L’effetto devolutivo delle domande non riproposte espressamente in appello: la inammissibilità del ricorso
Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 28 marzo 2022, n. 2238
Con il ricorso in appello proposto contro l’Amministrazione civica e dei controinteressati, il ricorrente chiedeva la riforma e/o l’annullamento della sentenza di prime cure con cui il Tar adito aveva provveduto a dichiarare irricevibile il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il permesso di costruire emesso dal Comune a favore dei controinteressati.
La Sentenza in commento, resa dal Consiglio di Stato, risulta di notevole interesse alla luce della eccepita eccezione di inammissibilità del ricorso in appello in quanto parte appellante non avrebbe riproposto formalmente le domande non esaminate in primo grado ex art. 101, comma 2, c.p.a.
Il Collegio, pertanto, ha ritenuto di dovere valutare preliminarmente l’ammissibilità dell’appello proposto. Si rende, quindi, necessario valutare se, ai sensi dell’art. 101, comma 2, del c.p.a., l’appellante abbia assolto all’onere di riproposizione ovverosia se siano state espressamente riproposte nell’atto di appello le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado o se, al contrario, esse debbano intendersi rinunciate. In tale ultimo caso, l’appello sarebbe inammissibile, in quanto inidoneo ad assicurare alcuna utilità all’appellante anche laddove, in ipotesi, fossero riconosciuti come fondati i motivi dal medesimo dedotti avverso la sentenza impugnata, con riguardo alla declaratoria di irricevibilità del ricorso. L’eccezione seppur proposta dalla parte controinteressata, risulta rilevabile anche d’ufficio dal giudice ai sensi dell’art. 35, comma 1, lettera b), del c.p.a.
Secondo il Collegio, l’art. 101, comma 2, del c.p.a. costituisce un temperamento o meglio una sorta di sbarramento dell’effetto devolutivo dell’appello nel processo amministrativo, consistente nella riemersione automatica del materiale di cognizione di primo grado ed espressione della funzione rinnovatoria del gravame.
Il ragionamento logico-giuridico effettuato dal giudice dell’appello si poggia sull’utilizzo del termine “espressamente” contenuto nella citata disposizione; la norma, infatti, senza altra interpretazione, ha evidentemente inteso pretendere tale requisito, ai fini del rituale assolvimento dell’onere: la parte, per effetto del citato termine, deve espressamente specificare l’ambito della devoluzione al giudice di secondo grado, in maniera di consentire questi nelle condizioni di avere una conoscenza compiuta delle questioni, come pure alle controparti di prendere posizione sulle stesse.
Tra l’altro, la fattispecie in esame non è nuova: la giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere preclusa al giudice di appello la conoscenza –di propria iniziativa– dei motivi di ricorso di primo grado non riproposti, pena il vizio di ultrapetizione della pronunzia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 2880 del 2015; Sez. II, n. 2839 del 2020).
Conseguentemente, l’esame dei motivi di ricorso assorbiti (o, comunque, non valutati) in primo grado è consentito al giudice di appello solo se la parte appellante indichi specificamente e, quindi, espressamente, le censure che intende devolvere alla sua cognizione, proprio al fine di consentirgli una compiuta conoscenza delle relative questioni, ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 3261 del 2013; Sez. II, n. 2838 del 2020).
Risulta di tutta evidenza che un rinvio indeterminato alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contenevano, privo della precisazione del loro contenuto, è inidoneo ad introdurre nel giudizio di appello i motivi in tal modo solo genericamente richiamati e gli stessi devono intendersi rinunziati, a mente della medesima norma. (cfr. ex multis Cons. giust. amm. Sic., n. 258 del 2017; Con. St., sez. VI, n. 2044 del 2019; sez. IV, n. 572 del 2020)
Ritiene –fermamente– il Collegio che non può essere richiesto al giudice d’appello, infatti, la ricerca dei motivi di ricorso, non esaminati dal primo giudice, e che si vuole siano conosciuti nel grado d’appello: definito dal giudice di primo grado il ricorso, non può essere ammesso l’appello che si limiti ad affermare che devono intendersi “con il presente atto integralmente riversati tutti i motivi già dedotti con il ricorso di primo grado”; il mero richiamo non consente al giudice di recuperare i vizi denunciati in primo grado e non sarebbe, dunque, possibile passare ad esaminare il merito della controversia.
Tale grave profilo di inammissibilità consente al Collegio di sbarrare l’esame delle ulteriori eccezioni in rito, sollevate dall’Amministrazione resistente (cfr. Cons. St., Sez. III, n. 5643 del 2019). Nel caso di specie, la sentenza impugnata, accogliendo l’eccezione di controparte, ha dichiarato irricevibile, in quanto tardivamente proposto, il ricorso in primo grado e non ha esaminato i motivi dedotti. Il ricorso in appello, dopo avere esposto le ragioni in base alle quali avversa la declaratoria di irricevibilità della sentenza impugnata, si limita a richiamare genericamente la necessità di una pronuncia nel merito delle domande proposte dal ricorrente e non esaminate e a chiedere di conseguenza l’accoglimento, previa ammissione ed espletamento dei mezzi istruttori articolati nel ricorso introduttivo, che si abbiano per riproposti, le conclusioni formulate nel ricorso introduttivo.
Alla luce del contesto prospettato, è di tutta evidenza che il ricorso in appello non ha soddisfatto le condizioni poste dall’art. 101, comma 2, del c.p.a., e consolidate dalla giurisprudenza, in quanto si è limitato a richiamare in modo generico ed indeterminato le domande proposte in primo grado dall’odierno appellante e non esaminate.
Ne consegue, per l’effetto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso in appello, in quanto, per come proposto, risulta strutturalmente privo della riproposizione delle censure di merito avverso il provvedimento impugnato in prime cure e, dunque, ontologicamente non idoneo a veicolare una sostanziale domanda di giustizia.
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avv. Francesco Bello
Francesco Bello
Avvocato del Foro di Matera esperto in diritto amministrativo, assiste gli Enti pubblici e le imprese in relazione alle problematiche connesse al diritto amministrativo ed agli appalti pubblici in generale.
Ha conseguito il Master II Livello in Compliance e Prevenzione della Corruzione nei settori pubblico (L.n.190/2012) e privato (L.n.231/01) presso l'Università LUISS Roma ed ANAC; ha conseguito, altresì, il Master Interuniversitario II Livello in Diritto Amministrativo MIDA presso Università La Sapienza Roma