Le ultime della S.C. sul binomio mora-usura. La rimessione alle SS.UU
La Corte di Cassazione, con due recentissime pronunce depositate ad ottobre u.s. a distanza di pochissimi giorni, è tornata ad occuparsi del rapporto tra interessi moratori ed usura a dimostrazione del fatto che il precedente intervento delle Sezioni Unite (sent. 16303 del 20.6.2018, rv. 649294) non abbia chiuso definitivamente la partita in un ambito da sempre oggetto di ampi dibattiti attinenti l’attualità del c.d. “principio di simmetria”.
L’attenzione della Corte pertiene al tema della valutazione di usurarietà del tasso effettivo globale (TEG) corrisposto da un singolo contraente alla banca in costanza di un contratto di finanziamento.
È noto, infatti, che il giudizio di usurarietà operato sul TEG, quindi sulle condizioni praticate in concreto dall’istituto bancario, si effettui tramite il raffronto tra lo stesso ed un tasso-soglia usurario (TSU) determinato dalla Banca d’Italia.
In particolare, il TSU è il risultato della somma tra il tasso effettivo globale medio (TEGM) ed una variabile corrispondente, ad oggi, al suo stesso 25% aumentato di 4 punti percentuali.
La questione principale che si è posta in tema di valutazione di usurarietà concerne se, nell’ambito del suddetto giudizio, occorra rispettare il principio di simmetria e cioè se, per definire “usurario” il tasso effettivo globale pattuito dalla banca con il singolo contraente sia necessario che le voci in esso contenute siano le stesse inserite nel TEGM oggetto di rilevazione da parte della Banca d’Italia.
Il problema in esame si è posto precipuamente in relazione alla Commissione di massimo scoperto (CMS) in tema di contratto di apertura di credito definita “come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto” che viene calcolato “in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento”, e, per quello che maggiormente interessa in questa sede, con riferimento agli interessi moratori.
Ebbene, se nel diverso ambito relativo alla commissione di massimo scoperto, le SS.UU., specificando il contenuto della legge 2/2009, sono intervenute con una pronuncia che sembra restituire un certo vigore al principio di simmetria, affermando che la CMS debba essere inserita nel calcolo TEG del singolo rapporto a partire dal momento in cui la Banca d’Italia, a propria volta, lo rileverà nel calcolo del TEGM, una analoga soluzione, ancorchè oggetto di ampie critiche, non è ancora stata raggiunta in tema di interessi moratori.
Pertanto, se per un verso il principio di simmetria trova sostegno da parte di chi ritiene che, poiché il giudizio di usurarietà si fonda su una comparazione questa deve necessariamente avvenire tra due entità uguali, vi sono, tuttavia, voci opposte. È bene, quindi, prendere le mosse dalle argomentazioni contrarie all’applicazione del principio di simmetria che possono essere enumerate nei termini che seguono.
Innanzitutto, si afferma, il TSU non è corrispondente al TEGM, ma si calcola aggiungendo al TEGM il suo ulteriore 25% e quattro punti percentuali. Gli oppositori del principio di simmetria, invero, ritengono che tale ulteriore spread sia previsto proprio al fine di contenere quelle voci che, come gli interessi moratori, non sono inserite nel TEGM.
Infatti, si evidenzia ulteriormente, inserire l’interesse moratorio nel TEGM realizzerebbe una disparità di trattamento tra coloro che risultano in mora e coloro che non lo sono in quanto il TSU si eleverebbe anche per questi ultimi nonostante siano perfettamente adempienti, con l’evidente risvolto di subire le conseguenze di una condotta inadempiente, eventualmente, di terzi.
A ciò si sommi una terza critica: aggiungere numerose voci al TEGM implica un aumento dello stesso e dunque un innalzamento del TSU, producendosi così una sorta di “effetto-boomerang” poiché il TSU sarebbe superato solo da tassi relativi a singoli rapporti che siano molto elevati.
Infine, si rileva che il principio di simmetria, che permetterebbe di qualificare come usurario il TEG al cui interno siano inserite le sole voci tipizzate dalla Banca d’Italia nel TEGM, darebbe vita a prassi elusive della disciplina dell’usura in quanto le banche contraenti potrebbero chiedere al singolo di corrispondere costi aggiuntivi elevati a titolo di voce non inserita nel TEGM e far confluire lì importi che, a quel punto, non sarebbero raffrontabili al TSU perché non inseriti (rectius: inseribili) nel TEG.
Sulla scorta di quanto assunto, parte della dottrina e della giurisprudenza ammettono l’applicabilità all’interesse moratorio della disciplina della clausola penale, proprio alla luce della sua funzione risarcitoria del danno da ritardo nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria.
La Terza Sezione della Cassazione con la pronuncia meno recente delle due in esame (sent. 26286/2019) si è espressa sul binomio mora-usura con argomentazioni che, seppur evolutive sotto alcuni aspetti, non hanno mancato di destare perplessità che appaiono, invero, difficilmente superabili.
Anzitutto, la S.C. affronta il problema relativo alla necessità di cumulare gli interessi moratori e corrispettivi ai fini della determinazione circa l’usurarietà del mutuo bancario oggetto del caso posto al vaglio della Corte ed afferma che esso sia un “falso problema” in quanto, stando alla lettera del 1224 c.c. solo gli interessi moratori sono dovuti dal giorno della mora e non anche quelli corrispettivi.
