Legittimario e tutela dei terzi

Legittimario e tutela dei terzi

La disciplina di riferimento della successione necessaria è contenuta nel Capo X delle disposizioni generali sulle successioni.

Nonostante l’impiego di un’etichetta normativa autonoma, si deve escludere che la successione necessaria costituisca un tertium genus rispetto alle altre due tipologie di successione, ovvero la successione legittima e quella testamentaria.

Secondo quanto ritenuto dall’interpretazione prevalente, infatti, la stessa costituisce un limite alle medesime nell’eventualità in cui alla successione concorrano dei parenti legittimari, e non invece una fattispecie dotata di un autonomo statuto.

A differenza di quanto in precedenza affermato, attualmente si esclude che il legittimario possa essere considerato erede qualora sia stato escluso in toto dalla successione testamentaria; in questa ipotesi, infatti, egli non potrà essere qualificato né in termini di erede testamentario, in quanto non ricompreso nella successione, né in termini di erede legittimo, non trovando applicazione la successione ab intestato.

Come specificato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, il legittimario totalmente pretermesso non acquista, per il solo fatto dell’apertura della successione e quindi della morte del de cuius, la qualità di erede, né tantomeno la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo acquistare i suoi diritti solo a seguito del vittorioso esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento.

Il legittimario potrà quindi acquisire lo status di erede solo nel caso in cui sia stato effettivamente chiamato all’eredità per legge o per testamento, non essendo a tal fine sufficiente il fatto di concorrere alla successione necessaria del defunto, ovvero di essere destinatario per legge di una quota del patrimonio ereditario.

Ciò premesso, nell’eventualità in cui il legittimario sia stato escluso dalla successione ovvero abbia ricevuto meno di quanto gli sarebbe per legge spettato, rimanendo dunque leso nella propria quota di legittima, emerge la necessità di predisporre rimedi adeguati a garantirne la tutela.

Il principale strumento previsto dall’ordinamento in funzione della salvaguardia del legittimario leso o pretermesso è l’azione di riduzione, la quale è finalizzata a consentire la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni eccedenti la quota disponibile, in modo tale da reintegrare la quota riservata dalla legge al legittimario.

Nonostante la sussistenza di una lesione alla propria sfera giudico/patrimoniale derivante dalla condotta del de cuius, ovvero dalle disposizioni testamentarie o dalle donazioni dallo stesso poste in essere in violazione della quota disponibile, il legittimario potrebbe tuttavia rimanere completamente inerte, omettendo cioè di esercitare l’azione di riduzione e dunque di procedere alla reintegrazione del proprio patrimonio, finendo così per cagionare un danno al terzo suo creditore o avente causa.

La principale garanzia sulla quale il soggetto attivo di un rapporto obbligatorio può fondare la propria pretesa creditoria è costituita dal patrimonio del debitore, il quale, come previsto dall’art. 2740 c.c., risponde dell’adempimento delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Detto questo, visto che l’art. 557, comma 1, c.c. annovera tra i soggetti legittimati all’esercizio dell’azione di riduzione, oltre al legittimario, anche i suoi eredi o aventi causa, occorre chiedersi se nel concetto di “avente causa” possano rientrare anche i creditori personali del legittimario.

In altre parole, considerata la mancata contemplazione expressis verbi dei creditori personali del legittimario tra i soggetti legittimati all’esercizio dell’azione di riduzione, ci si interroga sulla possibilità di includere questi tra gli aventi causa.

Secondo una prima impostazione, si deve escludere che tra gli “aventi causa” del legittimario possano essere ricompresi anche i creditori personali, posto che devono considerarsi tali solo coloro ai quali siano stati ceduti diritti ereditari.

L’esperibilità dell’azione di riduzione da parte del creditore del legittimario, d’altra parte, inciderebbe su di una decisione che il legittimario dovrebbe invece adottare in totale autonomia, imponendogli la scelta di esperire l’azione di riduzione.

Come osservato da attenta dottrina, tuttavia, l’esclusione del creditore personale del legittimario dalla sfera soggettiva dei soggetti ai quali è consentito l’esperimento dell’azione di riduzione, sebbene consenta di delimitare con maggiore precisione la categoria dei legittimati attivi, finisce per determinare un vulnus alla sfera giuridica del creditore, il quale rimane privo della possibilità di opporsi all’inerzia del proprio debitore.

Siffatto comportamento negligente da parte del debitore, d’altronde, può certamente essere ricondotto nell’ambito dell’art. 2900 c.c., andando a costituire un evento contestabile attraverso l’esercizio dell’azione surrogatoria.

