L’eccezione di prescrizione nei contratti bancari: l’apertura delle Sezioni Unite alla c.d. “formulazione generica”

L’eccezione di prescrizione nei contratti bancari: l’apertura delle Sezioni Unite alla c.d. “formulazione generica”

Con la sentenza a Sezioni Unite n. 15895/2019, la Suprema Corte si è pronunciata dirimendo un contrasto interpretativo, insorto sia tra i giudici di merito che tra le sezioni del giudice di legittimità, riguardante tanto la materia del diritto bancario quanto, più in generale, le regole sostanziali relative all’onere della prova incombente sulle parti in giudizio.

La specifica questione attiene all’ammissibilità – nel senso della meritevolezza di accoglimento – di una formulazione generica, da parte della banca convenuta in un giudizio di accertamento dell’invalidità di clausole contenute in contratti di conto corrente e apertura di credito, dell’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione d’indebito ex art. 2033 c.c. formulata dal correntista/attore.

Il contesto fattuale e giuridico di riferimento 

Come è noto, a far data dalla sentenza n. 24418 del 2010, la giurisprudenza ha chiarito come, anche nell’ipotesi di contratto di apertura di credito il cui rapporto sia ancora in corso di esecuzione, le rimesse effettuate dal cliente/correntista sul conto corrente assistito da apertura di credito che siano volte a rientrare entro il limite massimo di fido concesso o, in caso di conto corrente non affidato, che siano volte a ripristinare un saldo pari a zero o comunque positivo, vadano qualificate come “solutorie” e pertanto, comportando uno spostamento di ricchezza tra un solvens (debitore) nei confronti di un accipiens (creditore), vadano qualificate come pagamenti. In quanto pagamenti, poi, laddove venga accertata in giudizio l’assenza di una causa giustificatrice di tali rimesse (o poiché assente ab origine o in virtù di una causa di nullità di una clausola contrattuale), le stesse potranno ben essere oggetto dell’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., consequenziale rispetto a quella di nullità.

Nel quadro testè descritto, delineato in maniera apparentemente completa, è – come si è detto – venuto in rilievo il problema legato alle eccezioni frequentemente utilizzate nella prassi dalle banche che si costituiscono in giudizio per resistere all’azione di ripetizione, tra le quali assume primaria importanza l’eccezione di prescrizione.

Come è intuibile, infatti, accade spesso in concreto che l’azione di accertamento della nullità delle clausole contrattuali venga esperita molto tempo dopo l’effettuazione delle singole rimesse sul conto corrente e, nonostante l’azione di accertamento della nullità stessa sia imprescrittibile ex art. 1422 c.c., di certo non lo è, per ragioni di generale certezza dei diritti, la consequenziale azione di ripetizione delle rimesse solutorie effettuate.

L’orientamento contrario all’ammissibilità di un’eccezione formulata in maniera generica

I giudici di merito (e successivamente anche alcuni giudici di legittimità), nel valutare le eccezioni di prescrizione sollevate dalle banche convenute ne hanno rigettato l’accoglimento argomentando circa la formulazione generica delle stesse.

Più nello specifico, i giudici hanno rilevato come la banca che abbia interesse ad eccepire il compiuto decorso della prescrizione dell’azione di ripetizione, non possa semplicemente allegare la suddetta circostanza, ma abbia invece l’onere di indicare specificamente il fatto impeditivo-estintivo che intende fare valere a sostegno della pretesa eccepita (il venir meno del diritto alla ripetizione), ossia l’onere di indicare la specifica rimessa/pagamento per cui si sia compiuto il decennio prescrizionale e, quindi, il relativo dies a quo dell’inizio del computo del periodo di prescrizione, ovverosia la data dell’effettuazione, da parte del correntista, della rimessa solutoria.

Un’eccezione – per tale impostazione – che si limitasse ad indicare genericamente che alcune delle rimesse, per cui il correntista agisce in ripetizione, siano state effettuate oltre dieci anni prima dell’esperimento dell’azione di ripetizione, sarebbe priva degli elementi a proprio sostegno, ovverosia proprio dell’indicazione del dies a quo dal quale risalire al computo del decorso del tempo necessario a prescrivere il diritto fatto valere dal correntista. Specularmente, per l’impostazione in esame la mera allegazione dell’inerzia del titolare non sarebbe di per sé sufficiente a far ritenere assolto l’onere di allegazione – e di definizione del thema decidendum –  da parte della banca convenuta, la quale quindi risulterebbe sul punto soccombente per non aver supportato, con sufficiente sforzo di allegazione, la propria deduzione difensiva.

