L’evoluzione della giurisprudenza in materia di concorso esterno in associazione di stampo mafioso e le novità quanto alla condotta di partecipazione

L’evoluzione della giurisprudenza in materia di concorso esterno in associazione di stampo mafioso e le novità quanto alla condotta di partecipazione

Sommario: 1. Premessa – 2. Le principali tappe dell’elaborazione giurisprudenziale – 3. Un nuovo contrasto interpretativo

 

1. Premessa

In materia di concorso esterno si sono avute una serie di pronunce giurisprudenziali che, nell’ottica di un’interpretazione chiarificatrice dell’istituto, consentono di individuare delle vere e proprie fasi evolutive caratterizzanti la disciplina del concorso esterno.

Posto che è stato ormai superato l’indirizzo che negava la configurabilità del concorso materiale esterno sul fondamento che non sussisteva differenza tra concorrente esterno e partecipe all’associazione in quanto in entrambi i casi si aveva un contributo consapevole e adeguato al consolidamento o al mantenimento della societas sceleris.

A fronte di ciò, oggi è ormai pacifica l’ammissibilità del concorso esterno perché per essere «partecipe» di un’associazione criminosa non è necessario dare un contributo alla conservazione o al rafforzamento della struttura associativa, essendo solamente sufficiente essere organicamente e stabilmente inseriti all’interno del sodalizio.

Tanto premesso, il dibattito giurisprudenziale nasce a causa degli incerti confini tra la figura del concorrente esterno e quella dell’associato.

Ed, invero, la figura del concorrente esterno confina verso l’alto con la figura dell’associato e verso il basso con quella del mero connivente, la cui condotta è penalmente irrilevante.

In un primo momento, la giurisprudenza ha posto attenzione soprattutto ai confini superiori, nell’ottica di individuare le differenze tra il concorrente esterno e il partecipe, anche per replicare a quelle tesi che negavano l’esistenza di una zona intermedia tra la condotta penalmente irrilevante e la condotta partecipativa.

Successivamente, chiarite sempre di più le differenze tra le due figure, l’attenzione della giurisprudenza si è focalizzata sul confine inferiore, nell’ottica di evitare che tramite l’art 110 c.p. si finisse per punire condotte di mera connivenza e, quindi, penalmente irrilevanti perché prive di offensività.

Insomma, se da un lato pian piano si sono attenuate le differenze con la figura del partecipe tanto dal punto di vista oggettivo tanto da quello soggettivo, dall’altro lato si sono rimarcate quelle con la condotta di mera contiguità o connivenza, con la conseguenza che ne deriva un istituto, quello del concorso esterno in associazione mafiosa, rispettoso dei principi di legalità e tipicità e della disciplina generale del concorso di persone nel reato.

Alla luce di queste considerazioni preliminari, emerge anche che la fattispecie di concorso esterno integra un’eccezione al principio di riserva di legge interpretato in maniera rigorosa e inteso come primato della lex scripta fin dall’originaria formulazione delle norme incriminatrici, essendo un istituto che ha acquisito nel corso degli anni quei tratti di determinatezza e prevedibilità (inizialmente mancanti) tramite un’opera chiarificatrice giurisprudenziale che ha contribuito alla individuazione delle caratteristiche dell’istituto in analisi.

2. Le principali tappe dell’elaborazione giurisprudenziale

Il primo vero intervento dirimente in materia si è avuto con le S.U. nel 1994[1] le quali individuano espressamente «la diversità dei ruoli tra il partecipe all’associazione e il concorrente eventuale, nel senso che il primo è colui senza il cui apporto quotidiano, o comunque assiduo, l’associazione non raggiunge i suoi scopi, cioè colui che agisce nella “fisiologia” dell’associazione, mentre il secondo è colui che non vuole far parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a “far parte”, ma alla quale si rivolge sia per colmare vuoti temporanei in un determinato ruolo, sia soprattutto, nel momento in cui la fisiologia dell’associazione entra in fibrillazione, attraversando una fase “patologica” che, per essere superata, richiede il contributo temporaneo, limitato anche a un solo intervento, di un esterno».

In altre parole, sotto il profilo oggettivo rileva questa distinzione tra fase fisiologica, della quale fa parte l’associato, e fase patologica ossia di crisi, nella quale opera il concorrente esterno.

Sotto il profilo soggettivo, il concorrente esterno è un soggetto che non ha l’affectio societatis (non volendo entrare a far parte dell’associazione la quale al contempo non vuole che egli ne sia parte), può non conoscere il programma criminoso ed inoltre può non avere contezza e volontà di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’associazione di stampo mafioso.

