L’ergastolo ostativo è incostituzionale
Sommario: 1. Introduzione – 2. La dottrina sull’ergastolo ostativo: una diatriba che appare infinita – 3. L’ergastolo ostativo nella giurisprudenza della CEDU – 4. La giurisprudenza costituzionale e di legittimità – 5. La recentissima questione d’illegittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo – 6. Considerazioni conclusive
1. Introduzione
La questione giuridica in analisi impone di soffermarsi sulle varie diatribe dottrinali e giurisprudenziali che hanno interessato e tutt’oggi interessano l’ergastolo ostativo, dichiarato recentemente incostituzionale.
L’ergastolo ostativo è definito il divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale per i soggetti condannati a seguito della commissione di alcuni delitti, ai sensi dell’articolo 4bis, della Legge n. 354/1975, sull’Ordinamento Penitenziario.
La negazione di tali benefici penitenziari, comporta per chi ne è escluso, la conseguente espiazione della pena tout court negli istituti penitenziari.
Tale assunto trova il suo fondamento sulla presupposta pericolosità sociale di un soggetto detenuto, in relazione condotta commissiva di particolari tipologie di reato, considerate altresì particolarmente riprovevoli.
In tale ottica emerge che, non si potrà tenere conto di un’eventuale “ravvedimento del reo e trasformando l’ergastolo in un vero e proprio “fine pena mai””.[1]
È da considerare che l’intero Ordinamento Penitenziario, ha da sempre avuto come obiettivo quello di porre il detenuto al centro del sistema penale, riconoscendogli e garantendogli i “diritti fondamentali e facoltà non più comprimibili a causa del mero status detentionis.”[2]
In particolare, l’ergastolo ostativo, alla luce delle varie riforme che hanno interessato la Legge n. 354/1975, in particolare con l’introduzione del succitato art. 4bis ed il suo successivo inasprimento trova applicazione a seguito della strage di Capaci, con la L. n. 356/1992.
Tale approccio normativo ha sempre sollevato dubbi di incostituzionalità.
2. La dottrina sull’ergastolo ostativo. Una diatriba che appare infinita
La dottrina rilevante sul punto ha criticato le pronunce di legittimità costituzionale che hanno investito l’ergastolo ostativo nel tempo, sostenendo che non è sufficiente “rilevare che la mancata collaborazione con la giustizia è pur sempre riconducibile a una “scelta del condannato””, poiché è necessario indagare ed interrogarsi sulla precipua finalità dell’istituto in commento che prevede l’“esclusione del condannato non collaborante dai benefici penitenziari”.[3]
Va sempre compresa e ricondotta l’analisi al perché della mancata collaborazione del detenuto, la quale può risiedere in motivi di paura e ritorsioni per sé e per la propria famiglia, ma anche “dall’indisponibilità a barattare la propria libertà personale con la libertà altrui, o ancora dalla legittima esigenza difensiva di non aggravare la propria posizione processuale”.[4]
Tale condotta del detenuto non dovrebbe portare implicitamente a ritenere e a concludere che lo stesso non abbia “pienamente e definitivamente ripudiato scelte di vita criminale”.[5]
Ne discende che alla stregua delle argomentazioni dottrinarie ut sopra esposte, si deve prendere atto che l’ergastolo ostativo porta in sé e con sé alcune criticità applicative.
Lo rende innanzitutto incompatibile con alcuni principi costituzionali, quali l’eguaglianza, umanità della pena, diritto di difesa.
Si possono tratteggiare, di conseguenza, i “profili oscuri di una disciplina caratterizzata da tratti di incostituzionalità”[6]
La diatriba dottrinale e giurisprudenziale che sembra appare infinita, inficia anche le scelte dell’autorità giudiziaria competente, ovvero il magistrato di Sorveglianza.
Ciò perché, alla luce della dottrina che ne richiama l’evidenza, “il giudice è impotente, nonostante l’approccio delle teorie della cd “nuova prevenzione” tenda a riproporre ampio spazio al riconoscimento della concretezza e della specificità delle situazioni in cui un reato avviene, delle caratteristiche e delle motivazioni dell’autore, della sua evoluzione personale; è sempre necessario avere il coraggio di guardare a fondo nella realtà dei fatti e delle persone coinvolte anche nei crimini più efferati e devastanti, evitando di rimuovere l’orrore con la durezza della sanzione che allontana e definitivamente seppellisce. Il giudice difronte all’ergastolo ostativo è espropriato del potere di decidere se accordare un qualche riconoscimento ai progressi del reo, progressi che possono non avere nulla a che vedere con la sua volontà di collaborare con la giustizia”.[7]
Ne discende la negazione sic et simpliciter della funzione del Magistrato di Sorveglianza.