Tale strumento è stato infatti congegnato dal legislatore proprio allo scopo di consentire al soggetto attivo di un rapporto obbligatorio di esercitare i diritti e le azioni spettanti al proprio debitore verso terzi nel caso in cui lo stesso ometta di farlo, cagionando così un pregiudizio alle ragioni creditizie.

Sulla questione è intervenuta la S.C., la quale ha ritenuto legittimo l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione parte del creditore del legittimario.

In primo luogo, osserva la Corte, non vi è alcun dubbio in ordine all’applicazione dell’art. 2900 c.c., essendo soddisfatte entrambe le condizioni previste dalla disposizione per l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione, ovvero il necessario contenuto patrimoniale dei diritti e delle azioni, essendo pacifico che il diritto alla legittima sia un diritto patrimoniale e non personale, e il carattere disponibile del diritto o dell’azione esercitata, reso evidente dal fatto che l’art. 557 c.c. riconosce la legittimazione ad agire anche agli aventi causa del legittimario, lasciando così intendere di non essere in presenza di un’azione indisponibile, come tale esercitabile esclusivamente dal suo titolare.

D’altronde, osserva il Collegio, nonostante l’art. 557 c.c. non li indichi espressamente quali soggetti legittimati all’esercizio dell’azione di riduzione, i creditori del legittimario possono essere ricompresi nella nozione di “avente causa” interpretando al contrario il terzo comma della medesima disposizione, in virtù del quale i creditori ereditari non possono chiedere la riduzione delle disposizioni lesive, né trarne vantaggio, se il legittimario ha accettato con beneficio d’inventario. 

Se la norma attribuisce la legittimazione ai creditori dell’eredità in caso di confusione del patrimonio ereditario con quello del legittimario, infatti, risulterebbe irragionevole escludere dalla tutela patrimoniale gli originari creditori personali, trovandosi questi nella medesima condizione giuridica degli altri.

In altre parole, non si vede la ragione per la quale dalla legittimazione all’esercizio dell’azione di riduzione dovrebbero essere esclusi i creditori personali del legittimario, i quali, trovandosi nella medesima condizione giuridica dei creditori dell’eredità, che divengono infatti creditori personali dell’erede in caso di accettazione pura e semplice, devono essere destinatari dello stesso grado di tutela.

Secondo la Corte, tuttavia, l’esercizio dell’azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario pretermesso rimasto completamente inerte non determina, in virtù del meccanismo previsto dall’art. 524 c.c. ed in ossequio al principio secondo cui nessuno può assumere la qualità di erede contro la propria volontà, l’acquisto di tale qualifica in capo al legittimario.

D’altronde, si osserva, anche in caso di vittorioso esperimento dell’impugnazione della rinuncia all’eredità, ex art. 524 c.c., non si verifica alcuna accettazione dell’eredità e nemmeno può ritenersi revocata la precedente rinuncia.

Stante il carattere assolutamente discrezionale dell’accettazione di eredità e quindi la natura personalissima del relativo diritto, deve dunque escludersi che il creditore personale dell’erede possa accettare in suo luogo l’eredità devolutagli; al contrario, al medesimo deve invece essere riconosciuta la possibilità di esercitare in via surrogatoria l’azione di riduzione.

Secondo quanto osservato da parte della dottrina, tuttavia, la soluzione adottata dalla S.C. finisce per snaturare la disciplina in materia di successione necessaria, la quale, concepita per garantire la conservazione del patrimonio familiare all’interno della famiglia, finisce per trasformarsi in uno strumento di tutela delle ragioni dei creditori personali del legittimario, a discapito dei diritti degli altri concorrenti alla successione.

Ammettendo l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione da parte del creditore del legittimario, osserva tale dottrina, si estende la portata della responsabilità patrimoniale del debitore oltre i limiti di cui all’art. 2740 c.c., finendo per ricomprendervi, per la sola quota riservata, anche i beni degli ascendenti e del coniuge, tenuti al rispetto delle regole sulla successione necessaria. 

A tal proposito si consideri, in primo luogo, l’ipotesi in cui il legittimario, indegno a succedere ex art. 463 c.c., non avrebbe potuto concorrere alla successione, in quanto privo della necessaria capacità.

D’altra parte, si afferma, l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione da parte dei creditori personali del legittimario altera il criterio di ripartizione dei debiti ereditari sancito dall’art. 752 c.c., in quanto, nel caso di debito disvelatosi in seguito all’esercizio di tale azione, determina l’esclusione dei creditori, rimasti soddisfatti a seguito della riduzione, dal pagamento della quota di debito gravante sul legittimario debitore.

