Le Sezioni Unite estendono la disciplina antiusura agli interessi moratori

Le Sezioni Unite estendono la disciplina antiusura agli interessi moratori

Nel nostro ordinamento l’autonomia contrattuale è soggetta ad alcuni limiti derivanti dal rispetto di norme imperative e clausole generali quali, ad esempio, l’ordine pubblico, il buon costume o la clausola di buona fede.

Tra i predetti limiti rientra anche la disciplina dell’usura, dettata dalla L. n. 108/1996, la quale vincola l’autonomia delle parti obbligandole a pattuire gli interessi al di sotto di una determinata soglia prevista per legge e statuendo che in caso contrario la clausola sarà nulla.

In particolare, la disciplina dell’istituto giuridico dell’usura risulta essere piuttosto complessa in ragione della commistione tra disposizioni di diritto civile, volte ad individuare le conseguenze sanzionatorie o rimediali derivanti dall’usurarietà del contratto, e disposizioni di diritto penale.

Dal punto di vista penale il riferimento va all’art. 644 c.p. così come modificato dalla L. n.108/1996: mentre in origine la norma richiedeva la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno, era cioè necessario che chi conveniva o prometteva interessi usurari fosse a ciò costretto da necessità economiche e finanziarie, a seguito della modifica non è più necessario l’elemento soggettivo anzidetto, di talché al fine della configurazione del reato di usura risulta oggi sufficiente che si realizzi la dazione o la semplice promessa di interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità.

Per quanto concerne, invece, l’aspetto civilistico, determinante è l’art. 1815, comma 2, c.c., anch’esso modificato dalla L. n.108/1996, che nella sua nuova formulazione sancisce la nullità della clausola sugli interessi usurari ed esclude totalmente la corresponsione degli interessi, diversamente dal passato in cui la norma prevedeva, a seguito della nullità, la debenza degli interessi nella sola misura legale.

Ciò premesso, è necessario porre l’accento su una recentissima pronuncia, la n. 19597 del 18 settembre 2020, con cui la Suprema Corte a Sezioni Unite ha sancito l’applicazione della disciplina antiusura anche agli interessi moratori oltre che a quelli compensativi.

E’ certamente nota la differenza tra interessi compensativi e moratori: quantomeno nella visione tradizionale, difatti, i primi hanno funzione remunerativa e rappresentano un compenso percentuale periodico dovuto in cambio del vantaggio della disponibilità di una somma di denaro spettante al creditore, mentre i secondi hanno una funzione essenzialmente di risarcimento e costituiscono una liquidazione forfettaria minima del danno derivante dal ritardo nel pagamento dei debiti di denaro.

Tale distinzione funzionale non sempre è stata accolta dalla giurisprudenza, determinando, così, una diversità di opinioni anche sul tema dell’applicazione della disciplina antiusura agli interessi moratori.

L’ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale sull’argomento ha indotto le S.U. nella pronuncia in esame a operare in primis un riepilogo delle due diverse tesi, quella restrittiva e quella estensiva, e degli argomenti miranti a ricondurre o meno gli interessi di mora alla diretta applicazione della disciplina antiusura.

La tesi restrittiva, che ritiene soggetti alla disciplina antiusura i soli interessi compensativi, si basa anzitutto sulla lettera della legge, sulla lettera delle diverse norme che si occupano di interessi: l’art. 1815 comma 2 cc, che si riferisce ai soli interessi corrispettivi contemplati al comma 1, l’art. 644 cp che punisce chi si fa dare o promettere interessi usurari “…in corrispettivo di una prestazione di denaro”,  il D.L. n.394/2000, che con riguardo agli interessi da considerare come usurari colloca l’inciso “a qualunque titolo” dopo le parole “promessi o convenuti” e non dopo il termine “interessi”, ed infine il D.L. n.185/2008, che nel dettare disposizioni sulla c.m.s., all’art. 2-bis, comma 2, ha affermato che, ai fini delle norme civili e penali sull’usura, rilevano solo “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca…”.

Tuttavia, l’argomento letterale non è l’unico a sostegno della tesi de quo: corroborano tale orientamento altresì la funzione dei due tipi di interessi, che abbiamo visto essere totalmente diversa; la ratio della disciplina antiusura, la quale consiste non tanto nel predisporre uno strumento per calmierare il mercato del credito quanto piuttosto nel fatto di mirare al corretto funzionamento del mercato attraverso la repressione di condotte devianti; ancora, la previsione dell’art. 1284, comma 4, c.c., secondo cui se “le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, ed essendo, invero, frequente che il tasso della disciplina speciale sia superiore al tasso-soglia usurario, allora, ai fini dell’usura, non possono rilevare gli interessi moratori convenzionali, poiché, altrimenti, la norma ammetterebbe una “usura legale”.

