L’ergastolo “ostativo” è una pena incostituzionale? Spunti di riflessione sull’ordinanza della Consulta n. 97 del 2021

L’ergastolo “ostativo” è una pena incostituzionale? Spunti di riflessione sull’ordinanza della Consulta n. 97 del 2021

Sommario: 1. Introduzione al problema – 1.1. La riaffermazione della perpetuità – 2. Dubbi di legittimità costituzionale sull’ergastolo ostativo – 3. Un parziale riconoscimento dell’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis O.P.: la sentenza costituzionale n. 253 del 2019 – 4. Viola c. Italia ergastolo ostativo e art. 3 C.E.D.U. – 5. L’ordinanza della Consulta n. 97 del 2021 – 5.1. Spunti di riflessione sull’ordinanza – 5.2. Possibili prospettive di riforma: cosa bolle ad oggi in pentola?

 

1. Introduzione al problema

Agli inizi del 1990, nonostante nella giurisprudenza costituzionale si respirasse una nuova aria e si registrasse un nuovo approccio alla pena perpetua – soprattutto alla luce delle rivalutate tendenze rieducative imposte dall’art. 27 co. 3 Cost[1] – si verificò una vera e propria “inversione a U” determinata dalla cd. “legislazione penale d’emergenza”[2],  varata in risposta alle stragi di mafia che in quegli anni insanguinarono l’Italia[3].

Il primo intervento normativo da segnalare va attribuito al d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in l. 2 luglio del 1991[4], con cui si è dato ufficialmente ingresso, nel nostro sistema penitenziario, all’art. 4-bis O.P. Con tale disposizione il legislatore ha inteso fissare una serie di condizioni alla presenza delle quali, il soggetto condannato per delitti particolarmente gravi, può accedere alle misure alternative alla detenzione, al lavoro all’esterno e ai permessi premio. Il catalogo – assolutamente non tassativo, ma aperto a futuri ampliamenti – contenuto nell’art. 4-bis O.P., prende in considerazione una serie di delitti a cui il legislatore intese comminare un regime sanzionatorio più duro.

La ratio legis sottesa alla riforma del 1991 emerge proprio dai delitti compresi in tale elenco[5]: delitti precipuamente riconducibili alla criminalità organizzata di stampo mafioso, terroristico ed eversivo, i quali sono confluiti nella nuova categoria dei c.d. “reati ostativi”.

Nell’anno successivo – 1992 – la disposizione in esame subì già un’importante modifica che interessò direttamente la condizione necessaria ai fini della concessione dei benefici penitenziari agli autori di tali reati. Infatti, se nella versione originaria del 1991 era richiesta l’acquisizione di «elementi tali da far escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva», con la nuova versione dell’art. 4-bis O.P. – coniata dal D.L. 8 giugno 1992 n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n 356 – i condannati per tali delitti non possono essere ammessi ai benefici penitenziari, né alle misure alternative alla detenzione – con l’eccezione della liberazione anticipata – se non in quanto abbiano “utilmente” collaborato con la giustizia ex art. 58-ter O.P.

Il termine “ergastolo ostativo” nasce proprio in quel contesto caratterizzato da fenomeni criminali particolarmente cruenti e, in considerazione di ciò – soprattutto dopo le stragi di mafia di Capaci e di Via D’Amelio – si manifestò l’urgenza di reprimere tali azioni criminose in modo più duro. Da tali circostanze – e grazie alle idee dei due giudici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – nacque il c.d. ergastolo “ostativo”, pena destinata a coincidere, nella sua durata, con l’intera vita del condannato non collaborante.

La collaborazione diventa il parametro di valutazione in base al quale si concede o meno l’accesso ai benefici penitenziari, per cui, il solo modo per sfuggire al regime sanzionatorio ostativo, è quello di collaborare utilmente con la giustizia «barattando la propria libertà con quella di altri»[6] che, di fatto, verrebbero messi in galera al proprio posto.

1.1. La riaffermazione della perpetuità

La disciplina contenuta nell’art. 4-bis O.P., pur non facendone espresso riferimento, interessa largamente la categoria dei condannati all’ergastolo, i quali, in difetto del requisito dell’utile collaborazione con la giustizia ex art. 58-ter O.P., non riuscirebbero mai e poi mai ad abbandonare le mura degli istituti penitenziari.

Alla luce di una simile prospettiva, riemerge chiaramente la funzione totalmente neutralizzatrice ed eliminativa della pena perpetua, delineandosi la concreta prospettiva di una pena fino alla morte e, riconfermando, dunque, la prassi antecedente alle riforme del 1962 e del 1986, le quali avevano contribuito ad un affievolimento del carattere perpetuo dell’ergastolo.

Con l’ingresso della variante “ostativa” della pena perpetua, il dibattito sulla sua logicità e compatibilità con il quadro costituzionale riemergeva a tutto tondo ed in modo ancora più urgente. Invero, se l’ergastolano “comune” poteva almeno conservare il diritto a che il protrarsi della pretesa punitiva dello Stato fosse periodicamente riesaminata ai fini dell’accesso ai benefici pe­nitenziari e alle misure alternative, per contro, all’ergastolano “ostativo” non veniva garantito un tale diritto poiché, in assenza di una condotta collaborante esigibile, quegli stessi istituti gli sarebbero stati preclusi definitivamente[7].

La perpetuità è, in questa ipotesi sanzionatoria, il tratto caratteristico incontestabile e necessario, tant’è che la condizione di esistenza dell’ergastolo ostativo sta proprio nella non concessione, al condannato, della possibilità di un futuro reinserimento in società. Gli ergastolani ostativi vivono una condizione carceraria sui generis: per questi non vale la consolazione del “finché c’è vita c’è speranza”, in quanto la loro stessa vita si confonde inesorabilmente con l’istituto penitenziario, non potendo abbandonarlo, nemmeno per un secondo, fino al certificato di decesso.[8]

Oltre alla macabra prospettiva di una pena mediante la quale lo Stato non fa altro che attendere, sull’uscio della porta, la dipartita dell’ergastolano ostativo, è suscettibile di valutazione negativa altresì quel rapporto – quasi logicamente conseguenziale – che si instaura tra gli artt. 41-bis e 4-bis dell’ordinamento penitenziario.  Tale ultima disposizione, infatti, sembra possa essere identificata quale anticamera dell’accesso al regime detentivo differenziato previsto dall’art. 41-bis O.P., il quale si rivolge precipuamente ai condannati per quei delitti inseriti dal legislatore del 1991 nel catalogo ex art. 4-bis O.P[9]. In virtù di ciò emerge il fenomeno del c.d. “triplo schiacciamento” che si manifesta nei confronti degli ergastolani ostativi: questi ultimi sono, contestualmente, privati della propria vita (in quanto condannati alla pena perpetua), privati di ogni residua speranza (in quanto “ostativi”) e stralciati dalle normali regole del trattamento penitenziario (in quanto sottoposti al regime del c.d. carcere duro[10]).

2. Dubbi di legittimità costituzionale sull’ergastolo ostativo

I profili di illogicità di una pena perpetua rispetto al faro costituzionale rappresentato dall’art. 27 co. 3 che orienta verso un trattamento penitenziario rieducativo, si manifestano in modo ancor più evidente in tema di ergastolo ostativo. Gli ergastolani ostativi – definiti altresì con l’espressione “ergastolani senza scampo” – sono a tutti gli effetti condannati ad un “fine pena: mai”, cioè ad una pena che è perpetua sia dal punto di vista statico (in quanto, per l’appunto, condannati alla pena dell’ergastolo), sia da quello dinamico (in quanto condannati all’ergastolo ostativo) e, in virtù di ciò, è fisiologico il seguente quesito: il meccanismo messo a punto dall’art. 4-bis O.P., applicato alla pena perpetua, sta dietro l’orizzonte costituzionale delle pene?[11]

L’incompatibilità dell’ergastolo ostativo[12] col testo costituzionale, emerge non soltanto dalla collisione col principio rieducativo. Tale misura sanzionatoria mette a rischio una serie di principi e diritti contenuti in diverse norme che compongono il quadro costituzionale, e tra questi si rinvengono: il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.; il principio di umanità della pena, garantito anch’esso, insieme al principio rieducativo, dall’art. 27 co. 3 Cost.; il diritto alla libertà morale che emerge dagli artt. 2 e 13 co. 4 Cost.; il dritto di difesa ex art. 24 Cost.

