rete che contribuiscano in misura significativa alla realizzazione di reti ad altissima capacità.

Affinché non siano imposti obblighi, l’impresa con SPM può presentare degli impegni all’autorità di regolamentazione, che devono soddisfare le condizioni e i criteri sopra esaminati.

Sulla base delle condizioni proposte con gli impegni l’autorità esegue un test del mercato (coinvolgendo tutti gli stakeholders), secondo la procedura delineata dall’art. 79.

Dopo lo svolgimento del test menzionato potrebbero aprirsi due scenari:

– Se le condizioni sono rispettate e almeno un potenziale coinvestitore ha stipulato un accordo di coinvestimento con l’impresa con SPM, l’autorità non impone obblighi supplementari, e rende vincolanti gli impegni per almeno sette anni. L’autorità di regolamentazione, tuttavia, anche in momenti successivi alla conclusione dell’accordo, ma in casi debitamente giustificati, potrebbe imporre obblighi sulle reti realizzate in coinvestimento, specialmente laddove accerti che alcuni mercati farebbero fronte a notevoli problemi di concorrenza in assenza di intervento normativo. Tali problematiche potrebbero venire in essere ad es. laddove vi siano molteplici mercati a valle che non hanno raggiunto lo stesso grado di concorrenza (in questo caso potrebbero essere imposte misure asimmetriche);

– Diversamente, ove nessun coinvestitore ha ancora stipulato l’accordo, e sempre se gli impregni siano stati proposti nel rispetto della direttiva, l’autorità può decidere se rendere totalmente o parzialmente vincolanti gli impegni per uno specifico periodo. In tal caso, tuttavia, l’autorità potrebbe comunque effettuare un’analisi di mercato ex 67 ed imporre obblighi all’impresa ex art. 68. Nel caso in cui l’autorità decida di rendere vincolante un’offerta di coinvestimento che non ha ancora portato a un accordo e di non imporre ulteriori obblighi normativi, può farlo tuttavia a condizione che tale accordo sia concluso prima che la misura di deregolamentazione abbia effetto.

4.3 Regolazione dell’operatore wholesale only

Ai sensi dell’art. 80 della Direttiva, se l’impresa con SPM non è presente nei mercati al dettaglio (attualmente o nel futuro) o non ha accordi di esclusiva con operatori retail, l’autorità di regolamentazione può imporre solo obblighi di non discriminazione ex art. 70, ovvero obblighi in materia di accesso e di uso di determinati elementi di rete e risorse correlate ex art. 73, o inerenti a prezzi equi e ragionevoli.

Gli obblighi di non discriminazione e accesso ex art. 80 §2 possono essere imposti se giustificati in base a un’analisi di mercato che comprenda una valutazione in prospettiva del probabile comportamento dell’impresa designata come detentrice di un significativo potere di mercato.

In particolare, i benefici regolamentari si applicano se:

– tutte le società e le unità commerciali all’interno dell’impresa, tutte le società che sono controllate, ma non necessariamente del tutto appartenenti allo stesso proprietario apicale, nonché qualsiasi azionista in grado di esercitare un controllo sull’impresa, svolgono attività, attuali e previste per il futuro, solo nei mercati all’ingrosso dei servizi di comunicazione elettronica e pertanto non svolgono attività in un mercato al dettaglio dei servizi di comunicazione elettronica forniti agli utenti finali dell’Unione (presenza nel solo mercato a monte);

– l’impresa non è tenuta a trattare con un’unica impresa separata operante a valle che è attiva in un mercato al dettaglio dei servizi di comunicazione elettronica forniti a utenti finali in virtù di un accordo di esclusiva o un accordo che rappresenta di fatto un accordo di esclusiva (assenza esclusive).

L’autorità di regolamentazione può imporre in qualsiasi momento i restanti obblighi tipici se è accertata l’assenza di condizioni di separazione verticale e di rapporti di esclusiva con operatori retail, e può applicare, a seconda dei casi, gli artt. da 67 a 74. A riguardo, le imprese possono informare l’autorità di qualsiasi cambiamento delle circostanze.

Gli obblighi regolamentari sono in ogni caso imposti solo a valle di attenta analisi di proporzionalità volta ad avere benefici diretti sui mercati al dettaglio (analisi di impatto della regolamentazione prima di imporre i rimedi).

La norma di cui all’art. 80 §4 prescrive che l’autorità di regolamentazione può applicare gli artt. da  67 a 74 anche qualora siano sorti o potrebbero sorgere problemi di concorrenza a scapito degli utenti finali (che, presumibilmente in sede di analisi di mercato od anche con successive segnalazioni, abbiano chiesto l’imposizione di obblighi ulteriori rispetto a quelli di non discriminazione e accesso) e, dunque, in anche in presenza delle condizioni sopra richiamate.

 

 

 

 

 


