Le Sezioni Unite, di recente: il dolo specifico del furto può essere qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore

Le Sezioni Unite, di recente: il dolo specifico del furto può essere qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore

La  sentenza del 12 ottobre 2023, n. 41570, partendo dall’analisi del delitto di cui all’art. 624-bis c.p., ha perimetrato la nozione di profitto nel furto: il fine di profitto che integra il dolo specifico va inteso come qualunque vantaggio, anche di natura non patrimoniale, perseguito dall’autore, correlato all’uso e alla conservazione della res sottratta.

 

Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda – 3. Filoni interpretativi sulla nozione di profitto nel furto – 4. Argomentazioni delle Sezioni Unite – 5. Conclusioni e principio di diritto

 

1. Premessa

Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa (furto in abitazione) o strappandola di mano o di dosso alla persona (furto con strappo) è punito con le pene previste dall’art. 624-bis c.p.

La ratio juris della norma è rinvenibile nella necessità di prevedere autonome figure di reato per quelle condotte di furto considerate maggiormente rischiose per l’incolumità, in senso lato, dell’offeso, condotte che, fino all’entrata in vigore della norma (2001), erano considerate solo come mere circostanze aggravanti.

Soprattutto la seconda figura criminosa (con strappo) pare posta maggiormente a tutela del patrimonio, in tal senso l’uso della la violenza (cum vi) afferisce unicamente alle cose oggetto di sottrazione (contra rem) ed è precipuamente indirizzata a vincere l’eventuale resistenza della persona offesa. Tale criterio di prevalenza, anche se nei casi concreti presenta delle criticità ai fini di un’effettiva diagnosi differenziale, consente, almeno formalmente, di distinguervi la fattispecie della rapina di cui all’art. 628 c.p., ove la violenza fisica (cum vi) si configura come destinata direttamente alla persona (contra personam).

2. La vicenda

Un uomo viene condannato alla pena di mesi otto di reclusione e di 300 di multa, perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art 624-bis c.p., per avere strappato di mano il telefono cellulare alla persona offesa, allontanandosi col dispositivo mobile.

Sia in primo grado che in appello, il gesto dell’imputato viene considerato come atto di ritorsione e di dispetto nei confronti della persona offesa, dopo che costei aveva chiamato le forze dell’ordine, richiedendone l’intervento a seguito di un litigio con l’imputato. In tale prospettiva, è stata esclusa la configurazione del reato di violenza privata perché la condotta dell’imputato non sarebbe stata finalizzata a impedire alla donna di chiamare i carabinieri (già chiamati), ma piuttosto avrebbe costituito una reazione all’iniziativa della stessa.

Uno dei motivi del ricorso dinanzi alla Suprema Corte si sostanzia nell’erronea applicazione del richiamato art. 624-bis c.p., sul rilievo che la Corte d’appello, aderendo ad un orientamento non pacifico, avesse ritenuto sussistente il dolo specifico di profitto richiesto dalla norma, nonostante l’agente avesse agito non con lo scopo di conseguire un’utilità di natura economico-patrimoniale, ma unicamente come reazione all’iniziativa della parte offesa di telefonare ai carabinieri.

3. Filoni interpretativi sulla nozione di profitto nel furto

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini è “se il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, sia circoscritto alla volontà di trarre dalla sottrazione del bene una utilità di natura esclusivamente patrimoniale, ovvero possa consistere anche in un fine di natura non patrimoniale”. Invero, sussistono due diversi orientamenti in ordine alla nozione di profitto.

L’analisi della Suprema Corte parte da un primo maggioritario orientamento, delineatosi in epoca e più risalente (CASS. II Sez. Pen. 26.04.1983, 9983; 12.02.1985, n. 4471; poi ribadito di recente in CASS. IV Sez. Pen., 06.10.2021, n. 4144; CASS. V Sez. Pen. 16.11.2019, n. 11225; CASS. IV Sez. Pen.,18.09.2012, n. 30), secondo il quale, nel reato di furto, il concetto di profitto va inteso in senso lato, sino a ricomprendere qualsivoglia tipologia di utilità, anche non patrimoniale, prefissa dall’autore.

L’orientamento minoritario, più recente, inquadra in senso restrittivo la prefata nozione di profitto, attribuendovi unicamente la finalità del perseguimento di un’utilità di tipo patrimoniale (CASS. V Sez. Pen., 05.04.2019, n. 25821), assumendo come fondamentale, ai fini dell’accertamento del vantaggio perseguito dall’autore, un quid di arricchimento patrimoniale o di spostamento patrimoniale, oggetto della volontà dell’autore. “Allo scopo di preservare la funzione delimitatrice della tipicità, assegnata al dolo specifico, quale requisito di fattispecie, dalla teoria generale del reato, occorre che nel delitto di furto esso s’identifichi nella finalità del soggetto agente di conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale eventualmente anche per la capacità strumentale del bene di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale, che si profila come fine ulteriore dell’azione” (CASS. V Sez. Pen., 01.07.2019, n. 40438; CASS. V Sez. Pen., 17.05.2022, n. 26421).