L’equivalenza del trattamento riservato agli ergastolani ostativi che deliberatamente scelgono di non collaborare in virtù del loro legame col sodalizio criminale che non intendono interrompere, e quello riservato agli ergastolani ostativi che decidono di non collaborare in virtù di altre considerazioni – come il timore di ritorsioni – corrisponde ad una netta violazione del principio di eguaglianza il quale, com’è noto, impone di riservare a situazioni diverse trattamenti diversi.

Sull’umanità dell’ergastolo ostativo si nutrono seri dubbi in dottrina[13], soprattutto alla luce della disciplina sovranazionale contenuta nell’art. 3 c.e.d.u., e dai recenti interventi della Corte di Strasburgo in tema di condizioni degradanti delle carceri italiane e in tema della stessa condizione degli ergastolani ostativi.

L’alternativa tra la scelta di collaborare, che apre alla possibilità di allentare le maglie strette della pena perpetua ex art. 4-bis, e la scelta di non collaborare con la giustizia rimanendo di fatto segregato a vita tra le mura del carcere – salvo le ipotesi di impossibilità o inesigibilità-irrilevanza della collaborazione e l’ardua dimostrazione dell’attuale insussistenza del vincolo associativo – sembrerebbe indice di violazione del principio di libertà morale contenuto nell’art. 13 co. 4 Cost., in base al quale «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Ad esercitare tale violenza morale nei confronti dell’ergastolano ostativo è lo Stato, il quale costruisce una normativa attraverso cui pone l’individuo dinnanzi ad una scelta che richiede, visti i molteplici risvolti conseguibili, una non agevole valutazione circa l’opportunità di collaborare o meno, esercitando al contempo una sorta di violenza morale sul condannato.

La pena perpetua nella sua variante ostativa collide altresì col diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost, ed in particolare col principio espresso dal brocardo “nemo tenetur se detegere[14], il quale opera non solo nella fase anteriore al momento della condanna, ma anche nelle fasi successive come quella dell’esecuzione penale[15].

Tuttavia, difronte alla già citata alternativa tra la collaborazione e un comportamento silente, il diritto di difesa appare vulnerato in tutte le fasi del procedimento. E ciò non sembra essere neppure controbilanciato dal dato relativo alla concessione di un beneficio penitenziario o di una diminuzione della pena[16]. In considerazione di quanto osservato, l’istituto disciplinato dall’art. 4-bis O.P. dovrebbe essere valutato alla stregua di una doppia sanzione che affligge il condannato: la prima è costituita dalla condanna definitiva all’ergastolo ex. art. 4-bis; la seconda, invece, dalla sanzione relativa alla scelta del condannato di non collaborare con la giustizia[17].

3. Un parziale riconoscimento dell’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis O.P.: la sentenza cost. n. 253 del 2019

La sentenza n. 253 del 4 dicembre del 2019, pronunciata dalla Consulta, gioca un ruolo fondamentale nella storia dell’art. 4-bis O.P. e, con specifico riferimento, alla posizione di condannati ostativi qualificati.

La Corte Cost., in tale occasione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis O.P «nella parte in cui non prevede che, ai detenuti [in espiazione pena per tutti i delitti ivi elencati] possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo O.P.., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti»[18]. Appare chiaro che la Corte non ha intesto sancire tout court l’illegittimità della collaborazione con la giustizia, ma ha eliminato la sua obbligatorietà, rendendola di fatto una facoltà per il condannato ostativo.

Per effetto della sentenza in esame, la Consulta ha inteso sopprimere l’equazione secondo cui la mancanza di collaborazione si identificasse in ogni caso con la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

Equazione che, ante riforma del 2019, precludeva l’ammissibilità del permesso premio ex art. 30-ter O.P.

Precedentemente, sul condannato ostativo, gravava una presunzione di assoluta pericolosità (che si risolveva nella presunta sussistenza del vincolo associativo), convertita dalla Corte in presunzione relativa. Il condannato ostativo qualificato non dovrà più obbligatoriamente collaborare con la giustizia o dimostrare l’equipollenza dell’impossibilità o inesigibilità-irrilevanza della sua collaborazione con quella effettivamente ed utilmente prestata. Per tali tipologie di condannati è stata costruita una terza strada che si concretizza nella dimostrazione, da parte dell’interessato, sia dell’insussistenza dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia del pericolo di ripristino di tali collegamenti.

Nonostante l’epocale portata di tale pronuncia, la sola riferibilità di quest’ultima ai permessi-premio e le notevoli difficoltà che il detenuto non collaborante incontra in sede di dimostrazione dell’avvenuta recisione del vincolo associativo, non la rendono pienamente soddisfacente delle esigenze nutrite non solo a livello costituzionale, ma altresì a livello convenzionale.

4. Viola c. Italia ergastolo ostativo e art. 3 C.E.D.U.

L’ergastolo ostativo, oltre a suscitare dei seri dubbi di legittimità costituzionale – in virtù del complesso rapporto che tale pena intrattiene col finalismo rieducativo della sanzione penale – fa venire alla luce delle notevoli perplessità altresì nei riguardi di una norma di rango convenzionale, contenuta nell’art. 3 C.E.D.U.

La norma in questione riconosce e cristallizza a livello sovranazionale il principio del rispetto e della tutela della dignità umana, attraverso l’espressa previsione del divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti. Tale principio rappresenta un elemento costante in tutti gli strumenti internazionali di tutela dei diritti dell’uomo e in gran parte delle Costituzioni moderne[19]. La stessa Corte EDU ha più volte ribadito l’importanza del divieto definendolo “un principio fondamentale delle società democratiche”[20] e, dopo aver definito l’art. 3 come principio fondamentale, ne ha riconosciuto l’importanza affermando che esso rappresenta uno standard accettato a livello internazionale, come si evince dal Patto internazionale del 1966 sui diritti civili e politici e dalla Convenzione americana sui diritti umani 1969.

Sino alla sentenza in commento, la Corte di Strasburgo non si era mai espressa sulla compatibilità dell’ergastolo ostativo e l’art. 3 C.E.D.U. In alcuni casi[21], invece, oggetto delle pronunce della Corte è stato l’ergastolo cd. ordinario o semplice – cioè la pena perpetua commutabile mediante i meccanismi della liberazione condizionale e dei benefici premiali che l’ordinamento penitenziario italiano predispone. La presenza di tali meccanismi ha consentito ai giudici di Strasburgo di riconoscere la compatibilità dell’ergastolo semplice con l’art. 3 C.E.D.U. in quanto, nel diritto penale italiano, tale pena non è concretamente sine die, e gli stessi ergastolani possono essere considerati a tutti gli effetti dei condannati “risocializzabili” in vista di un possibile rientro in società grazie all’accesso ai benefici penitenziari ed in ultimo alla liberazione condizionale. La perpetuità dell’ergastolo viene ad essere neutralizzata da tali istituti: ciò consente di valutare la pena perpetua alla stregua di una pena comprimibile – presupposto fondamentale richiesto dalla costante giurisprudenza della Corte EDU ai fini della non violazione dell’art. 3 C.E.D.U.

Le concrete ed effettive prospettive di liberazione e le istanze di risocializzazione avanzate sia a livello convenzionale che a livello costituzionale, tuttavia, non vengono soddisfatte quando si parla di ergastolo ostativo. La preclusione di accesso ai benefici penitenziari, prevista dall’art. 4-bis O.P., rende l’ergastolo una pena incomprimibile e, l’unica possibilità di rendere inoperante tale divieto, è rappresentata dalla collaborazione con la giustizia[22].