[1], Ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. ll) D.Lgs. n. 259/2003 il Servizio Universale è “un insieme minimo di servizi di una qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, offerti ad un prezzo accessibile”.
Cfr. anche Direttiva n. 2002/22/CE, così come modificata dalla direttiva 2009/136/CE, la quale all’art. 3 prevede: “Gli Stati membri provvedono affinché nel loro territorio i servizi elencati nel presente capo siano messi a disposizione di tutti gli utenti finali al livello qualitativo stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi e, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile. Gli Stati membri determinano il metodo più efficace e adeguato per garantire l’attuazione del servizio universale, nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità. Gli Stati membri mirano a limitare le distorsioni del mercato, in particolare la fornitura di servizi a prezzi o ad altre condizioni che divergano dalle normali condizioni commerciali, tutelando nel contempo l’interesse pubblico”.
[2] Cfr. art. 21 c. 1 Cost.: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
[3] V. Articolo 10 – Libertà di espressione, della  Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4 novembre 1950 : “1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione. 2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.
[4] Attesa la liberalizzazione dei mercati, per poter oggi operare come operatori di comunicazioni elettroniche è sufficiente un’autorizzazione generale ex art. 25 D.Lgs. n. 259/2003.
[5] Per reti di comunicazione elettronica si intendono, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. dd) D.Lgs. n. 259/2003, “i sistemi di trasmissione e, se del caso, le apparecchiature di commutazione o di instradamento e altre risorse, inclusi gli elementi di rete non attivi, che consentono di trasmettere segnali via cavo, via radio, a mezzo di fibre ottiche o con altri mezzi elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le reti terrestri mobili e fisse (a commutazione di circuito e a commutazione di pacchetto, compresa Internet), le reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi, i sistemi per il trasporto della corrente elettrica, nella misura in cui siano utilizzati per trasmettere i segnali, le reti televisive via cavo, indipendentemente dal tipo di informazione trasportato”.
[6] I servizi di comunicazione elettronica, ex art. 1 co. 1 lett. gg) D.Lgs. n. 259/2003, sono invece i “servizi, forniti di norma a pagamento, consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica, compresi i servizi di telecomunicazioni e i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione circolare radiotelevisiva, ad esclusione dei servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione elettronica o che esercitano un controllo editoriale su tali contenuti”.
[7] Relativamente al settore audiovisivo si rappresenta che lo stesso è sottoposto ad una disciplina speciale tendente a garantire non solo la concorrenza ma soprattutto il pluralismo politico e culturale (Cfr. D.Lgs. n. 177/2005; Direttiva UE n. 13/2010 e Direttiva UE n. 1808/2018). Il sistema di internet,  è invece sostanzialmente regolato da fonti sovranazionali, nel quale panorama l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers assume un ruolo centrale.
[8] Il BEREC “era stato istituito come organismo comunitario dotato di personalità giuridica per svolgere i compiti di cui al regolamento (CE) n. 1211/2009 e, in particolare, per fornire servizi di sostegno professionale e amministrativo al BEREC. Per poter fornire al BEREC un supporto efficiente, l’Ufficio era stato dotato di autonomia giuridica, amministrativa e finanziaria” (considerando 7 Regolamento UE 2018/1971). Attualmente gli obiettivi e i compiti del BEREC sono sanciti nel Regolamento UE 2018/1971. V. anche Direttiva UE n. 1972/2018.
[9] Cfr. art. 4 D.lgs n. 259 del 2003.
[10] In merito all’indipendenza delle Autorità amministrative indipendenti (AAI), può osservarsi come, sin dalla loro nascita, le stesse siano state definite come “enti od organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal governo, caratterizzati da autonomia organizzatoria, finanziaria e contabile e dalla mancanza di controlli e di soggezione al potere al potere di direttiva dell’esecutivo, forniti di garanzia di autonomia nella nomina, nei requisiti soggettivi e nella durata delle cariche dei vertici ed aventi funzione tutoria di interessi  costituzionali in campi socialmente rilevanti (cfr. Amato, Le Autorità indipendenti nella Costituzionale economica- Regolazione e garanzia del pluralismo, Milano, 1997).
Inoltre, occorre considerare che “un rapporto di dipendenza non si giustifica ove si consideri l’ottica, essenzialmente regolatoria e paragiurisdizionale, che orienta l’agire delle Authorities”; pertanto “ben si giustifica e si spiega il riconoscimento di una posizione di indipendenza e terzietà; traspare, nello stesso disegno tracciato in Costituzione, un possibile modello di amministrazione, antitetico a quello ancorato ai criteri di centralizzazione e gerarchia e ispirato, invece, al principio di separazione dell’amministrazione stessa dal potere politico” (cfr. Garofoli-Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, 2017);
Cfr. sulla questione Parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale, n. 872/2011, secondo il quale “le Autorità indipendenti di regolazione sono, dunque, organizzazioni titolari di poteri pubblici che si caratterizzano per un grado notevole di indipendenza dal potere politico, esercitando funzioni neutrali nell’ordinamento giuridico, specie in delicati settori economici, mediante l’utilizzazione di elevate competenze tecniche”.
[11] Art. 1, co. 3 L. n. 249/97: “[…] Ciascuna commissione e’ organo collegiale costituito dal presidente dell’Autorita’ e da due commissari. Il consiglio e’ costituito dal presidente e da tutti i commissari. Il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati eleggono due commissari ciascuno, i quali vengono nominati con decreto del Presidente della Repubblica. Ciascun senatore e ciascun deputato esprime il voto indicando un nominativo per il consiglio […]. Il presidente dell’Autorita’ e’ nominato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri d’intesa con il Ministro delle comunicazioni. La designazione del nominativo del presidente dell’Autorita’ e’ previamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari ai sensi dell’articolo 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481”.
[12] Sulle competenze in generale dell’AGCOM cfr. art. 1 commi 6 e 7 L. n. 249/97.