4. Le argomentazioni delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite ritengono di aderire al primo degli orientamenti citati. Invocando il profilo semantico della parola “profitto”, osservano che la scelta di limitare la nozione di profitto alla sfera patrimoniale stricto sensu non può basarsi su un’accezione univoca della prefata parola nell’uso corrente: difatti la stessa viene utilizzata, concretamente, anche in espressioni non necessariamente correlate all’ambito del lucro economico, “finendo per identificarsi, come attestato nei dizionari di lingua italiana, in un giovamento o vantaggio, sia fisico che intellettuale o morale o pratico (si pensi al trar profitto da una lezione o da una cura)”.

Breviter, una diversa interpretazione condurrebbe a limitare le ipotesi di punibilità delle condotte di volontaria sottrazione di beni altrui solo a quelle dettate da finalità economica, privando di tutela penale tutta la casistica di furti di oggetto indotti da motivazioni non economiche (es. sottrarre beni non commerciabili o per privare di un bene la vittima nel suo stesso interesse, o rubare solo per distruggere il bene, o solamente a scopo emulativo o per dispetto o ritorsione, etc.). Non a caso, tra l’altro, il legislatore – e con esso l’interprete – tende a distinguere, nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, la nozione di profitto da quella di lucro, eminentemente di natura economico-patrimoniale.

In tale direzione, argomenta la Suprema Corte, il profitto “non si identifica necessariamente con un’utilità patrimoniale alla quale tenda l’agente: in altri termini, in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non richiede la volontà di trarre un’utilità patrimoniale del bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta“.

Tuttavia, l’interrogativo di fondo che si ravvisa nella valutazione della questione è il seguente: una siffatta nozione lata di profitto potrebbe forse intaccare il principio di determinatezza e tipicità penale? Potrebbe, in pratica, condurre a dilatare pericolosamente l’area di punibilità per furto delle condotte esaminate di volta in volta?

Le sentenze aderenti all’orientamento restrittivo argomentano “occorre confrontarsi con il rilievo secondo il quale una onnicomprensiva nozione di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto, che vada ad abbracciare indistintamente sia il vantaggio economico, sia l’utilità, materiale o spirituale, sia il piacere o soddisfazione che l’agente si procuri, direttamente o indirettamente, attraverso l’azione criminosa, tradirebbe la funzione selettiva e garantistica della tipicità penale, ampliando a dismisura la sfera del furto a discapito di quella del danneggiamento o estendendola a fatti non meritevoli di sanzione penale, pervenendo, in definitiva ad un’interpretatio abrogans del detto elemento essenziale, degradato ad un profitto in re ipsa, coincidente con il movente dell’azione: movente che sempre esiste, non potendo concepirsi che un uomo agisca se non sospinto da un motivo“ (CASS. V Sez. Pen., 01.07.2019, n. 40438; CASS. V Sez. Pen., 17.05.2022, n. 26421).

Tuttavia, le Sezioni Unite dipanano il dubbio, affermando che, nel caso de quo, non sembrano rinvenirsi lesioni al principio di stretta legalità del diritto penale ed alla finalità garantistica assicurata dal monopolio legislativo nella perimetrazione dell’area di operatività del penalmente rilevante (art. 25, comma 2, Cost.; art. 49 Carta di Nizza; art. 7 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – C.E.D.U.).

In definitiva, viene specificato che la valutazione del profitto va parametrata sul vantaggio che l’autore intende trarre dall’impossessamento della cosa, senza essere estesa indiscriminatamente ad un tutto vago e indeterminato. Pertanto “il profitto rilevante, quale connotato della specifica direzione della volontà che va a svolgere un’ulteriore funzione delimitatrice rispetto al mero profilo oggetto della condotta di sottrazione e di impossessamento, è quello che, indipendentemente dalla sua idoneità ad essere apprezzato in termini monetari, viene tratto immediatamente dalla costituzione dell’autonoma signoria sulla res e non quello che può derivare attraverso ulteriori passaggi dall’illecito“.

Per meglio connotare la figura criminosa in parola, viene quindi specificato che il profilo rilevante è quello che discende dall’impossessamento quando si correli all’uso ed alla conservazione della res: in tal senso appare significativo che il legislatore abbia configurato una species di furto – quello di cui all’art. 624-bis c.p. – correlato al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa. Per converso, per chi sottrae al fine di distruggere, disperdere, deteriorare, rendere in tutto o in parte inservibile il bene, l’utilità che ne deriva risulta già tipizzata, dal legislatore, in rapporto ad altre fattispecie incriminatrici.

5. Conclusioni e principio di diritto

Le Sezioni Unite addivengono, pertanto, alla conclusione che “il profitto rilevante è quello che deriva dal possesso penalisticamente inteso, ossia dalla conservazione e dal godimento del bene”. Chi esercita atti di dominio che vanno oltre, ossia che approdino ove il bene diviene inservibile all’uso o, peggio, in parte o in tutto, distrutto, si appalesa evidente che il profitto perseguito non è più quello di cui al furto, ma di altre figure delittuose.

Sulla scorta delle argomentazioni logico-giuridiche sopra enucleate, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore” che, in ogni caso, sia correlato all’uso e alla conservazione della res sottratta.


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