La Corte di Strasburgo si è pronunciata per la prima volta, dalla sua istituzione, sulla compatibilità convenzionale dell’ergastolo ostativo il 13 giugno del 2019, con una sentenza emblematica, destinata a fare la storia nel contesto ordinamentale italiano e nella dinamica penitenziaria. La Corte si è espressa, infatti, con una sentenza di condanna che censura l’attuale fisionomia dell’ergastolo ostativo per contrasto con il principio della dignità umana[23].

Nel caso di specie, il sig. Marcello Viola, veniva condannato nel 1999 dalla Corte d’Assise di Palmi alla pena dell’ergastolo[24], confermata dalla Corte d’Appello nel 2002 e dalla Suprema Corte nel 2004. Al condannato venivano contestati una serie di delitti legati dal vincolo della continuazione – tra cui l’associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p. aggravato dalla qualità di promotore e organizzatore – e taluni delitti-fine, quali l’omicidio, il sequestro di persona aggravato dall’evento morte e il porto illegale d’armi da fuoco.

Nonostante i progressi compiuti dal sig. Viola nel percorso rieducativo e riconosciuti dal Tribunale di sorveglianza[25], le istanze avanzate dal ricorrente ai fini dell’ottenimento dei permessi premio e, successivamente, della liberazione condizionale, furono in ogni caso rigettate.

L’autorità giudiziaria, destinataria di suddette istanze, poneva a fondamento dei rigetti la circostanza in base alla quale i soggetti condannati per uno dei delitti elencati dall’art. 4-bis O.P. (tra i quali figura, per l’appunto, quello di associazione di tipo mafioso) possono accedere ai benefici penitenziari, ivi inclusa la liberazione condizionale, solo ove “collaborino con la giustizia” e salvo le ipotesi di collaborazione impossibile o irrilevante, non ricorrenti nel caso di specie. Non trattandosi di ergastolano ostativo collaborante – in quanto il ricorrente si era addirittura professato sino a quel momento innocente – i giudici nazionali non ritenevano sussistenti le condizioni per la concessione  dei permessi premio e della liberazione condizionale.

Disattese anche a livello costituzionale[26], il sig. Viola indirizzava le sue istanze direttamente alla Corte di Strasburgo, lamentando innanzitutto l’insussistenza di una effettiva e concreta prospettiva di liberazione e, di conseguenza, la non riducibilità della sua pena[27]; in secondo luogo deduceva la totale frustrazione del suo percorso di risocializzazione e reinserimento, dovuta all’impossibilità, de facto, di accedere alla liberazione condizionale.

La Corte di Strasburgo in tale occasione, come già anticipato, ha ritenuto che l’attuale disciplina dell’ergastolo ostativo violi il principio della dignità umana – e, segnatamente, l’art. 3 CEDU – nella parte in cui restringe al solo comportamento collaborativo del condannato la possibilità di accedere alla liberazione condizionale. La Corte giunge a tale conclusione seguendo un iter argomentativo fondato essenzialmente sulle precedenti acquisizioni giurisprudenziali emerse nella risoluzione dei casi sottoposti alla sua attenzione nell’ultimo decennio.

I giudici di Strasburgo osservano, innanzitutto, che la disciplina convenzionale non osta di per sé alla previsione di una pena perpetua nelle ipotesi in cui siano stati compiuti gravi delitti denotanti un forte allarme sociale. Ciò che entra in rotta di collisione col principio della dignità umana è una pena perpetua irriducibile de iure e de facto che determinerebbe la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 3 CEDU. Per scongiurare tale aberrazione è necessario che l’ordinamento assicuri un meccanismo di revisione della condanna alla pena perpetua che offra al condannato, decorso un certo periodo di detenzione, concrete possibilità di liberazione.

La Corte EDU non ha ritenuto l’ergastolo ostativo preclusivo in maniera assoluta ed automatica della possibilità, per l’ergastolano, di accedere alla liberazione condizionale (o agli altri benefici penitenziari, come ad esempio il permesso premio); ciò che desta perplessità nei giudici europei è il carattere evidentemente “non libero” della scelta di collaborare con la giustizia, e l’automatismo con cui viene generata la presunzione assoluta di pericolosità sociale di quei soggetti che scelgono di non collaborare.

Secondo la Corte, non può parlarsi pacificamente di scelta deliberata di non collaborare con la giustizia, e ciò è dovuto alle evidenti preoccupazioni che possono tormentare l’ergastolano nel momento in cui è posto dinnanzi al bivio “collaborazione-vendetta mafiosa”. In virtù di questa circostanza – che potremmo definire di “sliding-doors” – il comportamento non collaborativo non può essere obbligatoriamente sintomo di permanenza del vincolo ai valori criminali; né la scelta di collaborare può essere valutata alla stregua di un oggettivo distacco del condannato dall’ambiente criminale, in quanto potrebbe essere determinata da valutazioni meramente opportunistiche.

In secondo luogo, la scelta di ancorare la liberazione condizionale alla condotta collaborativa fa sì che, in sede di valutazione della personalità del condannato, si tenga conto soltanto della pericolosità di quest’ultimo al momento della commissione del fatto che può essere superata non già dalla partecipazione del reo al programma di riabilitazione, ma dalla sola collaborazione con la giustizia. Ciò limita fortemente il campo d’azione del magistrato di sorveglianza, il quale sarà obbligato a ritenere non pericoloso soltanto il soggetto che abbia prestato utile collaborazione e non colui che abbia effettivamente preso parte, in maniera positiva, al percorso di risocializzazione.

La vicenda del sig. Viola, dunque, può essere considerata il leading case sulla legittimità convenzionale dell’ergastolo ostativo “italiano”, e ha posto in evidenza il problema strutturale che caratterizza gravemente il nostro ordinamento penitenziario. Pur non trattandosi di una sentenza pilota[28], è evidente l’intenzione dei giudici di Strasburgo, i quali spingono verso una riforma (preferibilmente legislativa) dell’ergastolo ostativo, che consenta ai condannati alla pena perpetua per uno o più dei delitti indicati dall’art. 4-bis O.P., di poter concretamente ed effettivamente godere di una prospettiva di liberazione, indipendentemente dalla scelta di collaborare o meno con la giustizia.

Ciò che risulta fortemente auspicabile è una riforma che consenta all’autorità giudiziaria di valutare, caso per caso, i progressi ottenuti dal detenuto nel corso del trattamento rieducativo (rectius: riabilitativo), valorizzando in tal modo la finalità ultima della pena così come sancito dall’art. 27 co. 3 Cost. Alla luce di tali considerazioni, la condotta collaborativa non dovrà più fungere da parametro oggettivo ed assoluto per valutare la sussistenza o meno della pericolosità del condannato e del mantenimento del vincolo associativo, ma sarà necessario accertare che il detenuto abbia compiuto quei progressi, soprattutto in punto di rivisitazione critica della propria condotta criminosa, che non rendono più necessario il mantenimento del regime detentivo.

5. L’ordinanza costituzionale n. 97 del 2021

L’aria garantista che si respira in sede europea ha sollecitato, in maniera evidente, un cambio di rotta volto alla riformulazione della disciplina dell’ergastolo ostativo. La questione è stata affrontata nell’ultimo anno dalla Consulta, dinanzi alla quale è stato sollevato un dubbio di legittimità costituzionale dell’art.4-bis o.p.

Preliminarmente era stata adita la Suprema Corte di Cassazione attraverso un ricorso proposto contro un’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di L’Aquila da persona irrevocabilmente condannata alla pena dell’ergastolo[29]. Nel caso di specie, il condannato si è rivolto al Tribunale di sorveglianza per ottenere un provvedimento di liberazione condizionale. La richiesta è stata, tuttavia, dichiarata inammissibile poiché la pena in corso di esecuzione è stata inflitta per un reato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività della associazione in esso prevista (associazione di tipo mafioso). La Corte di Cassazione, tuttavia, prospettando una serie di argomentazioni alimentanti il dubbio circa la compatibilità costituzionale della norma in esame, ha dichiarato la questione rilevante e non manifestamente infondata, rimettendola al vaglio della Consulta[30].

