Le situazioni di credito: la definizione di rapporto obbligatorio

Le situazioni di credito: la definizione di rapporto obbligatorio

Nell’analisi delle situazioni giuridiche soggettive, la distinzione tra situazioni reali e situazioni di credito si basa sulla presenza di determinate peculiarità ritenute esclusive delle une o delle altre; per esempio, mentre le situazioni reali avrebbero quale caratteristica distintiva l’assolutezza, ossia la possibilità di poterle farle valere nei confronti della generalità dei consociati (opponibilità erga omnes), le situazioni di credito sarebbero caratterizzate dalla relatività, ossia possono essere fatte valere solo nei confronti di un determinato soggetto, definito debitore.

La situazione reale inoltre sarebbe caratterizzata dalla immediatezza, intesa come il potere, del suo titolare, di poter ricavare dalla cosa oggetto di diritto, le utilità desiderate in virtù della relazione diretta ed immediata con la stessa; al contrario la situazione di credito sarebbe caratterizzata dalla mediatezza e cioè, il titolare non potrebbe soddisfare integralmente il suo interesse senza l’intermediazione dell’altrui prestazione.

Altra caratteristica propria delle situazioni reali sarebbe l’inerenza la quale è indice dello stretto legame che intercorre tra la situazione soggettiva e il bene che ne costituisce oggetto. Tale caratteristica si specifica ulteriormente nel diritto di sequela e nell’opponibilità ai terzi della situazione reale.

Questi sono i criteri distintivi che bisogna utilizzare per distinguere se una situazione è reale o è di credito. Però, autorevole dottrina ha affermato che, data l’evoluzione dei traffici giuridici, data la centralità che sta assumendo il mercato mobiliare, dato il crollo di quello immobiliare, non è raro trovare situazione reali che avrebbero le caratteristiche tipiche delle situazioni di credito e viceversa. Per esempio, l’assolutezza, se intesa come il potere del titolare della situazione reale di farla valere erga omnes, essa non è presente quando il titolo di acquisto della proprietà non è stato trascritto o è stato tardivamente trascritto; in tale ipotesi il diritto di proprietà non può essere opposto dal primo acquirente a chi, pur avendo “acquistato” ex post il medesimo bene dallo stesso venditore lo abbia trascritto in data anteriore[1]. Non bisogna scandalizzarsi più di tanto se, invece, si rinvengono delle caratteristiche proprie delle situazioni reali in quelle di credito, per esempio: vi sono alcune situazioni di credito che presenterebbero il carattere dell’assolutezza (diritto di seguito), basti pensare al principio, espresso dal brocardo latino “emptio non tollit locatum” in virtù del quale la vendita del bene locato non estingue il contratto di locazione.

Dunque, per non rimanere intrappolati in un nodo gordiano, data la promiscuità delle caratteristiche delle situazioni in questione, autorevole dottrina suggerisce di raggrupparle sotto un’unica etichetta qualificandole situazioni patrimoniali e analizzarle caso per caso.