È sufficiente e necessario, ai fini della configurabilità del concorso esterno, che il soggetto abbia consapevolezza e volontà di dare dall’esterno un contributo all’associazione, ancorché non ne conosca strategia e fini.

Insomma, la giurisprudenza di legittimità ha il merito di individuazione in modo chiaro, per la prima volta, gli elementi costitutivi della fattispecie in analisi: – l’ingresso nella consorteria, effettivo e non surrogabile, seppur non necessariamente rituale, – l’accettazione da parte dei componenti del sodalizio, – l’adesione alle regole dell’accordo associativo e la conseguente assunzione dello status di membro che genera obblighi quali quelli di obbedienza gerarchica, di omertà e di impegno nel realizzare il programma operativo.

Le S.U. si pronunciano nuovamente sul tema nel 2002[2] con una sentenza innovativa rispetto al precedente orientamento. Al riguardo, afferma esplicitamente la Cassazione che il concorso esterno è configurabile «in capo alla persona che, priva dell’affectio societatis e non inserita nella struttura organizzativa del sodalizio, fornisce un contributo specifico, consapevole e volontario, indifferentemente a carattere occasionale o continuativo, purché detto contributo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione e l’agente se ne rappresenti, nella forma del dolo diretto, l’utilità per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso».

Dunque, sotto il profilo oggettivo, viene meno la distinzione fase fisiologica-fase patologica, dal momento che rileva esclusivamente l’idoneità della condotta a rafforzare o consolidare l’associazione che non deve necessariamente versare in una situazione di crisi.

Inoltre, viene introdotto il criterio causalistico come criterio di selezione delle condotte tipiche integranti il concorso esterno e rilevanti sul piano penale. Tuttavia, esso opera ex ante richiedendo che la condotta del concorrente esterno sia idonea a causare il rafforzamento o la conservazione dell’associazione, senza tener conto di effettivi riscontri in tal senso ex post.

Sotto il profilo soggettivo, le S.U. affermano la necessità che il concorrente esterno abbia consapevolezza e la volontà di contribuire al programma criminoso, intesa quindi come dolo specifico ossia condivisione, almeno parziale, del programma criminoso.

Un successivo intervento giurisprudenziale si ha nel 2005[3] a seguito di un nuovo dibattito sorto in relazione a questo giudizio prognostico ex ante, in quanto fonte di incertezze applicative e critiche da parte della dottrina.

A tal fine, sul concetto di idoneità, la Cassazione chiarisce che «assume il ruolo di concorrente esterno il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima».

In altre parole, sotto il profilo oggettivo, l’accertamento della causalità non va fatto ex ante, ma ex post, secondo i principi della causalità condizionalistica.

Dall’altro lato, la sentenza ribadisce che l’elemento soggettivo richiesto in capo al concorrente esterno sia il dolo diretto-specifico, posto che è necessario che egli conosca e voglia realizzare il programma criminoso almeno in parte.

Con la sentenza dell’Utri del 2012[4] viene introdotto un piccolo correttivo al precedente orientamento giurisprudenziale proprio in tema di elemento soggettivo.

Viene, anzitutto, confermato che non può esservi spazio per il dolo eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell’evento, essendo necessario che il concorrente esterno agisca prevedendo, accettando e perseguendo quell’obiettivo come conseguenza certa o altamente probabile del contributo all’associazione criminosa.

La novità consiste poi nel fatto che si ritiene sufficiente la consapevolezza dei metodi e dei fini dell’associazione, non occorrendo altresì la volontà di realizzare anche solo parzialmente il programma criminoso né tantomeno si richiede una condivisione dei fini.

In altre parole, la Cassazione precisa che il concorrente esterno, pur sprovvisto dell’affectio societatis, può anche provare una vera e propria avversione, disinteresse o indifferenza per i fini-obiettivi o metodi del sodalizio criminale, senza che ciò possa escludere la presenza del dolo in capo all’extraneus, in quanto rileva esclusivamente un dolo generico inteso come mera consapevolezza dell’efficacia causale della condotta rispetto all’attuazione del programma criminoso.

3. Un nuovo contrasto interpretativo

Passando all’analisi di un altro tema caldo collegato al concorso esterno, ossia quello riguardante le caratteristiche che deve possedere la condotta per integrare la fattispecie di partecipazione ex art 416-bis, si riscontrano tre diversi modelli che possono essere così sintetizzati.

