L’efficacia del decreto ristori: un’ammissione di responsabilità “prescritta”?

L’efficacia del decreto ristori: un’ammissione di responsabilità “prescritta”?

La sentenza n.3642 del 2024 della Corte di Cassazione, sez. III civile

Se si può affermare che la questione relativa ai risarcimenti dei danni derivanti dai crimini nazisti commessi nel corso della Seconda guerra mondiale sia, ad oggi, chiusa, altrettanto non può dirsi in ordine all’attuazione della soluzione adottata dallo Stato italiano con l’art.43 del D.L. 36/2022 (cd. PNRR), convertito con modifiche in L. 79/2022.

1. Come oramai noto, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza è stato istituito il cd. Fondo Ristori, volto per l’appunto a garantire un “ristoro” alle vittime dei crimini nazisti che rientrino nei parametri individuati dall’articolo suddetto. La legittimità costituzionale dello stesso, messa celermente in dubbio dal Tribunale di Roma, IV sezione civile, con l’ordinanza di rimessione del 1° dicembre 2022 n.154, è stata poi confermata dalla sorprendente -per alcuni- sentenza della Consulta (sentenza del 21 luglio 2023 n.159) che ha senz’altro chiuso un cerchio, ricomponendo la rottura che si era creata tra governo e magistratura nella materia. Infatti, erano antitetiche a quelle governative le posizioni assunte dalla magistratura italiana che ha lavorato, sin dalla celebre sentenza delle S.U. civili del 11 marzo 2004 n. 5044 ed in sinergia con la Corte costituzionale (intervenuta incisivamente con la sentenza n.238 del 2014) con l’intento di forgiare un meccanismo di tutela che lo Stato italiano non era stato in grado di garantire ai cittadini e soprattutto agli internati militari italiani, altrettanto vittime di crudeli atrocità perpetrate dai nazisti.

1.1. Stato che poi è intervenuto, con questo discusso rimedio, definito dalla Consulta un’adeguata tutela alternativa a quella conseguibile con l’esecuzione forzata nei confronti della Repubblica Federale di Germania” (Cfr. Par. 16 del Considerato in diritto della sentenza 159/2023 Corte costituzionale); tuttavia, lo ha fatto tardivamente. Infatti, per anni, lo Stato italiano ha tentato di sottrarsi all’adempimento di un vincolo internazionalmente assunto e vigente sin dal 1962: è proprio nel 14 aprile di questo anno che con d.P.R. n.1263 è stata data esecuzione all’Accordo di Bonn siglato nel 1961, relativo, tra l’altro, al regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario tra l’Italia e la Germania. Con l’art.2 dell’Accordo veniva, invero, introdotta una clausola liberatoria con la quale la Germania, fatto salvo il pagamento di 40.000 marchi, veniva sollevata da qualunque altra responsabilità derivante dall’accertamento di diritti o ragioni sorti nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. Certamente, in tal modo riconoscendo a quest’impegno una sorta di “ultrattività… a definire tutte le controversie pendenti nei confronti della Repubblica federale tedesca alla data di conclusione dell’accordo forfettario” (Colacino N., Immunità anno zero: la Germania torna a L’Aia e l’Italia corre ai… ristori, Questione giustizia, 21.06.2022, pag.6).

2. Nonostante ci si possa dilungare sugli ulteriori potenziali motivi che abbiano potuto condurre il governo italiano, in questo esatto momento storico, a mettere un punto alla questione (senza dimenticare la pendenza del procedimento instaurato dalla Germania dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia -con ricorso del 29 aprile 2022- nei confronti dell’Italia, volto ad accertare la violazione, da parte di quest’ultima, del principio dell’immunità giurisdizionale degli stati), in questa sede si vuole porre l’attenzione sui risvolti che ha avuto la vicenda in seguito alla sopra menzionata sentenza della Consulta 159/2022.

Tanti i ricorsi instaurati dalle poche vittime superstiti e dai loro eredi, per ottenere una sentenza di accertamento della responsabilità dello Stato tedesco e la determinazione del risarcimento del danno, così da potere avanzare, titolo alla mano, l’istanza di accesso al fondo di entità pari a 61 milioni di euro.

2.1. I ricorrenti, tuttavia, si trovano a dover fare i conti con l’Avvocatura dello Stato italiana che ha attuato una precisa tattica difensiva che vede sollevare ritualmente, tra le altre eccezioni, l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

Ebbene, è fondata questa eccezione? Cosa ne resta allora della imprescrittibilità dei crimini di guerra?