Non va dimenticato – e lo si espone in via del tutto generale, richiamando la dottrina sul punto – che il sistema giustizia nel nostro ordinamento, “ha protetto centinaia di collaboratori di giustizia e migliaia di congiunti, ha consentito di acquisire volumi di dichiarazioni e di condannare definitivamente centinaia di affiliati in ogni distretto”.[8]
3. L’ergastolo ostativo nella giurisprudenza della CEDU
Giunti a questo punto, non possiamo esimerci dal considerare alcuni dei ricorsi alla CEDU contro l’Italia.
Nel nostro Ordinamento Penitenziario, ex art. 4bis, i benefici di Legge non vengono concessi ai condannati per reati a stampo mafiosi, se non collaboratori di giustizia.
L’applicazione di tale norma, ha visto ricorrere in alcuni casi alla CEDU avverso l’Italia.
Tra questi vi è il noto caso deciso dalla Corte Europea con Sentenza del 13 giugno 2019, con la quale la Corte ha ritenuto “che le doglianze del ricorrente, in riferimento all’articolo 3, sollevino, rispetto alla Convenzione, importanti questioni di fatto e di diritto che richiedono un esame nel merito” e per tanto “che il principio della “dignità umana” impedisce di privare una persona della libertà, senza lavorare allo stesso tempo al suo reinserimento e senza fornire allo stessa la possibilità di riconquistare un giorno questa libertà. Ha precisato che “un detenuto condannato all’ergastolo incomprimibile ha il diritto di sapere (…) che cosa deve fare perché la sua liberazione sia possibile e quali sono le condizioni applicabili”.[9]
In altre occasioni la Corte, ha avuto modo di chiarire, senza mezzi termini che l’Italia, ed in particolare “le autorità nazionali devono fornire ai detenuti condannati all’ergastolo una possibilità reale di reinserimento”.[10]
Una parte di dottrina contraria a tali argomentazioni ha messo in evidenza la natura retributiva della pena, evidenziando che “il diritto internazionale in materia di diritti umani insiste molto fortemente sulla funzione deterrente della pena”.[11]
Si evidenza, alla luce anche della dottrina, che “la Corte riconosce che i delitti per i quali il ricorrente è stato condannato riguardano un fenomeno particolarmente pericoloso per la società, ma la lotta contro tale flagello non dovrebbe giustificare deroghe alle disposizioni dell’articolo 3 della Convenzione, che proibiscono in termini assoluti le pene inumane e degradanti.”[12]
4. La giurisprudenza costituzionale e di legittimità
Prima di giungere all’analisi dell’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo come di recente pronunciato dalla Corte Costituzionale è utile muovere alcune riflessioni sulla pregressa giurisprudenza costituzionale ed esaminare anche i riferimenti di alcune sentenze della Corte di Cassazione.
Orbene, la doccia fredda è pronta: già da tempo la Corte Costituzionale ha rammentato che “l’art. 27 della Costituzione, usando la formula ‘le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’, non ha proscritto la pena dell’ergastolo (come avrebbe potuto fare), quando essa sembri al legislatore ordinario, nell’esercizio del suo potere discrezionale, indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e l’efferatezza della loro indole”.[13]
La giurisprudenza costituzionale recentemente ha anche chiarito che “i permessi premio costituirebbero parte essenziale del trattamento rieducativo, sicché, ove non concessi a causa di una «presunzione di pericolosità non altrimenti vincibile», sarebbero compromesse le stesse finalità costituzionali della pena detentiva. Tale tipologia di beneficio penitenziario, infatti, troverebbe fondamento anzitutto nella realizzazione di una finalità immediata, costituita dalla cura di interessi affettivi, culturali e di lavoro, caratterizzandosi «come strumento di soddisfazione di esigenze anche molto limitate seppure non rientranti nella portata meno ampia del permesso di necessità” In ragione di questa peculiare funzione, il collegio rimettente ritiene che sussista la possibilità, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, di verificare in concreto «la mancanza di elementi significativi di collegamenti con la criminalità organizzata» o di accertare «addirittura» elementi denotanti «un significativo distacco dal sistema subculturale criminale”.[14]
A questo punto, vicenda che ha condotto alla sentenza d’illegittimità costituzionale recentemente.
La questione trae origine dall’Ordinanza del Tribunale di Sorveglianza del L’Aquila che dichiarò “l’inammissibilità di un’istanza avente ad oggetto la declaratoria di impossibilità della collaborazione in relazione alla richiesta di fruizione di un permesso premio, a causa del fatto che l’interessato non aveva addotto alcun elemento di novità, utile al superamento di un giudicato già formatosi per precedenti conformi decisioni su analoghe richieste”.[15]
L’Ordinanza, fu impugnata dal difensore del condannato.