Il modello causalistico richiede un contributo apprezzabile sotto il profilo causale apportato dal singolo al rafforzamento dell’associazione. La principale obiezione è che, in tal modo, si determina un appiattimento quasi totale tra partecipazione e concorso esterno (che pure richiede il contributo causalmente rilevante).

Il modello organizzativo richiede un oggettivo inserimento nella struttura dell’organizzazione, mediante la stabile assunzione di compiti funzionali al perseguimento degli obiettivi dell’ente, occorrendo altresì un riscontro da parte dell’associazione, nel senso che questa deve riconoscere la qualità di associato alla persona che manifesta l’adesione.

Anche questo modello è stato criticato, perché rischia di dare vita a una responsabilità di status o di posizione in capo a chi si mette a disposizione.

È risultato, pertanto, prevalente il c.d. modello misto accolto dalle S.U. Mannino nel 2005, secondo cui da un lato non occorre il contributo causale (proprio del concorso esterno), ma dall’altro lato è necessario che il partecipe, per essere tale, compia anche atti di “rivelatori l’inserimento associativo”[5], che rendano oggettivamente riconoscibile il suo stabile inserimento nel gruppo.

Tanto premesso, con ordinanza n. 5071/2021 è stata rimessa alle S.U. la seguente questione di diritto: «se la mera affiliazione ad una associazione a delinquere di stampo mafioso c.d. storica, nella specie “Ndrangheta”, effettuata secondo il rituale previsto dalla associazione stessa, costituisca fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione, tenuto conto della formulazione dell’art. 416-bis c.p. e della struttura del reato dalla norma previsto».

L’ordinanza di remissione evidenzia la criticità dei tentativi giurisprudenziali nell’individuazione di requisiti minimi di una delle più antiche forme di manifestazione di mafiosità ossia quella che si affida a rituali di accesso alle storiche cosche mafiose[6].

Il tema, che ha giustificato l’intervento chiarificatore delle S.U., vedeva contrapposti due diversi orientamenti che possono essere sintetizzati nei termini che seguono.

Ed, invero, secondo una prima tesi l’affiliazione, con modalità rituali, ad una associazione mafiosa c.d. storica è un fatto sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art 416-bis c.p. Più precisamente, è stato affermato che «Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l’offesa all’ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. «messa a disposizione», che è di per sé idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialità operative e la capacità di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale»[7].

Alla base di tale orientamento giurisprudenziale vi è l’idea che la consumazione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso avverrebbe nell’istante in cui il soggetto manifesti la propria volontà di far parte della compagine mafiosa, anche mediante il rito di affiliazione, non rilevando in alcun modo il compimento di ulteriori condotte illecite espressive del programma criminoso della consorteria mafiosa.

Sul versante opposto, vi è un diverso orientamento giurisprudenziale secondo il quale «Ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso»[8].

Inoltre, «l’affiliazione rituale può non essere sufficiente laddove alla stessa non si correlino ulteriori concreti indicatori fattuali rivelatori dello stabile inserimento del soggetto nel sodalizio con un ruolo attivo»[9].

Proprio quest’ultima sentenza, nell’analizzare la rilevanza probatoria dell’affiliazione rituale, osserva che essa attesta la semplice conclusione di un accordo di ingresso tra il sodalizio e il singolo, integrando un fatto non tipico.

In altre parole, in quell’occasione la Cassazione introduce il concetto del c.d. accordo di ingresso al fine di evidenziare come una nozione meramente statica della condotta di inserimento associativo (che prescinderebbe dal compimento di attività illecite in favore del sodalizio) finirebbe per coincidere con quelle condotte di mero reclutamento punite dal legislatore all’art. 270-quater c.p. in materia di terrorismo.

Ulteriore argomento addotto a sostegno di tale tesi è dato «dalla nozione di partecipazione punibile in ambito UE dalla Decisione quadro n. 2008/841/GAI del Consiglio, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata e adottata all’art. 2 di tale strumento»[10].

Ed invero, essa incrimina «il comportamento di una persona che (…) partecipi attivamente alle attività criminali dell’organizzazione, ivi compresi la fornitura di informazioni o mezzi materiali, il reclutamento di nuovi membri, nonché qualsiasi forma di finanziamento delle sue attività, essendo consapevole che la sua partecipazione contribuirà alla realizzazione delle attività criminali di tale organizzazione».

Sul tema è intervenuta anche parte della dottrina[11] esprimendo una diversa tesi secondo cui sarebbe ipotizzabile la punibilità a titolo di tentativo nel caso di affiliazione rituale non seguita da agire associativo. Più precisamente, si sostiene che la mera procedura di reclutamento formale integra solamente una parte della fattispecie tipica ex art 416-bis c.p., in particolar modo quella che precede l’iter esecutivo.

