Legittimo affidamento del privato negli abusi edilizi
Costante è il contrasto giurisprudenziale in materia di legittimità o meno dell’ordine di demolizione di un’opera abusiva disposto dalla Pubblica Amministrazione, dopo un considerevole periodo di tempo dalla conclusione dell’intervento e in difetto della motivazione avente ad oggetto la prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del proprietario, in particolar modo nel caso in cui quest’ultimo non coincida con l’autore dell’abuso ed abbia maturato il legittimo affidamento sulla regolarità dell’immobile di sua proprietà.
La normativa in materia
Ai sensi del Titolo IV del d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) si parla di abusivismo edilizio quando vengono edificate opere in assenza di permesso di costruire o in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici o della normativa urbanistico-edilizia statale e regionale.
La disciplina più di dettaglio è invece contenuta negli artt. 31 e ss. del T.U. Edilizia e si occupa delle differenti tipologie di abuso e delle relative sanzioni.
Dalla lettura del Capo II si può osservare come manchino indicazioni in ordine ai requisiti richiesti per il contenuto motivazionale del provvedimento che dispone la demolizione; inoltre alcun accenno viene posto in relazione al limite oltre il quale l’inerzia dell’Amministrazione sull’emissione del provvedimento di ripristino, o la conoscenza (anche indiretta) dell’abuso da parte della P.A., possano realizzare in capo al destinatario del provvedimento una posizione giuridica valutabile in termini di legittimo (o meglio, incolpevole) affidamento.
Il contrasto giurisprudenziale
Secondo un primo l’orientamento, che parrebbe maggioritario, la giurisprudenza amministrativa in materia di repressione delle violazioni della disciplina urbanistica è ferma nel considerare l’attività di vigilanza della Pubblica Amministrazione, rispetto agli abusi edilizi, strettamente vincolata e non soggetta ad alcun termine di prescrizione o decadenza, potendo questa intervenire anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, senza che il mero decorso del tempo comporti un obbligo di motivazione rafforzato del provvedimento.
Si legga, in tal senso Consiglio di Stato sez. V n. 3435/2016 secondo cui “anche nel caso di abuso risalente nel tempo l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive costituisce atto dovuto, non potendo il semplice trascorrere del tempo giustificare il legittimo affidamento del contravventore, poiché il potere di ripristino dello status quo non è soggetto ad alcun termine di prescrizione, né è tacitamente rinunciabile”; così anche Consiglio di Stato sez. VI, 05/01/2015, n.13 “non sussiste necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto abusivo, quand’anche sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore contra legem”.
Il richiamato orientamento giurisprudenziale presuppone e si evolve dal carattere permanente dell’illecito edilizio. La repressione dell’abuso sarebbe, dunque, sorretta dall’insindacabile interesse pubblico al ripristino della legalità violata. Il decorso di un notevole lasso di tempo non comporterebbe una sorta di esaurimento graduale dei poteri connessi all’adozione di una ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo, ciò in ragione della natura contra legem dell’oggetto della sanzione.
Così Consiglio di Stato sez. VI, 05/01/2015, n.13 “Non può ammettersi, pertanto, un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione di fatto abusiva. Colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l’amministrazione lo abbia prima in un certo qual modo avvantaggiato, adottando solamente a notevole distanza di tempo i provvedimenti repressivi dell’abuso non sanabile.”, e TAR sez. I, Friuli Venezia Giulia, 03/11/2016, n. 497/2016 “il lungo lasso di tempo intercorso e l’esistenza di atti dell’Amministrazione che implicitamente presupponevano la legittimità dell’edificazione di per sé non sono preclusivi dell’esercizio da parte del Comune del potere sanzionatorio.”; E anche T.A.R. sez. III, Napoli, 28/08/2017, n. 4146 “l’accertamento dell’illecito amministrativo e l’applicazione della relativa sanzione può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, senza che siffatta distanza nell’adozione delle misure sanzionatorie possa significare forme di sanatoria o il sorgere di affidamenti per situazioni ormai di fatto consolidate. Del resto, l’illecito edilizio ha carattere permanente, tale da conservare nel tempo la sua natura. […] In altri termini, non può ammettersi un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione illegale.”
L’interesse pubblico alla rimozione della costruzione illecita e l’interesse del privato alla sua conservazione non sarebbero, quindi, oggetto di un bilanciamento di interessi in quanto all’inerzia dell’amministrazione non può riconoscersi l’effetto di sanare una posizione privata nata da una violazione volontaria della normativa urbanistica.