La seconda argomentazione addotta dalla Corte a sostegno del principio di simmetria riprende le conclusioni raggiunte in tema di Commissione di massimo scoperto (CMS), rispetto alla quale le SS.UU. nel 2018 avevano precisato che anche per i rapporti bancari sorti prima della L. 2/2009 era possibile inserire detta Commissione nel calcolo del TEGM, perché questa era sempre stata oggetto di una rilevazione a latere effettuata dalla Banca d’Italia tale da permettere di calcolare una sorta di “CMS media” da aggiungere al TEGM.
Orbene, la sentenza in esame considera estendibile tale assunto anche al tasso di interesse moratorio. I Giudici del Supremo Consesso, infatti hanno affermato che il medesimo ragionamento “può essere agevolmente traslato agli interessi moratori, giacchè la Banca d’Italia, pur non includendo la media degli interessi di mora nel calcolo del TEGM, ne ha fatto una rilevazione separata, individuando una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali”.
Infine, la pronuncia de qua si sofferma sui rimedi applicabili in caso di superamento del TSU. Nello specifico, stando ai principi generali in materia contrattuale, a seconda che si consideri l’interesse moratorio “sproporzionato” avente la natura di usurario ovvero di clausola penale, saranno applicabili, alternativamente, il rimedio ex art. 1815 c.c., con la tramutazione del mutuo da onorario a gratuito, ovvero quello della reductio ad aequitatem, da parte del giudice, della clausola il cui ammontare appaia manifestamente eccessivo di cui all’art. 1384 c.c.
La sentenza in esame afferma che i due rimedi sopra prospettati siano non già alternativi, bensì cumulabili poichè, mentre agli interessi moratori “sopra-soglia” sarebbe applicabile l’art. 1815 c.c. e quindi questi non sarebbero più dovuti, nel caso in cui detti interessi, pur non superando la soglia di usurarietà, risultino “manifestamente eccessivi”, cionondimeno potranno essere ridotti dal giudice.
Ebbene, è agevole rilevare che ciascuno di tali assunti presenti evidenti criticità.
Rispetto alla non cumulabilità degli interessi moratori e corrispettivi, l’obiezione è relativa all’impossibilità di discernere le due tipologie di interessi in contratti, come specificamente quello di mutuo, in cui la rata che il debitore deve periodicamente corrispondere sia composta in parte dalle somme che costui deve restituire, il capitale, ed in parte dall’interesse corrispettivo, quale vero e proprio costo dell’utilizzo di denaro concesso in prestito. In questo caso, è chiaro che separare il capitale dall’interesse corrispettivo e calcolare l’interesse moratorio in base all’uno o all’altro sarebbe un’operazione pressoché impossibile.
Anche l’estensione dei principi delle Sezioni Unite in tema di CMS all’interesse moratorio ed in particolare alla rilevazione ufficiosa del tasso di interesse moratorio “medio” pari al 2,1%, risulta questione delicata, quantomeno per tre ordini di ragioni. Innanzitutto, la rilevazione dell’interesse moratorio medio risulta essere ormai decisamente obsoleta, in quanto lo stesso non è mai stato oggetto di ulteriori aggiornamenti. Secondariamente, la ricostruzione di tale ammontare è avvenuta in via ufficiosa il che renderebbe la sua applicazione ancor più problematica in quanto la definizione di usurarietà va ad incidere anche dal punto di vista penalistico in cui vige il principio fondamentale della riserva di legge che non ammette che un reato possa essere previsto da fonti extralegali. Inoltre, si rileva che, anche laddove non si volesse applicare il valore rilevato dalla Banca d’Italia, il giudice non avrebbe, nel caso concreto, uno strumento certo ed univoco da utilizzare ai fini del vaglio di usurarietà.
Sulla cumulabilità dei rimedi di cui agli artt. 1815 e 1384 c.c., infine, non vi è chi non veda la palese contrarietà al disposto di cui all’art. 644 c.p. che, pacificamente, contiene non solo la disciplina penalistica dell’usura, ma anche la sua compiuta ed unica definizione.
L’art. 644 co. 3 c.p., in particolare, oltre alla usura “classica” che si realizza quando l’interesse pattuito è superiore al TSU, prevede la c.d. “usurarietà in concreto” che si configura nel solo caso in cui detti interessi, ancorchè inferiori a tale limite, risultano “comunque sproporzionati” rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, “[…], quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”. Ammettere quindi il rimedio ex art. 1384 c.c. ai tutti i casi in cui l’interesse sia sproporzionato, indipendentemente dalla sussistenza di difficoltà economica o finanziaria del debitore richiesta dalla legge, corrisponderebbe ad una palese violazione della norma penale che ne condurrebbe ad una inammissibile interpretatio abrogans.
Di diverso avviso, e forse più correttamente, è stata la Prima Sezione della Cassazione che, dovendosi pronunciare su analoga questione, ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite, con l’ordinanza 26946/2019 depositata lo scorso 22 ottobre.
Da quanto analizzato, pertanto, si profila la necessità di un decisivo intervento delle Sezioni Unite che sia dirimente nell’ambito della vexata quaestio relativa al rapporto mora-usura rispetto al quale occorrerà attendere e per cui – allo stato – non è possibile prevedere l’eventuale adesione o meno al precedente in tema di CMS.
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Francesca Fondacone
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