[13] Cfr. Regolamento concernente la risoluzione delle controversie tra operatori di cui all’Allegato A della Delibera n. 226/15/CONS (il quale art. 2 sancisce che: “1. Ai sensi dell’articolo 23 del Codice, sono rimesse alla competenza dell’Autorità le controversie fra imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, o tra tali imprese e altre imprese che beneficiano dell’imposizione di obblighi in materia di accesso o di interconnessione derivanti dal Codice, aventi ad oggetto gli obblighi derivanti dal Codice, dalla direttiva quadro, dalle direttive particolari, da provvedimenti dell’Autorità ovvero da altre fonti, anche negoziali, che ne costituiscono attuazione. 2. Ai sensi della delibera n. 622/11/CONS, sono altresì rimesse alla competenza dell’Autorità le controversie tra imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica e soggetti tenuti alla fornitura di accesso ad infrastrutture di posa di reti in fibra ottica, laddove entrambe le parti dichiarino espressamente di adire quest’ultima. In caso di fallimento della conciliazione e laddove le parti chiedano la definizione della controversia, la decisione dell’Autorità diviene vincolante per le parti, fatte salve le tutele giurisdizionali previste dal Codice”) e Regolamento concernente la risoluzione delle controversie tra operatori e tra operatori e gestori di infrastrutture fisiche di cui all’Allegato A della Delibera n. 449/16/CONS (il cui ambito di applicazione è definito dall’art. 2 dello stesso: “1. Ai sensi dell’articolo 23 del Codice, sono rimesse alla competenza dell’Autorità le controversie fra imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, o tra tali imprese e altre imprese che beneficiano dell’imposizione di obblighi in materia di accesso o di interconnessione derivanti dal Codice, aventi ad oggetto gli obblighi derivanti dal Codice, dalla direttiva quadro, dalle direttive particolari, da provvedimenti dell’Autorità ovvero da altre fonti, anche negoziali, che ne costituiscono attuazione. 2. Ai sensi dell’art. 9 del Decreto, sono altresì rimesse alla competenza dell’Autorità le controversie tra operatori di rete e gestori di infrastrutture fisiche, tra operatori di rete o tra proprietari di unità immobiliari o condomini e operatori di rete in relazione ai diritti e agli obblighi previsti dagli articoli 3, 4, 5, 6 e 8 di cui al Decreto stesso”).
[14] Cfr. Regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti, approvato con delibera n. 173/07/CONS, il quale art. 2 sancisce che: “1. Ai sensi dell’articolo 1, commi 11 e 12, della Legge, sono rimesse alla competenza dell’Autorità le controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell’Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi. 2. Sono escluse dall’applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’articolo 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli articoli 645 c.p.c. e ss. 3. Sono, altresì, escluse dall’ambito applicativo del presente regolamento le controversie promosse ai sensi degli articoli 37, 139, 140 e 140 bis del Codice del consumo, nonché le controversie attinenti esclusivamente a profili tributari o fiscali”.
[15] Art. 1 L. n. 249/97. Cfr. altresì D.lgs. n. 259/03.
[16] Cfr. art. 15 D.lgs n. 259/2003.
[17] Cfr. art. 1 L. 249/97.
[18] Cfr. Corte Costituzionale, n. 115/2011: “[…] Questa Corte ha affermato, in più occasioni, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l’assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa […]”.
[19] V. Consiglio Stato, sez. III, 13 gennaio 2014, n. 96:  “Il  d.lgs.  259/2003  ha  disciplinato  un  procedimento  semplificato  per  a  realizzazione  delle  infrastrutture delle comunicazioni elettroniche ai soli fini urbanistici, edilizi ed igienico sanitari, che  è  destinato  a  prevalere  unicamente  sulla  disciplina  edilizia  dettata  con  il  d.p.r.  380/2001  (T.U.  Edilizia),  restando  salva  invece  la  piena applicabilità  delle  norme  a  tutela  paesaggistica”.
[20] Cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557: “Per  l’installazione  degli  impianti  di  telefonia  mobile  non  è  affatto  necessario  il  permesso  di costruire,  essendo  la  stessa  subordinata  soltanto  all’autorizzazione  prevista  dall’art.  87,  D.lgs.  1  ottobre 2003 n. 259 (c.d. Codice delle Comunicazioni) e non occorrendo al riguardo il permesso di  costruire ai sensi dell’art. 3, lett. e), t.u. 6 giugno 2001 n. 380. La disciplina dettata dal D.lgs. n. 259  del  2003  costituisce,  in  definitiva,  normativa  speciale  e  compiuta,  per  cui  prevale  sulla  disciplina  generale  dettata  dal  t.u.  dell’edilizia  approvato  nel  2001,  che,  per  gli  interventi  in  questione,  richiedeva il permesso di costruire”.
[21] L’importanza strategica delle reti di comunicazioni elettroniche anche per la coesione sociale e territoriale può agevolmente desumersi dalla normazione emergenziale legata al COVID-19 emanata in materia. Per quanto riguarda l’Italia si richiama l’attenzione sull’art. 82 del D.L. n. 18/2020 (convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27), il quale, “al fine di far fronte alla crescita dei  consumi  dei servizi e del traffico sulle reti di  comunicazioni  elettroniche” ha disposto (dalla data di entrata in vigore del provvedimento e  fino  al 30 giugno 2020): 2. Le imprese che svolgono attività di fornitura di reti e servizi di comunicazioni elettroniche, autorizzate ai sensi del Capo  II  del d.Lgs n. 259/2003 e s.m.i.,  intraprendono  misure  e  svolgono  ogni utile iniziativa atta a potenziare le infrastrutture e a garantire il funzionamento delle reti e l’operatività e continuità dei servizi.  3. Le imprese fornitrici di servizi di  comunicazioni  elettroniche accessibili al pubblico  adottano  tutte  le  misure  necessarie  per potenziare  e  garantire  l’accesso  ininterrotto   ai   servizi   di emergenza.  4. Le  imprese  fornitrici  di  reti  e  servizi  di  comunicazioni elettroniche   soddisfano   qualsiasi   richiesta   ragionevole    di miglioramento della capacità di rete e della qualità  del  servizio da parte degli utenti, dando  priorità  alle  richieste  provenienti dalle strutture e dai settori ritenuti  “prioritari”  dall’unità  di emergenza della PdC o dalle unità di crisi regionali. 5. Le  imprese  fornitrici  di  reti  e  servizi  di  comunicazioni elettroniche  accessibili  al  pubblico  sono  imprese  di   pubblica utilità e assicurano  interventi  di  potenziamento  e  manutenzione della  rete  nel  rispetto  delle  norme  igienico-sanitarie  e   dei protocolli di sicurezza anti-contagio.  6. Le misure  straordinarie,  di  cui  ai  commi  2,  3  e  4  sono comunicate all’Autorità per le  garanzie  nelle  comunicazioni  che, laddove  necessario  al  perseguimento  delle  finalità  di  cui  al presente articolo e nel rispetto delle proprie competenze, provvede a modificare o integrare il quadro regolamentare vigente[…]”.
[22] L’art. 1 co. 1 lett. aa) D.Lgs n. 259/2003 definisce come pubblica “una rete di comunicazione elettronica utilizzata interamente o prevalentemente per fornire servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, che supporta il trasferimento di informazioni tra i punti terminali di reti”.
[23] A riguardo si cita la Direttiva 2014/61/UE, recante misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, la quale ha lo scopo di “[…] facilitare e incentivare l’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità promuovendo l’uso condiviso dell’infrastruttura fisica esistente e consentendo un dispiegamento più efficiente di infrastrutture fisiche nuove in modo da abbattere i costi dell’installazione di tali reti” (art. 1 co. 1 Direttiva 2014/61/UE). Tra le varie misure promosse dalla Direttiva sono state prescritte agli Stati membri procedure semplificate di rilascio di autorizzazioni anche attraverso la previsione di sportelli unici (cfr. art. 7 Dir. cit.).