Nonostante venga negata l’applicazione della disciplina antiusura agli interessi moratori, questa tesi giunge, comunque, a rinvenire nel sistema civilistico una diversa forma di tutela nei confronti del debitore: l’interesse di mora sarebbe, difatti, inquadrabile nell’istituto della clausola penale ex art. 1382 c.c. e, di conseguenza, potrebbe essere ridotto d’ufficio dal giudice, ai sensi dell’art. 1384 c.c.

Al contrario, i fautori della tesi estensiva utilizzano gli stessi argomenti, interpretati in una diversa maniera, per affermare invece l’applicazione dell’art. 1815, comma 2 c.c. anche agli interessi di mora.

Da un lato, difatti, in merito all’argomento letterale, si oppone che nessuna norma citata in precedenza nega l’applicazione anche agli interessi moratori, dall’altro si afferma sia che la funzione dei due tipi di interessi è la medesima, cioè entrambi costituiscono la remunerazione di un capitale di cui il creditore, volontariamente o involontariamente,  non ha goduto, sia che sostenere la precedente tesi significherebbe vanificare la ratio della tutela, ratio da rinvenire nella tutela delle vittime dell’usura e del superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche.

Orbene, le Sezioni Unite prendono una strada differente ritenendo tutti questi argomenti inidonei a dare una lettura corretta alla fattispecie e soffermandosi invece sulle diverse rationes della normativa antiusura, prima fra tutte la tutela del debitore.

Secondo la Suprema Corte “…il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possano dirsi estranei all’interesse moratorio, affinché il debitore abbia più compiuta tutela. Questa, invero, non sarebbe equivalente ove operata ex art. 1384 c.c.: il quale potrebbe sempre consentire una riduzione casistica e difforme sul piano nazionale, oltre che, verosimilmente, condurre al mero abbattimento dell’interesse pattuito al tasso soglia, pur integrato con quello rilevato quanto agli interessi moratori, e non al minor tasso degli interessi corrispettivi…”

Analizziamo l’iter logico seguito dalle Sezioni Unite.

La Corte tiene a sottolineare prima di tutto la diversità intercorrente tra gli interessi corrispettivi e quelli moratori poiché, come anticipato, mentre i primi misurano il costo del denaro, i secondi rappresentano il danno che nelle obbligazioni pecuniarie il creditore subisce a causa dell’inadempimento del debitore; l’interesse corrispettivo presuppone la puntualità nei pagamenti, l’interesse moratorio l’inadempimento.

E’ evidente, dunque, che il costo del denaro in una fase in cui il rapporto è “in bonis” dev’essere necessariamente minore rispetto a quello in cui il rapporto è ormai entrato in sofferenza.

Nonostante i due interessi siano rappresentativi di situazioni diverse, secondo la Suprema Corte, anche il costo del rapporto in sofferenza deve però soggiacere alla disciplina antiusura: questo è il punto centrale della sentenza.

Ciò che assume maggiore rilevanza è, difatti, la tutela del debitore, tutela che non verrebbe sufficientemente garantita dal solo potere riduttivo ex art. 1384 c.c. del giudice e che necessita, per essere effettiva, dell’applicazione dell’art. 1815, comma 2.

Dopo aver affermato tale principio, la Cassazione si dirige verso due ulteriori e conseguenti problematiche: l’individuazione del tasso soglia e la disciplina da applicare nel caso in cui l’interesse moratorio superi il tasso soglia.

Per quanto concerne la prima questione, si riporta l’esaustivo principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite: “La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perchè “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”.

Infine, per ciò che riguarda la seconda questione la Suprema Corte è giunta alla conclusione che anche nel caso in cui a superare il tasso soglia siano gli interessi moratori debba essere applicato l’art. 1815, comma 2, c.c., ma con una precisazione.

In particolare, l’anzidetta norma determina generalmente la gratuità sanzionatoria del contratto laddove stabilisce che a seguito della nullità della clausola sugli interessi usurari non sono dovuti interessi di alcun tipo; tuttavia, qualora il patto sugli interessi moratori risulti inefficace, dice la Corte, sarà necessario applicare l’ordinaria disciplina in tema di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1224 c.c. e, dunque, si riterranno dovuti gli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti.

Questo è in linea con quanto affermato dalla Corte di Giustizia, la quale ha previsto espressamente, con una pronuncia resa nei confronti della spagna nel 2018, che il giudice una volta resi inefficaci gli interessi moratori può senz’altro applicare gli interessi corrispettivi.

In conclusione, con tale pronuncia la Suprema Corte a Sezioni Unite ha ritenuto necessario estendere l’ambito di applicazione della disciplina antiusura anche agli interessi moratori in ragione di una più efficace tutela del debitore e, al contempo, dopo aver individuato la formula matematica di calcolo del tasso soglia, ha altresì statuito che ove gli interessi corrispettivi pattuiti siano leciti  e solo il calcolo degli interessi moratori comporti il superamento della soglia usuraria, solo questi ultimi dovranno essere considerati illeciti e preclusi.


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