La condotta di ingresso con rito di iniziazione è pur sempre un comportamento dotato di disvalore penale, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il numero dei “soldati” disposti a perseguire i fini del sodalizio criminale.

Tuttavia, secondo la tesi in esame, l’ingresso rituale si colloca nella sotto-fattispecie del tentativo con condotta incompleta ex art 56, co. 1, seconda parte.

Recentemente, le S.U.[12] si sono espresse sulla questione sostenendo il principio secondo cui, in tema di partecipazione all’associazione di stampo mafioso, il rito di affiliazione può avere valore indiziario, ma serve la prova dello stabile inserimento.

La soluzione fornita dalla Cassazione è la seguente: «nel rispetto del principio di materialità ed offensività della condotta, l’affiliazione rituale può costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza, alla luce degli elementi di contesto che ne comprovino la serietà ed effettività, l’espressione non di una mera manifestazione di volontà, bensì di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato e associazione»

Ancora, le S.U. sostengono che «la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla “messa a disposizione” del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi».

In attesa del deposito della motivazione e realizzando un primo commento a caldo, lo scrivente ritiene che la via interpretativa proposta dalla Cassazione rappresenti una soluzione intermedia in grado di garantire anzitutto il rispetto dell’art. 3 della Cost, al fine di evitare il sorgere di situazioni differenziate che si sarebbero potute avere laddove fosse stato ammesso che la mera affiliazione a un’ associazione a delinquere di stampo mafioso c.d. storica, nella specie “Ndrangheta”, effettuata secondo il rituale previsto dalla associazione stessa, costituisca fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità ex art. 416-bis c.p.

Ed, invero, si sarebbe finiti con il punire più gravemente i partecipanti a tali associazioni storiche (che si caratterizzano per la presenza di riti di ingresso e da capacità organizzative collaudate dall’esperienza di molti anni) rispetto al trattamento riservato a coloro i quali si associano a sodalizi criminali che non contemplano i medesimi rituali (essendo in tal caso richiesto il compimento di atti di militanza nel clan), ciò in potenziale contrasto con il principio di ragionevolezza-uguaglianza ex art 3 Cost.

Inoltre, punire il soggetto ex art 416-bis c.p. per il solo fatto di aver partecipato alla procedura di reclutamento formale determinerebbe un eccessivo arretramento della soglia dell’intervento penale e conseguente dilatazione dell’area della rilevanza penale delle condotte di partecipazione ad associazioni a delinquere di stampo mafioso, in aperto contrasto con il principio di offensività e con il principio di cui all’art 115 c.p. secondo cui accordo e istigazione non sono punibili se non seguiti dalla commissione del reato.

In conclusione, dalla pronuncia delle S.U. ne deriva che la tesi preferibile sia quella che, pur riconoscendo valenza probatoria e indiziaria del giuramento mafioso, evidenzia, tuttavia, che l’incriminazione del fatto iniziatico di per sé considerato, rischia di sanzionare la mera potenzialità operativa del soggetto, prescindere dal suo inserimento dinamico nell’organizzazione mafiosa.

 

 

 

 

 


[1] Cass. Sez. Un., 5 ottobre 1994, Demitry, in ItalGiure Web.
[2] Cass. Se. Un., 20 ottobre 2002, Carnevale, in ItalGiure Web
[3] Cass. Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in ItalGiure Web
[4] Cass. Sez. V, 9 marzo, 2012, n. 15727, Dell’Utri, in ItalGiure Web
[5] V. MAIELLO, L’affiliazione rituale alle mafie storiche al vaglio delle Sezioni Unite, in rivista online Sistema penale, fascicolo 5/2021, p. 10.
[6] V. MAIELLO, L’affiliazione rituale alle mafie storiche al vaglio delle Sezioni Unite, in rivista online Sistema penale, fascicolo 5/2021, p. 5 ss.
[7] Cass., Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, Geraci, in ItalGiure Web.
[8] Cass., Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, Di Marco, in ItalGiure Web.
[9] Cass., Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, Pesce, in ItalGiure Web.
[10] V. MAIELLO, L’affiliazione rituale alle mafie storiche al vaglio delle Sezioni Unite, in rivista online Sistema penale, fascicolo 5/2021, p. 13.
[11] V. MAIELLO, L’affiliazione rituale alle mafie storiche al vaglio delle Sezioni Unite, in rivista online Sistema penale, fascicolo 5/2021, p. 15.
[12] Cass., Sez. Un., c.c. 27 maggio 2021.

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