Soffermandoci sull’analisi delle situazioni di credito, possiamo notare come la terminologia utilizzata dai giuristi per indicare il fenomeno disciplinato nel libro IV del codice civile, intitolato “Delle obbligazioni”, non è univoca. Infatti, in molte disposizioni del codice si discorre, talvolta di diritto di credito, altra volta di debito ed altra volta di obbligazione. Il differente impiego delle espressioni terminologiche non sarebbe del tutto casuale anzi, i giuristi, utilizzando l’espressione “diritto di credito”, analizzano il fenomeno del rapporto obbligatorio dall’angolo prospettico del creditore, ossia il titolare della situazione attiva; mentre, specularmente, quando utilizzano l’espressione “diritto di debito”, analizzano il fenomeno dall’angolo prospettico del debitore, ossia il titolare della situazione passiva. Le situazioni di credito e di debito, inserite all’interno di un rapporto obbligatorio, si pongono tra di loro in netta contrapposizione, ecco perché il rapporto stesso viene definito, da parte della dottrina, correlato e complesso. Non basta qualificare, sic et simpliciter, la situazione creditoria attiva e, quella debitoria passiva, in quanto potremmo commettere l’errore di accogliere una visione troppo semplificatrice e generalizzante. Per di più potremmo commettere l’errore di non tener conto delle evoluzioni sociali e normative determinate dal passaggio da uno Stato di diritto di matrice liberale ad uno Stato sociale di diritto, il quale ha comportato il progressivo abbandono di una concezione egoistica ed individualistica dei rapporti[2]. Per questo motivo, riprendendo ciò che abbiamo detto sulla complessità del rapporto in cui sono inserite le situazioni, di credito e di debito, e dato il mutato contesto socioeconomico del nostro ordinamento, bisognerebbe analizzare il rapporto obbligatorio alla luce di quelli che sono i principi costituzionali, dettati dagli artt. 2, 3, 41 Cost. ma non solo, anche alla luce delle clausole generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. Correttezza e buona fede esprimono un’entità concettuale univoca, la quale determina la nascita di doveri positivi e negativi tanto per il debitore quanto per il creditore. Infatti, la Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2252/00, osserva che il rispetto della regola della correttezza, prescritto dall’articolo 1175 c.c., obbliga le parti a non rendere le prestazioni più disagevoli o gravose di quanto secondo buona fede possa attendersi. Quindi, per concludere sulla tematica della complessità del rapporto obbligatorio, il referente oggettivo di qualsiasi obbligazione resta sempre e comunque l’interesse, anche non patrimoniale, del creditore, il quale deve trovare esatto soddisfacimento mediante l’esatta esecuzione della prestazione da parte del debitore, il quale deve usare ex. art. 1176 c.c. la diligenza del buon padre di famiglia e, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata; ma non dobbiamo dimenticare che anche il debitore potrebbe avere un interesse ad eseguire esattamente la prestazione, si pensi per esempio alle obbligazioni che hanno ad oggetto prestazioni di opera intellettuale, alle prestazioni artistiche o alle prestazioni di fare, nei rapporti di questo tipo il debitore potrebbe avere l’interesse non solo a liberarsi dal vincolo obbligatorio, ma anche quello di affermarsi professionalmente. Però, non dobbiamo commettere l’errore di configurare, in base alle premesse fatte, un diritto del debitore all’adempimento, ma ci dobbiamo limitare ad affermare che, affinché il debitore possa adempiere correttamente è necessario che il creditore cooperi, in attuazione dei doveri di correttezza, buona fede e diligenza.

Con riguardo alle categorie della diligenza, buona fede e correttezza, sono state elaborate da parte della giurisprudenza, le categorie degli obblighi di avviso e dei doveri di protezione. Gli obblighi di avviso impongono alle parti il dovere reciproco di informazione tempestiva circa l’esistenza di vicende e circostanze, la mancata conoscenza delle quali può pregiudicare il buon esito dell’operazione sottesa al rapporto. I doveri di protezione, impongono alle parti dei comportamenti finalizzati a proteggere le rispettive sfere giuridiche, da fatti lesivi potenzialmente connessi all’esecuzione della prestazione.

Ma quali sono le fonti idonee a produrre rapporti obbligatori? Ai sensi dell’articolo 1174 c.c., le obbligazioni possono derivare da varie fonti e cioè: possono derivare da contratto, ex artt. 1230, 1321 e ss c.c.; possono derivare da fatto illecito, poiché ai sensi dell’articolo 2043 c.c. l’aver cagionato ad altri un danno ingiusto, fa sorgere, in capo a chi ha posto in essere la condotta pregiudizievole, a risarcire il danno, quindi nasce un’obbligazione; da ogni altro atto (1987 ss c.c.) o fatto (433, 2028 ss c.c.) idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico.

Detto ciò, rimanendo sul piano strutturale, saremmo in grado di dare una definizione di rapporto obbligatorio. Il rapporto obbligatorio è un vincolo giuridico, in virtù del quale il titolare della situazione giuridica passiva (la definiamo così solo per scopi semplicistici, anche se sappiamo, per le ragioni di cui abbiamo discorso precedentemente che anche il debitore potrebbe essere titolare di diritti verso il creditore) definito debitore, deve eseguire una prestazione, suscettibile di valutazione economica, per soddisfare l’interesse anche non patrimoniale del creditore. Da questa definizione possiamo capire quali sono gli elementi fisionomici del rapporto obbligatorio e cioè: dualità delle situazioni soggettive, patrimonialità della prestazione e interesse del creditore.

