Le sopravvenienze contrattuali e i rimedi conservativi con obbligo di rinegoziazione

Le sopravvenienze contrattuali e i rimedi conservativi con obbligo di rinegoziazione

In tema di autonomia negoziale vigono due principi fondamentali volti a regolamentare l’intera materia. 

Il primo è sancito dall’art. 1372 c.c., a mente del quale il contratto ha forza di legge tra le parti e il relativo scioglimento, inteso come estinzione delle obbligazioni contratte, può avvenire per volontà comune delle stesse (id est il mutuo dissenso) oppure esercitando unilateralmente il diritto potestativo di recedere dall’accordo. 

Tale principio è espressione del brocardo latino “pacta sunt servanda” il quale afferma la stabilità e la vincolatività del contratto. 

D’altro canto, la volontà dei contraenti – volta alla costituzione di un vincolo contrattuale- è regolata altresì dal principio di autoresponsabilità che impegna le parti ad ottemperare agli obblighi nascenti dal negozio giuridico. 

Primae facie, sembrerebbe che i principi suddetti non consentano l’ammissione di perturbazioni contrattuali. 

Di contro, si verifica sovente che varie accadimenti sopravvenuti si ripercuotono sull’esecuzione del vincolo negoziale, incidendo sull’intangibilità del rapporto contrattuale. 

Si tratta di un esito interpretativo condiviso da quella Giurisprudenza prevalente la quale accoglie le modificazioni contrattuali consentite dalla previsione della clausola “rebus sic stantibus”.

Il nucleo centrale della trattazione concerne le c.d sopravvenienze, la cui funzione principale si riflette sull’assetto negoziale o sull’equilibrio economico originariamente stabilito dai contraenti, determinando l’inefficacia del rapporto.

Proprio con riguardo a tali ipotesi, l’ordinamento giuridico concede la possibilità di agire sciogliendo il contratto. 

Diversamente dalla categoria dell’invalidità contrattuale – avente ad oggetto vizi genetici-  lo scioglimento si verifica in presenza di fatti sopravvenuti che determinano il venir meno o l’inefficacia sopravvenuta del vincolo contrattuale. 

Al fine di gestire il rischio delle sopravvenienze ed evitare alterazione del sinallagma, sono all’uopo previsti rimedi conservativi. 

Questi possono qualificarsi come tipici e legalmente previsti dalla legge oppure disposte convenzionalmente dai contraenti.

Nell’alveo della prima categoria enunciata rientrano i rimedi della risoluzione per impossibilità sopravvenuta e dell’eccessiva onerosità.  

La prima tipologia, la cui disciplina trova conforto nell’art. 1463 c.c., concerne i casi di sopravvenienza che incidono sulla causa del contratto. 

A tal proposito, la dottrina individua varie ipotesi in cui è possibile indicare la risoluzione per impossibilità sopravvenuta. 

L’estinzione del contratto per impossibilità sopravvenuta si determina in presenza di perimento della cosa oggetto del contratto, ma anche in tutti quei casi in cui il bene oggetto della prestazione non sia più considerato idoneo all’uso a cui era destinato. 

Invero, la prestazione dedotta dai contraenti diviene assolutamente e oggettivamente impossibile per cause non imputabili al debitore, con conseguenze estinzione della obbligazione. 

Ne discende che il debitore non sarà tenuto ad adempiere alla prestazione con conseguenze risoluzione di diritto. 

Al fine dell’operatività della risoluzione per impossibilità sopravvenuta occorre che l’impossibilità sorga dopo la stipula del contratto e prima del suo adempimento.

L’impossibilità sopravvenuta a cui la legge fa riferimento è quella imprevedibile. 

L’impossibilità temporanea della prestazione, viceversa,  non determina la risoluzione del contratto, ma la sola sospensione dell’efficacia contrattuale, rispettando altresì l’interesse del creditore di ricevere la prestazione. 

E’ strettamente connesso al tema la volontà del creditore di risolvere un contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c.

Diversamente dalla risoluzione per inadempimento di una delle parti, il venir meno del vincolo può essere determinato allorquando la prestazione sia divenuta impossibile. 