[24] Più nello specifico, l’art. 91 co. 1 D.Lgs. n. 259/2003 prescrive che negli impianti de quibusi fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto”. Il co. 2 del medesimo articolo dispone inoltre che “il proprietario od il condominio non può opporsi all’appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto, nell’immobile di sua proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini”. Il proprietario è inoltre tenuto a sopportare il passaggio del personale dell’esercente il servizio che dimostri la necessità di accedervi per l’installazione, riparazione e manutenzione degli impianti ai sensi del co. 4 del provvedimento sopra menzionato. Ancora, il co. 4-bis D.Lgs. 259/2003 prevede che “l’operatore di comunicazione durante la fase di sviluppo della rete in fibra ottica può, in ogni caso, accedere a tutte le parti comuni degli edifici al fine di installare, collegare e manutenere gli elementi di rete, cavi, fili, riparti, linee o simili apparati”. In tutti i casi richiamati non è dovuta alcuna indennità al proprietario ex co. 5 D.Lgs. n. 259/2003 (sarà a carico dell’operatore il ripristino e l’eventuale risarcimento).
Cfr, altresì artt. artt. 89 ss. D.Lgs. n. 259/03 in tema di servitù, espropriazione e coubicazione.
[25] L’Organismo di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 è un ente pubblico istituito – con legge regionale o provinciale – in 19 regioni italiane e nelle due province autonome di Trento e Bolzano. Le agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente, congiuntamente all’Istituto superiore  per  la  protezione  e  la  ricerca ambientale (ISPRA), compongono il  Sistema   nazionale   a   rete   per   la   protezione dell’ambiente ex art. 1 L. n. 132/2016 (v. art. 1 cit.: “1. Al fine di assicurare  omogeneità  ed  efficacia  all’esercizio dell’azione  conoscitiva  e  di  controllo  pubblico  della  qualità dell’ambiente a supporto delle politiche di sostenibilità ambientale e di  prevenzione  sanitaria  a  tutela  della  salute  pubblica,  è istituito  il  Sistema   nazionale   a   rete   per   la   protezione dell’ambiente, di seguito denominato «Sistema nazionale»,  del  quale fanno parte l’Istituto superiore  per  la  protezione  e  la  ricerca ambientale (ISPRA) e le agenzie regionali e delle  province  autonome di Trento e di Bolzano per la protezione  dell’ambiente,  di  seguito denominate «agenzie».   2. Il Sistema nazionale concorre al perseguimento  degli  obiettivi dello sviluppo sostenibile, della riduzione  del  consumo  di  suolo, della salvaguardia e della promozione della qualità dell’ambiente  e della tutela delle risorse naturali e della piena  realizzazione  del principio «chi inquina  paga»,  anche  in  relazione  agli  obiettivi nazionali e regionali di promozione della salute umana,  mediante  lo svolgimento delle attività tecnico-scientifiche di cui alla presente legge”).
[26] Circa la funzione del parere delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente cfr., ex multis, T.A.R. Latina, sez. I, 28/01/2019, n.35: “In sede di autorizzazione per installare una stazione radio base per telefonia mobile, il parere dell’ Arpa previsto dall’art. 87 comma 4, d. lg. 1° agosto 2003 n. 259 non è atto presupposto e condizionante il provvedimento autorizzativo del Comune, bensì atto di un procedimento parallelo necessario non per la formazione del titolo edilizio e per l’inizio dei lavori con esso assentiti, bensì esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto”.
[27] Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 luglio 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29-8-2003) fissa invece i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti.
[28] Pubblicata nella G.U.C.E. n. L199 del 30 luglio 1999 e relativa alla limitazione delle esposizioni della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz.
[29] Cfr. pp. 28 e 29 indagine conoscitiva Camera dei Deputati, approvata nella seduta del 9 luglio 2020, sulle nuove tecnologie nelle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione verso il 5g e alla gestione dei big data.
[30] Cfr. ex multis T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. II, 15/02/2018, n.188: “l’Amministrazione Comunale non può, mediante formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia – urbanistica, adottare misure che costituiscano, nella sostanza, una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare SRB in intere zone territoriali omogenee, ovvero introdurre distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino, poiché tali disposizioni sono funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche […]”. Cfr. altresì Cons. Stato n. 8214/2009; Cons. Stato n. 4056/2009; Corte Cost. n. 331/2003.
[31] Cfr. ex multis Cons. Stato n. 8214/2009; Cons. Stato  n. 4056/2009; Corte Cost. n. 331/2003.
[32] Agli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica è fatto obbligo, ex art. 93 co. 1 D.Lgs. n. 259/2003,  “di  tenere  indenne  l’Ente  locale,  ovvero  l’Ente proprietario, dalle spese necessarie per  le  opere  di  sistemazione delle aree pubbliche specificamente  coinvolte  dagli  interventi  di installazione e manutenzione e di ripristinare  a  regola  d’arte  le aree medesime nei tempi  stabiliti  dall’Ente  locale.  Nessun  altro onere finanziario o reale puo’ essere imposto, in base all’articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249,  in  conseguenza  dell’esecuzione delle opere di cui al Codice, fatta salva l’applicazione della  tassa
per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al  capo  II  del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del  canone  per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo  63  del decreto  legislativo  15  dicembre  1997,  n.   446,   e   successive modificazioni ed integrazioni, calcolato secondo quanto previsto  dal comma 2, lettera e), del  medesimo  articolo,  ovvero  dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di  cui
all’articolo  47,  comma  4,  del  predetto  decreto  legislativo  15 novembre 1993, n. 507”.
[33] Con una norma di interpretazione autentica il legislatore, all’art. 12 co. 3 D.Lgs n. 33/16, ha chiarito che “l’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione”.
[34] A riguardo, la Corte Costituzionale, con la sentenza n.47 del 2015 ha chiarito che: “L’art. 93 d.lg. n. 259/2003 (cd. Codice delle comunicazioni elettroniche) è espressione di un principio fondamentale, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni. In mancanza di un tale principio, ogni Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio di un’ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti. Per queste ragioni, finalità della norma è anche quella di “tutela della concorrenza”, di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore”.
[35] Cfr. altresì D.Lgs. n. 33/16 e D.P.R. n. 31/17.
