Legittimari: azioni a tutela della quota di legittima
Introduzione. Al verificarsi del decesso di un individuo, l’ordinamento si preoccupa di stabilire chi saranno coloro che, per il tempo che verrà dopo la sua morte, subentreranno nelle sue situazioni attive e passive. Si tratta della cd categoria dei cd successibili, presa in considerazione dall’art. 565 c.c. e, quindi, il coniuge, gli ascendenti, i collaterali, altri parenti e, infine, lo Stato. Il meccanismo attraverso il quale i soggetti legittimati a succedere nella titolarità dei beni del defunto entrano effettivamente nel dominio di quanto accumulato dalla persona nel corso della sua vita viene individuato sotto il nomen di successione legittima.
Se, quindi, già è stabilito chi sono i successibili, è anche vero che viene lasciato all’individuo il potere di derogare alle regole vigenti in materia di successione legittima, consentendogli di individuare liberamente chi saranno i suoi successori. A tal fine, è possibile provvedere per mezzo del testamento, ossia di un negozio giuridico mortis causa attraverso il quale disporre, per il tempo che verrà dopo la propria morte, delle proprie sostanze. In questo modo, le disposizioni testamentarie individueranno coloro che subentreranno nel patrimonio del defunto, con possibile esclusione, totale o parziale dei successori legittimi, ossia di coloro che la legge, si diceva, individua come soggetti che succedono al de cuius.
Successione necessaria. Si è detto, quindi, della successione legittima e della successione testamentaria. Due modalità di successione che possono anche coesistere e che, tuttavia, non vanno confuse con il fenomeno della successione necessaria. Anche se questa distinzione appare opportuna ai fini della disamina dei meccanismi che operano con riferimento alla successione necessaria, la stessa non viene considerata come un tertium genus, posto che la legge stabilisce che l’eredità si devolve per legge o per testamento, con conseguente possibilità di ricondurla entro i ranghi della successione ex lege, unitamente alla successione legittima. Ciò premesso, occorre procedere con una breve premessa. Si è detto che l’ordinamento lascia la possibilità di decidere in merito alla destinazione dei propri beni attraverso testamento. Tuttavia, se da una parte acconsente a simili forme di disposizione, si preoccupa anche di impedire che la volontà del de cuius possa rendere pregiudizio ad una certa categoria di soggetti: i legittimari. Si tratta di alcuni soggetti che, individuati dal codice all’art. 536 c.c. e quindi il coniuge, i figli o, in assenza di quelli, gli ascendenti, devono poter subentrare, secondo le quote stabilite dalla legge in via astratta, nelle sostanze defunto, quand’anche questi abbia provveduto ad escluderli mediante testamento od anche attraverso donazioni fatte in vita.
Accertamento della lesione della legittima. Per stabilire se a fronte di disposizioni testamentarie (nonché di eventuali donazioni fatte in vita dal donante) sia derivato pregiudizio per il legittimario, non basta individuare quale sia la quota di legittima stabilita dalla legge, posto che la stessa va in concreto definita tenendo conto dei beni del defunto al momento dell’apertura della successione. Per questo motivo, occorre provvedere con una specifica operazione: va osservato, però, che detta operazione, fissata dall’art. 556 c.c., non fa riferimento alla quota di legittima, proponendosi, piuttosto, di individuare la quota di patrimonio di cui il de cuius poteva disporre mediante disposizione testamentaria. E’ chiaro, però, che in tal modo, oltre a stabilire quale sia la quota disponibile si ottiene anche l’ammontare concreto della quota di legittima. A tal fine si procede, in primis, con l’individuazione del valore dei beni di cui il de cuius era titolare al momento in cui fu aperta la successione (ricavando così quello che, generalmente, viene definito relictum). Dopodiché occorre detrarre dal relictum eventuali debiti da esso contratti e, quindi, tanto quelli assunti in vita quanto quelli nati al momento della morte e per effetto di essa (relictum meno debiti). Infine, occorre tenere conto della somma del valore di tutti i beni che furono eventualmente donati in vita.
Azione di riduzione. Pertanto, ecco che di fronte a disposizioni testamentarie (e/o ad eventuali donazioni) che impediscano ai legittimari di conseguire quel valore che la quota di legittima rappresenta, l’ordinamento predispone uno strumento processuale diretto a sanare la lesione del diritto a quelle quote. Si tratta dell’azione di riduzione, ossia di un’azione prevista e disciplinata dall’art. 564 c.c.
