Legittimazione passiva del venditore nell’azione ex art. 1669 c.c.
Con la sentenza n. 18891/2017 la Corte di Cassazione ha aggiunto un ulteriore tassello alla disciplina prevista dall’art. 1669 c.c., avente ad oggetto la responsabilità per rovina e difetti di cose immobili.
Con detta decisione la S.C. ha stabilito che l’azione ai sensi dell’art. 1669 c.c. può essere esercitata dall’acquirente di un immobile nei confronti del venditore che, prima di procedere alla compravendita, abbia eseguito, avvalendosi di un’impresa appaltatrice su cui abbia esercitato poteri di direzione e controllo, lavori di ristrutturazione edilizia o altro intervento manutentivo o modificativo di lunga durata che sia stato causa della rovina o dei gravi difetti del bene.
Una breve disamina dell’art. 1669 c.c.
L’articolo 1669 c.c. ha ad oggetto la responsabilità per rovina e difetti di cose immobili.
Esso prevede, nel caso di edifici o altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente qualora l’opera, nel corso di dieci anni dal suo compimento, per vizio del suolo o difetto della costruzione, rovini in tutto o in parte, ovvero presenti pericolo di rovina o gravi difetti.
La denunzia dei vizi e dei difetti deve essere fatta entro un anno dalla loro scoperta e il diritto del committente si prescrive entro un anno dalla scoperta medesima.
La disposizione in esame disciplina una forma di responsabilità extracontrattuale, posta a difesa dell’interesse pubblico dell’incolumità personale della collettività, attraverso la promozione della stabilità e solidità degli edifici, nonché delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata[1].
La responsabilità di cui alla norma in esame si differenzia, quindi, da quella prevista dall’art. 1667 c.c., avente natura contrattuale, in quanto posta ad esclusiva tutela del committente di un contratto di appalto[2].
La responsabilità nasce da un grave difetto della costruzione. Sul punto la giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che in tale nozione rientrino tutte le alterazioni, sia relative a parti essenziali dell’edificio che riguardanti elementi secondari ed accessori dello stesso, che pregiudichino o menomino in modo grave il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità dell’immobile[3].
L’art. 1669 c.c. prevede la soggezione della responsabilità a diversi termini temporali. In primo luogo vi è il termine dieci anni entro il quale il costruttore è tenuto a garantire la stabilità dell’opera, che decorre dal giorno in cui il committente ha preso in consegna l’opera stessa. In secondo luogo, da una parte, il committente, da una parte, ha l’onere di denunciare il fatto entro un anno dalla scoperta, a pena di decadenza[4]; dall’altra, deve iniziare l’azione entro un anno dalla denuncia, pena la prescrizione del suo diritto[5].
L’esame della sentenza
La decisione della S.C. prende le mosse dalle doglianze del ricorrente che, avendo acquistato un immobile dal soggetto resistente in giudizio, lamentava danni da infiltrazioni d’acqua causati da un errato lavoro di ripristino della pavimentazione del terrazzo. L’opera veniva effettuata su commissione del venditore prima che questi trasferisse l’appartamento su cui poggiava la viziata copertura.
L’iter argomentativo seguito dagli Ermellini si snoda in brevi e chiari passaggi.
Innanzitutto, la S.C. ribadisce l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esercizio dell’azione ex art. 1669 c.c. spetta non solo al committente nei confronti dell’appaltatore, ma anche all’acquirente nei confronti del venditore che abbia costruito l’immobile. Questo in quanto il venditore – costruttore esercita sull’opera un potere direttivo e di sorveglianza, che comporta l’assunzione verso lo stesso acquirente di una posizione di diretta responsabilità nel compimento della costruzione, tale da determinare l’attribuzione dell’evento dannoso al venditore medesimo (Cass. n. 9370/2013 e Cass. n. 2238/2012).
Proseguendo nella propria argomentazione, la Corte specifica il principio di cui sopra, affermando che la responsabilità del venditore è configurabile sia quando questi abbia costruito l’immobile con propri mezzi e lo abbia poi alienato all’acquirente, sia quando il medesimo venditore abbia incaricato un terzo appaltatore della costruzione del bene prima della sua vendita.
Con particolare riferimento all’ipotesi della costruzione eseguita per tramite di un appaltatore, appare opportuno precisare, integrando quanto stabilito dalla S.C., che, affinché la responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c. sia addebitabile al venditore, è necessario che questo abbia esercitato un potere di coordinamento dell’altrui attività, impartendo direttive e sorvegliando le operazioni (Cass. n. 25541/2015).
Il venditore che esercita un potere di tal genere, infatti, partecipa alla costruzione dell’immobile in una posizione di autonomia decisionale che limita il potere tecnico – direttivo dell’appaltatore ed assume, di conseguenza, la posizione di diretta responsabilità nell’esecuzione dell’opera che giustifica l’attribuzione dell’evento dannoso a lui stesso.