Investita del quesito, la Corte parte dalla premessa secondo la quale la disciplina vigente dell’ergastolo ostativo preclude a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia la possibilità di chiedere la liberazione condizionale. Ciò in base a una presunzione assoluta della persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata. Nel testo dell’ordinanza – segnatamente nei punti da 3 a 7 del “considerato in diritto” – sono riportate molteplici considerazioni volte a dimostrare come il carattere assoluto di tale presunzione si ponga in contrasto con la finalità rieducativa della pena.

Il giudice delle leggi, invero, osserva che «nell’evoluzione legislativa, sia nella giurisprudenza di questa Corte, a orientare in favore della compatibilità della pena dell’ergastolo di cui all’art. 22 c.p. con il principio costituzionale di risocializzazione sono state le previsioni[31] che, in progresso di tempo, hanno consentito al condannato a tale pena di accedere alla liberazione condizionale»[32].

A dimostrazione del contrasto di una siffatta previsione all’obbiettivo di reinserimento di cui si fa portatore il terzo comma dell’art. 27 Cost., la Consulta offre un quadro accurato della propria giurisprudenza dalla quale emerge come la stessa Corte abbia ritenuto, nel tempo, la disciplina dell’ergastolo compatibile al dettato costituzionale proprio in virtù della possibilità concessa ai condannati alla pena perpetua di accedere alla liberazione condizionale.

Innanzitutto è stato ricordato che «l’accesso alla liberazione condizionale ha accentuato il proprio ruolo di fattore di riequilibrio nella tensione tra il corredo genetico dell’ergastolo (il suo essere una pena senza fine), da una parte, e l’obiettivo costituzionale della risocializzazione di ogni condannato, dall’altra»[33]. La Corte ha altresì ricordato che «tutti gli anzidetti correttivi finiscono con l’incidere sulla natura stessa della pena dell’ergastolo, che non è più quella concepita alle sue origini dal codice penale del 1930. La previsione astratta dell’ergastolo deve ormai essere inquadrata in quel tessuto normativo che progressivamente ha finito per togliere ogni significato al carattere della perpetuità che all’epoca dell’emanazione del codice la connotava»[34]. Interessante, e allo stesso tempo fondamentale, è altresì il rilievo in base al quale «se la liberazione condizionale è l’unico istituto che rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell’ergastolo, vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo cui detta pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso il passaggio per uno o più esperimenti negativi, fosse totalmente preclusa, in via assoluta, la riammissione del condannato alla liberazione condizionale»[35].

La Consulta, da ultimo, ha richiamato la più recente pronuncia costituzionale del 2019, n. 253 ove, in tema di difetto di collaborazione con la giustizia, si legge che la scelta di non collaborare non sempre sia libera,  ma talvolta può essere frutto di «una sorta di scambio tra informazioni utili a fini investigativi e conseguente possibilità per il detenuto di accedere al normale percorso di trattamento penitenziario». Nell’ordinanza in commento, la Corte ha osservato che «per il condannato all’ergastolo a seguito di un reato ostativo, lo “scambio” in questione può assumere una portata drammatica, allorché lo obbliga a scegliere tra la possibilità di riacquisire la libertà e il suo contrario, cioè un destino di reclusione senza fine. In casi limite può trattarsi di una “scelta tragica”: tra la propria (eventuale) libertà, che può tuttavia comportare rischi per la sicurezza dei propri cari, e la rinuncia a essa, per preservarli da pericoli».

È opportuno osservare che la Consulta, al successivo punto 8 del “considerato in diritto” dell’ordinanza de quo – e, dunque, a seguito della dettagliata panoramica descrittiva della giurisprudenza costituzionale consolidatasi sino a quel momento – chiarisce le differenze sostanziali che si rinvengono relativamente alla sopracitata sentenza del 2019, determinando un brusca battuta d’arresto nel cammino verso l’accoglimento delle questioni sottoposte al suo giudizio. La Corte, invero, sottolinea che nel sindacato di legittimità costituzionale del 2019, oggetto di quest’ultimo, era l’art. 4-bis co. 1 O.P. in relazione alla concessione del permesso premio ex art. 30-ter O.P.; nel presente giudizio invece si discute della possibilità di concedere l’accesso alla liberazione condizionale[36]. La diversità oggettiva dei due giudizi, a parere della Corte, è di fondamentale rilevanza se solo si faccia riferimento al diverso ruolo che i due istituti ricoprono: la liberazione condizionale, infatti, determina il definitivo riacquisto della libertà; la concessione del permesso premio, invece, segna soltanto una breve sospensione della carcerazione. Da qui l’accento posto dalla Corte sul carattere apicale della normativa oggetto del suo giudizio allorché si tratti di contrastare il fenomeno della criminalità organizzata; normativa che, a seguito di un intervento demolitorio, secondo la Consulta, avrebbe determinato delle forti e negative ripercussioni in tema di esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva.

Giungere alla medesima conclusione a cui pervenne  con la sentenza n. 253 del 2019 altresì in tema di concessione della liberazione condizionale, non rientra nei disegni della Consulta, in virtù della segnalata differenza tra l’istituto della liberazione condizionale e quello del permesso premio. Trattandosi, nel primo caso, di far riacquisire la libertà all’ergastolano, si equiparerebbe – incongruamente – la posizione del condannato all’ergastolo per delitti connessi alla criminalità organizzata che non abbia collaborato con la giustizia, a quella del condannato collaborante.

Nonostante le preliminari considerazioni svolte dalla Corte, dalle quali potevasi dedurre in maniera “auspicata” un’imminente dichiarazione di incostituzionalità della norma in esame, questo giudice non ha ritenuto opportuno procedere con un intervento demolitorio, bensì è stato valutato che «l’intervento di modifica di questi essenziali aspetti deve essere, in prima battuta, oggetto di una più complessiva, ponderata e coordinata valutazione legislativa». La Corte ha concluso che «esigenze di collaborazione istituzionale impongono di disporre il rinvio del giudizio in corso e di fissare una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame, alla data del 10 maggio 2022, dando così al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia».

La parola – per effetto dell’ordinanza in commento – passa al nostro organo legislativo, rappresentando tale scelta un elemento di estrema novità per la storia del processo costituzionale[37]. Dietro il ragionamento svolto dalla Corte si cela certamente una valutazione di opportunità, che potremmo definire addirittura “politica”, sulla base del fatto che – si ricorda – un intervento della Corte in senso meramente demolitorio della disciplina in esame avrebbe determinato preoccupanti lacune nel nostro ordinamento giuridico, di qui la necessità di una pronuncia legislativa sul merito della questione.

La scelta di rimessione della questione al Parlamento può rappresentare, peraltro, una novità valutabile in termini positivi in quanto, in questa occasione, la Consulta non ha rigettato il dubbio di legittimità costituzionale per inammissibilità o infondatezza in considerazione della necessità di una modifica legislativa in materia (che la Corte, di fatto, non avrebbe potuto operare); nel caso di specie, invece, la Consulta ha affrontato la questione, indirizzando il legislatore sia nei tempi – accordando a quest’ultimo il termine di un anno per intervenire – sia nelle modalità di intervento – al fine di compiere le scelte necessarie che dovranno accompagnare l’eliminazione della mancata collaborazione ostativa all’accesso alla liberazione condizionale.

Tra gli argomenti esposti dalla Corte Cost. che depongono a favore del rinvio al legislatore  – o comunque del rinvio ad un riesame della questione tra un anno da parte della stessa Corte – trova rilievo la disarmonia che si sarebbe determinata tra i condannati all’ergastolo per reati di mafia o di contesto mafioso, i quali avrebbero potuto ottenere il vaglio nel merito della loro istanza anche se non collaboranti) e i condannati all’ergastolo per altri reati di prima fascia del 4-bis, che nulla hanno a che fare con la mafia (o che addirittura nulla hanno a che fare con la stessa criminalità organizzata[38]), in quanto nei loro confronti non avrebbe alcun senso logico far valere la prova legale della collaborazione quando si tratta di concedere permessi-premio; così si era espressa la stessa Corte Cost. con la sentenza n. 253 del 2019.