Iniziamo dall’analisi del primo elemento indefettibile. Non ci soffermeremo più di tanto su nozioni di teoria generale del diritto, per quanto concerne i concetti di titolarità, determinatezza o determinabilità dei soggetti, qui ci basta sapere che il rapporto obbligatorio è relazione fra situazioni giuridiche soggettive complesse che esistono anche senza l’attuale presenza o individuazione del soggetto titolare; ciò che conta è l’esistenza di due situazioni giuridiche soggettive da poter riferire a due possibili centri di imputazioni di interessi.

Per quanto concerne il secondo elemento indefettibile, dobbiamo fare una premessa. Non ci siamo chiesti, anche se è di facile intuizione, qual è l’oggetto del rapporto obbligatorio. Oggetto del rapporto obbligatorio sarebbe la prestazione, infatti l’articolo 1174 c.c. recita: “la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere…”. Nonostante la lettera chiara dell’articolo 1174 c.c., all’interno della dottrina si sarebbero formate convinzioni del tutto contrapposte: da un lato vi sarebbero i fautori della teoria “patrimoniale”, dall’altro lato i fautori della teoria “personalistica”. I primi privilegerebbero a livello quasi ontologico, la posizione del creditore esasperandola all’interno del rapporto obbligatorio, attribuendo al comportamento del debitore un ruolo marginale ed eventuale. La ratio di tale scelta è di facile intuizione, i fautori di questa teoria non si fidano della cooperazione del debitore; tale sfiducia si è ingenerata a seguito della soppressione dell’istituto dell’arresto personale per debiti. Si consolida così la convinzione che non si possa fare alcun affidamento sulla spontanea esecuzione della prestazione per la soddisfazione dell’interesse del creditore, data l’incoercibilità del comportamento del debitore; l’attenzione finisce per essere spostata sul patrimonio del debitore sul quale soltanto il creditore potrebbe esercitare utilmente la sua pretesa[3]. Per cui, l’unico risultato utile che può essere assicurato al creditore sarebbe quello di ottenere, mediante lo strumento del processo esecutivo, un bene specifico presente nel patrimonio del debitore, oppure la somma di denaro ricavata dalla vendita forzata dei beni stessi (artt. 2930 e 2910 e ss c.c.). Per cui per i fautori di questa teoria, il referente oggettivo del diritto del creditore consisterebbe, non più nell’esatta esecuzione della prestazione da parte del debitore ma, nel bene individuato con gli strumenti del processo esecutivo.

I fautori della teoria personalistica invece, rivalutano il ruolo della prestazione all’interno del rapporto obbligatorio. Giustamente si sottolinea che sul piano sostanziale, il creditore può pretendere l’esecuzione della prestazione soltanto dal debitore, ossia il soggetto obbligato; tale affermazione non è smentita né dalla possibilità, riconosciuta al creditore di esperire uno dei processi esecutivi, né dalla presenza dell’istituto dell’adempimento del terzo, il quale non avrebbe un ambito di operatività generalizzato e non attribuirebbe al creditore alcun autonomo potere di pretendere dal terzo l’esecuzione della prestazione[4]. Seppur sostenute dalle loro valide ragioni, queste teorie presenterebbero delle falle sul piano logico-strutturale nonché su quello sostanziale poiché, per quanto concerne la prima, il ruolo della prestazione viene così degradato che, il comportamento del debitore volto all’adempimento, non costituirebbe più l’antecedente logico necessario al soddisfacimento dell’interesse creditorio, ma soltanto uno dei tanti mezzi con cui tale interesse potrebbe trovare soddisfacimento. La seconda teoria invece, arriva ad asserire che è la stessa prestazione a costituire il “bene” che attua l’interesse del creditore ma, una cosa sarebbe l’identificazione del bene che nello specifico rapporto attuerebbe l’interesse del creditore, altra cosa sarebbe l’identificazione dello strumento messo a disposizione del creditore per conseguirlo. Detto ciò, cerchiamo di capire il perché la prestazione deve essere patrimoniale, cioè suscettibile di valutazione economica. La prestazione potrebbe atteggiarsi in vari modi e potrebbe avere diversi contenuti, infatti vi sono prestazioni di facere, di non facere, di puro fare, di dare un determinato bene o una determinata somma di denaro ecc… ma comunque la prestazione ex. art. 1174 c.c. deve essere suscettibile di valutazione economica per essere appunto idonea a costituire l’oggetto di un rapporto obbligatorio. Senza la caratteristica della patrimonialità, un rapporto, per definizione, non può essere qualificato obbligatorio. Nella sua evoluzione normativa, il codice civile non fornisce dei criteri utilizzabili, da parte degli operatori del diritto, per definire patrimoniale una determinata prestazione. Allora, la dottrina suole qualificare come patrimoniale quella prestazione che, in un dato momento storico, verrebbe percepita come tale da parte della comunità. Per cui viene utilizzato un criterio storico-oggettivo.