La decisione in esame richiama, poi, il principio stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 7756/2017, in base a cui la responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c. è configurabile non solo rispetto ad immobili di nuova costruzione, ma anche relativamente ad interventi di ristrutturazione su costruzioni già esistenti.
Infine, la Corte di Cassazione conclude il proprio ragionamento unendo i passaggi sopra richiamati ed afferma la configurabilità della responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c. qualora: il venditore di un immobile abbia eseguito lavori di ristrutturazione dello stesso anteriormente alla vendita; il venditore si sia avvalso dell’opera di un appaltatore, su cui abbia esercitato un potere di direzione e controllo tale da eliminare ogni autonomia tecnico- decisionale dello stesso; le opere eseguite siano rovinate oppure abbiano presentato gravi difetti.
Si tratta di un principio che amplia la portata della responsabilità ex art. 1669 c.c. del venditore – costruttore. Con questa decisione, gli Ermellini stabiliscono, infatti, che la responsabilità per rovina e difetti è configurabile in capo a tale soggetto, non solo rispetto ad immobili di nuova costruzione, ma anche nel caso di opere di ristrutturazione su immobile già esistente, che, dopo essere stato oggetto dell’intervento manutentivo, viene venduto.
Il principio espresso dalla Corte, e tutto il ragionamento alla base del medesimo, si basa sulla natura della responsabilità ex art. 1669 c.c.. Come sopra evidenziato, la responsabilità per rovina e difetti di immobili è extracontrattuale, in quanto volta a tutelare interessi aventi rilevanza pubblica, concernenti la stabilità e solidità degli edifici di lunga durata e l’incolumità personale della collettività.
Essa, pertanto, è ascrivibile a tutti gli interventi compiuti su immobili destinati per loro natura a lunga durata, sia di nuova edificazione che di ristrutturazione, nonché a tutti i soggetti che occupano una posizione di direzione e controllo degli interventi stessi, siano essi l’appaltatore o il venditore – costruttore.
[1] Per il rapporto tra l’art. 1669 c.c. e l’art. 2043 c.c. si veda Cass. n. 2284/2014 secondo cui “La previsione dell’art. 1669 cod. civ. concreta un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 cod. civ., fermo restando che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale – ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera) può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 cod. civ., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 cod. civ., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 cod. civ., compresa la colpa del costruttore”.
[2] “Non sussiste incompatibilità tra le norme di cui agli artt. 1667 e 1669 c. c., nel senso che il committente di un immobile che presenti “gravi difetti” ben può invocare, oltre al rimedio risarcitorio del danno (contemplato soltanto dall’art. 1669), anche quelli previsti dall’art. 1668 c. c. (eliminazione dei vizi, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto) con riguardo ai vizi di cui all’art. 1667, purché non sia incorso nella decadenza stabilita dal secondo comma dello stesso art. 1667; ed infatti, quanto a struttura – diversamente da ciò che riguarda la diversa natura giuridica della responsabilità rispettivamente disciplinata dalle anzidette norme (l’art. 1669, quella extracontrattuale; l’art. 1667, quella contrattuale) – le relative fattispecie si configurano l’una (l’art. 1669) come sottospecie dell’altra (art. 1667), perché i “gravi difetti” dell’opera si traducono inevitabilmente in “vizi” della medesima, sicché la presenza di elementi costitutivi della prima implica necessariamente la presenza di quelli della seconda, con la conseguenza – non smentita dal alcun dato testuale, logico e sistematico – che la norma generale continua ad applicarsi anche in presenza dei presupposti di operatività della norma speciale, così da determinare una concorrenza delle due garanzie, quale risultato conforme alla “ratio” di rafforzamento della tutela del committente sottesa allo stesso art. 1669 c. c.” (Cass. n. 815/2016).
[3] Ex multis Cass. 7756/2017 in base alla quale “In tema di contratto di appalto, sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai sensi dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo”.
[4] Sul punto cfr. Cass. n. 14357/2013 secondo cui “Il termine per agire ai sensi dell’art. 1669 c.c. decorre dal giorno in cui il committente consegue un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti” oppure Cass. n. 1463/2008 in base alla quale “In tema di garanzia per gravi difetti dell’opera ai sensi dell’art. 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo”.
[5] “Ai fini della responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili destinate a lunga durata, l’art. 1669 c.c., oltre a richiedere che i vizi si palesino entro un decennio dal compimento dell’opera, stabilisce, al primo comma, un termine annuale di decadenza, relativo alla denunzia dei vizi, che decorre dalla scoperta della gravità dei difetti e della loro imputabilità alla prestazione dell’appaltatore, e pone, al secondo comma, un termine annuale di prescrizione, che si lega unicamente, sotto il profilo cronologico, alla denunzia dei difetti, la quale, pertanto, è atto condizionante la decorrenza del termine prescrizionale” (Cass. n. 18078/2012).
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