Lecito il licenziamento del dipendente condannato per spaccio di stupefacenti

Lecito il licenziamento del dipendente condannato per spaccio di stupefacenti

Il comportamento extralavorativo tenuto dal dipendente, di gravità tale da eccedere gli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale, in quanto contrario alle norme dell’etica e del vivere comune e, pertanto ripugnante alla coscienza sociale, integra senza dubbio la giusta causa del licenziamento. Nel caso di specie, un impiegato di un istituto di credito veniva licenziato per giusta causa a seguito della condanna irrogatagli per detenzione e spaccio di rilevante quantità di sostanze stupefacenti del tipo marijuana (1.340,81 gr. suddivisi in due buste di plastica e da cui ricavabili n. 3.212 dosi medie, rinvenuti al momento dell’arresto, unitamente ad una bilancia da cucina recante ancora residui di sostanza e con un importo in contanti pari ad € 23.100,00).

I Giudici della Cassazione (sent. n. 24023/2016), chiamati a decidere sulla legittimità del licenziamento, hanno affermato che “il fatto, accompagnato da grande clamore mediatico, è certamente idoneo (…) alla rottura irrimediabile del vincolo fiduciario fra le parti così da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, pure in riferimento alla rilevanza pubblica dell’attività creditizia, che esige la massima affidabilità di tutti i dipendenti (ed in particolare di coloro, come il lavoratore licenziato in quanto addetto all’attività di sportello, a diretto contatto con la clientela)”.

Alla luce di un orientamento ormai consolidato della Cassazione, il concetto di giusta causa non è limitato all’inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, ma si estende anche a condotte extralavorative che, tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro, e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno possano essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti (per tutte cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17166/2016).

In particolare, anche condotte riguardanti la sfera privata del prestatore di lavoro possono risultare concretamente idonee a ledere il vincolo fiduciario allorquando abbiano un riflesso, pur soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative di un futuro e puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività.

I Giudici del Supremo Consesso hanno affermato, inoltre, che il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario (V. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 16268/2015). Tali comportamenti, inoltre, devono necessariamente essere idonei, per le concrete modalità con cui si manifestano “ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 15654/2012): in particolare, quando siano contrari alle norme dell’etica comune e del comune vivere civile” (sul punto, v. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 25380/2014).

Come ribadito nella sentenza in commento, la sussistenza della giusta causa di licenziamento deve essere accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore, sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, per la quale rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa “scuotere la fiducia del datore di lavoro e far rientrare la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza” (Per tutte cfr, Cass. Civ., Sez. Lav., n. 21017/2015).

Tali principi hanno trovato puntuale applicazione segnatamente in ipotesi di detenzione a fine di spaccio, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti come, appunto, nel caso di specie (su questo orientamento cfr., per tutte, Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17166/2016) legittimando, così, l’irrogazione del licenziamento per giusta causa.


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