L’ultimo elemento indefettibile del rapporto obbligatorio è il soddisfacimento dell’interesse creditorio. Sul punto si potrebbe arrivare a ritenere che, data la postilla dell’articolo1174 c.c. “… e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore”, l’unico interesse su cui si costruirebbe l’intero edificio del rapporto obbligatorio sarebbe quello del creditore. A voler affermare ciò si potrebbe commettere l’errore di ritenere che il rapporto obbligatorio, in quanto tale, esisterebbe solo ed esclusivamente per l’esistenza di un solo interesse che è quello del creditore, senza prendere in considerazione quelli che potrebbero essere gli interessi del debitore. L’articolo 1174 c.c. deve essere interpretato alla luce dei principi costituzionali dettati dagli articoli 2, 3, 35 e 41 cost. sicché, sarebbe opportuno affermare che all’interno di un rapporto obbligatorio, proprio per le considerazioni fatte in tema di complessità delle situazioni attive e passive sottese allo stesso, rileverebbero anche gli interessi del debitore. Ma, per ragioni meramente semplicistiche, (e questa è un’idea che si sta sviluppando in dottrina), si farebbe riferimento al solo interesse anche non patrimoniale del creditore poiché quest’ultimo costituirebbe termine di riferimento finale per tutti gli interessi in gioco. A questo punto potrebbe sorgere spontaneo un interrogativo e cioè, perché l’articolo 1174 c.c. fa riferimento al soddisfacimento di un interesse anche non patrimoniale? Sarebbe corretto, quanto meno nella impostazione logico strutturale, avere un rapporto obbligatorio dove la corretta esecuzione della prestazione patrimoniale da parte del debitore è volta a soddisfare un interesse non patrimoniale del creditore? Potremmo rispondere a questi interrogativi ricorrendo ad un banalissimo esempio: si pensi a un soggetto che vorrebbe assistere ad uno spettacolo teatrale e che, una volta acquistato il biglietto, si segga ed assiste alla rappresentazione teatrale. In questo caso il soggetto che sta assistendo allo spettacolo teatrale, sta soddisfacendo un suo interesse patrimoniale? Oppure il suo fine potrebbe essere quello di arricchirsi culturalmente? Sarebbe al quanto pleonastico dare una risposta poiché essa è scontata. Quindi, una cosa sarebbe la patrimonialità della prestazione, altra cosa sarebbe la natura dell’interesse. Si pensi ad una decisione del Tar Puglia, ove i giudici amministrativi hanno considerato risarcibile l’interesse non patrimoniale del titolare dell’interesse legittimo consistente in uno di natura meramente morale[5]. Per concludere sul punto, bisogna tenere presente come l’interesse del creditore potrebbe atteggiarsi nel concreto assetto degli interessi. Ci sono volte in cui è necessario che, il creditore abbia interesse a che quella determinata prestazione sia eseguita da quel determinato soggetto, si pensi per esempio ai rapporti fondati sull’intuitus personae o caratterizzati dall’infungibilità del comportamento del debitore, sicché il possibile adempimento di un soggetto diverso giustificherebbe il rifiuto della prestazione da parte del creditore poiché non lo soddisferebbe. Sarebbe anche giustificabile il rifiuto del creditore nell’ipotesi in cui, fuori dai casi di rapporti fondati sull’intuitus personae, l’adempimento del terzo sarebbe pregiudizievole per le ragioni del creditore.


[1] Pietro Perlingeri, Manuale di diritto civile 7° ed., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2014, p.268.
[2] Op. cit. p. 273.
[3] Op. cit. p. 275.
[4] Op. cit. p. 276.
[5] Tar Puglia, sentenza del 21.12.06 n. 6040.

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Maurizio Muto

Laureato in giurisprudenza presso l'Università della Calabria. Praticante avvocato presso uno studio legale che si occupa pressoché di diritto civile in ogni sua sfaccettatura. Specializzando presso la scuola superiore per le professioni legali dell'Università "Sapienza".

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