La soluzione delle Sezioni Unite: la valorizzazione della distinzione tra allegazione e prova

In direzione opposta rispetto all’orientamento sopra analizzato, la Suprema Corte – con la Sentenza a Sezioni Unite in commento – ha invece aderito all’orientamento, invero minoritario fin a questo punto, il quale ammette la possibilità che l’eccezione di prescrizione dell’azione possa essere formulata in maniera generica, senza l’indicazione cioè delle rimesse e dei dies ad quem con riferimento ai quali si eccepisce l’intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione, e ciò alla luce, principalmente, di una distinzione di diritto sostanziale tra onere di allegazione e onere della prova.

Prima di approfondire la suesposta distinzione, di fondamentale importanza ai fini della composizione della questione controversa, gli Ermellini hanno ricostruito sinteticamente i rapporti tra i diversi tipi di eccezione che possono essere sollevate in giudizio e i corrispondenti diversi oneri posti a carico della parte che di tali eccezioni si vuole avvalere.

I giudici di legittimità hanno ripercorso, quindi, la nota distinzione tra eccezioni in senso lato ed eccezioni in senso stretto, bipartizione che ricalca la dicotomia tra diritto indisponibile e diritto disponibile e che permette di affermare che le prime (eccezioni in senso lato) siano rilevabili anche d’ufficio, avendo alla loro base diritti di cui la parte non può disporre, mentre che le seconde (eccezioni in senso stretto) siano eccepibili esclusivamente dalla parte che intende avvalersene, in quanto rimane una sua piena facoltà quella di scegliere, eventualmente, di non sollevarla, disponendo così del diritto – per l’appunto disponibile – che sta alla base di questo secondo tipo di eccezione.

Come è noto, l’eccezione di prescrizione rappresenta l’esempio probabilmente più emblematico della categoria delle eccezioni in senso stretto e, pertanto, è un’eccezione che può essere sollevata esclusivamente dalla parte che intenda avvalersene e, nello specifico caso in questione, dalla banca convenuta.

A questo punto, però, occorre addentrarsi nel nodo risolutivo della questione, il quale riguarda non tanto chi sia il soggetto a cui spetti sollevare l’eccezione in parola (che si è detto essere la banca convenuta) bensì quali siano i fatti costitutivi posti a base dell’eccezione che consentano di ritenerla correttamente sollevata e, pertanto, meritevole di accoglimento.

A tal proposito, sconfessando l’orientamento sostenuto dalla parte maggioritaria della giurisprudenza degli ultimi anni, la quale rigettava l’eccezione in parola muovendo dalla genericità dell’allegazione della stessa e, in sostanza, dal mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico di chiunque – ex art. 2697 c.c. – voglia far valere un diritto (in questo caso il diritto a paralizzare la pretesa di controparte, deducendo l’intervenuto decorso del periodo di prescrizione), la Suprema Corte ha affrontato ex professo un argomento fin troppo spesso sottovalutato il quale è risultato dirimente nel presente contrasto: la distinzione tra allegazione e prova.

Nel fare ciò, i Giudici hanno definito la prima – cioè l’allegazione – come l’individuazione, offerta dalla parte al giudicante, dei fatti cc.dd. principali che costituiscono la base sostanziale, gli elementi caratterizzanti, o i fatti costitutivi, della fattispecie di diritto che si fa valere in giudizio, mentre la seconda – cioè la prova – come il fatto c.d. secondario, che non caratterizza a livello sostanziale la pretesa, ma serve solo a verificarne – con ragionevole probabilità – la sua veridicità processuale, attenendo quindi al piano della corroborazione di una domanda e non, invece, alla sua qualificazione sostanziale.

Ogni fattispecie di diritto, infatti, ha i suoi fatti costitutivi sostanziali, i quali rappresentano quelle manifestazioni o modificazioni della realtà che comportano una corrispondente modificazione del mondo giuridico, che si risolve poi nel venire in esistenza o nell’estinzione del diritto fatto valere e di cui ne viene richiesto l’accertamento.

