Legalità algoritmica e decisioni automatizzate

Legalità algoritmica e decisioni automatizzate

Il rapporto amministrativo tra privato e Pubblica Amministrazione è in continua evoluzione, l’esercizio del potere ne permette la qualificazione in termini pubblicistici. Nell’alveo delle molteplici modalità d’esercizio del potere, la presenza di procedure automatizzate e decisioni risultato di algoritmi matematici, acquisiscono sempre maggior rilevanza. Occorre vagliare la legittimità di tali strumenti informatici alla luce della disciplina vigente e dei principi fondamentali che regolano l’azione amministrativa, valutando la possibilità di un esercizio automatico del potere.

Parte della dottrina ritiene inammissibile il riferimento esplicito al concetto di decisione algoritmica, non sostenendo in alcun modo la rimessione del procedimento decisionale a macchine. Non mancano pronunce giurisprudenziali [1] conformi a questo primo orientamento, manifestatamente contrario all’utilizzo di strumenti informatici nell’ambito di procedimenti amministrativi, sottolineando il ruolo essenziale del funzionario nelle procedure decisionali.

La legge 241/1990 non contempla la presenza di procedure automatizzate, al contrario dalle norme emerge con evidenza la necessaria presenza dell’uomo e di relazioni interpersonali. L’utilizzo di macchine e algoritmi striderebbe con la designazione del responsabile del procedimento, figura necessaria per identificare la Pubblica Amministrazione in una persona fisica, ed evitare il fenomeno della spersonalizzazione.

Tuttavia l’art 3-bis della l. 241/1990 opera un riferimento a strumenti informatici, considerandoli utili ad agevolare e rendere più celere l’attività umana nelle singole Amministrazioni, strumenti che possono coadiuvare ma non sostituire l’opera umana. Alla luce delle considerazioni effettuate, procedure automatizzate seppur tendenti alla perfezione, non potranno mai sostituire l’attività cognitiva che solo l’istruttoria di un funzionario fisico può garantire.

È pacifico, come in un primo momento ci fossero notevoli resistenze rispetto all’utilizzo di algoritmi e strumenti digitali nel procedimento amministrativo, considerati non sostitutivi dell’attività umana. In realtà l’utilizzo di strumenti informatici è da tempo presente nella prassi amministrativa, d’altronde l’art 12 l. 241/1990 è il fondamento normativo delle cosiddette “procedure a sportello”, caratterizzate da istanze omogenee e ingenti quantità di dati d’analizzare.

A distanza di poco tempo c’è stata una notevole apertura all’utilizzo di algoritmi e strumenti informatici in procedure amministrative vincolate, in cui la Pubblica Amministrazione non ha margini di discrezionalità. In presenza di procedure standardizzate, caratterizzate da serialità e dati oggettivi, la giurisprudenza[2] ha ammesso l’uso di elaboratori elettronici, elencando i vantaggi che ne conseguirebbero. Per cui non è da escludere in modo assoluto l’utilizzo di algoritmi che consentano di giungere alla decisione finale, ma al contrario, in assenza di discrezionalità ne va incentivato l’utilizzo. Gli strumenti informatici consentirebbero di ridurre i tempi dei procedimenti amministrativi, eviterebbero comportamenti caratterizzati da negligenza o inerzia delle persone fisiche, incrementando contestualmente le garanzie d’imparzialità. L’operato di elaboratori elettronici in procedure standardizzate è pienamente conforme ai principi d’economicità ed efficienza dell’azione amministrativa espressi nell’art. 1 della l. 241/1990, tali principi rappresentano i corollari del buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.).

Tuttavia, l’utilizzo dell’algoritmo, secondo la giurisprudenza doveva essere limitato a procedure in cui la Pubblica Amministrazione non aveva margini di discrezionalità nell’esercizio del potere.

Di recente il Consiglio di Stato VI sez. con la sentenza n. 8472/2019 ha superato le ritrosie in relazione all’utilizzo dell’algoritmo, e considerando il paradigma normativo del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali, ha formulato un elenco di regole riguardanti lo strumento informatico. Le regole individuate dalla sesta sezione possono essere definite come i parametri della legalità algoritmica; preliminarmente è necessario garantire trasparenza, ovvero l’acceso al funzionamento dello strumento.

L’algoritmo essendo composto da regole tecniche necessità di una conversione in regole giuridiche, cosicché il cittadino possa comprendere la logica sottesa alla decisione. La trasparenza deve essere considerata in tutti i suoi aspetti, non riducendosi ad un’astratta comprensibilità, ma al contrario rendendo chiaro il concreto operato dell’algoritmo. L’autore dello strumento non potrà invocare la riservatezza della sua creazione, perché mettendolo a disposizione della Pubblica Amministrazione ne ha accettato anche le conseguenze in termini di trasparenza.

Conformemente alla disciplina vigente non sarebbe ammissibile una procedura totalmente automatica, seguita dall’eliminazione della presenza umana. La persona fisica è necessaria per controllare il corretto funzionamento dell’elaboratore informatico. In tal modo si eviterebbe la spersonalizzazione della Pubblica Amministrazione, rispettando la disciplina vigente che considera essenziale la presenza umana, per modificare, smentire o convalidare la decisione automatica.

L’ultima regola elaborata dal Consiglio di Stato riguarda la non discriminazione dell’algoritmo, il cui utilizzo deve avvenire in modo ragionevole per evitare effetti discriminatori. Deve essere sempre possibile sottoporre la decisione al sindacato del giudice, in alcuni casi può essere necessario modificare gli input della procedura.

L’ultimo approdo della giurisprudenza[3] estende l’utilizzo dell’algoritmo anche a procedure caratterizzate da discrezionalità, superando il limite dell’attività vincolata. In entrambi i casi l’amministrazione deve perseguire l’interesse pubblico, nell’attività vincolata sicuramente l’utilizzo di strumenti informatici è più semplice, tuttavia in presenza di discrezionalità l’utilizzo dell’algoritmo potrà parimenti perseguire l’interesse pubblico, non essendo più sostenibile una distinzione tra due attività caratterizzate dal medesimo fine.

Seppur in un primo momento le argomentazioni contrarie all’utilizzo dell’algoritmo apparivano condivisibili, in seguito all’elaborazione di regole giurisprudenziale c’è stata una notevole apertura all’utilizzo di tali strumenti, ritenuti compatibili con i principi generali della materia. Resta tuttavia indiscutibile l’insostituibilità della presenza umana per evitare una totale spersonalizzazione della Pubblica Amministrazione. Tale forma d’esercizio del potere incide inevitabilmente sul rapporto amministrativo, stimolando un’evoluzione delle sue caratteristiche giuridiche, di cui solo il tempo chiarirà gli effetti.

 

 

 


[1] T.a.r. Lazio, sez. III bis, 13 settembre 2019, n. 10964
[2] Cons. di Stato sez. VI, n. 2270 del 2019
[3] Cons. Stato Sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881

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Pasquale Barile

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