Nel far riferimento a tale sperequazione di trattamento tra le diverse tipologie di condannati, la Corte pone all’attenzione, dunque, un ulteriore motivo che rende necessaria la rimessione della questione al legislatore, il quale dovrà dettare le modalità e le nuove condizioni che consentiranno l’accesso alla liberazione condizionale all’ergastolano ostativo prescindendo dalla collaborazione con la giustizia.

5.1. Spunti di riflessione sull’ordinanza

Come si è già dettagliatamente osservato, la Corte Cost. con l’ordinanza n. 97 del 2021 ha accordato al legislatore il termine di un anno, con scadenza fissata al 10 maggio 2022, per far sì che questo intervenga sulla disciplina contenuta nell’art. 4-bis O.P. ed in particolare sull’istituto della collaborazione con la giustizia ex art. 58-ter O.P., attualmente condizione ostativa – di riferimento – alla liberazione condizionale.

Sulla scelta compiuta dalla Consulta di rimettere la risoluzione della questione all’organo legislativo, sono state avanzate talune critiche in dottrina, le quali ruotano attorno alla tangibile possibilità, non vagliata dalla Corte, di procedere ad una dichiarazione di illegittimità conseguenziale[39] della norma oggetto del giudizio. Tale possibilità è riconosciuta alla Corte dall’art. 27 della l. 11 marzo 1953, n. 87, il quale stabilisce che «la Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara, altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata»[40].

L’illegittimità conseguenziale fu strumento già utilizzato dalla Consulta nel pronunciare la sentenza n. 253 del 2019: nel caso di specie è sollevata alla Corte una questione di legittimità costituzionale concernente i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste; la Corte, tuttavia, ha esteso la dichiarazione di illegittimità, in via conseguenziale, a tutti i delitti previsti dall’art. 4-bis co. 1 O.P.

Posta la questione di legittimità costituzionale relativa alla concessione della liberazione condizionale (e non dei soli permessi-premio, come accadde nel 2019) dinnanzi alla Corte, tra i motivi che hanno indotto quest’ultima a procedere alla sua rimessione al legislatore vi è, come osservato nel paragrafo precedente, la disarmonia che sarebbe derivata a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis. co. 1 O.P, tra i condannati all’ergastolo per reati di mafia e i condannati all’ergastolo per un titolo (o più) di reato sciolto dal contesto mafioso (ad esempio, i reati di matrice sessuale), in ordine ai quali sarebbe irragionevole richiedere la rigorosa prova di una collaborazione con la giustizia – data la non appartenenza ad alcun tipo di sodalizio criminale. La Corte a questo punto ritiene necessario un intervento legislativo proprio in virtù delle antinomie e dei vuoti normativi che sarebbero derivati da un suo intervento meramente demolitorio della disciplina.

Tuttavia, si osserva in dottrina[41], che indipendentemente dalla tipologia del reato ostativo commesso, escludere in assoluto il condannato non collaborante dalla liberazione condizionale si porrebbe, da un lato, in contrasto con il finalismo rieducativo della pena; dall’altro lato creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento all’interno della categoria dei condannati all’ergastolo ostativo. In considerazione di quanto osservato dalla dottrina – e, alla luce di una oggettiva possibilità di utilizzare lo strumento dell’illegittimità conseguenziale – una pronuncia di accoglimento della Consulta fondata sull’art. 27 co. 3 Cost., avrebbe potuto dunque estendersi a tutti i delitti dell’art. 4-bis co. 1 O.P.

Un ulteriore profilo di criticità dell’ordinanza 97/2021 risiede nella sua stessa natura. Come già osservato nel precedente paragrafo, l’ordinanza in analisi è annoverabile tra quelle pronunce che possono definirsi “pro futuro” ovvero, altresì, “a futura memoria”; in dottrina si è parlato di “pronuncia-monito” ed è stato evidenziato il costo che deriva da una simile tipologia di decisione. Invero, dal 15 aprile del 2021 al maggio del 2022 – o almeno fino al momento in cui il legislatore interverrà – l’ergastolano ostativo non collaborante non potrà ottenere il vaglio nel merito della sua istanza di accesso alla liberazione condizionale. A fronte di una simile richiesta, il Tribunale di sorveglianza si esprimerà con una pronuncia di inammissibilità; circostanza alquanto paradossale considerando che l’inammissibilità si esprime su una disciplina di cui la Corte Cost. ha già accertato l’illegittimità con l’ordinanza in commento, offrendo una serie di argomentazioni molto solide, arrestate però dalla stessa Consulta nella parte conclusiva della sua pronuncia. Il magistrato di sorveglianza, nei prossimi mesi, avrà soltanto la possibilità di sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale: è chiaro che una simile ipotesi sarebbe del tutto inconcludente in considerazione del rinvio operato dalla stessa Corte Cost. al legislatore al fine di riformare la disciplina dell’art. 4-bis co. 1 O.P.

5.2. Possibili prospettive di riforma: cosa bolle ad oggi in pentola?

Una possibile soluzione legislativa è quella proposta dal Movimento 5 Stelle e che vede come primo firmatario il deputato Vittorio Ferraresi[42], che di fatto ha aperto il dibattito in Parlamento sull’ergastolo ostativo. La proposta di legge, pur accogliendo l’invito della Consulta – che chiamava il legislatore ad intervenire per ridefinire le condizioni di accesso alla liberazione condizionale per i condannati all’ergastolo ostativo– si pone, tuttavia, in posizione antitetica rispetto a quanto la stessa Corte ha accertato con l’ordinanza n. 97 del 2021, ovverosia l’illegittimità costituzionale della disposizione succitata[43].

Con un testo normativo che consta di sole quattro pagine e incentrato su due soli articoli, la proposta di legge “Ferraresi” getta le basi per l’elaborazione di un “nuovo ergastolo ostativo” che fissa paletti stringenti per la concessione dei benefici penitenziari. Tra i punti caratterizzanti della soluzione prospettata rientra innanzitutto – anche in assenza della collaborazione con la giustizia – la subordinazione della concessione dei benefici, «oltre che la regolare condotta carceraria e alla partecipazione al percorso rieducativo, anche la dimostrazione dell’integrale adempimento delle obbligazioni civili e delle riparazioni pecuniarie derivanti dal reato o l’assoluta impossibilità di tale adempimento». Necessario sarà altresì fornire «elementi concreti, diversi e ulteriori rispetto alla mera dichiarazione di dissociazione dall’eventuale organizzazione criminale di appartenenza, che consentano di escludere con certezza l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto in cui il reato è stato commesso, nonché di escludere con certezza il pericolo di ripristino di tali collegamenti, tenendo conto delle circostanze personali e ambientali». Il condannato dovrà, inoltre, addurre le specifiche motivazioni che non gli consentono di collaborare con la giustizia.

Ulteriore tratto fondamentale della proposta de quo è l’intervento, nel procedimento per la concessione della liberazione condizionale davanti alla magistratura di sorveglianza, del Procuratore nazionale antimafia e del procuratore del distretto del tribunale che ha emesso la sentenza di condanna.

Anche il ruolo della magistratura di sorveglianza è coinvolto dalla proposta in esame: il suo art. 2 prevede, infatti, l’accentramento delle decisioni in tale materia presso il Tribunale di sorveglianza di Roma. Scelta del tutto opinabile, se si considera che una simile normativa farebbe confluire tutte le decisioni in tema di ergastolo ostativo presso un unico complesso giurisdizionale – quello della magistratura di sorveglianza sito in Roma – determinando talune evidenti illogicità che si ripercuoterebbero inevitabilmente sulla valutazione del percorso rieducativo del reo. Ci si potrebbe chiedere, invero, quale possa essere la conoscenza del Tribunale di sorveglianza di Roma circa il percorso trattamentale del detenuto che si trovi ad Udine[44].