[36] Sul tema, il Consiglio stato, sez. III, con sentenza 14 febbraio 2014, n. 723, così si è espresso: “Il  favor  assicurato,  soprattutto  dagli  artt.  86  ss.  Del  d.lgs.  259/2003,  alla  diffusione  delle  infrastrutture  a  rete  della  comunicazione  elettronica,  se  comporta  una  forte  compressione  dei  poteri  urbanistici  conformativi  ordinariamente  spettanti  ai  Comuni,  non  arriva  a  derogare  alle  discipline poste a tutela degli interessi differenziati (in quanto espressione di principi fondamentali della Costituzione), come quello naturalistico ambientale”.
[37] Inoltre, potrebbero ad es. trovare applicazione  le disposizioni del Codice della Strada di cui al D. Lgs. 30 aprile 1992 n. 285, per gli interventi aventi per oggetto aree o infrastrutture di pertinenza autostradale o stradale, ovvero la L. n. 898/1976, qualora vengano in rilievo servitù militari. Nel proseguo verranno richiamate altre disposizioni particolari.
[38] Cfr.Corte Cost., 28 marzo 2006,  n. 129:  “E’ illegittimo l’art. 27, c. 1, lett. e), num. 4, della L.R. 11 marzo 2005, n. 12, Lombardia, per violazione  dell’art.  87  del  D.Lgs.  1  agosto  2003,  n.  259  (Codice  delle  comunicazioni  elettroniche),  in  quanto  obbliga  l’installazione  di  torri  e  tralicci  per  impianti di radioricetrasmittenti  e  di  ripetitori  per  i  servizi di telecomunicazione ad un iter autorizzatorio comunale (rilascio del permesso di costruire)  ulteriore rispetto a quello già previsto dal citato art. 87 del D.Lgs. n. 259 del 2003”.   Cfr. altresì,
ex multis le già citate Cons. Stato n. 8214/2009; Cons. Stato n. 4056/2009; Corte Cost. n. 331/2003.
[39] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 14 febbraio 2014, n. 723: “ La materia dello sviluppo delle  comunicazioni elettroniche forma oggetto di dettagliata disciplina in  ambito  comunitario,  secondo  principi  di  semplificazione,  celerità  e  trasparenza,  ora  codificati  dal legislatore  nel  d.lgs.  259/2003,  sicché  ogni  normativa,  nazionale  o  regionale,  che  aggravi ingiustificatamente  il  procedimento  di  rilascio  del  titolo  autorizzatorio,  al  di  là  dei  requisiti  e  dei  limiti previsti in via esclusiva dal citato d.lgs., deve essere disapplicata”.
[40]Cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 17 marzo 2016, n. 1448: “ L’art. 87, comma 9, d.lgs. n. 259 del 2003, prevede che le istanze di autorizzazione all’installazione di  impianti di telefonia si intendono accolte per silentium qualora entro il termine di 90 giorni non sia comunicato all’interessato un atto espresso di diniego. Nell’ambito del procedimento di formazione  del  silenzio  assenso,  deve  ricomprendersi  anche  la  valutazione  dei  profili  edilizi  ed  urbanistici  connessi  alla  realizzazione  del  progetto,  i  quali  per  esigenze  di  semplificazione  del procedimento  vanno verificati all’interno della fase istruttoria e non al di fuori di essa”.
[41] Cfr. T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 10/01/2017, n.296: “L’art. 8 comma 6, l. n. 36 del 22 febbraio 2001 attribuisce ai Comuni il potere di adottare un Regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici. Tale norma è stata interpretata nel senso che i Comuni, nell’adottare il regolamento, possono prevedere la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, tenendo anche conto della minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, nei limiti in cui tale regolamentazione non comporti il divieto generale di installazione su tutto il territorio comunale o intere zone comunali. Il Comuni non possono poi opporre aggravamenti del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione rispetto a quanto previsto dagli artt. 87 e ss., d.lg. n. 259 del 2003 o comunque adempimenti procedurali gravosi o irragionevoli. Non è, infatti, consentito all’ente locale introdurre limiti, prescrizioni e/o divieti, in aggiunta e/o in contrasto con le prescrizioni contenute nella legislazione statale di settore”. Cfr. altresì Cons. St., n. 5260 del 2015; id., n. 4188 del 2015; id., n. 4577 del 2015; id., n. 1361 del 2014.
[42] Cfr. altresì art. 38 co. 2 D.L. n. 76/2020, conv. con mod. dalla L. n. 120/2020 (“All’articolo 82 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, dopo il comma 2, è inserito il seguente: “2-bis. Al fine di dare esecuzione agli obiettivi di cui al comma 2, anche in deroga a quanto disposto dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e dai regolamenti adottati dagli enti locali, alle imprese fornitrici di reti e servizi di comunicazioni elettroniche è consentito effettuare gli interventi di scavo, installazione e manutenzione di reti di comunicazione in fibra ottica mediante la presentazione di segnalazione certificata di inizio attività all’amministrazione locale competente e agli organismi competenti a effettuare i controlli contenente le informazioni di cui ai modelli C e D dell’allegato n. 13 al decreto legislativo n. 259 del 2003. La segnalazione così presentata ha valore di istanza unica effettuata per tutti i profili connessi alla realizzazione delle infrastrutture oggetto dell’istanza medesima. Per il conseguimento dei permessi, autorizzazioni e atti abilitativi, comunque denominati, relativi alle installazioni delle infrastrutture per impianti radioelettrici di qualunque tecnologia e potenza, si applicano le procedure semplificate di cui all’articolo 87-bis del decreto legislativo n. 259 del 2003”) e co. 5 (“Al fine di semplificare e ridurre i termini delle procedure autorizzative per l’istallazione di reti di telecomunicazioni, all’articolo 5 del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: “1-bis. Al fine di favorire lo sviluppo delle infrastrutture digitali e minimizzare l’impatto sul sedime stradale e autostradale, la posa di infrastrutture a banda ultra larga da parte degli operatori può essere effettuata con la metodologia della micro trincea attraverso l’esecuzione di uno scavo e contestuale riempimento di ridotte dimensioni (larghezza da 2,00 a 4,00 cm, con profondità regolabile da 10 cm fino a massimo 35 cm), in ambito urbano ed extraurbano, anche in prossimità del bordo stradale o sul marciapiede. 1-ter. L’Ente titolare/gestore della strada o autostrada, ferme restando le caratteristiche di larghezza e profondità proposte dall’operatore in funzione delle esigenze di posa dell’infrastruttura a banda ultra larga, può concordare con l’operatore stesso ulteriori accorgimenti in merito al posizionamento dell’infrastruttura e le concrete modalità di lavorazione allo scopo di garantire le condizioni di sicurezza e non alterare le prestazioni della sovrastruttura stradale. 1-quater. L’operatore è tenuto a svolgere le attività di scavo e riempimento a regola d’arte in modo da non arrecare danno all’infrastruttura stradale o autostradale interessata dai lavori.”).
[43] V. L. n. 205/2017.
[44] “Il 5G per l’Europa: un piano d’azione” Bruxelles, 14.9.2016 COM(2016) 588 final.
[45] V. ICNIRP GUIDELINES 2020.
[46] Documento divulgativo sui rischi per la salute connessi al 5G dell’8 agosto 2019.
[47] V. pag. 26 ss. Camera dei Deputati – Documento approvato dalla ix commissione permanente sulle nuove tecnologie nelle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione verso il 5G e alla gestione dei big data.