Un’altra obiezione, ancora, si fonda su di un’argomentazione di tipo letterale e nello specifico sul disposto dell’art. 557 c.c., dal quale, si osserva, non sarebbe possibile far discendere il diritto dei creditori del legittimario ad agire in riduzione con l’azione surrogatoria includendoli nella categoria degli “aventi causa”. 

Anzitutto, si osserva, nemmeno tutti gli aventi causa del legittimario possono esercitare l’azione di riduzione, considerando, infatti, che l’esercizio dell’azione è precluso, come previsto dal terzo comma dell’art. 557 c.c., ai legatari. 

D’altronde, vista la presenza nel codice di numerose norme in cui i due termini si pongono in rapporto di alterità, si evidenzia come la distinzione tra creditori e aventi causa risulti essere chiara al legislatore codicistico, con la conseguente impossibilità di includere gli uni negli altri.

Secondo tale impostazione, peraltro, la possibilità per i creditori di agire in riduzione in via surrogatoria dovrebbe venire meno nell’ipotesi in cui il legittimario rinunci all’azione di riduzione, mancando in questo caso l’inerzia necessaria per l’operatività del rimedio.

In tale ipotesi, parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono che il creditore personale del legittimario possa usufruire dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., rendendo inefficace la rinuncia all’azione posta in essere dal legittimario.

Al contrario, però, si evidenzia che il riconoscimento di tale possibilità sarebbe ammissibile solo qualora si ritenga che il legittimario acquisti ipso iure, al momento dell’apertura della successione, la proprietà dei beni costituenti la quota di legittima; così ragionando, infatti, il legittimario che rinuncia all’azione di riduzione porrebbe in essere un atto dispositivo in frode ed in danno del creditore, in quanto rinuncerebbe ad un diritto già acquisito al proprio patrimonio.

Qualora si dovesse ritenere che il legittimario acquisti un diritto su tali beni solo a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, invece, la rinuncia all’azione si sostanzierebbe in una mera “omissio adquirendi”, ovvero in un atto non suscettibile di essere oggetto di revocazione.

Anche su tale punto è intervenuta la S.C., la quale ha fatto chiarezza in ordine alla differenza tra la rinuncia all’azione di riduzione e la rinuncia all’eredità.

Come osservato dalla Corte, infatti, la rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario totalmente pretermesso diverge, sul piano funzionale e strutturale, dalla rinuncia all’eredità, non potendo il riservatario essere qualificato chiamato all’eredità prima dell’accoglimento dell’azione di riduzione.

Quanto alla rinuncia all’eredità, precisa il Collegio, trattasi piuttosto di un rifiuto, ovvero di un atto idoneo ad impedire l’ingresso dei beni ereditari nella sfera patrimoniale del chiamato e non a dismettere un diritto già acquistato dal medesimo.

Diversamente, con la rinuncia all’azione di riduzione il legittimario rinuncia a reagire alla lesione della quota a lui assegnata ex lege, acconsentendo alle scelte testamentarie e/o donative compiute dal de cuius in suo danno, rinunciando così ad un diritto di cui egli è già titolare per effetto della legge e ponendo in essere un atto dismissivo, come tale suscettibile di essere revocato.

Ne consegue, dunque, che il creditore del legittimario pretermesso che intenda esperire l’azione surrogatoria, deve prima impugnare la rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario mediante l’azione revocatoria.

In altre parole, solo la vittoriosa impugnazione della rinuncia all’azione di riduzione, la quale elide l’efficacia delle disposizioni testamentarie lesive dei diritti del legittimario pretermesso, consentirebbe al creditore di surrogarsi ad esso.

Tale conclusione è tuttavia contestata da una recente pronuncia giurisprudenziale, la quale distingue il caso del legittimario pretermesso da quello del legittimario leso. In quest’ultima ipotesi, si osserva, l’art. 557 c.c., pur non prevedendo i creditori del legittimario leso nella propria quota di riserva tra i soggetti legittimati in via diretta all’azione di riduzione, non impedisce loro di esercitare in surroga l’azione ex art. 2900 c.c.

Per tale impostazione sarebbe invece diverso il caso del legittimario pretermesso che rinuncia all’azione di riduzione; in tale ipotesi, infatti, la norma che garantisce la tutela dei creditori del legittimario rinunciante dovrebbe essere rinvenuta nell’art. 524 c.c.