La proposta di legge “Ferraresi”, alla luce di quanto valutato dalla Commissione Giustizia della Camera – riunitasi in data 13 ottobre 2021 per adottare un testo base dal quale partire per costruire una proposta sulla scorta delle indicazioni della Consulta – non costituirà il punto di partenza per la modifica dell’art. 4-bis co. 1 O.P. La valutazione operata dalla Commissione, che giunge all’accantonamento della proposta del M5S, parte dallo spirito dell’ordinanza 97/2021 con cui è stato, in sostanza, dichiarato un intento sfavorevole alla comprensione di un ergastolo “ostativo” nel novero delle misure sanzionatorie previste dal nostro ordinamento, quantomeno dal punto di vista di una revisione della collaborazione con la giustizia quale condizione ostativa all’accesso alla liberazione condizionale[45].

Prescindendo da qualsiasi valutazione di ordine politico, può osservarsi che l’invito della Corte Cost. alla riforma della disciplina ex art. 4-bis co. 1 O.P., non può essere accolto con una proposta di legge che rielabori una nuova figura di ergastolo ostativo – come dimostra lo stesso titolo, preoccupante, della proposta: “Il nuovo ergastolo ostativo”. La soluzione avanzata sembrava preoccuparsi soltanto della conservazione sostanziale dell’attuale ergastolo ostativo, bypassando le nuove e rilevanti acquisizioni della Corte Cost. che si muovono in direzione di una pena improntata essenzialmente alla rieducazione del condannato ai valori di umanità. Difficilmente una simile proposta avrebbe superato il vaglio della Consulta, preannunciato da quest’ultima nella stessa ordinanza 97/2021[46].

Nonostante le rilevanti difficoltà nell’individuare un testo “base” su cui costruire una modifica – costituzionalmente e convenzionalmente orientata – della disciplina giuridica dell’ergastolo ostativo, il 17 novembre 2021  la Commissione Giustizia della Camera ha votato ed approvato un testo che sembra essere la sintesi di tre distinti disegni di legge[47] presentanti alla Commissione dalle diverse compagini politiche.

Il relatore della Commissione – presieduta dal pentastellato Mario Pierantoni – ha evidenziato, già nelle prima battute,  che il testo base è stato elaborato nel rispetto delle indicazioni della Consulta, pur avendo mantenuto un certo rigore nei confronti dei reati legati alla criminalità mafiosa.

Oggetto indiscusso della riforma dell’istituto dell’ergastolo ostativo è l’art. 4-bis O.P. Il suo comma 1-bis viene sostituito interamente disponendo che i benefici contemplati dal comma 1 della norma (l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione) potranno essere concessi anche ai condannati alla pena dell’ergastolo che non collaborino con la giustizia a condizione che: gli stessi tengano una condotta carceraria regolare; partecipino al percorso rieducativo; dimostrino di avere adempiuto alle obbligazioni civili e alle riparazioni di tipo pecuniario conseguenti al reato (o l’impossibilità di provvedervi); venga accertato in base a elementi concreti e congrui la dissociazione del detenuto rispetto all’organizzazione criminale di appartenenza tale da escludere la persistenza di collegamenti con l’attività criminale, eversiva o terroristica di provenienza così come con il contesto in cui il reato è stato commesso o il pericolo di riprendere collegamenti anche indiretti e con terzi, in considerazione delle condizioni personali e ambientali del detenuto.[48]

La modifica riguarda altresì il ruolo del magistrato e del tribunale di sorveglianza, i quali, ai fini della concessione dei benefici, dovranno acquisire informazioni dettagliate tramite il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente che però non sarà più quello che si trova nel luogo di detenzione del condannato, ma quello che coincide con il luogo di emissione della sentenza di primo grado e, se diverso, di quello che si trova nel luogo di dimora abituale del condannato nel momento in cui si è data esecuzione alla pena e del luogo in cui il detenuto vuole stabilire la sua residenza.

Il testo di riforma prevede, inoltre, l’aggiunta di un comma 2-ter, il quale stabilisce che il giudice, prima di decidere sull’istanza per la concessione dei permessi premio, chiede il parere: del P.M. presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado; in caso di condanna per i reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. del P.M. presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui è stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

In caso di parere contrario del P.M., il giudice che vuole comunque concedere i permessi, è obbligato a fornire le ragioni in base alle quali ritiene che gli elementi acquisiti lo portino a superare il giudizio negativo del P.M. e degli altri soggetti da consultare in base alla norma.

Il testo approvato dalla Commissione sarà, in ogni caso, oggetto di modifiche in virtù degli emendamenti che saranno successivamente proposti[49].

 

 

 

 

 