Da qui discende che “il dubbio di costituzionalità trova causa nel convincimento che la collaborazione non può essere elevata ad indice esclusivo dell’assenza di ogni legame con l’ambiente criminale di appartenenza e che, di conseguenza, altri elementi possono in concreto essere validi e inequivoci indici dell’assenza di detti legami e quindi di pericolosita’ sociale.[16]
Altra parte della giurisprudenza di legittimaità, nel tempo ha riflettuto sul fatto che l’ergastolo ostativo fosse “compatibile con i principi costituzionali e con quelli della conv. Edu, in quanto, in caso di provato ravvedimento, il condannato puo’ essere ammesso alla liberazione condizionale ex articolo 176 c.p., comma 3, anche per i menzionati reati, in relazione ai quali la richiesta collaborazione e la perdita di legami con il contesto della criminalità organizzata costituiscono indici legali di tale ravvedimento”[17], intravendendo un diritto alla Speranza del condannato.
Sussunto sotto tale profile giurisprudenziale non va sottaciuta l’ulteriore problwematica che riguarda la “incompatibilità della presunzione assoluta di permanenza dei legami criminali con una caratteristica propria della fase esecutiva, ossia col fatto che il trascorrere del tempo, durante la lunga detenzione, ben può determinare trasformazioni rilevanti sia della personalità del soggetto ristretto che del contesto esterno al carcere”.[18]
5. La recentissima questione d’illegittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo
Per tali e tanti altri motivi viene dunque considerata fondata la questione di legittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo.
In attesa delle motivazioni della Corte Costituzionale, è stato reso noto dall’Ufficio stampa che “la Corte ha anzitutto rilevato che la vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro. Ha quindi osservato che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.”[19]
6. Considerazioni conclusive
La questione dell’ergastolo ostativo sarà sempre oggetto di diatriba giurisprudenziale o la Corte Costituzionale permetterà un salto di qualità all’Ordinamento Penitenziario tale da far comprendere al legislatore che si, il carcere duro, la non concessione dei benefici per i condannati a seguito di reati a stampo mafioso può andar bene ma deve essere data maggior considerazione all’osservazione scientifica del condannato?
Bisogna necessariamente se il condannato non collaborante lo è per paura psicologica, o perché implicitamente non intenda allontanarsi dai legami creati con l’organizzazione criminale. Diversamente si andrebbe avanti solo con flebili presunzioni, che costeranno altre condanne europee all’Italia e altre questioni d’incostituzionalità.
Si finirebbe per assurdo di incorrere in una specie di presunzione ostativa e a forza di ostacolare, renderà l’espiazione della pena in una detenzione pessima, malsana, che non rieduca e non infligge la sanzione punitiva.
[1] Mellone A.M., “Ergastolo ostativo. Guida all’istituto: l’evoluzione della normativa, il doppio binario, la giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo”, in www.altalex.com.
[2] Mellone A.M., op.cit.
[3] Dolcini E., “La pena detentiva perpetua nell’ordinamento Italiano. Appunti di riflessione”, in Dir. Pen. Cont., n. 3/2018, pagg. 11 e ss..
[4] Dolcini E., op. cit.
[5] Dolcini E., op. cit.
[6] Sylos Labini E., “Il cielo si tinge di viola, verso il tramonto dell’ergastolo ostativo?”, in Archivio Penale, n. 3/2019.
[7] Bortolato M., “Fiato alla speranza: l’ergastolo ostativo e la Costituzione”, in www.questionegiustizia.it, 15 settembre 2019.
[8] Del Gaudio M., “La libertà di interpretazione dei giudici alla prova dell’ergastolo ostativo”, in www.questionegiustizia.it, 13 novembre 2019.
[9] CGE, Sentenza 13 giugno 2019.
[10] CGE, 20 maggio 2014.
[11] Rasia L.M., “Illegittimo l’ergastolo secondo la CEDU. Il parere contrario del giudice che ha votato contro”, ProfessioneGiustizia.it, 18 luglio 2019.
[12] www.dirittoconsenso.it
[13] C. Cost. 21 settembre 1983, n. 274.
[14] C. Cost., 04 dicembre 2019, n. 253.
[15] Tribunale di sorveglianza di L’Aquila, Ord. 6 novembre 2018.
[16] C. Cass. Pen., Ord. 18 giugno 2020, n. 18518.
[17] Ex plurimis, C. Cass. Pen., Sez. 1, n. 7428 del 17/01/2017; C. Cass. Pen., Sez. 1, n. 27149 del 22/03/2016.
[18] C. Cass. Pen., op. cit.
[19] Corte Cost, Ufficio stampa, 15 aprile 2021.
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Avv. Emanuele Mascolo
Dal 17 gennaio 2022 Avvocato iscritto presso il COA Trani.
Dall'11 dicembre 2020 Mediatore Civile e Commerciale.
Nell'A.A. 2018/2019 ho frequentato il master di II Livello in Criminologia Clinica presso Unicusano - Roma.
Nell'A.A. 2017/2018 ho frequentato il master di I Livello in Criminologia e sicurezza nel mondo contemporaneo presso Unicusano - Roma.
il 19.04.2012 ho conseguito la Laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Foggia.
Autore di numerose pubblicazioni giuridiche nonchè relatore ad eventi e convegni giuridici.
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