In tale ipotesi, la risoluzione opera di diritto e libera il contraente obbligato alla prestazione divenuta impossibile. 

L’art 1463 c.c. produce altresì un effetto restitutorio obbligando le parti a restituire le prestazione eventualmente già eseguite; contrariamente, si configurerebbe un indebito oggettivo.  

Da queste ipotesi, occorre distinguere l’impossibilità parziale che vincola il debitore ad adempiere la prestazione per la parte che è rimasta possibile ex art. 1258 c.c. 

Al fine di evitare un grave squilibrio del sinallagma, il Legislatore ha previsto un correttivo per i contratti a prestazioni corrispettive. 

La norma codicistica ex art. 1463 c.c. prevede da un lato la possibilità di adeguamento del contratto stesso, formulando la riduzione della controprestazione; d’altro canto, assegna al creditore il diritto potestativo di esercitare il diritto di recesso, mostrando un disinteresse ad ottenere quella parte di prestazione ancora possibile.

In questo caso, si  verifica una modificazione oggettiva tra le prestazioni oggetto di contratti. 

In controtendenza con la disciplina teste’ enunciata, si pone in evidenza come l’impossibilità sopravvenuta della prestazione opera in modo diverso in materia di contratti traslativi. 

Invero, dalla lettura dell’art. 1465 c.c. è possibile dedurre che il rischio del perimento della cosa si determina all’atto del trasferimento della sua proprietà. Ne consegue che se l’impossibilità sopravviene al momento del trasferimento, l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la prestazione ancorchè la cosa non gli venga consegnata.

L’ulteriore rimedio previsto dalla legge in presenza di sopravvenienze è regolato dall’art 1467 c.c il quale prescrive che qualora nei contratti a prestazione continuata o periodica ad esecuzione differita la prestazione di una delle parti sia  divenuta eccessivamente onerosa a causa di eventi straordinari  (id est un evento non frequente né regolare) e imprevedibile, la parte tenuta ad adempiere può richiedere la sua risoluzione. 

Si configura l’eccessiva onerosità della prestazione allorché si verifica il superamento dell’alea normale o economica del contratto, la quale va tenuta distinta dall’alea giuridica dei contratti aleatori, in cui il rischio diviene causa dei relativi contratti, essendo la prestazione subordinata ad un evento futuro incerto sia nell’an che nel quantum. 

L’alea che dunque ingenera una sopravvenienza è quella che supera la soglia della normalità e della tollerabilità. 

Si evidenzia che in tutti questi casi il codice civile prevede la possibilità di rinegoziare il contratto e chiedere la riduzione ad equità dello stesso, modificando l’equilibrio delle prestazioni per ricondurlo all’alea normale.

La rinegoziazione può indicare, in una prima e lata accezione, l’attività delle parti che ridiscutono il contenuto dei patti cui si sono vincolati con un precedente accordo. Lo scopo precipuo della rinegoziazione è il riequilibrio di un assetto contrattuale alterato da elementi sopravvenuti ed imprevedibili al tempo della conclusione dell’accordo volto a raggiungere un nuovo equilibrio. 

La rinegoziazione può ragionevolmente esigere sia la ridiscussione di elementi già esistenti, sia l’introduzione di patti ulteriori. 

L’art. 1467 c.c. prevede altresì un rimedio conservativo che attribuisce alla parte non colpita dall’eccessiva onerosità il diritto di ripristinare l’equilibro originario. 

Più precisamente, occorre chiarire che la modificazione del contenuto dei rapporti nascenti dal contratto impugnato per eccessiva onerosità funge da condicio iuris risolutiva del potere di risoluzione. L’offerta di cui all’ultimo comma dell’art. 1467 c.c. va pertanto configurata come un onere del contraente contro il quale il potere di risoluzione è esercitato. Questa offerta di modifica assume la funzione e la struttura di una proposta contrattuale fatta dal convenuto all’attore (anche se essa sia contenuta in un atto processuale qual è la comparsa, la quale è destinata anche al giudice). Circa la natura giuridica del contratto di modifica dei rapporti contrattuali, si ravvisa in esso quello che la dottrina è solita chiamare “contrario consenso modificativo”: qui le parti non si limitano a neutralizzare taluni effetti del precedente contratto, ma, al posto di quelli neutralizzati, vogliono anche crearne degli altri diversi. Si tratta pertanto di un contratto a contenuto complesso, cioè di un contratto che ha, ad un tempo, un’efficacia eliminativa (in quanto paralizza taluni effetti del contratto originario) ed un’efficacia costitutiva (in quanto pone in essere una nuova situazione giuridica tra le parti).