[1] Cfr. Corte Cost., 2 luglio 1990, n. 313, in Consulta online.
[2] Con il termine “Legislazione d’emergenza” si indica quel pacchetto di provvedimenti legislativi che negli anni Settanta, a partire dal 1974, lo Stato ha emanato per combattere prima i fenomeni eversivi (nei cd. anni di piombo) e, successivamente, la criminalità organizzata. Il legislatore, in quegli anni, ha limitato le garanzie dei diritti di libertà dei singoli (dal fermo di polizia, alle intercettazioni telefoniche, alla durata della custodia cautelare, alle perquisizioni in blocco degli edifici senza specifico mandato; inoltre ha notevolmente esteso i poteri della polizia giudiziaria, attenuando l’applicazione di numerose garanzie giurisdizionali (convalide, autorizzazioni etc.). Gran parte della legislazione d’emergenza ha avuto ed ha carattere temporaneo ed eccezionale: difatti, se da un lato molti istituti introdotti «a termine» sono successivamente decaduti con l’abrogazione da parte del nuovo codice di procedura penale ispirato a principi garantistici, dall’altro il legislatore ha continuato a perseguire la strada dell’emergenza per la piaga, ancora estesa, della criminalità organizzata e di tutte le sue ramificazioni sociali, politiche ed economiche.
[3] Cfr. DOLCINI E., La pena detentiva perpetua nell’ordinamento italiano. Appunti e riflessioni, in Riv. Diritto Penale Contemporaneo, 2018, p. 8.
[4] La legge in questione, rubricata “Provvedimenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa”, rappresenta una vera e propria inversione di tendenza rispetto a quanto previsto dalla “Legge Gozzini” del 1962.
[5] Nell’ambito di tale elenco rientrano: i c.d. reati di mafia (associazione di tipo mafioso anche straniere; scambio elettorale politico-mafioso; qualsiasi reato commesso avvalendosi delle condizioni della associazioni mafiose oppure commesso per agevolare le dette associazioni); i reati contro la pubblica amministrazione (concussione; corruzione per l’esercizio della funzione; corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio; induzione indebita a dare o promettere utilità; istigazione alla corruzione; peculato, concussione, induzione a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee); i reati contro il patrimonio (furto in abitazione; rapina aggravata; estorsione aggravata; sequestro di persona a scopo di estorsione); i reati contro la persona e la famiglia (deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; omicidio; maltrattamenti in famiglia commessi in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità; atti persecutori (stalking) commessi in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, oppure commessi con armi o da persona travisata); i reati associativi (associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ovvero al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero alla commissione di delitti contro la personalità individuale); i reati a sfondo sessuale (prostituzione e pornografia minorile; violenza sessuale; violenza sessuale di gruppo; atti sessuali con minorenne; corruzione di minorenne); i reati di immigrazione clandestina (acquisto o vendita di schiavi; immigrazione clandestina; riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù; tratta di persona)
[6] Cfr. PUGIOTTO A., Come e perché eccepire l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, in Riv. Diritto Penale Contemporaneo, 2016, p. 20.
[7] Cfr. ibidem.
[8] Cfr. SOFRI A., Gli uomini ombra che moriranno in carcere, ne la Repubblica, 24 settembre 2012.
[9] Il secondo comma dell’art. 41-bis O.P. stabilisce, infatti, che «quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza».
[10] Cfr. PUGIOTTO A., Come e perché eccepire l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, loc. cit.
[11] Cfr. PUGIOTTO A., Come e perché eccepire l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, op. cit. p. 21.
[12] È opportuno chiarire che quando si parla di incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, si fa riferimento ai profili di illegittimità dell’art. 4-bis O.P., il quale, applicato all’ergastolo semplice, lo tramuta in una pena effettivamente perpetua.
[13] Cfr. DOLCINI E., La pena detentiva perpetua nell’ordinamento italiano, op. cit. pp. 17 e 18.
[14] Fondamentale principio processuale in base al quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale.
[15] Tale affermazione è facilmente accertabile attraverso la lettura del quarto comma dell’art. 197-bis c.p.p., il quale stabilisce che nei casi di procedimenti connessi «il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti».
[16] A titolo esemplificativo, una tale funzione viene svolta dagli artt. 323-bis co.1 2 c.p. il quale stabilisce che «per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi», e dall’art. 625-bis, in base al quale «nei casi previsti dagli articoli 624, 624-bis e 625 la pena è diminuita da un terzo alla metà qualora il colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare».
[17] Cfr. DOLCINI E., La pena detentiva perpetua nell’ordinamento italiano, loc. cit.
[18] Cfr. Corte Cost., 4 dicembre 2019, n. 253, in www.cortecostituzionale.it.
[19] Cfr. GORI A., Articolo 3 CEDU. Trattamenti inumani e degradanti, la giurisprudenza della Corte e il suo impatto sul diritto dei detenuti, in Riv. Adir: l’altro diritto, Pacina Giuridica Editore, 2015.
[20] Tale espressione è stata utilizzata per la prima volta dai giudici di Strasburgo nella vicenda Soering c. Regno Unito, riguardante il caso dell’estradizione di un cittadino europeo negli Stati Uniti, luogo in cui avrebbe subito una condanna alla pena capitale per aver commesso un omicidio. Cfr. Corte Edu, sent. Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, n. 14038/88.
[21] Il riferimento è ai casi Scoppola e Garagin, che hanno permesso ai giudici di Strasburgo di pronunciarsi sulla legittimità convenzionale dell’ergastolo “ordinario”. Nel caso Scoppola, la Corte, ha affrontato altresì questioni di natura processuale legate all’accesso al rito abbreviato dei condannati alla pena perpetua. Nel caso di specie, la Corte, è stata chiamata a valutare gli effetti, ai sensi degli artt. 6 e 7 della Convenzione, di una reformatio in peius, intervenuta in corso di procedura, del trattamento sanzionatorio previsto per le persone condannate all’ergastolo che accedano al rito abbreviato. La Corte ha constatato la violazione del diritto a un processo equo previsto dall’art. 6 c.e.d.u. e del principio di legalità della pena di cui all’art. 7 c.e.d.u., da cui ha fatto discendere un principio di retroattività della lex mitior. Cfr. Corte Edu, Grande Camera, Scoppola c. Italia, sent. 17 settembre 2009, ric. n. 10249/03; Corte Edu, Garagin c. Italia, sent. 29 aprile 2008, ric. n. 33290/07.
[22] Circa le condizioni richieste dall’art. 4-bis O.P. mediante le quali è possibile rendere inoperante il divieto di accesso ai benefici premiali, si rinvia al capitolo precedente (IV) e, specificamente, all’evoluzione giurisprudenziale – di legittimità e costituzionale – che ha coinvolto l’istituto.
[23] In particolare, a parere della Corte EDU, le concrete possibilità di liberazione attualmente a disposizione di un ergastolano ostativo sono eccessivamente limitate, sì che la pena perpetua non può essere considerata, di fatto, “riducibile” ai sensi dell’art. 3 c.e.d.u., con conseguente violazione del principio della dignità umana. Sul tema cfr. SANTINI S., Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana, in Diritto Penale Contemporaneo, 2019.
[24] Cfr. Corte Ass. di Palmi, sent. 22 settembre 1999, n. 10.
[25] I primi sei anni di espiazione della pena venivano trascorsi dal Viola in regime di “carcere duro” di cui all’art. 41-bis O.P. e, a fronte della decisione del Ministero della giustizia di prolungare il periodo di regime speciale, il ricorrente proponeva reclamo dinanzi al Tribunale di sorveglianza. In tale circostanza, l’autorità giudiziaria accoglieva le doglianze del ricorrente valorizzando i progressi compiuti da quest’ultimo nel percorso rieducativo e rilevando come il Ministero non avesse adeguatamente dimostrato quel perdurante mantenimento dei contatti con l’organizzazione mafiosa che giustifica la protrazione del regime del carcere duro. Sul punto v. SANTINI S., Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”, loc. cit.
[26] Le istanze del sig. Viola venivano respinte anche a livello costituzionale, ove il ricorrente deduceva l’illegittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo rispetto al principio rieducativo contenuto nell’art. 27 co. 3 Cost.
[27] Secondo il ricorrente, l’incompatibilità convenzionale dell’ergastolo ostativo doveva rinvenirsi nella circostanza che poneva l’ergastolano dinnanzi ad un’ardua e irrisolvibile scelta: decidere di collaborare con la giustizia pur essendo consapevole dei gravi e pericolosi risvolti derivanti da una tale scelta nei confronti della sua persona e dei familiari – in quanto è senza dubbio prevedibile che la collaborazione con l’autorità giudiziaria determini il più delle volte delle ritorsioni da parte delle “vittime” del cd. pentitismo; oppure scegliere di restare silente, di non collaborare e, quindi, di rinunciare ad ogni possibilità di accedere alla liberazione condizionale