Il secondo orientamento, al contrario, ritiene il decorso del tempo un elemento che assume rilevanza in ordine alla legittimità del provvedimento sanzionatorio, specialmente se viene riconosciuta la buona fede del soggetto destinatario dell’ordinanza di demolizione, in quanto diverso dal responsabile dell’abuso, o quando manchi un provvedimento sanzionatorio a causa del trasferimento del bene. La stessa corrente giurisprudenziale è inoltre più rigorosa in merito alle garanzie procedimentali rivolte ad attuare una tutela piena delle situazioni giuridiche dei privati, prevedendo in capo alla PA l’obbligo di fornire un adeguata motivazione.
Cosi Consiglio di Stato sez. VI, 14/08/2015, n.3933 in riforma Tar Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 646/2014 “L’abusività dell’opera in sé e per sé legittima il conseguente provvedimento di rimozione dell’abuso, che è, di regola, atto dovuto e prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso medesimo. L’abusività dell’opera è una connotazione di natura reale e segue l’immobile anche nei successivi trasferimenti del medesimo. In casi limite, però, si può pervenire a considerazioni parzialmente difformi, come nei casi in cui sia pacifico che l’acquirente ed attuale proprietario del manufatto, destinatario del provvedimento di rimozione non sia responsabile dell’abuso; che l’alienazione non sia avvenuta al solo fine di eludere il successivo esercizio dei poteri repressivi; che tra la realizzazione dell’abuso, il successivo acquisto, e l’esercizio da parte dell’autorità dei poteri repressivi sia intercorso un lasso temporale ampio. In simile evenienza, nel palese stato di buona fede del privato, l’amministrazione deve motivare in ordine alla sussistenza di sì rilevanti esigenze pubblicistiche, tali da far ritenere recessivo lo stato di buona fede dell’attuale proprietario” (in modo conforme Consiglio di Stato sez. VI, 18/05/2015, n.2512; Consiglio di Stato sez. V, 15/07/2013, n.3847)
In tal senso T.A.R. sez. I, Genova, 06/10/2016, n. 1001 “[…] occorre […] dimostrare ben altro al fine di giustificare l’invocato affidamento, cioè dimostrare una piena cognizione dell’abuso in capo alla p.a. come risalente nel tempo, tale da creare una ragionevole aspettativa in capo al privato titolare del bene abusivo.”
Si veda anche la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 29 maggio 2006, n. 3270, con la quale è stato affermato che “l’ingiunzione demolitoria dell’opera realizzata senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso) deve essere congruamente motivata in relazione alla sussistenza del pubblico interesse – diverso da quello al ripristino della legalità violata ed idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse del privato – allorquando il lungo lasso di tempo decorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza abbiano ingenerato in capo al privato una posizione di affidamento.”
Il lungo lasso di tempo trascorso dalla conoscenza dell’abuso da parte della PA ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza sarebbero, quindi, suscettibili di ingenerare una posizione di affidamento nel cittadino; in tali ipotesi, la sola affermazione dell’accertata abusività di un’opera edilizia non sarebbe più sufficiente a motivare il provvedimento sanzionatorio di demolizione. La posizione del privato sarebbe dunque idonea a generare in capo all’Amministrazione un onere di congrua motivazione che, considerando anche l’entità e la tipologia dell’abuso, obbliga la stessa ad individuare un interesse pubblico ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata con la costruzione del manufatto abusivo e capace di giustificare la soccombenza del contrapposto interesse del privato.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 17 ottobre 2017, n. 9
Con l’ordinanza n. 1337 del 24 marzo 2017 il Consiglio di Stato, adito per l’annullamento di una sentenza del Tar Lazio che aveva dichiarato la legittimità di un’immotivata ordinanza di demolizione, intervenuta dopo molti anni dalla commissione dell’abuso, rimetteva il caso all’Adunanza Plenaria che si esprimeva con la sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017.
In particolare, i ricorrenti rimarcavano: la loro estraneità alla realizzazione dell’abuso, imputabile al precedente proprietario; che l’abuso era assai risalente nel tempo (1982) e che già nel dicembre del 1986 la responsabile dello stesso era stata condannata in sede penale; che il Comune era edotto dell’abuso almeno da quando (ottobre 1982) l’immobile era stato sottoposto a sequestro giudiziario e affidato in custodia al Corpo di Polizia Locale; che la responsabile dell’abuso aveva ottenuto in data 25 febbraio 2008 una concessione edilizia in sanatoria per la realizzazione di alcune porzioni del medesimo manufatto (diverse, peraltro, da quella per cui era causa).
A detta degli appellanti, il Comune aveva l’onere di disporre una precisa motivazione in ordine all’interesse pubblico da tutelare, anche in considerazione della data di ultimazione dell’abuso, assai risalente nel tempo, della non coincidenza soggettiva fra il responsabile dell’abuso e gli attuali proprietari e della protratta inerzia della P.A. nell’assicurare il proprio riscontro sanzionatorio.
