L’elemento psicologico nel delitto tentato: i punti salienti
Il codice penale disciplina il tentativo all’articolo 56, rubricato “delitto tentato”: “1. Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. 2. Il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi. 3. Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso. 4. Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà”.
Il delitto tentato, contrapposto al delitto consumato, in diritto penale è un delitto che non è arrivato alla sua consumazione, in quanto non si è verificato l’evento voluto dal reo o perché, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, l’azione non è stata compiuta.
Dal punto di vista soggettivo, il delitto tentato si pone come fattispecie necessariamente dolosa. Ciò lo si evince, non soltanto dalla struttura dell’azione del “tentare”, che richiede un atto intenzionalmente volto al conseguimento di un risultato determinato, ma anche dalla lettera dell’art. 56 cod. pen., che implica la proiezione soggettiva degli atti verso la commissione del delitto.
Nell’elemento psicologico doloso si riscontra sia un carattere intellettivo, che è dato dalla previsione anticipata dell’autore delle possibili conseguenze di operare nel mondo esterno, sia un carattere volitivo, che consiste nell’atto di impulso con il quale l’autore mette in moto le energie idonee a produrre l’evento.
Al fine della qualificazione del fatto quale tentato omicidio, invece che quale lesione personale o altro, si deve avere riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva, richiedendosi nel primo un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per motivi estranei alla volontà dell’agente.
“Con riferimento particolare all’elemento psicologico del dolo, riguardo al reato di tentato omicidio, è costante l’orientamento alla cui stregua la figura di reato prevista dall’art. 56 cod. pen., che ha come suo presupposto il compimento di atti finalizzati (‘diretti in modo non equivoco’) alla commissione di un delitto, non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta considerazione dall’agente, che accetta il rischio del suo verificarsi (c.d. dolo eventuale), ricomprendendo invece gli atti rispetto ai quali l’evento specificamente richiesto per la realizzazione della fattispecie delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della direzione della condotta, accettato dall’agente che prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria (c.d. dolo diretto alternativo), o specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o perseguito come scopo finale (c.d. dolo diretto intenzionale) (Cass. Pen., sez. I, sent. n. 17 aprile del 2018, n. 17174).
Il problema sollevato dal dolo nel tentativo è se sia ammissibile il dolo eventuale.
Secondo una prima teoria, non esiste una norma che distingua tra i vari tipi di dolo in relazione ai vari tipi di reato e, dunque, l’elemento soggettivo del tentativo non può che essere uguale a quello del reato consumato.
Secondo, invece, la dottrina prevalente, questa tesi non è corretta: il punto è che se la condotta deve essere univoca, in presenza di dolo eventuale la condotta non è affatto tale; in altre parole, come ha affermato anche la giurisprudenza, “il dolo eventuale implica il dubbio, e il requisito della non equivocità è incompatibile con tale stato”. E per quanto concerne la condotta del reo, questa deve essere volta ad uno scopo preciso e non è sufficiente la mera accettazione di un rischio.
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