In pratica, secondo tale interpretazione deve ritenersi perfettamente equivalente la posizione del legittimario totalmente pretermesso, che rinuncia all’azione di riduzione, a quella del legittimario leso rinunciante all’eredità devolutagli, con la conseguenza che in entrambi i casi dovrà essere applicata la norma di cui all’art. 524 c.c., non essendo per contro esercitabile l’azione revocatoria, posto che la rinuncia ad un credito, non comportando alcun arricchimento del patrimonio del debitore destinatario della rinuncia, non può essere considerato un atto dispositivo del patrimonio.

Un’altra questione che si pone nei rapporti tra il legittimario ed i terzi concerne la tutela dell’acquirente a titolo oneroso del bene di provenienza donativa, il quale si trova esposto al rischio della perdita del bene per effetto dell’esercizio dell’azione di riduzione da parte del legittimario.

Considerando il dato normativo, una prima tutela è rinvenibile nei termini decadenziali di cui agli artt. 561, 563 e 2652 n. 8 c.c., potendo il terzo confidare nella stabilità del proprio acquisto una volta che siano trascorsi i medesimi senza che nel frattempo sia intervenuta un’opposizione alla donazione ex art. 563, comma 5, c.c., la quale ne sospende la decorrenza.

Come previsto dalle norme citate, in particolare, affinché il terzo acquirente del bene possa prevalere sulla pretesa del legittimario è necessario il decorso di almeno uno dei termini previsti, ovvero 20 anni dalla trascrizione della donazione e 10 anni dall’apertura della successione; in quest’ultima ipotesi, la sentenza che accoglie l’istanza di riduzione non pregiudica i terzi che abbiano trascritto il proprio acquisto a titolo oneroso anteriormente alla trascrizione della domanda.

A salvaguardia del terzo è inoltre posto il comma 1 dell’art. 563 c.c., il quale specifica che il legittimario potrà ottenere la restituzione del bene solamente a seguito all’infruttuosa escussione del patrimonio del donatario.

Secondo quanto sancito dal comma 3 dell’art. 563 c.c., d’altronde, il terzo può comunque liberarsi dall’obbligo di restituzione mediante il pagamento dell’equivalente monetario.

Proprio con riguardo a quest’ultima disposizione, nella prassi contrattuale si è sviluppato un peculiare rimedio denominato fideiussione indennitaria, attraverso la quale il terzo si garantisce dal rischio di un danno derivante dall’esito vittorioso dell’azione di riduzione del legittimario, in modo tale che la somma dovuta in luogo del bene venga corrisposta dal fideiussore.

Tra i rimedi offerti al terzo, poi, vi rientra quello di consentire al donante e al suo beneficiario la possibilità di risolvere il contratto per mutuo dissenso, in modo tale che il primo possa tornare ad essere proprietario del bene con effetto retroattivo, con conseguente alienazione al terzo acquirente a titolo oneroso. Così facendo, infatti, il bene entrerà nel patrimonio del terzo a fronte del pagamento di una somma di denaro a favore di colui il quale era considerato donante, in modo tale da evitare un pregiudizio per il legittimario, che di conseguenza non potrà agire in riduzione e quindi attaccare l’acquisto del terzo.

Quale strumento di tutela del terzo, d’altra parte, si potrebbe ipotizzare una rinuncia da parte del legittimario all’esercizio dell’azione di riduzione.

Posto che la rinuncia all’azione di riduzione è possibile, secondo quanto previsto dall’art. 557 c.c., solo successivamente alla morte del de cuius e quindi all’apertura della successione, ne deriverebbe tuttavia una tutela fortemente limitata del terzo, il quale potrebbe aver acquistato precedentemente il bene.

Sulla base di tale considerazione, parte della dottrina ha espresso la necessità di anticipare la tutela del terzo in momento antecedente all’apertura della successione, teorizzando l’ammissibilità di una rinuncia all’azione di restituzione da parte di coloro i quali sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione, ovvero di una dichiarazione attraverso cui si rinuncia a procedere nei confronti del terzo acquirente del bene.

Tale interpretazione trae spunto dal disposto dell’art. 557 c.c., il quale esclude la rinuncia preventiva solo con riferimento all’azione di riduzione, senza invece menzionare quella di restituzione.

Per converso, tuttavia, si osserva che l’azione di riduzione e quella di restituzione sono strettamente connesse e caratterizzate dalla medesima funzione, non potendo di conseguenza essere scisse l’una dall’altra.

Si deve considerare inoltre l’art. 458 c.c. e il divieto di patti successori in esso contenuto, posto che una rinuncia preventiva all’azione di restituzione integrerebbe un patto rinunciativo, come tale vietato dalla norma richiamata.

 

 

 

 

 


Sitografia
Inerzia del legittimario pretermesso e strumenti di tutela del creditore personale tra azione di riduzione e azione surrogatoria – Ius in itinere

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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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