In questa cornice, l’Adunanza Plenaria n. 9 del 17.10.2017 si è inserita pronunciando il principio in base al quale “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.”
Inoltre, l’Adunanza Plenaria ha specificato come tale principio non ammetta deroghe “neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.”
Nella stessa pronuncia si esplicita (cfr. par. 7.3), peraltro, la tutela prevista dall’ordinamento e rivolta al soggetto che, pur trovandosi in una situazione antigiuridica come quella dell’abuso, maturi una posizione di affidamento di carattere incolpevole.
Nel caso di specie, il Collegio ha precisato che “l’amministrazione comunale è venuta a conoscenza (del tutto casualmente, peraltro) della veranda abusiva di proprietà della ricorrente soltanto nell’agosto 2014, allorquando, esaminando la documentazione grafica e fotografica allegata alla SCIA presentata dall’amministratore di condominio per alcuni lavori di consolidamento dei balconi, ha notato la presenza di quella veranda sulla facciata interna del condominio e, dopo aver svolto alcuni accertamenti, ha constatato che la stessa non era mai stata autorizzata. Una volta accertato l’abuso, gli uffici hanno attivato sollecitamente, il 29 maggio 2015, il procedimento di repressione, per poi concluderlo il 31 dicembre 2015 con l’atto impugnato nel presente giudizio”.
La sussistenza in capo al privato di una situazione di legittimo affidamento è esclusa, quindi, nell’ipotesi in cui l’azione sanzionatoria dell’amministrazione sia posta in essere in un breve lasso di tempo successivo all’accertamento dell’abuso.
In seguito all’emanazione del predetto principio, altre pronunce (es.: T.A.R. Napoli sent. nn. 5473/2017 e 184/2018) hanno fornito ulteriori indicazioni utili a individuare i confini dell’incolpevole affidamento, riconoscendo tale posizione nell’ipotesi, per esempio, in cui il privato, resa edotta la PA circa la propria situazione edilizia, fosse stato indotto da quest’ultima a ritenere legittimo il suo operato tramite il rilascio di un provvedimento successivo alla realizzazione dell’abuso.
In tal senso T.A.R. sez. II, Torino, 08/03/2017, n. 321 “Il semplice decorso del tempo dalla commissione dell’abuso edilizio che costituisce un illecito permanente non è di per sé idoneo ad ingenerare nel privato una situazione di legittimo affidamento sulla conservabilità dell’intervento abusivo, se non nel caso in cui l’amministrazione, pur avendo avuto in tale lasso temporale oggettiva conoscenza dell’abuso, abbia tuttavia omesso di esercitare la dovuta azione repressiva e ripristinatoria.”
Da ultimo la sentenza n. 3372/2018 dd. 04.06.2018 della sezione VI del Consiglio di Stato ha fornito ulteriori chiarimenti circa l’ambito di applicazione e i limiti relativi al bilanciamento fra la necessità di punire una condotta contra legem e l’affidamento (incolpevole) del proprietario dell’immobile realizzato abusivamente.
La richiamata pronuncia ha ad oggetto la riforma della sentenza del Tar Campania n. 311/2017 che aveva rigettato il ricorso avanzato dalle ricorrenti avverso l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune nel 2016 avente ad oggetto un locale adibito a garage, realizzato nel 1973 e acquistato dalle ricorrenti nel 1978.
Fra i diversi motivi d’appello, le ricorrenti lamentavano l’errore nel quale era incorso il TAR nell’omettere di considerare la vetusta delle opere e la loro estraneità all’abuso, avendo acquistato l’immobile in buona fede dalla società costruttrice, effettiva responsabile dell’illecito. Le appellanti, per provare il legittimo (o incolpevole) affidamento circa la conformità edilizia del manufatto acquistato, avevano richiamato e prodotto in giudizio la richiesta d’autorizzazione edilizia, avente ad oggetto il seminterrato poi utilizzato come garage (dd. 17.07.1978), e la relativa concessione edilizia (dd. 12.11.1979) rilasciata in loro favore dal Comune.
In tale vicenda, il Consiglio di Stato – con esplicito richiamo all’Adunanza Plenaria n. 9 succitata (cfr par. 6.2) – ha stabilito in punto di affidamento incolpevole che la risalenza nel tempo dell’abuso contestato, unita alla conoscenza della situazione edilizia da parte della P.A. per mezzo del rilascio di un titolo edilizio ricollegabile all’opera abusiva, configuravano in capo al privato una posizione valutabile in termini di affidamento incolpevole e, pertanto, costituivano parametri apprezzabili di valutazione da parte della P.A. prima dell’emissione della misura ripristinatoria, ovvero dovevano condurre l’Amministrazione a fornire una adeguata motivazione sull’interesse pubblico attuale al ripristino dei luoghi.
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