[28] La “sentenza pilota” è una particolare forma di pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo utilizzata quando ci si trova di fronte ad un problema strutturale della legislazione di un determinato Stato (ad esempio, ciò avviene quando la Corte è investita di plurimi casi che riguardano il medesimo problema giuridico); in queste situazioni, la Corte non si limita ad individuare il problema che il caso presenta e a condannare lo Stato convenuto ma si spinge a indicare, nel dispositivo, le misure più idonee che lo Stato deve adottare per porre rimedio alla problematica. Cfr. PAZIENZA S., Sentenze pilota della Corte Edu e revisione del processo: spunti di riflessione dalla Corte di Cassazione, nota a Cass. pen. sez. VI, 23 settembre 2014 (dep. 6 novembre 2014) n. 46067, 2015, in www.questionegiustizia.it.
[29] Cfr. Corte Ass. di Palermo, 24 giugno 2015, confermata dalla Corte di assise d’appello. Il ricorrente, in particolare, è stato riconosciuto colpevole di un delitto di omicidio volontario aggravato ex art. 7 del d.l. n. 152 del 1991. La sanzione dell’ergastolo concernente il reato in questione, originariamente cumulata alle pene inflitte per fatti ulteriori, è in esecuzione dal 23 novembre 1999.
[30] La Corte di Cassazione, in primo luogo, ricorda che il beneficio richiesto dal condannato al Tribunale di sorveglianza (la liberazione condizionale) è ammissibile, in rapporto ai delitti elencati al primo comma del citato art. 4-bis, «solo nel caso di collaborazione con la giustizia o di accertata impossibilità o inesigibilità della collaborazione medesima». Tuttavia, secondo la Suprema Corte, «non può negarsi rilevanza alla questione di costituzionalità», in quanto «il dubbio di costituzionalità trova causa nel convincimento che la collaborazione non può essere elevata ad indice esclusivo dell’assenza di ogni legame con l’ambiente criminale di appartenenza e che, di conseguenza, altri elementi possono in concreto essere validi e inequivoci indici dell’assenza di detti legami e quindi di pericolosità sociale». Cfr. Cass. Pen., Sez. I, ord. 3 giugno 2020, n. 18518, in de Jure.
[31] Tra queste un ruolo fondamentale è stato svolto dalla legge 25 novembre 1962, n. 1634 (Modificazioni alle norme del Codice penale relative all’ergastolo e alla liberazione condizionale), che aveva stabilito, modificando l’art. 176 co. 3 c.p., che la liberazione condizionale potesse essere accordata anche al condannato all’ergastolo, nel concorso di ulteriori presupposti, dopo che egli avesse effettivamente scontato almeno ventotto anni di pena; termine successivamente ribassato a ventisei anni.
[32] Cfr. Corte Cost., ord. 15 aprile 2021, n. 97, in Riv. De Jure.
[33] Cfr. FASSONE E., Riduzioni di pena ed ergastolo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, p. 799 ss e GREVI V. Sulla configurabilità di una liberazione condizionale “anticipata” per i condannati all’ergastolo, in Foro it., 1984, pt. I, p. 19 ss., in commento a Corte Cost., 21 novembre 1974, n. 264, in De Jure.
[34] Cfr. GALLO E., Un primo passo per il superamento dell’ergastolo, in Giur. cost., 1994,  p. 1267 ss. e RUOTOLO M.,  L’illegittimità costituzionale della pena dell’ergastolo nei confronti del minore: un segno di civiltà giuridica, in Giur. it., 1995, p. 358 ss, in commento a Corte Cost., 27 aprile 1994, n. 168, in Riv. De Jure.
[35] Cfr. LONGO A., Brevi osservazioni sui rapporti tra ergastolo e liberazione condizionale suggerite dalla sentenza n. 161/97, in Giur. it., 1999, p. 121 ss, in commento a Corte Cost., 2 giugno 1997, n. 161, in Riv. De Jure.
[36] La Corte Cost. osserva in tal senso che «nelle questioni di legittimità costituzionale decise con la sentenza n. 253 del 2019 si trattava di valutare l’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. nella parte in cui non consentiva, al detenuto non collaborante, l’accesso al permesso premio, cioè a un beneficio penitenziario che segna l’inizio del percorso di risocializzazione. Nel presente giudizio, si tratta invece di sottoporre a scrutinio la medesima norma, unitamente alle altre censurate, nella parte in cui non consentono che un soggetto condannato all’ergastolo, il quale non collabori utilmente con la giustizia, possa chiedere, dopo un lungo tempo di carcerazione, una valutazione in concreto circa il suo sicuro ravvedimento, premessa per l’accesso alla libertà condizionale e, quindi, per la estinzione della pena».
[37] La risoluzione delle questioni sollevate alla Corte Costituzionale, rimessa da questo giudice all’organo legislativo, costituisce una prassi recente adottata dai giudici costituzionali. L’ordinanza n. 97 del 2021, con cui si è stata attribuita al Parlamento la risoluzione della questione per il tramite di una modifica legislativa, rappresenta solo una species di questa nuova prassi. La Corte si è pronunciata, da ultimo, con una sentenza che potrebbe definirsi “a futura memoria”: parliamo della sentenza n.41 del 2021 con cui è stato dichiarato incostituzionale prevedere la presenza dei giudici onorari nelle Corti d’Appello sulla base di un chiaro dettato costituzionale, ma è stato anche specificato che tale illegittimità costituzionale diverrà efficace soltanto nel 2025, accordando ai giudici onorari nelle Corti d’Appello la possibilità di continuare ad operare fino a quella data, salvo il fatto che non potrà esservi nomina di nuovi. Sul punto cfr. Corte Cost., 25 gennaio 2021, n. 41.
[38] Si faccia il caso dei reati di terrorismo o dei reati attinenti alla sfera sessuale rientranti nell’elenco dell’art. 4-bis co. 1 O.P. «I criteri probatori di maggior rigore, chiamati a prendere il posto della prova legale della collaborazione, non dovrebbero valere quando si tratta di concedere […] i permessi-premio a condannati per i reati di cui al primo comma dell’art. 4-bis, diversi da quelli di criminalità organizzata di stampo mafioso o terroristico», in quanto nei confronti di quei condannati non sorge la necessità di dimostrare «l’assenza di legami con un, inesistente, sodalizio criminale di originaria appartenenza». Sul tema cfr. GIOSTRA G., Verso un’incostituzionalità prudentemente bilanciata? Spunti per una discussione, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il fine e la fine della pena, p. 129.
[39] Cfr. DOLCINI E., L’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021.
[40] Sul tema dell’illegittimità conseguenziale cfr. MORELLI A., L’illegittimità conseguenziale delle leggi. Certezza delle regole ed effettività della tutela, coll. Facoltà di Giurisprudenza – Università degli Studi di Catanzaro, 2008.
[41] Cfr. VERONESI P., Un passo dopo l’altro, è in arrivo il knock down per la disciplina dell’ergastolo ostativo?, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), il Mulino, Bologna, 2020, p. 241; DOLCINI E., L’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021.
[42] Proposta di legge C. 3106, presentata l’11 maggio 2021 alle Camere.
[43] Cfr. MILELLA L., Ergastolo ostativo, M5S contro la Consulta: “Il suo è un colpo mortale alla lotta alla mafia”La Repubblica, 19 maggio 2021; MUSCO S., Ergastolo ostativo, il M5S “corregge” la ConsultaIl Dubbio, www.ildubbio.news, 19 maggio 2021, p. 3; STELLA A., Ergastolo: il trucco 5S per beffare la ConsultaIl Riformista, 19 maggio 2021, p. 5; RUFFOLO D.M., Carcere a vita ai boss. Ecco la proposta di legge del M5S per il nuovo ergastolo. Per ora nessuna iniziativa dagli altri partiti, La Notizia, www.lanotiziagiornale.it, 4 giugno 2021.
[44] «Cosa può sapere il Tribunale di Sorveglianza di Roma del percorso trattamentale del detenuto che sta ad esempio ad Udine? È una totale alterazione della giurisdizione di prossimità che è il fondamento di quella rieducativa»: così si è espresso Marcello Bortolato, Presidente del Tribunale di Firenze, in una intervista di cui riferisce STELLA A., Ergastolo: il trucco 5S per beffare la Consulta, loc. cit.
[45] Cfr. STELLA V., Non passa il testo grillino sull’ergastolo ostativo. Il punto di partenza non sarà la proposta di legge per “un nuovo ergastolo ostativo” a firma M5S che voleva votare la proposta a firma di Ferraresi, Il Dubbio, 14 ottobre 2021.
[46] Al punto 11 del “Considerato in diritto” dell’ord. n. 97 del 2021, si legge a chiare lettere che «compito di questa Corte sarà quello di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte».
[47] Depositati rispettivamente dal Movimento 5 stelle di cui il deputato Vittorio Ferraresi è stato primo firmatario, quello di Fratelli d’Italia di Andrea Delmastro Delle Vedove e quello del Partito democratico a firma Enza Bruno Bossio.
[48] Queste regole, precisa il nuova comma 1 bis, si applicano anche ai detenuti e agli internati non condannati alla pena dell’ergastolo, al fine di ottenere i permessi premio, se la condanna riguarda uno dei reati indicati nel comma 1.
[49] Cfr. VILLAFRATE A., Riforma ergastolo ostativo: il testo, in Studio Cataldi: il diritto quotidiano, www.studiocataldi.it, 20 novembre 2021.

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Francesco Salvi

Nato a Torre Annunziata (NA) nel 1996, ha conseguito la maturità scientifica presso il Liceo Statale Pitagora – B. Croce nel 2015, con votazione finale 98/100. Consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli – Federico II nell’anno accademico 2020/2021, discutendo una tesi in diritto penale (relatore Prof. Vincenzo Maiello), dal titolo “La pena dell’ergastolo”, con votazione finale 107/110. Attualmente è iscritto al Registro Speciale dei Praticanti Avvocati di Torre Annunziata e collabora stabilmente, dal Marzo 2022, presso uno studio professionale specializzato nella materia penalistica, con particolare attinenza all’ambito dei delitti associativi.

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