Il nostro ordinamento non contempla una previsione generale relativa al potere di modifica unilaterale del contratto. Un tale potere è pero desumibile da alcune singole previsioni di legge (es. divieto di modifiche unilaterali della forniture,) oltre dagli artt. 1467 del c.c anche dal disposto normativo ex art. 1450  c.c. il quale prevede una riconduzione del contratto ad equità.

L’articolo contempla il rimedio rescissorio. La rescissione, diversamente dall’art. 1467 c.c., non si pone sul piano dell’onerosità sopravvenuta, in quanto le perturbazioni incidono sulla fase genetica del contratto.

Altri casi di rinegoziazione intesi come rimedi legali contro le perturbazioni quantitative si ravvisano in altre norme dell’ordinamento giuridico. 

Significativo è l’art. 1664 c.c., che si occupa di disciplinare la materia in tema di appalti. 

Le circostanze sopravvenute ed imprevedibili che modifichino oltre una certa soglia il prezzo convenuto, legittimano i contraenti a chiedere di rinegoziare il prezzo stesso, così come previsto dall’art. 1467 c.c. 

La ratio dell’art. 1664 c.c. si giustifica a causa della variabilità dei costi dei materiali e della mano d’opera di cui si serve l’appaltatore per portare a compimento l’opera commissionatagli.

Nondimeno, l’art. 1668 c.c. rafforza la posizione contrattuale del committente il quale, in caso di vizi dell’opera, ha, tra le altre, la possibilità di chiedere all’appaltatore una riduzione proporzionale del prezzo convenuto.

Al fine di ovviare ad altri casi in cui il contratto possa subire degli squilibri è stato elaborato l’istituto della presupposizione.

In deroga al principio “pacta sunt servanda,” è ammesso che il contratto possa subire delle perturbazioni, anche alla luce della nozione di causa elaborata dalla Giurisprudenza recente, la quale pone l’accento sullo scopo economico individuale, in ossequio ai principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. in combinato disposto con l’art. 2 Cost.. 

L’istituto della presupposizione si configura come una circostanza esterna, che senza essere prevista come una condizione contrattuale, risulta essere un presupposto oggettivo. 

L’istituto trova operatività allorquando le parti, pur non avendola prevista, la considerano un presupposto ai fini dell’esistenza del vincolo contrattuale. 

Tale situazione di fatto o di diritto, la cui avverabilità non dipende dalla volontà delle parti né corrisponde all’oggetto di una specifica obbligazioni delle parti, è un presupposto condizionante la validità e l’efficacia contrattuale.

Si desume che la presupposizione si configuri in presenza della consapevolezza tra le parti, dell’oggettività dell’evento e della relativa certezza obiettiva che si verificherà.

Una prima tesi ritiene che la presupposizione attiene alla funzione concreta che le parti intendono realizzare. 

Altro orientamento qualifica la presupposizione come condizione tacita, mentre altra esegesi ne individua il fondamento nella clausola rebus sic stantibus, la quale trova applicazione anche in ambito contrattuale. 

L’orientamento maggioritario ravvisa il fondamento della presupposizione nella sua natura rimediale volto a eliminare o limitare le sopravvenienze, trovando la sua ratio nelle prescrizioni contenute negli artt. 1374 e 1375 c.c., che, rispettivamente, indicano l’ampiezza del contenuto del vincolo contrattuale e impongono che l’esecuzione del contratto avvenga nel rispetto del principio della buona fede.

Alla luce delle argomentazioni addotte, la creazioni di sopravvenienze atipiche fa propendere per il rafforzamento della clausola “rebus sic stantibus”, con conseguente degradazione nel principio del pacta sunt servanda e della ammissibilità di strumenti di tutela per i contraenti in presenza di sopravvenienze. 


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