Ragionando in questi termini e muovendo da tale precisazione, nel caso in questione, l’elemento costitutivo della fattispecie di diritto fatta valere dalla banca non può estendersi fino al punto di ricomprendere l’esatta individuazione dei singoli elementi di detta fattispecie (la specifica rimessa e la data della sua effettuazione), e ciò in quanto l’unico fatto costitutivo – o elemento caratterizzante – che costituisce allegazione del fatto principale idoneo a sostenere l’eccezione di intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione è esclusivamente il comportamento di inerzia tenuto, nel corso dei dieci anni, dal titolare del diritto ad agire ex art. 2033 c.c. Solo l’inerzia del titolare del diritto azionato in via di azione costituisce, quindi, l’oggetto dell’onere di allegazione che incombe sulla banca.

Richiedere, allora, alla banca convenuta di indicare tutti gli elementi ulteriori che – secondo il precedente orientamento – costituivano elementi essenziali dell’eccezione, e senza i quali il thema decidendum non poteva dirsi completato, equivarrebbe ad onerare la stessa del compito di presentare al giudice una prova completa della propria pretesa, in un momento invece in cui la parte ha esclusivamente l’onere di allegare i fatti costitutivi della stessa e, quindi, quindi equivarrebbe ad anticipare un momento – quello della prova – che, invero, non soltanto è successivo ma che, tutt’al più, attiene al rigetto nel merito dell’eccezione, e non alla decisione circa la sua ammissibilità/inammissibilità.

Parimenti, per sostenere la non necessità dell’indicazione degli ulteriori elementi a fondamento dell’eccezione di prescrizione in esame, la Suprema Corte ha operato un parallelo con l’onere che – per costante giurisprudenza – viene richiesto al correntista/attore in questa medesima tipologia di giudizi. Al correntista, infatti, che intende far valere, seppur in via di azione, la pretesa circa la nullità di alcune clausole contrattuali ed il conseguente diritto a ripetere quanto versato a titolo solutorio (cioè di pagamento), viene richiesto solamente l’onere di allegare il fatto posto a base di tali due pretese, il quale è rappresentato dalla sola nullità delle clausole dei contratti di conto corrente affidati, rimanendo poi l’individuazione di quali pagamenti siano effettivamente privi di una causa giustificatrice subordinata al solo raggiungimento della prova in giudizio.

Se, allora, viene ritenuta ammissibile un’azione formulata in maniera così generica, con l’indicazione solo dell’assenza di giustificazione degli spostamenti di ricchezza effettuati, allo stesso modo – a detta della Corte – dovrà essere considerata ammissibile l’eccezione di intervenuta prescrizione formulata in maniera generica dalla banca, e ciò sia in virtù del generale principio di parallelismo tra le parti in giudizio, sia soprattutto in virtù delle regole sostanziali in tema di allegazione a fondamento delle pretese in giudizio.

Si precisa infatti che la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile una siffatta eccezione, non tanto perché ha ritenuto sufficiente un minore onere svolto dalle parti del processo, bensì per il fatto che un’eccezione (così come un’azione) in tal modo formulata, risulta già a livello sostanziale compiutamente sostenuta e completa sotto il profilo della completezza del proprio fatto costitutivo allegato.

L’inerzia per l’eccezione di prescrizione e la nullità delle clausole per l’azione, costituiscono infatti i fatti principali, o costitutivi, di entrambe le pretese e sono, pertanto, gli unici fatti che le parti – trattandosi di eccezioni in senso stretto – hanno l’onere di allegare in giudizio per delineare le rispettive e contrastanti pretese, definendo così il thema decidendum e rendendo le rispettive pretese, formulate come azione e come eccezione, di certo ammissibili.

L’accoglimento o il rigetto delle stesse, poi, dipenderà dal raggiungimento della prova in giudizio, la quale però, come spesso accade, e come confermato dalla stessa Cassazione nella sentenza in commento, sarà rimessa e dipenderà dalle risultanze della CTU a carattere percipiente disposta dal giudice nel giudizio, con la quale il CTU non soltanto potrà verificare il superamento dei tassi soglia e l’applicazione di commissioni di massimo scoperto in eccesso, ma anche – ed è questo che interessa –  i dies ad quem delle rimesse solutorie che, se risalenti ad oltre dieci anni prima rispetto all’introduzione dell’azione, potranno far ritenere provata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca convenuta, già – però – correttamente sorretta dall’allegazione dell’inerzia del titolare, costituente il fatto costitutivo dell’eccezione stessa.


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