[48] Cfr. pag. pag. 69 Rapporto 19/11 dell’ISS.
[49] Si noti che ai sensi dell’art. 57, par. 1. della Direttiva UE 2018/1972, è fatto obbligo per gli Stati membri di non subordinare l’installazione dei punti di accesso senza fili di portata limitata (che soddisfano le caratteristiche di cui al paragrafo 2) a permessi urbanistici individuali o ad altri permessi individuali preventivi (ad eccezione dei casi in cui l’installazione avvenga in edifici o siti di valore architettonico, storico o ambientale protetti a norma del diritto nazionale o se necessario per ragioni di pubblica sicurezza). Il successivo par. 4 dell’art. sopra citato stabilisce inoltre che “Gli Stati membri, applicando se del caso le procedure adottate in conformità della direttiva 2014/61/UE, provvedono affinché gli operatori abbiano il diritto di accedere a qualsiasi infrastruttura fisica controllata da autorità pubbliche nazionali, regionali o locali che sia tecnicamente idonea a ospitare punti di accesso senza fili di portata limitata o che sia necessaria per connettere tali punti di accesso a una dorsale di rete, compresi gli arredi stradali quali ad esempio pali della luce, segnali stradali, semafori, cartelloni pubblicitari, fermate degli autobus e dei tram e stazioni della metropolitana. Le autorità pubbliche soddisfano tutte le ragionevoli richieste di accesso secondo modalità e condizioni eque, ragionevoli, trasparenti e non discriminatorie, che sono rese pubbliche presso un punto informativo unico”.
Cfr. il Regolamento attuativo della Commissione europea “on specifying the characteristics of small-area wireless access points pursuant to Article 57 paragraph 2 of Directive (EU) 2018/1972 of the European Parliament and the Council of 11 December 2018 establishing the European Electronic Communications Code” del 30 giugno 2020.
[50] Cfr. Direttiva 2014/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di apparecchiature radio e che abroga la Direttiva 1999/5/CE.
[51] V. Commissione Europea, Action Plan per il 5G (Comunicazione n. 2016/588).
[52] Con la delibera 231/18/CONS l’Autorità ha stabilito le procedure per l’assegnazione e le regole per l’utilizzo in Italia delle frequenze disponibili nelle bande 694-790 MHz, 3600-3800 MHz e 26.5-27.5 GHz per sistemi terrestri di comunicazioni elettroniche al fine di favorire la transizione verso la tecnologia 5G, secondo quanto previsto dalla L. n. 205/17, art. 1, commi 1026 e seguenti.
[53] Cfr. altresì: AGCM – AS1683 – Criticità in merito allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione fissa e mobile a banda ultralarga del 07 luglio 2020; AGCM – AS1551 Ostacoli nell’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e broadband wireless access e allo sviluppo delle reti di telecomunicazione in tecnologie 5G del 21 dicembre 2018.
[54] Cfr. ex plurimis T.A.R. Marche, n.1021/14 e T.A.R. Piemonte,  n. 1700/2015.
[55] Cfr. Considerando 176: “Dato l’elevato livello dell’innovazione tecnologica e la presenza di mercati estremamente dinamici nel settore delle comunicazioni elettroniche, occorre adattare rapidamente la normativa in modo coordinato e armonizzato a livello dell’Unione, in quanto l’esperienza ha mostrato che le divergenze tra le autorità nazionali di regolamentazione nell’attuazione del quadro normativo possono creare ostacoli al mercato interno”.
[56] Cfr. Considerando 190: “Nei mercati in cui si prevede in prospettiva un numero crescente di reti di accesso, è più probabile che gli utenti finali traggano vantaggio da interventi di miglioramento della qualità della rete, in virtù della concorrenza basata sulle infrastrutture, rispetto ai mercati che continuano ad avere una sola rete. È probabile che l’adeguatezza della concorrenza su altri parametri, quali il prezzo e la scelta, dipenda dalla situazione concorrenziale a livello nazionale e locale. Nel valutare l’adeguatezza della concorrenza su tali parametri e la necessità di interventi normativi, le autorità nazionali di regolamentazione dovrebbero anche prendere in considerazione se l’accesso all’ingrosso è a disposizione di ogni impresa interessata a condizioni commerciali ragionevoli che consentano risultati concorrenziali per gli utenti finali sul mercato al dettaglio. In mercati caratterizzati da una concorrenza basata sulle infrastrutture effettiva e sostenibile dovrebbe essere sufficiente applicare le norme generali di concorrenza”.
[57] Cfr. Considerando 139: “Poiché i punti di accesso senza fili a bassa potenza di portata limitata, quali femtocelle, picocelle, metrocelle o microcelle, possono essere molto piccoli e utilizzano apparecchiature non intrusive simili ai router RLAN per uso domestico, che non necessitano di autorizzazioni al di là di quanto è necessario per l’uso dello spettro radio, e considerando l’impatto positivo di tali punti di accesso sull’uso dello spettro radio e sullo sviluppo delle comunicazioni senza fili, è opportuno limitare al massimo eventuali restrizioni della loro diffusione. Ne consegue che, al fine di agevolare l’installazione di punti di accesso senza fili di portata limitata, e fatti salvi eventuali requisiti applicabili connessi alla gestione dello spettro, gli Stati membri non dovrebbero sottoporre ad alcun permesso individuale l’installazione di tali dispositivi in edifici che non siano ufficialmente protetti in quanto parte di un ambiente designato o per il loro specifico valore architettonico o storico, tranne che per motivi di pubblica sicurezza. A tal fine è opportuno che le loro caratteristiche — quali dimensioni massime, peso e caratteristiche di emissione — siano specificate a livello dell’Unione in modo proporzionato ai fini dell’installazione a livello locale e per assicurare un elevato livello di tutela della salute pubblica, come stabilito dalla raccomandazione 1999/519/CE. Al funzionamento dei punti di accesso senza fili di portata limitata dovrebbe applicarsi l’articolo 7 della direttiva 2014/ 53/UE. Ciò non pregiudica i diritti di proprietà privata sanciti nel diritto dell’Unione o nazionale. La procedura per esaminare le domande di autorizzazione dovrebbe essere razionalizzata e non pregiudicare eventuali accordi commerciali, ed eventuali oneri amministrativi connessi dovrebbero limitarsi ai costi amministrativi relativi al trattamento della domanda. Il processo di valutazione di una richiesta di autorizzazione dovrebbe essere il più breve possibile e durare, in via di principio, al massimo quattro mesi”.
[58] Il successivo par. 4 dell’art. sopra citato stabilisce inoltre che “Gli Stati membri, applicando se del caso le procedure adottate in conformità della direttiva 2014/61/UE, provvedono affinché gli operatori abbiano il diritto di accedere a qualsiasi infrastruttura fisica controllata da autorità pubbliche nazionali, regionali o locali che sia tecnicamente idonea a ospitare punti di accesso senza fili di portata limitata o che sia necessaria per connettere tali punti di accesso a una dorsale di rete, compresi gli arredi stradali quali ad esempio pali della luce, segnali stradali, semafori, cartelloni pubblicitari, fermate degli autobus e dei tram e stazioni della metropolitana. Le autorità pubbliche soddisfano tutte le ragionevoli richieste di accesso secondo modalità e condizioni eque, ragionevoli, trasparenti e non discriminatorie, che sono rese pubbliche presso un punto informativo unico”.
