L’effetto devolutivo del reclamo dinanzi alla magistratura di sorveglianza
L’effetto devolutivo del reclamo dinanzi alla magistratura di sorveglianza: confronto con l’appello ex art. 680 c.p.p. in materia di misure di sicurezza
Il sistema di impugnazioni in materia penitenziaria prevede molteplici ipotesi di competenza del magistrato di sorveglianza quale organo monocratico o del collegio, quali giudici dell’impugnazione in ordine alle diverse tipologie di provvedimento.
Il primo discrimine che si incontra nella normativa vigente, per fornire un quadro organico della disciplina in ordine all’individuazione del giudice ad quem, è costituito dall’individuazione del soggetto da cui proviene il provvedimento impugnato: così, a titolo esemplificativo, qualora il provvedimento sia stato adottato in ambito carcerario, giudice ad quem è generalmente il magistrato di sorveglianza (in materia di reclamo avverso provvedimenti applicativi di sanzioni disciplinari: reclamo giurisdizionale ex art. 69, comma 6, o.p.), mentre nel caso in cui giudice a quo sia lo stesso organo monocratico la competenza sul reclamo spetta al Tribunale di Sorveglianza (in materia di liberazione anticipata: art. 69-bis, comma 3, o.p.). Infine, nel caso in cui ad essere impugnate siano le ordinanze del Tribunale, l’unico mezzo di gravame ammesso è il ricorso per cassazione (art. 71-ter o.p.).
Ad esclusione del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti del Tribunale di Sorveglianza, che è integralmente sottoposto alla generale disciplina contenuta negli artt. 606 – 628 c.p.p.[1], il mezzo di gravame generalmente prescritto per la richiesta di riforma dei provvedimenti in materia penitenziaria è quello del reclamo, mentre residuale è la previsione del mezzo dell’appello, che il legislatore confina all’ipotesi di cui all’art. 680 c.p.p. in materia di misure di sicurezza.
In base alla disciplina generale delle impugnazioni nel processo penale, ogni mezzo di gravame produce un effetto di devoluzione della cognizione del procedimento al giudice ad quem: devoluzione che può essere totale (come nel caso del riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare personale: art. 309 c.p.p.), ovvero parziale (nel caso tipico dell’appello, per il quale il legislatore stabilisce che l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti – art. 597, c. 1, c.p.p., in diretta applicazione del generale principio contenuto all’art. 581 relativo all’indicazione dei motivi). Nel caso dei procedimenti di sorveglianza, è da stabilirsi pertanto se il reclamo giurisdizionale rientri nell’una o nell’altra categoria con riferimento all’effetto devolutivo, osservando in primo luogo la mancata introduzione di un unico mezzo di gravame nel settore, e considerando che l’aderenza all’una o all’altra tesi influenza notevolmente l’estensione della cognizione del giudice dell’impugnazione e i possibili esiti del giudizio di impugnazione.
Nella disamina, può essere utile soffermarsi dapprima sulla disciplina introdotta dall’art. 680 c.p.p. in materia di misure di sicurezza.
Il comma 1 dell’art. 680 stabilisce che avverso i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza concernenti le misure di sicurezza (prima applicazione, riesame, riesame anticipato, cessazione) e la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, è ammesso appello al Tribunale di Sorveglianza ad opera delle parti.
Il comma 2, invece, contiene una ipotesi particolare di competenza del Tribunale di Sorveglianza quale giudice d’appello: sono difatti appellabili dinanzi al collegio le sentenze di condanna o proscioglimento se impugnate ai soli fini della riforma delle disposizioni concernenti le misure di sicurezza. In tale ipotesi, in mancanza del disposto del comma 2 dell’art. 680 c.p.p., la competenza a norma dell’art. 579 sarebbe della Corte di Appello territorialmente competente: pertanto, in tal caso il Tribunale di Sorveglianza è titolare di una competenza del tutto surrogatoria rispetto a quella della Corte di Appello. Ma ad una condizione: e cioè che l’appello proposto al T.S. riguardi unicamente le disposizioni concernenti le misure di sicurezza (con la conseguenza del passaggio in giudicato degli ulteriori capi della sentenza appellata ai soli fini della misura di sicurezza). Poiché se invece tali disposizioni sono impugnate unitamente ad altre, diverse disposizioni del provvedimento, la competenza non sarà più del Tribunale di Sorveglianza ma, secondo le regole generali (art. 579, comma 1, c.p.p.) della Corte di Appello. E in tal senso la giurisprudenza di legittimità è ormai graniticamente orientata[2].
