L’exceptio doli, questa sconosciuta!
Nell’attuale panorama giuridico l’exceptio doli pare collocarsi all’ombra delle trame dottrinali le quali, a fronte del difetto di una precipua disposizione normativa che ne fornisca una definizione, trascurano l’utilità e la potenzialità dell’istituto de quo. Nel passaggio dall’astratto al concreto, dall’interpretazione tradizionale all’ermeneusi giurisprudenziale più recente si coglie la progressiva rilevanza assunta dall’exceptio doli che, qualificandosi come strumento idoneo a paralizzare le pretese abusive di una parte, svela l’attitudine dell’ordinamento a favorire relazioni contrattuali equilibrate e simmetriche. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla domanda di pagamento frazionato del credito in giudizio, all’escussione abusiva della garanzia e alla richiesta di una prestazione di interessi divenuti usurari durante l’esecuzione del contratto.
Al fine di ricostruire il fondamento dell’istituto in esame, val la pena rilevare che l’exceptio doli affonda le sue radici nel diritto romano, atteggiandosi come rimedio di origine pretoria volto a garantire tutela alla parte pregiudicata dall’altrui condotta abusiva, che seppur conforme allo ius civile risulti difforme dall’aequitas. Oggi, la dottrina maggioritaria suole ricondurre tale istituto alla buona fede e al divieto di abuso del diritto, considerandolo un valido strumento di ripristino del canone di solidarietà sotteso a qualsivoglia rapporto obbligatorio. Nella prassi l’exceptio doli tende a paralizzare una pretesa astrattamente legittima, ma concretamente abusiva. Pare, dunque, agevole notare che il fondamento dell’exceptio doli si ravvisi da un lato nel divieto di venire contra factum proprium e dall’altro nell’esigenza dell’ordinamento di negare tutela a chi intende trarre vantaggio dalla condotta abusiva posta in essere.
A livello codicistico il riferimento all’exceptio doli si rinviene, in materia di titoli di credito e in ambito societario, rispettivamente all’ art. 1993 c.c. ove consente al debitore di opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori, solo se, nell’acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore, e all’art.2384 c.c. che ammette l’opponibilità ai terzi delle limitazioni ai poteri degli amministratori, allorquando ricorra la prova che questi hanno intenzionalmente agito a danno della società.
Per altro verso, deve darsi conto dell’attuale tendenza giurisprudenziale ad estendere la portata e l’ambito applicativo dell’exceptio doli. Si rammenti, al riguardo, la distinzione operata dalla Suprema Corte tra exceptio doli generalis ed exceptio doli specialis. Quest’ultima attiene al momento genetico della stipula del contratto e può configurarsi sia come dolo attuale, causa di annullamento del contratto e sia come dolo incidente, fonte di responsabilità a carico di chi ha indotto con inganno la controparte durante le trattative ad addivenire alla stipula del contratto. La prima, invece, si riferisce al dolo attuale al momento della proposizione della domanda e tende a paralizzare l’altrui pretesa abusiva, precludendo l’efficacia dell’atto che ne costituisce il fondamento ovvero determinando il rigetto della domanda. Ipotesi paradigmatica è la proposizione in giudizio di una domanda di pagamento frazionato di un credito unitario derivante da un unico rapporto obbligatorio avverso la quale può opporsi l’exceptio doli geneneralis. Mentre in un primo tempo, la giurisprudenza propendeva per l’ammissibilità di tale domanda sulla scorta dell’interpretazione estensiva dell’art. 1181 c.c., il quale cosi come riconosce al creditore la possibilità di rifiutare l’adempimento parziale dell’obbligazione parimenti consentirebbe allo stesso di richiederne in giudizio la parcellizzazione. Successivamente, la Cassazione a Sezione Unite 1, valorizzando, per la prima volta, il divieto di abuso del processo, quale principio generale che trova fondamento negli artt. 2 e 111 Cost., supera il precedente indirizzo. Ne consegue, dunque, la natura abusiva della condotta dell’attore volta al frazionamento del credito in giudizio, giacché determina un inutile sacrificio in capo al debitore, non solo per la protrazione ingiusta del vincolo obbligatorio, ma anche e soprattutto per i dispendi e gli oneri che il processo impone. E’ pacifico che in siffatta ipotesi il debitore possa opporre al creditore in giudizio l’exceptio doli generalis al fine di riequilibrare il rapporto anche sul piano processuale.
Recentemente, la Suprema Corte 2, ha ammesso la frazionabilità del credito in giudizio, allorquando il titolare agisca per far valere le pretese derivanti da un rapporto di durata, giacché in tal caso si è a cospetto di una pluralità di crediti derivanti da specifiche ed autonome fonti; si pensi ai crediti derivanti dalla cessazione di un rapporto di lavoro. Ne deriva, dunque, che in difetto del carattere abusivo della domanda l’exceptio doli non è esperibile. Tuttavia, qualora i crediti siano suscettibili di proiezione nel medesimo ambito oggettivo del giudicato ovvero derivino dallo stesso titolo costitutivo, il debitore può opporre l’exceptio doli, provando il difetto della meritevolezza dell’interesse del creditore al frazionamento. Viceversa, in tutte le altre ipotesi deve considerarsi legittima la pretesa frazionata del credito, perché non abusiva.