[59] Infatti, come esplicitato nel Considerando 32, ai nostri giorni “i confini nazionali rivestono un ruolo sempre più marginale per l’uso ottimale dello spettro radio. L’inutile frammentazione delle politiche nazionali comporta costi più elevati e una perdita di opportunità commerciali per gli utilizzatori dello spettro e rallenta l’innovazione a discapito del corretto funzionamento del mercato interno e danneggiare i consumatori e l’economia nel suo complesso”.
[60] Cfr. art. 46 §1:
Co. 3. Nel valutare se rilasciare autorizzazioni generali o concedere diritti d’uso individuali per lo spettro radio armonizzato, in considerazione delle misure tecniche di attuazione adottate in conformità dell’articolo 4 della decisione n. 676/2002/CE, gli Stati membri si adoperano per ridurre al minimo i problemi causati dalle interferenze dannose, anche nei casi di uso condiviso dello spettro radio sulla base di una combinazione di autorizzazione generale e diritti d’uso individuali.
Co. 4. Se del caso, gli Stati membri valutano la possibilità di autorizzare l’uso dello spettro radio sulla base di una combinazione di autorizzazione generale e diritti d’uso individuali, tenendo conto dei probabili effetti sulla concorrenza, sull’innovazione e sull’accesso al mercato di diverse combinazioni di autorizzazioni generali e diritti d’uso individuali e dei trasferimenti graduali da una categoria all’altra.
Co. 5. Gli Stati membri si adoperano per minimizzare le restrizioni all’uso dello spettro radio tenendo in debita considerazione le soluzioni tecnologiche di gestione delle interferenze dannose allo scopo di imporre il regime di autorizzazione meno oneroso possibile”.
[61] Art. 55 §1.: “Fatto salvo l’articolo 53, quando determina che un diritto d’uso dello spettro radio non può essere soggetto ad autorizzazione generale e quando valuta se limitare il numero dei diritti d’uso da concedere per lo spettro radio, uno Stato membro, tra l’altro: a) motiva chiaramente le ragioni alla base della limitazione dei diritti d’uso, in particolare ponderando adeguatamente l’esigenza di massimizzare i benefici per gli utenti e di favorire lo sviluppo della concorrenza e, se del caso, riesamina la limitazione periodicamente o a ragionevole richiesta delle imprese interessate; b) concede a tutte le parti interessate, compresi gli utenti e i consumatori, l’opportunità di esprimere le loro posizioni sulle eventuali limitazioni, mediante una consultazione pubblica conformemente all’articolo 23”.
[62] Art. 55 §2, co. 1.: “Quando determina che il numero di diritti d’uso deve essere limitato, lo Stato membro stabilisce e motiva chiaramente gli obiettivi perseguiti mediante una procedura di selezione competitiva o comparativa ai sensi del presente articolo e, ove possibile, li quantifica, ponderando adeguatamente la necessità di raggiungere obiettivi nazionali e del mercato interno. Gli obiettivi che lo Stato membro può fissare in previsione di definire la procedura di selezione specifica, oltre a promuovere la concorrenza, si limitano a uno o più dei seguenti: a) promuovere la copertura; b) assicurare la necessaria qualità del servizio; c) promuovere l’uso efficiente dello spettro radio, anche tenendo conto delle condizioni associate ai diritti d’uso e del livello dei contributi; d) promuovere l’innovazione e lo sviluppo dell’attività delle imprese.
L’autorità nazionale di regolamentazione o altra autorità competente definisce e motiva chiaramente la scelta della procedura di selezione, compresa l’eventuale fase preliminare di accesso alla procedura stessa. L’autorità indica inoltre chiaramente i risultati della relativa valutazione della situazione concorrenziale, tecnica ed economica del mercato e motiva l’eventuale uso e scelta delle misure a norma dell’articolo 35.”
[63] Art. 35 §1.: “Quando intende intraprendere una procedura di selezione conformemente all’articolo 55, paragrafo 2, in relazione allo spettro radio armonizzato per cui sono state definite condizioni armonizzate mediante misure tecniche di attuazione adottate in conformità della decisione n. 676/2002/CE al fine di consentirne l’uso per le reti e i servizi a banda larga senza fili, l’autorità nazionale di regolamentazione o altra autorità competente informa, conformemente all’articolo 23, il gruppo «Politica dello spettro radio» dei progetti di misura che rientrano nell’ambito della procedura di selezione competitiva o comparativa ai sensi dell’articolo 55, paragrafo 2, e indica se e quando richiedere a tale gruppo di convocare un forum di valutazione tra pari”.
[64] Cfr. altresì art. 48 § 4 e  art. 55 §6, il quale ultimo recita: “Qualora sia necessario limitare l’assegnazione di diritti d’uso dello spettro radio, gli Stati membri effettuano il rilascio di tali diritti in base a criteri di selezione e a una procedura di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati. Tali criteri di selezione ponderano adeguatamente il conseguimento degli obiettivi e delle prescrizioni di cui agli articoli 3, 4, 28 e 45”.
[65]Il §1 art. 53 stabilisce in particolare che “gli Stati membri cooperano al fine di coordinare l’uso dello spettro radio armonizzato per le reti e i servizi di comunicazione elettronica nell’Unione tenendo debito conto delle diverse situazioni del mercato a livello nazionale. Ciò può comportare l’individuazione di una o, se del caso, più date comuni entro le quali autorizzare l’uso di uno specifico spettro radio armonizzato”.
 Sull’argomento v. anche i paragrafi successivi: “ §2.Ove siano state stabilite condizioni armonizzate mediante misure tecniche di attuazione adottate in conformità della decisione n. 676/2002/CE al fine di consentire l’uso dello spettro radio per le reti e i servizi a banda larga senza fili, gli Stati membri consentono l’uso di tale spettro radio il prima possibile, al più tardi 30 mesi dopo l’adozione di tale misura, o appena possibile dopo la revoca dell’eventuale decisione di consentire l’uso alternativo in via eccezionale a norma dell’articolo 45, paragrafo 3, della presente direttiva. Ciò non pregiudica la decisione (UE) 2017/899 e il diritto di iniziativa della Commissione di proporre atti legislativi. 3.Uno Stato membro può ritardare la scadenza di cui al paragrafo 2 del presente articolo per una banda specifica nelle seguenti circostanze: a) nella misura in cui ciò sia giustificato da una restrizione all’uso di detta banda sulla base dell’obiettivo di interesse generale di cui all’articolo 45, paragrafo5, lettera a) oppure d); b) in caso di questioni irrisolte di coordinamento transfrontaliero che comportino interferenze dannose con paesi terzi, a condizione che lo Stato membro colpito abbia richiesto, se del caso, l’assistenza dell’Unione a norma dell’articolo 28, paragrafo 5; c) tutela della sicurezza nazionale e della difesa; oppure d) forza maggiore. Lo Stato membro interessato riesamina tale ritardo almeno ogni due anni. 4.Uno Stato membro può ritardare la scadenza di cui al paragrafo 2 per una banda specifica nella misura in cui ciò sia necessario e fino a un massimo di 30 mesi in caso di: a) questioni irrisolte di coordinamento transfrontaliero che comportino interferenze dannose tra gli Stati membri, a condizione che lo Stato membro colpito adotti tempestivamente tutte le misure necessarie a norma dell’articolo 28, paragrafi 3 e 4; b) la necessità e la complessità di assicurare la migrazione tecnica degli utenti esistenti di tale banda”.