Premesso che in materia l’art.43 comma 6 del D.l. 32 del 2022 ha disposto che  “Fatta salva la decorrenza degli ordinari termini di prescrizione,  azioni di accertamento e liquidazione dei danni di cui al comma 1 non ancora iniziate alla data di entrata in vigore del presente decreto sono esercitate, a pena di decadenza, entro centottanta giorni dalla medesima data”, a questi quesiti risponde puntualmente la Suprema Corte di Cassazione, III sezione civile, con la recente sentenza del 9 febbraio 2024 n. 3642.

2.2. Gli ermellini approfittano di questa sede per ripercorrere le main stages di questa annosa vicenda, per poi soffermarsi sui vari motivi di ricorso proposto dagli eredi di un cittadino italiano, deportato e costretto ai lavori forzati in condizione di schiavitù tra il 1943 ed il 1945, che aveva convenuto nel 2006 la Repubblica Federale di Germania per ottenere la condanna al risarcimento dei danni.

La sentenza oggetto di impugnazione è figlia della Corte d’appello fiorentina che aveva escluso la possibilità di applicare a siffatti crimini l’imprescrittibilità prevista dalla Convenzione ONU del 26 novembre 1968, sulla scorta del dato temporale, che la vede introdotta nel quadro giuridico internazionale in un tempo successivo al tempus commissi delicti. Gioca, in questa ricostruzione, un ruolo determinante il principio di irretroattività della norma penale previsto dall’art.25 comma secondo della Costituzione italiana che osterebbe l’applicazione retroattiva del suddetto principio di natura convenzionale ai fatti dai quali nascono queste pretese risarcitorie. Nonostante, infatti, queste ultime siano avanzate su di un piano civilistico, esse sorgono da fatto illecito che integra gli estremi di un reato e che, dunque, in virtù dell’art.2947, comma terzo del Codice civile comporta che i diritti da esso nascenti siano soggetti al medesimo termine di prescrizione previsto per il reato (se più lungo rispetto al termine dell’azione civile fissato dal comma primo a cinque anni). A riconferma di ciò, si sottolinea che l’art.600 del nostro Codice penale, che introduce la fattispecie di riduzione in schiavitù, non sancisce un’imprescrittibilità e prevede piuttosto un termine di prescrizione di quindici anni. Alla luce di queste argomentazioni, la Corte territoriale aveva dunque statuito l’intervenuta prescrizione del diritto azionato.

Questo è quanto viene sostenuto, tra l’altro, in sede di controricorso, dall’Avvocatura dello Stato, ma non accolto dal giudice di legittimità che ha precisato come il principio d’irretroattività sancito all’art.25, secondo comma, della Costituzione si riferisca esclusivamente alla sanzionabilità penale; “in altri termini, ai fini civili, il disposto dell’art.2947, terzo comma, cod. civ., permette un accertamento incidentale della responsabilità penale astrattamente intesa, senza quindi che possa venire in gioco il limite costituzionale richiamato, non potendosi statuire alcuna pronuncia di condanna penale personale” (par. 3 della sentenza in commento). Né, tantomeno, il principio della norma più favorevole opera agli effetti civilistici.

2.3. Dunque, seppur è vero che, come premesso, l’art.43, comma 6, D.L. 36 del 2022, fa salva la decorrenza degli ordinari termini di prescrizione, la Suprema Corte scioglie la questione a favore dei ricorrenti focalizzandosi sul dies a quo di questo termine. Infatti, afferma la Corte, lo stesso non può che decorrere dal momento in cui il diritto de quo è divenuto azionabile; circostanza realizzatasi soltanto in conseguenza della sentenza di legittimità n.5044 del 2004 che, escludendo l’applicabilità del principio dell’immunità giurisdizionale degli stati agli atti iure imperii perpetrati dalla Repubblica federale tedesca in violazione di diritti umani internazionalmente riconosciuti e tutelati, ha affermato per la prima volta, in riferimento a queste controversie, la sussistenza della giurisdizione dei giudici italiani.

Sembra essere schermato questo tentativo di rendere la tutela istituita dallo Stato nella pratica priva di effettività; è chiaro, infatti, che laddove fosse stata accolta la prospettiva mossa dall’Avvocatura dello Stato nonché fatta propria in secondo grado di giudizio dalla Corte fiorentina, sarebbe risultata vana l’efficacia concreta della misura riparatoria introdotta dal governo, perché nessuno avrebbe più potuto vantare un diritto azionabile e tutelabile pienamente.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Alice Leanza

Praticante avvocato - Tirocinante presso la Corte d'appello di Catania

Articoli inerenti