Incominciamo con il dire che l’azione in parola può essere esperita solo entro un certo lasso di tempo, posto che essa è soggetta al termine di prescrizione decennale e che il dies a quo di detto termine incomincia a decorrere, nel caso in cui la lesione derivi da disposizioni testamentarie, dal momento in cui venne accettata l’eredità da parte del beneficiario e, nel caso di donazioni, dall’apertura della successione. Legittimati ad esperire questa azione sono, ovviamente, i legittimari, nonché i loro eredi, che alla morte dei primi succederanno nel diritto ad esperire l’azione (una simile ipotesi può venire in rilievo solo ove il legittimario sia deceduto senza aver prima rinunciato al diritto all’azione) e aventi causa.
Si tratta di azione personale e non reale, posto che la stessa va proposta nei confronti di coloro che hanno beneficiato delle disposizioni lesive della quota di legittima, a prescindere, dunque, da chi siano coloro che effettivamente sono nella disponibilità dei beni attribuiti.
Si osservi, poi, che l’art. 564 c.c. fissa, come condizione necessaria per promuovere l’azione, che il legittimario abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario. Va subito precisato che una simile condizione opera con esclusivo riferimento a quei casi in cui il legittimario abbia potuto accettare l’eredità del de cuius e, quindi, con esclusione dei casi in cui lo stesso sia risultato pretermesso. Infatti l’accettazione con beneficio d’inventario ex art. 490 c.c. viene in rilievo allorquando colui che intende accettare l’eredità vuole tenere distinto il patrimonio ereditato da quello proprio, affinché i debitori del de cuius possano soddisfarsi esclusivamente sul primo: pertanto il beneficio d’inventario è possibile solo nei casi in cui la successione postuli la previa accettazione.
L’effetto della sentenza che accoglie la domanda di riduzione e che, quindi, accerta la lesione della legittima ha come effetto quello di determinare l’inefficacia dell’atto nei confronti di colui che ha agito in riduzione. Va osservato che l’azione, determinando l’ inefficacia della disposizione nella misura in cui lede la quota di legittima, apre le porte a quella che può essere definita come una “vocazione necessaria”. E’ la vocazione necessaria che determina l’acquisto, da parte del legittimario, di una quota sui beni attribuiti al beneficiario della disposizione lesiva: su di essi viene a crearsi una situazione di comunione tra il beneficiario della disposizione lesiva ed il legittimario.
Si ricordi, poi, che l’art. 558, comma 2 c.c., stabilisce un ordine per le riduzioni, in modo tale che la riduzione delle disposizioni testamentarie dovrà avere luogo in via proporzionale (salvo che, in virtù di quanto stabilito dall’art. 558, comma 2 c.c., il testatore abbia già stabilito che una data disposizione possa essere ridotta solo dopo che siano state ridotte tutte le altre) e, solo in secondo luogo, ove detta riduzione non sia sufficiente (od anche in assenza di disposizioni testamentarie) la riduzione delle eventuali donazioni effettuate in vita (incominciando da quella più recente).
Alcuni esempi possono far comprendere meglio la portata del meccanismo di cui si discorre. Si ipotizzi che alla morte di un Tizio, il patrimonio dello stesso abbia un valore di 1000 e che questi lasci un solo figlio, Caio, che risulti essere l’unico suo legittimario. Ciononostante, immaginiamo che Tizio abbia lasciato tutti i suoi beni (dal valore di 1000) a Sempronio, suo amico di sempre. Caio, ritenendo di esser stato leso nella propria quota di legittima apprende che la quota che la legge (art. 537 c.c.) riconosce all’unico figlio del defunto ammonta a metà del patrimonio dei beni che quello lascia al momento della morte. Pertanto Caio decide di agire nei confronti di Sempronio con azione di riduzione, citandolo in giudizio. A seguito della proposizione dell’azione, il giudice, accertata la lesione della quota di Caio, dichiara inefficace nei suoi confronti la disposizione a favore di Sempronio nella parte in cui lede il legittimario. A quel punto, posto che la disposizione a favore di Sempronio aveva ad oggetto beni per il valore di 1000, la stessa andrà ridotta in modo tale che Caio possa subentrare nella titolarità del 50 % di quei beni.
Diversa sarebbe la soluzione della vicenda ove si ipotizzasse che Tizio abbia lasciato un patrimonio dal valore di 1000, di cui metà a Caio e metà a Sempronio. In quel caso, posto che la quota di legittima spettante a Caio è pari alla metà dei beni che Tizio lascia alla sua morte, non potrà ritenersi in alcun modo leso dalle disposizioni del padre. In quel caso, infatti, sarà rispettata la quota, che l’art. 537 c.c. determina a favore dell’unico figlio per un valore pari alla metà del patrimonio del defunto.