[66] Art. 54 §1:  “Entro il 31 dicembre 2020, per i sistemi terrestri in grado di fornire servizi a banda larga senza fili, gli Stati membri adottano, se necessario al fine di agevolare il dispiegamento del 5G, le opportune misure per: a) riorganizzare e consentire l’uso di blocchi sufficientemente ampi della banda 3,4-3,8 GHz; b) consentire l’uso di almeno 1 GHz della banda 24,25-27,5 GHz, a condizione che vi sia chiara indicazione della domanda di mercato e dell’assenza di ostacoli significativi alla migrazione di utenti esistenti o della liberazione della banda. 2. Gli Stati membri possono, tuttavia, prorogare il termine stabilito al paragrafo 1 del presente articolo, ove giustificato, conformemente all’articolo 45, paragrafo 3, o all’articolo 53, paragrafi 2, 3 o 4. 3.Le misure adottate ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo sono conformi alle condizioni armonizzate stabilite da misure tecniche di attuazione adottate in conformità dell’articolo 4 della decisione n. 676/2002/CE.”.
[67] “§2, Co. 4. Al più tardi due anni prima della scadenza della durata iniziale di un diritto d’uso individuale, l’autorità competente effettua una valutazione oggettiva e prospettica dei criteri generali stabiliti per la proroga della durata di detto diritto d’uso alla luce dell’articolo 45, paragrafo 2, lettera c) [prevedibilità e coerenza misura, al fine di promuovere investimenti a lungo termine]. A condizione di non aver avviato un’azione di esecuzione per inadempimento delle condizioni associate ai diritti d’uso a norma dell’articolo 30, l’autorità competente concede la proroga della durata del diritto d’uso, a meno che concluda che tale proroga non sarebbe conforme ai criteri generali stabiliti al presente paragrafo, terzo comma, lettere a) o b). 2 Co. 5. Sulla base di tale valutazione, l’autorità competente notifica al titolare del diritto la possibilità di concedere la proroga della durata del diritto d’uso. 2 Co. 6. Nel caso in cui tale proroga non sia concessa, l’autorità competente applica l’articolo 48 [procedure aperte] per la concessione di diritti d’uso per quella specifica banda di spettro radio. 2 Co. 7. Tutte le misure di cui al presente paragrafo devono essere proporzionate, non discriminatorie, trasparenti e motivate. 2 Co. 8. In deroga all’articolo 23, le parti interessate hanno l’opportunità di commentare in merito a qualsiasi progetto di misura ai sensi del presente paragrafo, terzo e quarto comma, per un periodo di almeno tre mesi. 2 Co. 9. Il presente paragrafo non pregiudica l’applicazione degli articoli 19 e 30 [che disciplinano, rispettivamente, limitazione/revoca diritti e osservanza condizioni diritti] . 2 Co. 10. Nello stabilire i contributi per i diritti d’uso, gli Stati membri tengono conto del meccanismo previsto al presente paragrafo. 4 . Gli Stati membri possono adeguare la durata dei diritti d’uso stabiliti al presente articolo al fine di garantire la simultaneità della scadenza della durata dei diritti in una o più bande”.
[68] Art. 49 §3: “Ove debitamente giustificato, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 2 del presente articolo nei seguenti casi: a) in zone geografiche limitate in cui l’accesso alle reti ad alta velocità sia gravemente carente o assente e ciò sia necessario per garantire il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 45, paragrafo 2; b) per specifici progetti a breve termine; c) per uso sperimentale; d) per usi dello spettro radio che possano coesistere, in conformità dell’articolo 45, paragrafi 4 e 5, con servizi a banda larga senza fili; o e) per un uso alternativo dello spettro radio in conformità dell’articolo 45, paragrafo 3”.
[69] Art. 19: “§1.Fatto salvo l’articolo 30, paragrafi 5 e 6, gli Stati membri non limitano, né revocano i diritti di installare strutture o i diritti d’uso dello spettro radio o delle risorse di numerazione prima della scadenza del periodo per il quale sono stati concessi, salvo in casi motivati a norma del paragrafo 2 del presente articolo e, ove applicabile, in conformità dell’allegato I e delle pertinenti disposizioni nazionali relative alla compensazione per la revoca dei diritti. 2.In linea con la necessità di garantire un uso effettivo ed efficiente dello spettro radio o l’attuazione delle misure tecniche di attuazione adottate a norma dell’articolo 4 della decisione n. 676/2002/CE, gli Stati membri possono consentire la limitazione o la revoca dei diritti d’uso dello spettro radio, compresi i diritti di cui all’articolo 49 della presente direttiva, sulla base di procedure previamente disposte e chiaramente definite, nel rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione. In tali casi, i titolari dei diritti, ove appropriato e in conformità del diritto dell’Unione e delle pertinenti disposizioni nazionali, possono ricevere un’adeguata compensazione.[…] 4.L’intenzione di limitare o revocare i diritti a norma dell’autorizzazione generale o i diritti d’uso individuali dello spettro radio o delle risorse di numerazione senza il consenso del titolare dei diritti è soggetta a consultazione delle parti interessate in conformità dell’articolo 23”.
[70] Art. 51, §1: “Gli Stati membri provvedono affinché le imprese possano trasferire o affittare ad altre imprese i diritti d’uso individuali dello spettro radio.
Gli Stati membri possono stabilire che il presente paragrafo non si applichi qualora il diritto d’uso individuale dell’impresa per lo spettro radio sia stato inizialmente concesso a titolo gratuito o assegnato per la diffusione radiotelevisiva”.
[71] Cfr. Art. 51, §3: “Gli Stati membri autorizzano il trasferimento o l’affitto dei diritti d’uso dello spettro radio se sono mantenute le condizioni originarie associate a detti diritti. […] gli Stati membri: a) sottopongono i trasferimenti e gli affitti alla procedura meno onerosa possibile; b) non rifiutano l’affitto di diritti d’uso dello spettro radio quando il locatore si impegna a rimanere responsabile per il rispetto delle condizioni originarie associate ai diritti d’uso; c) non rifiutano il trasferimento di diritti d’uso dello spettro radio, salvo se vi è il rischio evidente che il nuovo titolare non sia in grado di soddisfare le condizioni originarie associate ai diritti d’uso”.

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Marco Fazzari

Abilitato all'esercizio della professione forense, con varie esperienze in ambito del diritto amministrativo, civile e penale. Passione per il diritto europeo ed internazionale. L'attuale attività lavorativa è incentrata sul diritto antitrust.

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