Legge Cirinnà: il paradosso di un diritto riconosciuto ma non attuabile
Con la Legge 76/2016, entrata in vigore il 5 Giugno senza che siano stati ancora emessi, ad oggi, i Decreti Attuativi necessari per la sua applicazione, viene introdotta in Italia la possibilità di regolare le unioni tra persone dello stesso sesso e tra persone eterosessuali che convivono stabilmente per ragioni di affettività.
Andiamo sinteticamente ad analizzare la disciplina e le differenze delle UNIONI CIVILI e delle CONVIVENZE DI FATTO.
UNIONE CIVILE: L’unione civile tra persone dello stesso sesso maggiorenni è una nuova “formazione sociale” che si realizza con una dichiarazione di fronte all’Ufficiale di Stato Civile con due testimoni scelti dalle parti. A differenza del matrimonio tra etero non ci saranno formule particolari nè pubblicazioni da fare. L’Ufficiale di Stato Civile compilerà e registrerà un modulo contenente i dati anagrafici, il regime patrimoniale e la residenza delle parti. I partner acquistano gli stessi diritti ed assumono gli stessi doveri: il diritto al TFR, alla reversibilità, all’eredità ed ai permessi per morte e malattia oltre che al mantenimento, avranno l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione ed entrambi saranno tenuti a contribuire ai bisogni comuni, in base alle proprie possibilità, concorderanno l’indirizzo della vita familiare e la residenza comune. In assenza di indicazioni diverse, si applica la comunione dei beni. Tale disciplina si è sviluppata sulla falsariga di quanto previsto per le coppie etero sposate, con differenze che emergono in riferimento allo scioglimento dell’unione civile: basterà infatti una comunicazione anche da parte di uno solo dei due partner all’Ufficiale di Stato Civile e, trascorsi tre mesi, si potrà chiedere il divorzio in Tribunale, in uno Studio Legale con la negoziazione assistita o con un accordo sottoscritto davanti all’Ufficiale di Stato Civile, con il diritto del partner più “debole” agli alimenti e all’assegnazione della casa. Tra le cause di scioglimento dell’unione civile non figura la mancata consumazione del rapporto.
CONVIVENZE DI FATTO: La convivenza è il legame, non giuridico ma affettivo, che si manifesta tra coppie etero e omosessuali maggiorenni non legate da parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile. Uno dei due conviventi deve presentare il modello di dichiarazione di residenza all’ufficio anagrafico del Comune dove si intende fissare la propria residenza, specificando che si tratta di «Convivenza per vincoli affettivi». I conviventi assumono solo alcuni dei diritti e doveri delle coppie etero sposate o unite civilmente, ad esempio: l’assistenza ospedaliera, penitenziaria e gli alimenti a fine convivenza. Nel caso in cui il proprietario della casa di comune residenza dovesse morire il convivente avrebbe diritto a continuare ad abitare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore ai due anni e comunque non oltre i cinque anni; se l’intestatario del contratto di affitto della casa di comune residenza dovesse morire o dovesse recedere, il convivente di fatto può subentrare nel contratto. I conviventi possono decidere di regolare i loro rapporti patrimoniali con un “contratto di convivenza” predisposto con l’assistenza di un professionista (Avvocato o Notaio). La convivenza si risolve per morte, matrimonio, per accordo delle parti o per volontà unilaterale.
Come anticipato in premessa, seppur la legge è ormai in vigore dal 5 Giugno, mancano i Decreti Ministeriali che dovrebbero contenere le procedure concrete da seguire al fine di “celebrare” e rendere valide giuridicamente tali unioni.
In mancanza di tali decreti i Comuni si trovano allo sbando dinanzi alle richieste dei cittadini: si invitano le coppie a pazientare, in quanto ci si potrebbe trovare a formare un accordo che potrebbe non avere i requisiti richiesti ed essere soggetto a nullità successiva.
E’ senz’altro una situazione paradossale l’esistenza di una legge che attribuisce un diritto ma non ne consacra le modalità applicative.
La cosa bizzarra è che l’art. 35 comma 2 della Legge Cirinnà prevede l’immediata entrata in vigore della legge a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 5 Giugno: pertanto la coppia potrebbe già recarsi innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile, al fine di pretendere di celebrare la propria unione, senza un iter chiaro ed uniforme, ingenerando una pericolosa autonomia istituzionale dei Comuni con l’evidente rischio di procedere a formalizzare unioni con vizi che potrebbero portare all’annullamento dell’unione da parte del Prefetto.
Cosa dovrebbero disciplinare tali famosi decreti attuativi?
– La procedura
Non è ancora del tutto chiaro l’iter per formalizzare l’unione nè i moduli da usare.
– Cognome
Invero la Legge Cirinnà non stabilisce come attribuire un cognome comune alla coppia nè tantomeno nulla aggiunge al tipo di dichiarazione da fare all’Ufficiale di Stato Civile.
–Registri ad hoc
Non esistono direttive su come organizzare i registri anagrafici relativi alle convivenze di fatto nè tantomeno i moduli da usare.
–I contratti di convivenza
Una recente circolare del Ministero dell’Interno, la numero 7 del 1 Giugno, stabilisce solo che tali contratti redatti da notaio o avvocato servono a regolare i rapporti patrimoniali della coppia e devono essere trasmessi dal professionista al Comune di residenza entro 10 giorni per la registrazione, da effettuarsi sia nella scheda dello stato di famiglia che nella scheda anagrafica personale.
– Coppie già sposate all’estero
Non è stabilito come si possa regolarizzare in Italia tale unione.
–Obbligo di celebrazione dell’Ufficiale di Stato Civile: obiezione di coscienza o omissione di atti di ufficio?
Non è ancora chiaro se il Sindaco, o chi per esso, possa rifiutare la celebrazione dell’unione laddove ciò contrasti con il proprio sentimento morale. Il tenore della norma sembra orientare verso un obbligo di celebrazione sanzionabile con il reato di omissione di atti di ufficio, staremo a vedere cosa accadrà.
Nel frattempo gli Uffici Comunali vengono tempestati di chiamate (a Bologna già una ventina mentre a Trento una decina di prenotazioni) in attesa dei famosi decreti attuativi, nel frattempo il diritto esiste ma non si sa come applicarlo.
Il 5 Luglio, ovvero 30 giorni dopo l’entrata in vigore della Legge, sono scaduti i termini per l’emissione di un decreto “ponte” che avrebbe dovuto regolamentare transitoriamente l’applicazione della legge in attesa dei decreti attuativi definitivi da emanarsi entro 6 mesi.
Si nega un diritto che la legge riconosce per mancanza di una regolamentazione secondaria ma fondamentale.
Cosa potrebbe accadere se in una coppia, dove uno dei due è un malato terminale, quest’ultimo dovesse morire prima dell’emanazione dei decreti? Chi risarcirebbe per il diritto previsto ma negato?
Il Decreto “ponte” è dall’otto Luglio al vaglio del Consiglio di Stato che entro 30 giorni dovrà passarlo alla Corte dei Conti ed infine girarlo al Presidente del Consiglio per l’emanazione definitiva: con tale decreto saranno stabilite le direttive e la modulistica da trasmettere agli Uffici Comunali per far decollare la Legge.
Avv. Domenico Libero FASANO
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Avvocato di Sessa Aurunca (Ce), iscritto all'Albo degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere con abilitazione al Gratuito Patrocinio.
Conciliatore Professionista presso ADR Ordine Avvocati di Santa Maria Capua Vetere.
Docente in materie giuridiche presso Scuole di Formazione Professionale
Collaboratore redazione di Salvis Juribus.
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