La giurisprudenza ha fatto applicazione del divieto di abuso del diritto anche con riferimento al contratto autonomo di garanzia, consentendo al garante di opporre l’exceptio doli a fronte di una riscossione abusiva della garanzia. Più precisamente, quando il creditore pur essendo a conoscenza dell’avvenuta estinzione dell’obbligazione escuta egualmente la garanzia facendo valere la clausola di autonomia, che preclude al garante la possibilità di opporre le eccezioni inerenti al rapporto principale; in tal caso il garante può e deve rifiutare il pagamento opponendo l’exceptio doli al fine di paralizzare la pretesa abusiva.
A conferma della latitudine applicativa dell’exceptio doli si pone l’attitudine di una parte della giurisprudenza a ricorrere a tale istituto al fine di ripristinare l’equilibrio contrattuale, in assenza di rimedi tipizzati dal legislatore. Si ponga mente alle sopravvenienze atipiche, quali circostanze esterne che incidono sul regolamento contrattuale pur non essendo previste dal legislatore e dalle parti, con la conseguenza che al difetto di previsione si ricollega un vulnus sotto il profilo dei rimedi esperibili. Invero, la dottrina maggioritaria suole distinguere le sopravvenienze atipiche che frustrano la causa da quelle che comportano squilibri delle prestazioni; e se per un verso prende atto dell’asimmetria contrattuale generata per effetto delle suddette sopravvenienze, per altro verso riconosce l’inapplicabilità dei rimedi previsti dal legislatore ex artt.1463 e 1467 c.c., giacché norme eccezionali non suscettibili di estensione analogica. Tutto ciò giustifica il ricorso ai principi di correttezza e buona fede, che consento di qualificare come inesigibile la prestazione sproporzionata, e al divieto di abuso di diritto, che legittima la controparte ad esperire l’exceptio doli.
Analogo ragionamento può condursi con riguardo alle sopravvenienze normative verificatesi durante l’esecuzione del contratto, come può avvenire in un contratto di mutuo stipulato con un tasso di interesse originariamente non usurario, divenuto tale per effetto di una norma sopravvenuta. A tale fattispecie mal si adattano i rimedi previsti dall’art. 1815 c.c., sub specie iuris della nullità testuale e parziale della clausola usuraria e della perdita del diritto naturale del creditore agli interessi, giacché siffatti rimedi sono calibrati per sanare una sproporzione originaria tra le prestazioni e per sanzionare il creditore, il quale approfittando della propria posizione impone un tasso di interesse usurario al debitore. La medesima ratio non può sottendere ai rimedi esperibili verso l’usura sopravvenuta, giacché la sproporzione non è imputabile ad alcuna delle parti del rapporto obbligatorio.
Ciò posto, deve darsi atto della tendenza giurisprudenziale a ricercare i rimedi esperibili per gestire il fenomeno de quo. Un primo filone interpretativo ha fatto ricorso alla categoria della nullità sopravvenuta, sostenendo che la clausola usuraria sopravvenuta sarebbe nulla per violazione dell’art. 1418 comma primo del codice civile, si verserebbe, dunque, in un’ipotesi di nullità ex nunc. Tale tesi non pare meritevole di pregio, giacché l’ordinamento giuridico contempla la nullità solo come categoria genetica, con efficacia ex tunc. Di contro, l’orientamento più recente promuove, anche in siffatta ipotesi, il ricorso ai canoni di buona fede e correttezza. Pertanto, a fronte di una prestazione di interessi divenuta usuraria questa deve ritenersi inesigibile ex bona fide e qualora il creditore la esiga il debitore può opporre l’exceptio doli per contrastare la pretesa abusiva. Ulteriore rimedio favorito dalla dottrina si sostanzia nell’obbligo in capo alle parti di rinegoziare la clausola usuraria. Tale espediente, tuttavia, non è immune da censure, atteso che l’obbligo di rinegoziare ex bona fide nel nostro ordinamento pecca di debolezza, non essendo passibile di esecuzione ex 2932 cc.. Sul punto, val la pena rammentare la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n.24675/2017, la quale non si cura di quest’ultimo rimedio e sostiene l’esigibilità della prestazione usuraria, salvo buona fede. Tale pronuncia pare evocare il ricorso all’exceptio doli, quale unico rimedio contro pretese sproporzionate, riconoscendo cosi la portata valoriale dell’istituto. Con la conseguenza che l’operatore del diritto è tenuto a verificare la natura abusiva della pretesa creditoria e ad interfacciarsi, sempre più spesso, con l’exceptio doli esperita dalla parte che si assume lesa. Tanto vale a sottrarre l’exceptio doli dalla zona d’ombra cui per lungo tempo è stata relegata.
1 Cass. Sez. Un. sentenza n. 23726/2007
2 Cass. Sez. Un. sentenza n.4090/2017
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Dott.ssa Ilaria Rizzuti
Laureata in giurisprudenza cum laude.
Specializzata in Professioni legali.
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