Tale doppia competenza indurrebbe a ritenere che, qualora l’appellante impugni davanti al Tribunale di Sorveglianza i capi concernenti le sole misure di sicurezza, ma al contempo impugni davanti alla Corte di Appello altri capi del provvedimento, il Tribunale di Sorveglianza sarebbe tenuto a pronunciare il difetto di competenza, individuando il giudice competente nella Corte di Appello individuata per territorio.
L’ultimo comma dell’art. 680 c.p.p. detta invece una regola derogatoria del generale effetto sospensivo prodotto dalla proposizione dell’appello, stabilendo che l’appello ex art. 680 c.p.p. non ha effetto sospensivo sul provvedimento impugnato, salvo che il tribunale disponga altrimenti[3].
Questa di cui all’art. 680 c.p.p. è l’unica ipotesi rinvenibile in cui il legislatore individua nell’appello il mezzo di impugnazione esperibile: in tutti gli altri casi individua invece il “reclamo”, la cui disciplina in rapporto alla disciplina generale delle impugnazioni è del tutto assente[4]. Anche lì dove il legislatore introduce specifici mezzi di gravame, ne enuncia le caratteristiche e gli effetti: così, il riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare personale sarà totalmente devolutivo e finanche svincolato dall’indicazione dei motivi di riesame: il comma 6 dell’art. 309 c.p.p. stabilisce plasticamente che “con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi”, non elevando pertanto l’indicazione dei motivi di riesame al rango di requisito di ammissibilità del gravame[5].
La qualificazione del reclamo giurisdizionale in materia penitenziaria come gravame ad effetto parzialmente o integralmente devolutivo produce conseguenze importanti: nel primo caso, infatti, le parti del provvedimento non richiamate dai motivi di reclamo potrebbero formare oggetto di giudicato[6] al decorrere dei termini per impugnare, fatta salva la tempestiva presentazione di motivi nuovi di reclamo ai sensi dell’art. 585, comma 4, c.p.p.
A tal proposito, vi sarebbero almeno tre motivi per ritenere che i reclami di cui si tratta si declinino come impugnazioni ad effetto parzialmente devolutivo.
Il primo limite che emerge deriva dalla regola generale per cui ogni impugnazione deve enunciare i motivi della stessa e individuare i capi o i punti del provvedimento impugnato che si sottopongono al vaglio del giudice ad quem: tale regola, enunciata dall’art. 581 c.p.p., trova applicazione in qualsiasi ipotesi, ad eccezione dei casi in cui legislatore espressamente vi deroga (è il caso del riesame ex art. 309 c.p.p.). Pertanto, in assenza di una norma particolare derogatoria dell’art. 581 c.p.p. e ferma restando la generale applicabilità delle norme che il legislatore detta per il processo di cognizione al procedimento di sorveglianza, l’indicazione dei motivi a pena di inammissibilità dovrebbe considerarsi principio da estendersi ai reclami in materia penitenziaria. E in tal senso, infatti, è orientata la Cassazione (Cass. Pen., Sez. I, sentenza del 7 giugno 1999, Arrigo; sentenza del 30 ottobre 2003, Cammarata; sentenza del 4 luglio 1998, Pianese[7]).
L’indicazione dei motivi di reclamo a pena di inammissibilità spiega ulteriormente perché il reclamo sarebbe da qualificarsi come impugnazione ad effetto parzialmente devolutivo: se il reclamo difetta dei motivi e il legislatore non specifica la facoltatività dei motivi di impugnazione, il giudice dell’impugnazione non dispone di alcun margine di cognizione. Non vi è alcun thema decidendum, perché il legislatore non consente impugnazioni “in bianco”, che si sostanzino in un generale riesame dell’attività svolta dal giudice a quo. La conseguenza procedimentale sarebbe pertanto l’inammissibilità dell’impugnazione.