Si è detto che l’azione di riduzione può colpire le disposizioni del defunto secondo un certo ordine: devono prima essere ridotte le disposizioni testamentarie e, solo in caso di assenza di esse o in caso di incapienza, le donazioni eventualmente fatte in vita. Si ipotizzi dunque che Tizio, il cui patrimonio al momento della morte ammonta a 1000, abbia lasciato questi beni a Sempronio. Non solo. Si immagini che tizio abbia anche disposto in vita con donazioni dal valore di 500 a favore di Mevio. In tal caso, ai fini della valutazione della lesione della legittima occorrerà procedere con quell’operazione di cui si diceva sopra: sommare il valore dei beni che risultano al momento della morte al valore delle donazioni fatte in vita (1000 + 400). In tal caso, la quota spettante a Caio sarà la metà di 1400 e quindi 700. In tal caso, Caio agirà nei confronti di Sempronio per ottenere il valore della propria quota, commisurato in 700. pertanto, essendo soddisfatta la sua quota, non potrà agire nei confronti del donatario Mevio, posto che, come già visto, l’unico modo per poter ottenere la riduzione delle donazioni fatte in vita risiede nell’impossibilità di soddisfare la propria quota per mezzo della riduzione delle disposizioni testamentarie.
Azione di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti. A questo punto occorre chiedersi se vi siano o meno strumenti che l’ordinamento offre al fine di colpire beni che, usciti dal patrimonio del de cuius attraverso disposizioni testamentarie (od anche quando questi era ancora in vita, tramite donazioni) siano stati successivamente alienati a terzi. Ci si riferisce, quindi, al fenomeno che vede un certo soggetto aver disposto o donato un determinato bene ad un altro soggetto, il quale a sua volta provvede ad alienare quel bene ad un terzo. Alla domanda può esser data risposta positiva, posto che l’art. 563 c.c. stabilisce che “se i donatari contro i quali è stata pronunziata riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa l’escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell’ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili“. Prima ancora di definire il contenuto della norma va osservato come, sotto il profilo letterale, la stessa sembri riferire la possibilità di conseguire la restituzione dei beni nei confronti dei soli aventi causa del donatario (Tizio dona a Caio. Caio vende a Sempronio), con esclusione degli aventi causa dei beneficiari di disposizioni testamentarie (Tizio fa disposizione testamentaria a favore di Caio. Caio vende a Sempronio). In realtà, nonostante l’esclusione tacita operata dalla norma, la stessa viene ritenuta applicabile, da parte della dottrina, anche a coloro che abbiano acquistato i beni da parte di quanti conseguirono il bene per mezzo del testamento.
Va osservato che l’azione in parola potrà essere esperita nei confronti di coloro in favore dei quali i beni siano stati alienati ad una condizione: impossibilità di realizzare il tandundem del bene alienato da parte del beneficiario delle disposizioni lesive della legittima. Infatti, il legittimario, vittorioso con azione di riduzione, ha l’onere provvedere alla preventiva escussione dei beni del beneficiario della disposizione e, solo in caso di infruttuosa escussione, esperire azione di restituzione nei confronti del terzo. Pertanto, è chiaro che l’esperimento della preventiva e, poi, infruttuosa escussione si pone come condizione di procedibilità per la successiva azione di restituzione nei confronti dell’avente causa del beneficiario.
Va osservato che l’ordinamento fissa una previsione a favore di colui contro il quale l’azione è esperita (ossia colui che vanta la proprietà del bene al momento in cui è promossa azione di restituzione). Si tratta dell’art. 563, comma 3 c.c., il quale stabilisce che “il terzo acquirente che subisce l’azione di restituzione ha la facoltà di liberarsi dall’obbligo di restituzione in natura del bene pagando l’equivalente in denaro“.
E’ chiaro che il riconoscimento del meccanismo cui da vita l’azione di restituzione finisce col mettere a rischio la circolazione dei beni e a indurre gli acquirenti a privarsi dell’acquisto desiderato: si pensi a colui che, dopo aver maturato l’idea di acquistare un immobile, apprende la provenienza del bene (che cioè, proviene da una donazione): la possibilità di esporsi all’azione di restituzione intentata dal titolare della quota di legittima, può portare a desistere dall’effettuare l’acquisto. Per questa ragione, il legislatore fissa un limite temporale alla possibilità di proporre azione di restituzione e, cioè, di venti anni. Detto termine, se da una parte favorisce la posizione di colui al quale il bene è stato attribuito, dall’altra mette a rischio la posizione dei futuri legittimari, posto che la morte del de cuius potrebbe intervenire anche dopo il decorso del termine ventennale, con conseguente pregiudizio della quota di legittima. Ed è per questo motivo che il codice riconosce al coniuge ed ai parenti in linea retta del donante di procedere con un atto di opposizione nei confronti del donatario, avente l’effetto di sospendere il decorso del termine ventennale.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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