In base a tale ragionamento, si può osservare un caso specifico. Avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza che parzialmente accoglie alcuni semestre richiesti ex art. 54 o.p. e parzialmente ne rigetta altri, qualora l’impugnazione fosse integralmente devolutiva il Tribunale di Sorveglianza potrebbe riformare, complessivamente, il provvedimento in peius anche per i semestri non contestati dall’appellante (qualora appellante sia il condannato e non il p.m.); o, al contrario, dinanzi ad un reclamo proposto dal pubblico ministero, al pari il Tribunale potrebbe conoscere e decidere anche dei semestri rigettati dal Magistrato di sorveglianza e non contestati dal p.m. in sede di reclamo. Il che comporterebbe un doppio, integrale grado di giurisdizione che, nell’ordinamento processualpenalistico, trova riscontro nella sola summenzionata ipotesi del riesame in materia cautelare: dove il legislatore (comma 9) espressamente stabilisce i “pieni poteri” del Tribunale del Riesame nel modificare l’ordinanza impugnata, anche per motivi diversi da quelli enunciati, nel senso della conferma o della riforma.
La tesi della natura totalmente devolutiva del reclamo non è meritevole di accoglimento per un terzo motivo (oltre alla specialità della disciplina del riesame cautelare e all’operatività dell’art. 581 c.p.p. in mancanza di norme derogatorie): qualora i reclami in materia penitenziaria devolvessero integralmente la cognizione al giudice ad quem, la competenza “di primo grado” del soggetto che ha emesso il provvedimento impugnato sarebbe surrettiziamente indebolita da tale effetto devolutivo: la presenza di due soggetti titolari di medesime competenze, oltre a non trovare riscontro nella disciplina generale delle impugnazioni in materia penale, contrasta con il principio di economia processuale. E ciò è particolarmente evidente nel caso in cui il provvedimento impugnato verta in materia non rientrante nei procedimenti camerali (come nel caso dell’ordinanza in materia di liberazione anticipata, adottata de plano dal Magistrato di sorveglianza): il legislatore difatti ha ritenuto opportuno non sottoporre tali materie, in prima istanza, al contraddittorio camerale. E in tal senso il primo grado del procedimento di sorveglianza sarebbe degradato a una mera formalità di rito.
I tre motivi enunciati – mancata previsione di una norma derogatoria dell’art. 581 c.p.p., specialità del regime del riesame cautelare ex art. 309 c.p.p. e valorizzazione dei principi di sistema in materia penitenziaria e del principio di economia processuale – condurrebbero a ritenere il reclamo in materia penitenziaria un mezzo di gravame ad effetto parzialmente devolutivo, nei limiti dei motivi di reclamo prescritti a pena di inammissibilità dello stesso.
[1] Fatta eccezione per la disciplina dell’effetto sospensivo: i provvedimenti del Tribunale di Sorveglianza contro i quali è proposto ricorso per cassazione sono esecutivi in pendenza del termine per impugnare, salvo che il Tribunale d’ufficio o su istanza del ricorrente chieda la sospensione dell’esecutività.
[2] Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 2260/2014.
[3] Facendo eco alla disciplina del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti del Tribunale di Sorveglianza.
[4] Un’ipotesi di recente introduzione del reclamo nel processo di cognizione (ad opera della l. 103/2017) è quella di cui all’art. 410-bis, che disciplina il reclamo avverso il decreto di archiviazione affetto da nullità.
[5] Laddove invece, anche in presenza di mezzi di gravame specifici come l’opposizione al decreto di archiviazione del Giudice per le Indagini Preliminari, il legislatore stabilisce perentoriamente l’ipotesi dell’inammissibilità per carenza dei motivi di opposizione (nel caso concreto coincidenti, ex art. 410, comma 1 c.p.p., con l’oggetto delle investigazioni suppletive e i correlati elementi di prova, tali da poter potenzialmente porre in discussione l’archiviazione del procedimento).
[6] Tenendo in conto che il giudicato in materia penitenziaria è un giudicato “flessibile” al pari del giudicato cautelare.
[7] M. CANEPA – S. MERLO, Manuale di diritto penitenziario. Le norme, gli organi, le modalità dell’esecuzione delle sanzioni penali, pag. 603, IX Edizione, Giuffrè Editore, 2010.
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